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“Questo album è un po’ la punta di un iceberg e di un progetto partito alcuni anni fa e che considero come la ricerca di un’utopia: quando si arriva alla soglia dei cinquant’anni si inizia pensare come si sarebbe vissuto, a come sarebbero stati gli eventi della vita se ci fosse stata la possibilità di cambiarli, di tornare indietro anche solo di un secondo per modificarli. In questa ricerca utopistica ho voluto inserire anche una ricerca musicale usando molta elettronica per parlare d’amore, di pace, di guerra o di vita. D’altronde, a partire dagli Human League in poi, tutti abbiamo voluto provare a cimentarci con i sintetizzatori: musicalmente io appartengo a quel periodo, con i Genesis, i Pink Floyd, un periodo di grande sperimentazione”.

In effetti, ad ascoltare il nuovo lavoro di Marco Masini, che uscirà il 10 febbraio e si intitola proprio come il brano in gara a Sanremo, Spostato di un secondo, la prima cosa che colpisce sono i potenti utilizzi di elettronica che riempiono molte delle nuove canzoni e che per l’artista toscano rappresentano una grande novità, a partire per esempio da Ma quale felicità, il bellissimo pezzo d’apertura.
Per Masini quella a Sanremo 2017 sarà l’ottava partecipazione: nel 1990 si aggiudicò il primo posto tra i giovani con Disperato, per arrivare alla vittoria nel 2004 con L’uomo volante.
Oggi, dopo più di 25 anni di carriera, quello che sale sul palco dell’Ariston è un cantautore con tante consapevolezze in più, che si riflettono nitide in tutti i brani del nuovo album: “Il disco è il risultato di un lavoro di anni, frutto della collaborazione di tante persone, da Zibba a Luca Carboni, Diego Calvetti, Vicio dei Subsonica. Rappresenta quello che sono oggi, quello che sono diventato: c’è tanto elettropop, ma ci sono anche momenti acustici, più legati a quello che sono stato in passato, come in Una lettera a chi sarò, dove volevo un’atmosfera più intima”. 
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Quali sono state le tappe più importanti che ti hanno portato a essere quello che sei oggi?
Sono state tutti i giorni che ho vissuto: la vita per me comincia sempre oggi, non sono mai stato un nostalgico, non sono mai andato dietro ai rimpianti e ai rimorsi. Non ho mai voluto fare del vittimismo, tranne quando ho denunciato un problema discografico che mi impediva di fare il mio lavoro. Sono convinto che il male non ce lo fanno gli altri, ma noi stessi, non facendo buon uso delle nostre scelte: poter arrivare un secondo prima ci permette di scegliere meglio. Sono stato formato da tutto quello che mi è capitato, dal caffè preso alla mattina con Bigazzi agli amori. La vita è tutto, nel bene e nel male, ed è bella così. 
Il modo di vivere Sanremo cambia nel tempo?
Non cambia il lavoro che fai, perché Sanremo non è solo il momento in cui sei sul palco a cantare, ma è tutto il lavoro che ci sta prima e durante. Ma Sanremo per me è anche come uno sparo allo start, un modo per dare una scadenza, altrimenti non smetteresti ma di mettere in discussione quello che scrivi. Poi è un modo per avere nuovi stimoli perché ti trovi in competizione con i ragazzi dei talent e capisci se il tuo pensiero e il tuo vissuto possono essere condivisi anche con un’altra generazione. E’ una sfida prima di tutto con te stesso.

Per la serata dedicata alle cover hai scelto Signor tenente di Faletti: ha un significato speciale?
E’ una canzone che ha avuto un grande successo non subito, ma che poi non è stata più ricantata, non la si ascolta in radio, al karaoke o al pianobar, ed è un’ingiustizia. La serata delle cover è un’occasione per riscoprire brani che non si sentono spesso: avrei potuto giocare facile scegliendo per esempio Margherita di Cocciante, adatta anche alla mia voce, ma volevo ricordare anche un amico. Giorgio mi ha insegnato tanto, abbiamo musicato insieme un suo testo. Era geniale, imprevedibile, lo si vede anche nei suoi libri. Sapeva far ridere in Drive In e ha pubblicato un thriller come Io uccido. Questo lo sanno fare solo i grandi.
Nel disco sembra emergere un po’ di disagio per i nostri tempi.
E’ evidente che attorno si respira un disagio generale, stiamo vivendo momenti sconcertanti. Senza arrivare a Trump, abbiamo paura ad andare in discoteca perché qualcuno potrebbe entrare con il mitra. Sembra prevalere l’istinto animale, il predominio, il potere, un mondo dove ci si lamenta del terrorismo e poi si finanziano i terroristi. Nell’album c’è questa ammissione, ma c’è anche la consapevolezza che non serve più la rabbia, la vendetta, il “vaffanculo”: il mondo è bugiardo, nasconde lo sporco sotto i tappeti, e quello di cui avremmo bisogno è un uomo che raccontasse la verità con voce calma.
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In Una lettera a chi sarò ho trovato interessante la definizione della vita “che sembra seria”. Ma se non è davvero seria, come la definiresti?
La vita è in continua evoluzione, non c’è un aggettivo che la definisca al meglio, altrimenti l’avrei usato. E’ la speranza che la fa apparire seria: tu la immagini in un certo modo, vera, pensi di averla in mano, ma spesso è così perché sbagliamo scelta, poi abbiamo il giorno seguente per riprovare. La vita ti dà continue occasioni, ti provoca. Per usare una metafora sessuale, la vita ti eccita, ma non te la da. Ed è proprio questa la sua apparente serietà: da una parte è vera, dall’altra ipocrita, non riesci mai a coglierla nella vera essenza.

Hai sempre intenzione di portare avanti anche l’attività di produttore per i giovani musicisti?
Sto lavorando per allestire uno studio di registrazione a casa: spero che sia pronto prima dell’estate. Ho già un paio di progetti a cui vorrei dedicarmi. Grazie a Diego Calvetti e Lapo Consortini ho imparato un nuovo modo di lavorare sulla musica e penso di avere l’esperienza per dare consigli ad altri.
Ad aprile partirà un nuovo tour. Ci stai già pensando?
Canterò alcune canzoni del nuovo disco e poi ci saranno i pezzi più importanti della mia carriera. Sto pensando anche a dei medley per proporre alcune cose che magari una parte del pubblico non conosce e che invece ama chi mi ha sempre seguito in questi anni. E’ un modo per ringraziare i fan che mi sono stati vicini anche nei momenti difficili in cui non riuscivo a scrivere. Non sarà facile mettere insieme tutto, ma ho già qualche idea sugli arrangiamenti: porterò un po’ di elettronica, pensando a come sarebbero stati quei brani se all’epoca li avessi fatti con gli strumenti elettronici, senza però cambiare troppo l’atmosfera.

 
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