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“Attenzione, maneggiare con cura”.

Dovrebbe esserci questo avvertimento stampato bello in grande sulla copertina di La fate facile, ultimo album di Il Cile. Sono passati tre anni dall’ultimo lavoro, ma Lorenzo Cilembrini si è voluto prendere tutto il tempo, perché questo è un album tutt’altro che semplice, non tanto nei suoni, quanto soprattutto per quello che è finito dentro i testi.
Il Cile si è messo a nudo, come non ha mai fatto fino ad oggi, mettendo in musica i suoi demoni, le paure, le fragilità, il percorso di psicoterapia e soprattutto i ricordi di una storia d’amore e di una convivenza a Milano andata a rotoli. Un album quasi catartico: è stato un sollievo portare alla luce i nodi irrisolti, poter arrivare al pubblico restando totalmente limpido. Definisce questo il suo disco della maturità, quello che prima o poi ogni artista deve arrivare a scrivere, e lo è anche per il semplice fatto che lui è cresciuto, divenendo un uomo. Un uomo tutt’altro che perfetto, in cui – ammette – i difetti sono a volte preponderanti, conseguenza di un’infanzia complicata a causa di una madre che definisce “particolare” e da cui ha ereditato una certa follia. Quando si è liberato da quell’ambiente, confessa, era come un lupo affamato, e non è certo un caso che nel testo del brano che dà il titolo al disco arrivi a dire “per voi è facile / prendere un lupo / e renderlo docile”.
Cover Album LQ
Mentre parla di tutte le macerie su cui è stato costruito il disco, nello sguardo di Lorenzo si vede ancora un certo pudore, una difficoltà nel raccontare e nell’ammettere ciò che è stato: d’altronde, canzoni come Buttami via, La danza delle notti, La cenere dal cuore e il singolo Era bellissimo non nascono dall’ispirazione di un momento, ma sono il frutto di riflessioni solitarie, tormenti, ammissioni.
Oltre ai suoi demoni, l’altra protagonista dell’album è Milano, la città dove Lorenzo si è trasferito da Arezzo per progettare una vita in due, e che inevitabilmente si è riempita di ricordi. Ma oggi qual è il suo rapporto con la città? “Amo le metropoli, il loro cemento, le opportunità che offrono. Non sento la freddezza umana di cui molti parlano, e Milano mi piace per la sua natura mitteleuropea. Per il lavoro che faccio è impossibile non averci a che fare, probabilmente mi ci sarei dovuto trasferire comunque”.
Spazio anche alla critica ironica sulla presenza sempre più ingombrante di Internet e dei social in Mamma ho riperso l’aereo, dove i giovani – ma non solo – sono perennemente indaffarati a guardare in basso, verso lo schermo degli smartphone e dei tablet, scontrandosi con il cielo “sempre più nero” degli schermi: “Rispetto il mio pubblico, ma penso che oggi gli artisti si concedano in maniera troppo violenta. I social network hanno rotto delle barriere necessarie, hanno imbarbarito la comunicazione, al punto che se tardi qualche minuto a rispondere a un messaggio, per gli altri sei cambiato, ti sei montato la testa: me ne sono reso conto nel periodo di Maria Salvador, quando mi sono trovato investito da un successo che nessuno si immaginava. Io con gli altri preferisco fare due chiacchiere reali, magari dopo un concerto, voglio stare a contatto diretto con chi ha voglia di parlare con me, accogliere anche le confidenze private che a volte qualcuno si è sentito di rivelarmi. Tutto questo con i social non si può fare”.
Ciò che resta nello sfondo in questo album è comunque la voglia di tornare a respirare e guardare il sole, questa volta non più nero: non è un caso che lo spazio finale dei ringraziamenti sia riservato a lei, Serena, “per tutto quello che si sono dati e tolti”.
Ma alla fine di tutto, cos’è che fa stare bene Il Cile? “Sapere che le persone a cui voglio bene sono contente di me, sapere che il pubblico mi capisce e riesce a cogliere la mia essenza, o anche semplicemente prendere la chitarra e suonare, indipendente da quale sarà il mio futuro”.

Mi raccomando, maneggiare con cura!

Il 12 settembre al via da Milano gli instore di presentazione, poi si penserà ai live.

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