BITS-CHAT: “Voglio darvi la bella copia”. Quattro chiacchiere con… Ketty Passa

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Ketty Passa
è la cantante con i capelli blu.
Oddio, in realtà è molto di più, ma questa è la prima cosa che salta all’occhio appena si incrocia il suo sguardo, e soprattutto questo è l’elemento che la rende immediatamente riconoscibile.

Ma Ketty Passa è molto di più perché con la musica non ci ha a che fare solo come interprete, ma anche come conduttrice in radio e TV e dj in alcune serate di milanesi. Ultimo incarico che le è stato assegnato in ordine di tempo è la selezione musicale per il nuovo programma di Rai2 Nemo-Nessuno escluso. Insomma, è una che nella musica ci sguazza dentro in pieno.
Nel 2013, insieme ai Toxic Tuna ha pubblicato il suo primo album, #CANTAKETTYPASSA, e ora, a distanza di tre anni, si prepara al ritorno: questa volta però lo fa da sola, e con uno stile tutto nuovo.
Per pubblicare il nuovo album e dare al pubblico la “bella copia” del CD, ha accettato la proposta dei fondatori di Musicraiser Giovanni Gulino dei Marta sui tubi e della sua compagna Tania Varuni, dj e produttrice, che, rimasti entusiasti dei primi ascolti, l’hanno esortata a dare il via alla missione #kettypassainloop, iniziata a fine settembre e attiva fino al 25 novembre.
Per chi si offrirà di finanziare il progetto, sono previsti numerosi pacchetti di offerte, dall’edizione speciale dell’album fino a una cena e al dj set privato. Tutte le info a questo link.

Ti avevamo lasciata nel 2013 con il tuo precedente album, #CANTAKETTYPASSA e ti ritroviamo ora pronta a fare un nuovo passo con un disco che si preannuncia molto diverso: cosa è successo in questo periodo?
L’esperienza con la band è stata bella, ma difficile, e alla fine non abbiamo trovato l’incastro giusto. Già subito dopo il tour era emersa l’esigenza da parte di alcuni di prendere altre strade: così, senza nessun tipo di rancore, abbiamo abbandonato il progetto e io mi sono messa a pensare a cosa avrei voluto fare davvero come cantante. Quello che da tempo volevo proporre era qualcosa che mischiasse pop, elettronica e hip hop: io lo definisco urban, ma solo perché ha uno stile piuttosto street e si rifà all’America, con il cantato a volte punk, a volte melodico.

Un genere non proprio frequente in Italia: come hai trovato la chiave giusta per lavorarci?
Ho iniziato in studio, accompagnata dal mio produttore, Max Zanotti, la persona che più di tutti ha creduto in questo progetto dall’inizio. Anche per lui era una scommessa, perché ha sempre avuto a che fare con tutt’altra musica, mentre qui si trattava di mettere insieme melodia su basi elettroniche piuttosto ritmate, spinte, che di solito in Italia sono usate dai rapper. E’ anche per questo che ci ho messo due anni a fare il disco.

Difficoltà particolari che hai incontrato?
La lingua: l’italiano non è spigoloso come l’inglese, è rotondo, e adattarlo a quella musica non è stato facile, ho dovuto lavorare molto in quel senso, cercando di adattare le parole alle basi che mi arrivavano da musicisti che lavoravano nell’ambito dell’hip hop. Per creare l’atmosfera mi sono ispirata molto a Gwen Stefani, M.I.A., Kimbra, ma anche Rihanna e Beyoncé. Tra i pezzi meglio riusciti c’è Sogna, il primo singolo, dove sono riuscita a trovare il linguaggio perfetto, mentre in altri casi ho dovuto rispettare un po’ di più le esigenze dell’italiano e mi sono adeguata a un andamento più melodico. Anche i temi che affronto sono molto diversi: nei 10 pezzi nuovi ci sono canzoni più allegre, altre più intime, in un’altra parlo di come sia difficile portarsi dietro la propria diversità nella società di oggi abituata a ragionare in franchising.

E sei poi arrivata a Musicraiser…
Per questo album ho lavorato in maniera diversa rispetto a prima, andando in studio e non più in sala prove, e tutto questo ha un costo: sono stata contattata da Giovanni Gulino e Tania Varuni di Musicraiser e mi è sembrato un buon modo per sostenere le spese e avere una nuova visibilità. La parte economica in un progetto discografico ha un grande peso e le operazioni messe in atto da piattaforme come questa sono un grandissimo aiuto, soprattutto per gli artisti come me che non hanno alle spalle case discografiche che possano finanziare il lavoro. Ho posto un obiettivo piuttosto ambizioso, 10.000 euro, che mi serviranno per coprire una parte delle spese che ho già sostenuto e darmi la possibilità di realizzare anche un paio video. Fare musica è anche un investimento su di sé, per cui molto ho già investito di mio: aderire a Musicraiser mi permetterà di avere più visibilità e poter dare al pubblico la “bella copia” del disco. La campagna si chiuderà il 25 novembre e ho previsto numerosi pacchetti per chi deciderà di aiutarmi a portare a termine il progetto. Voglio che le persone siano invogliate a finanziare la mia missione, non voglio sono elemosinare.
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A Musicraiser sei arrivata dopo aver ricevuto la proposta di Giovanni e Tania: prima non ci avevi pensato?
No, non ero molto convinta: di solito alle cose devo arrivarci da sola, con i miei tempi, e in questo caso non pensavo che potesse fare al caso mio. Poi invece i ragazzi di Musicraiser mi hanno contattata ed erano molto entusiasti dei provini che hanno ascoltato e così ho deciso di mettermi in gioco: mal che vada, se non raggiungo l’obiettivo, resto a zero come sono ora. Sarà forse un po’ avvilente, ma è un tentativo. D’altra parte, l’alternativa sarebbe stata quella di aprire un mutuo. Mi ha aiutato molto anche il fatto di aver incontrato l’etichetta 22R con la quale si è instaurato un rapporto di fiducia. In questa campagna mi sto impegnando tantissimo, sto mettendo tutta me stessa, tutta la creatività che ho, anche per creare pacchetti esclusivi e ricchi da proporre: tra i progetti c’è anche quello di creare delle strisce di fumetto in cui racconto una storia. Per ora non posso dire molto, ma sarà una cosa molto divertente che sto preparando insieme a un tatuatore: riguarderà uno dei brani e avrà come protagonisti una bambina e un animale.

E’ stato difficile trovare musicisti adatti al tipo di musica che volevi proporre in questo album?
Più che dal punto di vista pratico, la difficoltà è stata soprattutto trovare chi volesse fidarsi e mettersi in questo progetto: mi rendo conto che proporre brani urban non sia facile in Italia, e devo dire che in effetti molti non capiscono, sono convinti che la musica italiana non sia pronta. Io però sapevo di non voler fare quello che fanno le altre cantanti: è vero, dopotutto faccio pop, per cui i punti di contatto ci saranno, ma io voglio proprio fare musica con un linguaggio diverso, e sono curiosa di vedere come verrà recepita questa operazione.
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Pensi che Musicraiser possa rappresentare il futuro della discografia?
Sì, ma più che Musicraiser penso che sia il web in generale a rappresentare il domani della discografia. Prendiamo il caso di Salmo: quando lui è arrivato, il suo tipo di musica non lo proponeva nessuno, lo ha portato lui, e oggi è entrato in una major. Le grandi realtà discografiche ormai servono soprattutto a supportare fenomeni già esistenti, lavorano con i talent, ma non presentano cose nuove, e questo per meccanismi di mercato che posso anche comprendere, ma che non aiutano a portare qualcosa di diverso. In passato ho ricevuto proposte per partecipare a dei talent, ma ho capito che se avessi accettato sarei entrata in logiche più grandi di me e come artista sarei morta. Non mi serviva avere quella visibilità e non avevo voglia di farmi scrivere le canzoni da altri.

Prima accennavi a un brano dell’album che tratterà il tema della diversità: secondo te che cosa fa paura alle persone nell’essere diversi?
Essere diversi vuol dire sentirsi continuamente sbagliati: noi umani siamo brutti, sviluppiamo una serie di convenzioni sociali che ci portano al confronto, al giudizio verso gli altri. Lo facciamo tutti, nessuno escluso. Essere diverso ti porta a vivere con più difficoltà anche nel concreto, perché magari sei tentato di fare scelte meno convenienti economicamente ma più stimolanti. Essere diversi è difficile proprio dal punto di vista pratico, mentre una vita facile è quella che porta gli altri a non giudicarti e romperti le palle.
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A proposito del caso di Tiziana Cantone, sulla tua pagina Facebook hai scritto: “il problema non sono i social, sono le persone”. Non pensi però che i social abbiano amplificato l’imbarbarimento della società?
Certo, perché, come dicevo, siamo tutti prontissimi a scagliarci sugli altri per nasconderci, anche se commettiamo gli stessi errori. L’indole umana porta a puntare il dito per sentirsi puliti, mentre si sta perdendo la capacità di autocritica: dietro allo schermo di un computer siamo tutti coraggiosissimi, ma non riusciamo a reggere il confronto diretto. In questo caso specifico, la ragazza è stata convinta a essere lei dalla parte del torto, mentre la vera colpa in questa storia è stata mettere on line un video senza il suo consenso, quello è un reato! Il senso di colpa per quello che si vedeva in quel video è stato però così grande che Tiziana si è tolta la vita, ed è gravissimo. Per questo ho scritto che il problema non sono i social, ma le persone che li usano e il modo in cui li usano. Siamo fatti male, siamo fatti per spiare e giudicare, e Facebook non è altro che lo specchio di questo comportamento.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato ha per te il termine “ribellione”?
E’ difficile spiegarlo: sono molto diversa da come appaio, posso sembrare estroversa e ribelle, ma sono molto più tranquilla. Forse ribellarsi è portare avanti dei valori che riconosci in te, ma di cui non trovi riscontro nella società. Ribellarsi può essere anche avere il sogno della musica, ma andare a lavorare in ufficio se il tuo paese non ti offre le condizioni per farlo in totale libertà o se l’unica alternativa è andare in un talent. Ecco, io ho ancora la lucidità di dire no.

#MUSICANUOVA: Klune, Tetris

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Tetris è il primo brano che abbiamo scritto per il nostro album, musicalmente rappresenta la fase di passaggio tra le sonorità dell’ep e ciò che abbiamo prodotto quest’anno.  

Il pezzo parla di relazioni sentimentali brevi e occasionali nella mondanità di una metropoli, non ci sono precisi riferimenti e luoghi affinché chi ascolta sia libero di interpretare, è una fotografia di chi vive di rapporti umani che si consumano in fretta, uno stile di vita affascinante e malinconico. Il mood del brano riflette questo stato d’animo, abbiamo ricercato un’intenzione delicata nella voce che funzionasse con il ritmo incalzante e a tratti tribale del brano.”
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Giovanni Solimeno, Alberto Pagnin e Giulio Abatangelo, alias Klune si formano in un piccolo studio fuori Padova nel 2015. A novembre dello stesso anno esce il loro primo EP omonimo, con i primi cinque brani inediti della band.

#MUSICANUOVA: Yombe, SDIMS

“Ascoltare un pezzo ti porta spesso a immaginare un qualche luogo e nel caso di SDIMS quel luogo era L’Islanda.
Con i suoi paesaggi sconfinati e aridi l’Islanda ci ha aiutati a restituire un senso di incomunicabilità e di distanza all’interno di una relazione. Qualcosa di profondo appunto, che sarebbe meglio nascondere alla persona che ami, ma che alla fine viene comunque fuori”.
Così gli YOMBE presentano SDIMS, il nuovo singolo estratto dall’EP d’esordio pubblicato la scorsa primavera.

YOMBE sono un duo electro-pop italiano fondato dal musicista e produttore Alfredo Maddaluno e dalla cantante e songwriter Cyen, che con la loro musica innovativa e ricca di energia stanno raccogliendo consensi in Europa.

BITS-RECE: Niccolò Bossini, Kaleidos. Un’iride pop-rock

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.

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Lo ha intitolato Kaleidos un po’ in omaggio a Poviglio, il paese in provincia di Reggio Emilia dove vive, e un po’ perché ha voluto metterci dentro un bell’impasto di colori. E in effetti il nuovo album di Niccolò Bossini ha le sembianze di una nuvola di polveri colorate, come quelle che ti si appiccicano addosso nelle color run, dove tutte le cromìe si mescolano tra loro in una grande festa dell’iride.

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A brillare più di tutto in Kaleidos è una forte vitalità, una sferzata di positività e di carica pitturata di un rock che strizza l’occhio all’elemento elettronico e non si dimentica di prendere per mano il caro vecchio pop.
Anzi, se non fosse un po’ troppo azzardato, si potrebbe dire che, avendo ben imparato e reinterpretato a suo modo la lezione dei Coldplay negli ultimi anni, di fatto Kaleidos è un album elettropop tendente al rock, perché le chitarre – ovviamente – ci sono e la loro figura la fanno alla grande.
Probabilmente non a caso per far conoscere il progetto al pubblico è stato usato come biglietto da visita La vita è adesso, una sorta di scatola musicale imbottita di dinamite pronta a saltare per aria apiena viene sfiorata. E di momenti così nel disco ne arrivano altri, alternati a ballate rockettare (si veda Piloti e supereroi, forse la prima vera ballad di Bossini).
Ma, come si diceva, oltre che per la musica il titolo Kaleidos rimanda anche all’omonimo centro polivalente di Poviglio, un punto di riferimento per il paese del reggiano, dove si concentra la vita dei suoi abitanti. È a quella realtà che Niccolò Bossini ha voluto rendere omaggio.

BITS-RECE: Sophie Ellis-Bextor, Familia. Un pop “diverso”

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Per questo album ha dichiarato di essersi “spostata” verso l’America Latina, anche se a dire la verità di richiami latineggianti non ce ne sono molti, eccezione fatta per l’ultimo brano, Don’t Shy Away, dove il tocco sudamericano viene bene fuori.

Per il resto, Familia, album che segna il ritorno in scena della star del pop inglese Sophie Ellis-Bextor dopo due anni dall’ultimo Wanderlust, è un lavoro dall’atmosfera molto particolare, diversa da quanto ci viene di solito proposto da radio e TV.
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Un pop con qualche elemento folk e vagamente vintage, in cui non mancano però momenti di vero e proprio sballo in salsa disco come i due pezzi d’apertura, Wild Forever e Death Of Love, che si spalmano su un piacevolissimo e coinvolgente elettropop molto dinamico, e il singolo Come With Us. Guarda caso, sono proprio le tracce migliori.

Me l’ero persa un po’ per strada la signora Ellis-Bextor, ma sono felice di ritrovarla adesso in così luccicante forma.

#MUSICANUOVA: To You Mom, Your Innocence

Si intitola Your Innoncence il brano che apre le porte al nuovo progetto dei To You Mom, duo tutto italiano formato da Massimiliano Santoni e Luca Lorenzi.
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Tratto distintivo della loro musica è quello di pitturare i suoni con i colori delle stelle e portare l’ascoltatore in una dimensione notturna e onirica. Lo avevano fatto l’anno scorso con l’album We Are Lions e lo fanno ora con questo nuovo inizio, in cui si aggiunge una fresca carica elettronica.

Enjoy…

#NUOVAMUSICA: How To Dress Well, Lost Youth/Lost You

Si intitola Lost Youth/ Lost You ed è il nuovo singolo di How To Dress Well, progetto dietro al quale si celaTom Krell, giovane musicista americano Tom Krell.
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Il prossimo 23 settembre il ragazzo torna sulle scena con il suo quarto album, Care, anticipato da questo bellissimo singolo dal sapore ipnotico tra ambient ed elettropop.
E visto che anche l’occhio vuole giustamente la sua parte, il brano è stato accompagnato da un video che emana sensualità a ogni fotogramma.

Per i più audaci è disponibile anche una versione non censurata, visibile a questo link.  

BITS-RECE: Anohni, Hopelessness. Il cambiamento, lo sconforto e la confusione

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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In copertina c’è un volto confuso, androgino, frutto di un mashup fotografico tra la faccia dell’artista e quella di Naomi Campbell. E le canzoni all’interno del disco sono esattamente così, confuse, ambigue, stridenti. Roba che se la musica tende a destra, i testi virano a sinistra e la voce parte dritta per il centro.
Elementi che presi singolarmente sarebbero anche molto apprezzabili, ma così combinati si strappano le vesti a vicenda.

C’era una volta Antony & The Johnsons, e mezzo mondo restò incantato dalla voce senza sesso di Antony Hegarty, di fatto unica anima del progetto. Con lui abbiamo imparato che anche gli angeli si commuovono, e che quando lo fanno esce una canzone come You Are My Sister. Poi lui è diventato lei – o meglio, lo era anche prima, solo che non aveva ancora fatto il passo di farsi riconoscere come donna anche in pubblico – ed ecco spuntare il nuovo progetto Anohni. Il disco di debutto si intitola Hopelessness, più o meno Mancanza di speranza.
Al cambio di identità si accompagna un cambio radicale di musica: le poesie tristi e crepuscolari lasciano spazio a testi durissimi, arrabbiati, disillusi, politicamente interessati: Anohni se la prende con il sistema malato, che porterà tutti alla rovina, e ne ha per tutti, dai droni a Obama, a cui è dedicato un pezzo che non è esattamente un elogio. Un mondo davvero senza speranza, a livelli ansiogeni e sconfortanti. Messaggi che se sono profondamente diversi da quelli cantati un tempo, sono sempre pronunciati dalla stessa voce impastata di miele e melassa, in un contrasto fin fastidioso: se anni fa la voce di Antony era un balsamo, quella di Anohni avresti quasi voglia di zittirla. L’apice è la nenia di Obama, dove il nome del presidente è ripetuto in modo così ossessivo e biascicato che l’istinto è passare alla tracciare successiva, o peggio schiacciare direttamente stop.
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L’effetto abrasivo dell’album però non si ferma qui, ma arriva a coprire l’intero elemento musicale: non mi ricordo dove (o forse sì, ma non importa) ho letto che Hopelessness sarebbe una sorta di album dance con testi impegnati. Cioè, in pratica, secondo questa teoria, tra David Guetta e Robyn nelle vostre serate al club potrebbe capitarvi di sentir passare una canzone di Anohni. Oddio, le vie della provvidenza sono infinite, ma non so quali discoteche sarebbero disposte a far passare un brano che di ballabile ha ben poco: che siano suoni elettronici posso riconoscerlo (la base di Drone Bomb Me è da pelle d’oca!), ma che si possano definire addirittura dance, beh, un po’ meno. Quindi no, Hopelessness non è un disco di tormentoni tunz tunz con i testi intelligenti.

I messaggi li ha, e sono anche piuttosto chiari e coraggiosi (per tornare a Obama, conoscete qualcun altro che abbia criticato il presidente in modo così netto?), per il resto è il regno della confusione.

Si salva Crisis, nel suo crescendo empatico.

Se poi volete fare tutti i discorsi sul cambio di identità, sesso e genere musicale e considerare Hopelessness come la farfalla uscita dal bruco, fate pure: io di Anohni facevo anche a meno, Antony & The Johnsons mi andava benissimo, maschio o femmina che fosse. Così come non me ne faccio niente della raffinatissima produzione firmata da Hudson Mohawke e Onehtrix Point Never, sistematicamente osannata, se poi il risultato è un disco che per farsi ascoltare (e apprezzare) ha bisogno di un ascolto quasi scientifico.

Non sempre il cambiamento genera benefici.

Brooke Candy. La più cattiva delle popstar

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Per questione di sintesi, nel titolo di questo articolo ho scritto “popstar”, ma il mondo di Brooke Candy ruota in realtà attorno tanto al pop quanto all’hip hop, e non è raro leggere per lei la definizione di “rapper”. Resta comunque il fatto che il suo è il volto più perverso e più cattivo tra quelli attualmente in circolazione nel pop e nell’hip hop: un volto sfrontato, provocatorio e provocante, distorto, assolutamente affascinante.

Pensate alla Lady Gaga di qualche anno fa (diciamo il periodo Bad Romance/Alejandro), prima cioè che decidesse di vestire i panni di dama del jazz: outfit estremi, e un deciso gusto per il “non bello”, il blasfemo, persino il macabro (vi ricordate i teschi, i litri di sangue finto, l’abito di carne cruda?). Ecco, pensate a quella Lady Gaga e poi ripensatela al quadrato o al cubo, e avrete un’idea più o meno precisa di quello che è Brooke Candy.
Probabilmente, se non fosse arrivata Lady Gaga a buttare sul pop quella secchiata di vernice color petrolio, oggi non avremmo Brooke Candy (così come non avremmo mai avuto Gaga se non ci fosse stata prima Madonna, che a sua volta deve molto a icone come Debbie Harry, e via così all’indietro, con buona pace di tutti): questo non perché Lady Gaga abbia davvero inventato qualcosa, ma è stato il personaggio che è riuscito a dare enorme visibilità a certe scelte di stile.
Ecco, la giovane Brooke si è messa su questa strada: nonostante il confronto inevitabile, pare però che non ami essere accostata alla Germanotta, ma piuttosto ha dichiarato di ispirarsi a un’altra diva del music biz, Lil’ Kim.

Nata a Oxnard, in California, nel 1989, Brooke è figlia del direttore finanziario della rivista a tinte porno Hustler. I primi passi nella musica li ha mossi nel 2012, quando i suoi primi video sono apparsi su Youtube: fra questi c’era Das Me, che la vedeva in versione cyber con capelli fucsia e mega zatteroni. Sono arrivate le prime collaborazioni (Charlie XCX, Grimes), le prime citazioni su magazine di musica e di moda e il suo nome ha iniziato a girare.

Il primo punto di svolta è però arrivato nel 2014, quando Brooke ha fatto il colpaccio aggiudicandosi la regia dell’arcipatinato Steven Klein per il video di Opulence, il singolo – firmato anche da Sia e prodotto da Diplo – che avrebbe dato il titolo al primo EP: scenario violentissimo, atmosfere claustrofobiche, distopiche, visionarie, un’orgia di delirio e sesso. In poche hanno osato così tanto, Brooke Candy si è spinta ben al di là delle bistecche crude di Gaga, ci ha mostrato il lato più malato e perverso a cui può arrivare il pop.
Ad oggi il video conta solo 2 milioni di visualizzazioni, il disco non ha lasciato segno in classifica e il nome di Brooke Candy è rimasto nel limbo dell’underground o poco più.
Forse ci si aspettava un altro riscontro…

La ragazza non si è comunque fermata, ma anzi si è legata sempre di più al mondo del fashion, seguendo la stessa ricetta delle colleghe più celebri, ma facendo le cose a modo suo: come aveva fatto Lady Gaga nel periodo Born This Way, ha lavorato a stretto contatto con lo stylist Nicola Formichetti, un altro a cui piacciono molto le bizzarrie noir, e si è fatta splendidamente immortalare – tra gli altri – da Klein, Terry Richardson, Richard Burbridge, in servizi fotografici che difficilmente hanno lasciato indifferenti. Tra il 2015 e il 2016 ha collaborato con il colosso M.A.C. per lanciare sul mercato due linee di cosmetici.
Non bisogna certo essere Madonna per sapere quanto sia fondamentale per una popstar vendere bene la propria immagine: Brooke Candy lo fa portando il gioco all’estremo, con un’immagine potente e sfacciata, eppure bellissima. Restando perfettamente a metà strada tra pop e hip hop, Brooke li concentra anche nel suo universo visivo: più patinata di Lil’ Kim, più cattiva di Lady Gaga, molto più sporca di Nicki Minaj, ancora più eccessiva di Rihanna. 

Se volete fidanzarvi con lei, sappiate che si definisce “pansessuale”, mentre se entrerete a far parte della schiera dei suoi fan, sarete dei #FagMob.

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Nell’ultimo anno Brooke Candy ha pubblicato diversi singoli (quasi tutti accompagnati dai relativi video), molti dei quali quali finiranno probabilmente in The Daddy Issues, il suo primo album, che dovrebbe arrivare entro la fine del 2016: uscirà per la Sony e si parla di una produzione curatissima, in cui è stata coinvolta anche Sia.

Insomma, sembra arrivato anche per lei il momento del grande salto.
E io lo aspetto, con una certa impazienza.