Facendo un giro veloce per il web e la carta stampata, accanto al nome di Achille Lauro si troveranno molto probabilmente le definizioni di rapper o trapper. Ad ascoltare il suo ultimo album però, a cominciare da quella Rolls Royce che tanto scalpore ha suscitato a Sanremo, verrebbe da dire che ci troviamo piuttosto davanti a un rocker amante di certe sonorità vintage.
La definizione più calzante alla sua arte la dà però direttamente lui: “Sono sempre stato un outsider per ogni etichetta che mi è stata data e per ogni genere che ho affrontato”. Outsder nel rap, outsider nella trap, outsider nel rock, outsider nella musica. E, probabilmente, anche outsider anche nello stile di vita.
Chi ha seguito la carriera di Lauro dagli esordi non ha potuto non rendersi conto che ogni suo lavoro è nato infatti all’insegna di una trasformazione, un’evoluzione, un cambiamento verso direzioni talvolta inaspettate e spiazzanti: dalla trap degli inizi alle contaminazioni samba ed elettroniche del precedente lavoro Pour l’amour, pubblicato solo lo scorso anno, per l’artista romano è ora tempo di approdare a una nuova soluzione sonora, quella del rock, sviluppata nell’album che rischia di essere per lui quello della consacrazione verso il grande pubblico, 1969, prodotto da Fabrizio Ferraguzzo e dal fido Boss Doms.

“E’ stato l’anno dell’allunaggio, l’anno del primo cuore artificiale, l’anno di Woodstock, e più in generale questo titolo vuole essere un omaggio a un periodo musicale che ci ha dato un’importante eredità viva ancora ancora oggi”. Il groove “grasso” e rockeggiante di Rolls Royce era già un più che evidente manifesto di quello che sarebbe l’album, ma ora che il disco ha visto la luce si colgono tutte le sfumature di questo nuovo percorso: “Sono già al lavoro su altri due album molto diversi, ma questa nuova veste vorrei portarla avanti e svilupparla fino in fondo: sono al posto giusto nel momento giusto. Per me ogni album è come un nuovo ristorante in cui si possono assaporare gusti diversi: questa volta ho scelto di innovare andando a ripescare i suoni del passato, soprattutto dagli anni ’60 e ’70. Ho guardato a icone immortali, che appartengono a tutti, come Elvis, James Dean, Jimi Hendrix, Marilyn, e le ho messe in copertina”.

“Nonostante mi piaccia cambiare continuamente, il filo comune di tutti i miei album sono l’anima e la scrittura che ci metto, e questo è un elemento che anche i fan della prima ora sanno riconoscere”, afferma Lauro. Diametralmente opposta al mood scanzonato di Rolls Royce o della titletrack c’è la malinconia del nuovo singolo C’est la vie, messa al secondo posto anche nel disco, o del brano posto in chiusura, Scusa: “Non so se dovrei dirlo, ma dopo aver inciso 1969, la canzone, mi sentivo come Rino Gaetano. Ci sono due macro-sensazioni che animano tutto l’album, la leggerezza e la malinconia. L’esperienza costruisce la vita di una persona, e nel mio caso ci sono dei vuoti interiori che vengono a galla, una malinconia personale che ho voluto affrontare. Penso che questo album sia per me anche il disco della responsabilità: sono diventato artigiano del mio successo e sento di avere delle responsabilità anche verso la mia famiglia”.
Se i versi dei brani restano scanditi dalle barre del rap, Lauro sa trovare soluzioni personali per scardinare con ironia sorniona gli stereotipi del genere: e così non si contano i riferimenti al lusso delle Cadillac e delle Rolls Royce, delle Ferrari Black, delle Cabrio, di Hollywood, affiancati da una pioggia di francesismi disseminati praticamente in ogni brano con lucido disordine, passando per le autocitazioni (“Ave Maria Nino D’Angelo / ti compro Castel Sant’Angelo” di Zucchero, che recupera BVLGARI).
Spazio anche per un omaggio alla Città Eterna con Roma: “Ho voluto fare un featuring con Simon P, un amico che non ha avuto la fortuna di trasformare la musica in un lavoro, ma che è un bravissimo autore”), mentre Coez presta la voce in Je t’aime.

Un’ultima considerazione va alle polemiche sui presunti riferimenti alla droga contenuti in Rolls Royce: “Sono sempre stato per la libertà di espressione e credo che un artista non debba essere preso come capro espiatorio per quello che va male nella società. L’arte e l’educazione sono due cose diverse. Le polemiche sulla canzone mi hanno procurato dispiacere perché dopo il primo ascolto dei brani avevamo ricevuto dei feedback positivi dalla stampa e siamo partiti motivati per il Festival. Quando ho voluto essere esplicito su certe tematiche lo sono stato senza troppi problemi: chi ha visto nel brano dei riferimenti alla droga probabilmente non ha mai vissuto davvero il problema, perché non è una questione che si può affrontare con superficialità”.

Il 7 giugno parte il Welcome Rolls Royce Tour, che porterà Lauro in giro per la penisola fino a otobre: “Il tour deve essere uno specchio dell’album. Sarà un grande show”.

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