ASPETTANDOSANREMO: "Vado al Festival per la ricerca sulla SLA". Quattro chiacchiere con… Ron

“Se non ci fosse stato il progetto per la ricerca sulla SLA non sarei andato a Sanremo”.
Lo dice chiaramente Ron parlando della sua partecipazione – la settima – al prossimo festival con L’ottava meraviglia.
Il brano, una canzone dal respiro arioso, sarà infatti contenuto nella riedizione di La forza di dire sì, il doppio album pubblicato nel 2016 a favore dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica) e che vedeva la partecipazione di altri 24 artisti.
Il disco arriverà il 10 febbraio e conterrà anche un secondo inedito, Ai confini del mondo.
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L’ottava meraviglia
 è una canzone d’amore: oggi, questo sentimento dove trova la sua forza?
Abbiamo un continuo bisogno d’amore: ci sentiamo sempre soli e sentiamo la necessità di condividere, di avere accanto qualcuno che ci sorregga. L’idea che gira intorno alla canzone è capire di cosa abbiamo bisogno oggi, in un contesto in cui ci sparano da tutte le parti, in cui vivere è diventato quasi sopravvivere. In questa condizione, ciò di cui abbiamo bisogno è la persona che sta al nostro fianco, è questa “l’ottava meraviglia”. Lo dico davvero.

Com’è nata la canzone?
E’ arrivata quasi da sola, senza cercarla troppo. Mattia Del Forno dei La Scelta mi ha portato un inizio interessante, su cui poi ho lavorato con Emiliano Mangia e Francesco Caprara: mi piace molto lavorare con loro, le cose arrivano in maniera spontanea. 
Nel ritornello si parla di America e di Oriente: cosa rappresentano?
L’America è sempre stato il sogno: ci sono andato per la prima volta a 17 anni, quando le cose si facevano in grande, insieme a Massimo Ranieri e molti altri, e abbiamo cantato al Madison Square Garden. Oggi andare in America vuol dire andare in un locale e chiedere di poter cantare, come mi è capitato alcuni anni fa. Il nome di Trump è ingombrante, come lui, fa paura, ma io dico di provare a lasciarlo fare, solo per un attimo. L’America comunque resta il paese dei sogni, lì se hai talento hai la possibilità di fare qualcosa. L’Oriente invece ha il fascino di un paese che quasi non c’è, un posto magico.
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Dalla tua prima partecipazione a oggi è cambiato il modo di avvicinarti al festival?
La mia prima partecipazione a Sanremo è stata nel 1970: avevo 16 anni, ero appena uscito dalla scuola, ero bellissimo e assomigliava a Brian Jones, le ragazzine mi correvano dietro. Facevo spesso i concorsi per voci nuove ed ero abituato a stare sul palco. Oggi quella forza vorrei averla ancora. Il festival ha poi seguito il mio percorso professionale, e oggi il mio pensiero va soprattutto a come il pubblico accoglierà il brano.
Cosa ti aspetti?
Prima di tutto devo dire che mi fa piacere che ci siano Carlo Conti e Maria De Filippi, due persone intelligenti, che sanno ascoltare, perché ho partecipato ad alcune edizioni isteriche. Per il resto, il mio unico obiettivo è dare una nuova spinta all’album La forza di dire sì, uscito quasi un anno fa a favore della ricerca per la SLA: ci ho lavorato per sei mesi con 24 artisti eccezionali che hanno duettato con me, è arrivato al primo posto in classifica, ma non sono ancora riuscito a raccogliere un bel gruzzoletto da consegnare all’AISLA. Per fare ricerca ci vogliono molti soldi, per cui non mi sono accontentato e ho deciso di ripubblicare l’album con il pezzo di Sanremo e un nuovo inedito, Ai confini del mondo.
Quindi se non ci fosse stato questo progetto non avresti pensato a Sanremo?
Esatto, anche perché non avevo un nuovo disco pronto. Ho voluto usare questa occasione proprio per dare nuova forza al progetto di ricerca, sperando nella grande platea del Festival.

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Perché la scelta di Insieme a te non ci sto più da portare nella serata delle cover?
E’ una canzone che da bambino portavo ai concorsi per voci nuove, era un mio cavallo di battaglia, e ha anche un testo bellissimo, per cui me la sono voluta riprendere. Tra le possibilità c’era anche quella di fare Piazza Grande, ma già l’altra volta avevo portato un brano di Lucio Dalla, Cara, e non mi sembrava di gran gusto. Ho scelto come ospite Annalisa perché la trovo eccezionale, un’outsider, mi sembra una con delle idee, una che potrebbe tranquillamente fare il suo mestiere in America.

Se dovessi racchiudere Sanremo in un ricordo, quale sarebbe?
Ho la fortuna di poter tornare indietro nel tempo, e ricordo di essere rimasto catalizzato da Ancora di Eduardo De Crescenzo.

Negli ultimi anni siamo stati sommersi dall’hip-hop, ma grande fermento arriva anche dai nuovi cantautori: che giudizio puoi darne?
Seguo un po’ tutti, e mi piace molto Ermal Meta. Invece con i rapper faccio ancora molta fatica a trovare un’armonia gradevole tra come cantano, cosa cantano e la musica che ci mettono sopra. Se ascoltiamo i rapper americani, è difficile sentire qualcosa di stonato tra testo e musica, invece con gli italiani succede ancora. Nei miei ascolti spazio tanto anche all’estero comunque: Amos Lee, Cat Steven, Donovan, ma anche Ed Sheeran, Damien Rice, e poi Joni Mitchell, la più grande  tutti.

E gli esordienti di oggi come li vedi?
Grazie ai talent i ragazzi sono più abituati al palcoscenico e all’idea di essere giudicati. Sono avvantaggiati in questo, anche perché è proprio il pubblico a votarli. E’ una realtà che è giusto che ci sia: alcuni mi piacciono molto, come Mengoni, e sono onorato di essere nel cast con Giusy Ferreri ed Elodie.

Cosa stai preparando per il concerto del 6 marzo al Teatro degli Arcimboldi di Milano?
Sarà un grande evento a sostegno della AISLA e tra i tanti ospiti ci saranno Annalisa, Luca Barbarossa, Loredana Bertè, Luca Carboni, Elodie, Giusy Ferreri, La Scelta, Nek, Francesco Renga, Syria. Sarà il primo appuntamento di un tour che toccherà tutta l’Italia e i cui proventi andranno tutti a favore della ricerca sulla SLA.