900A0830Rd_Peter SvensonAnastacia è uno di quei personaggi pubblici in cui artista e essere umano si trovano inevitabilmente legati, magari non per una scelta precisa, ma perché il destino ha voluto così.
La sua storia la conosciamo: americana di Chicago, Anastacia ha fatto irruzione sulla scena pop nel 2000 con quella sua voce tanto potente e tanto particolare da farle guadagnare l’appellativo di freak of nature, scherzo della natura. Lei, così minuta e dalla pelle bianca, si è ritrovata in gola un’ugola da gigantessa nera, scaldata con un timbro inconfondibile come pochi altri che le ha permesso di dar vita allo sprock, cioè quella mistione di soul, pop e rock che l’ha resa famosa.
Poi nel 2003, quando il successo era al culmine, la vita si è affacciata chiedendo il suo primo salatissimo conto, una diagnosi di tumore al seno. È stato da quel momento che l’indole guerriera di Anastacia ha mostrato per la prima volta la sua armatura, vincendo la battaglia contro la malattia e diventando per i fan un simbolo di resistenza. Una battaglia a cui la cantante è stata chiamata una seconda volta nel 2013, tornandone nuovamente vittoriosa e senza aver perso nemmeno un’ombra di forza d’animo.
Da questa esperienza sarebbe arrivato Resurrection, il suo album del 2014, il cui titolo non è altro che la traduzione inglese del suo nome. A quel punto però, gli occhi del pubblico non vedevano più in lei solo una cantante dallo spirito forte, ma una donna dall’anima d’acciaio, una vera combattente che dopo la sua vittoria personale sulla malattia si è buttata in altre numerose cause, non ultima quella per il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali.
Da poco Anastacia è tornata con il suo nuovo album, Evolution, una sorta di sguardo al passato per ricordarsi chi era, come è cambiata e chi è oggi: “Sono molto orgogliosa di questo lavoro, perché ci ho messo dentro me stessa. So che magari ci si sarebbe potuti aspettare qualche calcolo di mercato in più, ma so anche che ai miei fan interessa prima di tutto la mia musica. Non ho mai programmato nulla, non ho pensato di piazzare un brano nel periodo natalizio o per San Valentino: ogni pezzo di questo disco è stato scelto perché racconta qualcosa di me, esprime qualcosa che volevo comunicare”.
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Impossibile quindi non pensare al primo singolo Caught In The Middle, che racconta la difficoltà di una storia ormai deragliata, o Boxer, uno di quei manifesti di forza a cui Anastacia ci ha negli anni abituati.
E poi c’è Why, in cui ci si chiede perché nel mondo accadano tante violenze e cose sbagliate. Ferma nel suo più totale disprezzo verso Trump, Anastacia non ha una risposta certa a questa domanda: “A parte la necessità della pace mondiale, non penso ci sia una singola cosa o una serie di cose che possiamo fare per migliorare la nostra vita, ma tutto dipende dalla prospettiva individuale. Quando capiamo che qualcosa non funziona e non ci fa stare bene, quando qualcosa non va come avevamo immaginato, dovremmo prenderci del tempo e chiederci il perché di quella situazione. Può essere qualcosa legato al nostro passato o qualcosa che non è semplicemente adatto a noi, o forse dipende da chi ci sta attorno. Dovremmo essere capaci di staccarci da tutto il resto per un momento e pensare alla nostra situazione personale. In questi casi sono del parere che less is more, fare meno per fare di più. Alla fine della giornata delle elezioni americane, Michelle Obama ha detto When They Go Low, You Go High. Per ogni cosa arriverà il tempo giusto, basta saper aspettare”.
Ma si sa, i combattenti veri sono quelli che non hanno paura di ammettere le sconfitte, e anzi se ne servono per trarne insegnamenti: ecco che allora Anastacia non si sottrae nemmeno di parlare del suo mancato successo in patria: “Inizialmente mi sono sentita rifiutata in America, lo ammetto, ed è stata una sorpresa anche per i miei discografici. Il primo album non ha funzionato, ma me lo potevo aspettare: la vera delusione è arrivata con il secondo. Sapevo di avere dei fan in America, me ne accorgevo quando andavo negli show televisivi, ma le radio non passavano le mie canzoni. A quel punto ho detto a Sony (sua casa discografica dell’epoca, ndr) che forse era meglio lasciar perdere e non pubblicare il terzo album negli Stati Uniti, perché è frustrante ritrovarsi solo tra le ultime posizioni in classifica, non ha senso. Quello che contava per me era poter cantare e far sentire la mia musica, e pazienza se in America non ci riuscivo, potevo farlo altrove. Probabilmente l’America non è adatta a me, era nel mio destino che andasse in quel modo, e va bene così. Anzi, forse è anche meglio, perché lì posso godere di maggiore libertà. In compenso, ringrazio l’Europa e in particolare l’Italia per farmi sentire sempre così ben accolta”.
Anastacia_900A9946Rb_foto di Peter Svenson
Ma dopo quasi vent’anni di musica, dopo il successo e gli incidenti di percorso, dopo i drammi personali, a che punto è oggi l’evoluzione di Anastacia? “Penso di aver raggiunto un traguardo importante, quello di sapermi concentrare sul presente, lasciando da parte il domani e dimenticandomi di ciò che è successo ieri: adesso sono qui, sto facendo questa intervista, tutto il resto può aspettare, ci penserò dopo. Credo che non sia una cosa da poco. E poi vorrei far capire ai miei fan che è importante continuare a fare la differenza, comportarsi ogni giorno seguendo ognuno la propria natura, perché ognuno di noi ha desideri ed esigenze diversi. Faccio l’esempio del cancro: io ho scelto di curarmi in un modo, Angelina Jolie ha fatto scelte molto diverse, qualcun altro potrebbe addirittura scegliere di non curarsi. La nostra vita è nelle nostre mani. Io sono qui, e sono viva”.
Anastacia arriverà in Italia a maggio 2018 per quattro appuntamenti live:
6 maggio, Brescia
7 maggio, Roma
9 maggio, Bologna
10 maggio, Milano.

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