BITS-RECE: Romina Falconi, “Rottincuore”. Un Louvre alla rovescia
BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
“È stato bello anche schiantarsi
e pensare di volare,
e mi manca soprattutto
quello che non è successo”

In Il ritratto di Dorian Gray, romanzo capolavoro di Oscar Wilde, il protagonista, un giovane bellissimo la cui morale viene corrotta dalla frequentazione con la nobiltà della Londra vittoriana, rimane abbagliato dalla bellezza che vede in suo ritratto, e al solo pensiero di invecchiare e di vedersi sfiorire sceglie di vendere la propria anima pur di preservare il suo corpo dalla decadenza fisica.
Lui resterà bello e aitante per sempre, mentre il dipinto invecchierà al posto suo e diventerà lo specchio dell’abbruttimento della sua anima. Tanto Dorian rimarrà esteriormente meraviglioso per via del sortilegio, tanto il quadro – nascosto alla vista di tutti – diventerà sempre più orripilante. Credo di non fare uno spoiler se scrivo che la storia finisce abbastanza male: Dorian viene sopraffatto dal senso di colpa e, in un rimorso di coscienza, pugnala il ritratto e così facendo rompe l’incantesimo. Il quadro torna all’aspetto originario, mentre il protagonista si imbruttisce e muore con le sembianze di un vecchio.
Facendo un po’ di psicologia spicciola si può dire che una delle morali dell’opera sia che nascondere le proprie magagne, i propri lati oscuri e mostrare agli altri solo la facciata più levigata e accomodante può funzionare per un po’, ma alla lunga nuoce, a noi e agli altri. Senza contare che nessun segreto vive troppo a lungo e prima o poi le crepe dell’anima sono destinate a manifestarsi.

Ecco, se nella musica c’è qualcuno che questa cosa ce l’ha insegnata è Romina Falconi, la più nera e spietata delle popstar di casa nostra. Perché se tradizionalmente (e a torto) il pop è il genere rassicurante e accomodante per antonomasia, fin dal suo primo album (era il 2015 quando uscì Certi sogni si fanno attraverso un filo d’odio, un manuale di cattivi pensieri confezionato in una carta di paiettes) Romina ha dimostrato che il pop può essere tagliente, crudele e sanguinario esattamente come l’hip-hop e il metal, affilato per affondare la lama nell’anima e scandagliare i suoi fondali senza perdere un grammo di glamour e luccichio. “Psicopop” lo avevo chiamato qualche anno fa.
Che il pop avesse anche questo potere all’estero forse lo sapevano già, qui in Italia invece eravamo più abituati a vederlo abbinato alle canzoni d’amore, tutt’alpiù ai tormentoni estivi.
Ora per la Falconi è arrivato il tempo di un nuovo lavoro, il terzo. Un progetto partito ormai alcuni anni fa e che non sarebbe giusto circoscrivere solo a un album, visto che i singoli che hanno anticipato l’uscita del disco sono stati accompagnati ciascuno da un magazine (il Rottocalco) e l’intero album è stato portato nelle sale cinematografiche sotto forma di mediometraggio.
Ma chi conosce Romina sa che rompere le regole del sistema è nel suo DNA.
Il titolo del disco è abbastanza eloquente, Rottincuore. Un progetto concepito per mettere in luce le ombre che ciascuno di noi inevitabilmente ha, svelare i lati più scomodi della nostra anima, dare la parola ai reietti, in un modo che celebra solo eroi e paladini positivi.

E chi sono i rottincuore? Sono coloro che hanno fallito, che sono caduti nelle proprie debolezze, che hanno spento l’amor proprio per dare voce alle voragini della disperazione, coloro che almeno una volta si sono trovati “nudi davanti all’angelo che era il più bello”. I Rottincuore siamo, insomma, semplicemente noi, quando chiudiamo la porta di casa, ci disconnettiamo da Instagram e ci ritroviamo faccia a faccia davanti allo specchio.
O meglio, rottincuore lo siamo sempre, ma è in quei momenti che siamo disposti a dircelo.
Non c’è giudizio, ma solo voglia di prendere consapevolezza che fragili, oscuri e malefici lo siamo tutti, chi in un modo chi nell’altro. Ognuno afflitto dalla propria colpa, dal proprio peccato, schiacciato dalla propria croce e dalle proprie miserie.
E infatti Rottincuore è proprio questo, una galleria di peccatori, una sfilata di talenti neri, di campioni dell’errore.
Ascoltandolo attraversiamo una sorta di Grande Galerie di “un Louvre alla rovescia”, in cui al posto di una successione di capolavori di bellezza assistiamo a una sfilata di ritratti da censurare. Ma se nel romanzo di Wilde Dorian Gray nascondeva il suo per ingannare il prossimo, Romina Falconi sceglie di esporre le sue opere nella sala più luminosa del museo.
Dipendenza affettiva, sindrome dell’impostore, depressione, malinconia, atteggiamento passivo-aggressivo, affetto tossico, anaffettività, disturbo ossessivo, pensiero magico, il campionario dei casi umani rappresentati copre praticamente tutte le sfumature della psiche umana. Ogni canzone è come una sezione di un grande polittico dedicato alla natura umana. Ciascuno si vedrà riflesso in un brano, o forse ci si sorprenderà a riconoscersi in due, tre o anche quattro canzoni diverse.
Ma sarebbe un errore vedere in un Rottincuore una presa di coscienza del fallimento del genere umano, perché questo disco – musicalmente pop all’ennesima potenza – è in realtà una celebrazione della vita, un invito a vivere fino in fondo, a tenerci per mano e a guardare con più indulgenza le nostre mancanze e quelle altrui.
E credo che non sia un caso che il disco si apra e si chiuda con due brani che sono l’eco l’uno dell’altro: se Rottincuore Lacrimosa apre le danze inneggiando alla vita drammaticamente (“c’ho una voglia sfrenata di mangiare la vita”), Magari muori utilizza l’ironia e i ritmi leggeri del reggaeton per esorcizzare la morte e celebrare ogni istante dell’esistenza.
L’ignoranza genera paura, ma se prendiamo consapevolezza di chi siamo davvero e siamo disposti a raccontarlo agli altri i nodi dell’anima si scioglieranno più facilmente. Riprendendo le parole di Romina, se nella vita sbagliare è la cosa che ci è riuscita meglio, forse dovevamo peccare di più.
“… e piroetterò
trafitta dai peccati miei,
cosa hai campato a fare
se non sei rottincuore?”