Amarsi per non morire. Quattro chiacchiere con… Giuseppina Torre


Soccombere o rinascere. Una scelta estrema, ma a volte inevitabile, e per la quale non viene data quasi mai una terza alternativa.
Una scelta che Giuseppina Torre si è trovata a dover compiere a causa di quello che lei stessa senza mezzi termini definisce un “amore malato”. E lei, tra la morte, vera, e la vita, ha scelto quest’ultima, liberandosi da un dolore che da troppo tempo la teneva rinchiusa in una gabbia di paure.
Una storia di rinascita e un “inno alla vita” che trovano chiara manifestazione in Life Book, il nuovo album dell’artista ragusana originaria di Vittoria:  10 nuove composizioni al pianoforte che raccontano l’inquietudine e il coraggio di una vita che ha riscoperto l’importanza di amarsi. 

Life Book
, “il libro della vita”, un disco che tu definisci anche “un inno alla vita” e che parte da un momento di dolore.

Proprio così. Questo album nasce da un momento di dolore e di difficoltà che sono riuscita a superare grazie alla musica e al pianoforte. Ci sono situazioni in cui ci si trova a un bivio, soccombere o rimboccarsi le maniche e rinascere, ed è quello che è capitato a me. Ho trasformato le avversità in opportunità: ho imparato a valorizzarmi e a rispettarmi, ho lavorato tanto interiormente su di me e ho scoperto di avere molta più forza di quello che credevo. Ecco perché questo è il mio inno alla vita e un inno al coraggio.

La musica come autoanalisi quindi?
Sì, la musica ha avuto per me una funzione catartica. Sono riuscita ad analizzare il mio animo. La musica è terapeutica, aiuta a trovare pace e per me rappresenta un’isola in cui so da sempre di potermi rifugiare, sia nei momenti belli sia in quelli meno piacevoli. Nell’album precedente, Il silenzio delle stelle, si sentiva un maggiore tormento, che è invece scomparso in questo nuovo disco, dove si percepisce un respiro diverso, un alone di positività e di ottimismo verso il futuro.

Possiamo perciò affermare che l’intero album è stato ispirato da uno stimolo ben preciso?
Le tracce sono nate tutte dal 2015 in poi e sono il frutto di un dolore che ho tenuto dentro a lungo. È servita una scintilla che mi facesse tirare fuori tutto quello che avevo accumulato nel tempo.

Cosa rappresentano le “gocce di veleno” che danno il titolo a una delle tracce del disco?
Quella traccia è nata dalla lettura dell’omonimo libro di Valeria Benatti, speaker di RTL. Le gocce di veleno sono gocce che lentamente corrodono l’animo, creano solchi profondi che fanno stare male. È la sensazione che ho provato a causa di un amore malato, fino a quando mi sono guardata allo specchio e mi sono accorta che i miei occhi si erano spenti e non li riconoscevo più. L’antidoto a questo veleno è il rispetto per noi stessi: dovremmo accettare le nostre fragilità e non permettere agli altri di utilizzarle contro di noi per farci del male. Spesso ci dimentichiamo di volerci bene e ci impegniamo a valorizzare gli altri, senza capire che stiamo aprendo le porte a persone negative. Non possiamo chiuderci agli altri, ma dobbiamo impedire agli altri di invadere il nostro intimo.

Queste tue parole sembrano rimandare direttamente a un altro bano del disco, The golden cage.
La “gabbia dorata” è quella che noi stessi ci costruiamo, è una confort zone in cui ci recludiamo anche se sappiamo che ci fa sentire male. Sono le paure a impedirci di uscire, l’incognita di quello che potrebbe esserci fuori, il timore di perdere gli agi che ci siamo costruiti. Arriva però un momento, e questo nel brano viene espresso da un’atmosfera di inquietudine, in cui l’occhio guarda al di là delle sbarre e vede il bello che c’è fuori: è allora che capiamo che scegliere di vivere davvero è molto meglio che restare intrappolati nella nostra gabbia.

Per riuscirci serve però avere una grande consapevolezza…
Certo, ma bisogna anche pensare che la vita è una sola. Mi sono trovata a dover scegliere se vivere o morire, nel vero senso della parola, e quando ti trovi in una situazione del genere oltrepassare le sbarre è necessario.

Dove sei è invece una dedica un po’ amara alla tua terra, la Sicilia.
Terra amata, bruciata e amara, una terra che riesco a definire solo con contrasti. In estate è bruciata dal sole, ma è anche una terra che offre tantissimi stimoli agli artisti: quando la raggiungo la odio perché sento tutti i suoi limiti, ma se me ne allontano ne sento la mancanza e scopro che l’amore che provo per lei. La Sicilia paga le conseguenze di anni di malgoverno e vive in un isolamento non solo geografico, è arretrata: mancano le autostrade, per prendere un aereo a Catania dal mio paese, Comiso, posso impiegarci poco più di un’ora oppure, come mi è successo recentemente, più di due ore per la presenza di cantieri che rallentano il traffico. Non abbiamo alcuna agevolazione per gli aerei e la benzina, paghiamo i traghetti come i turisti, abbiamo le coste deturpate. Tutto questo però diventa anche un punto di forza per i siciliani, che sono abituati ai sacrifici.

Legato alla Sicilia è anche Un mare di mani: pensi che si arriverà prima o poi a riconoscere la dignità umana delle persone che arrivano in Italia dal mare?
Purtroppo viviamo in Un momento storico in cui la dignità umana sta venendo meno e si sta perdendo il senso della carità. Ho avuto modo di assistere con i miei occhi a scene di salvataggio, e vedere quel “mare di mani” che scompaiono in acqua è un’immagine terribile che dovrebbe spingere i potenti a mettersi una mano sulla coscienza e fare qualche passo indietro.

Per i titoli delle tracce hai scelto l’italiano, l’inglese e lo spagnolo: c’è una ragione particolare?
Quelli in inglese li ho scelti soprattutto per la musicalità, un elemento importante, mi sembrava che suonassero meglio; inoltre ho un pubblico anche in America, per cui ci stavano bene. Siempre y para siempre prende spunto invece da un episodio che ho vissuto personalmente: in un borgo marinaro vicino a Barcellona c’era un uomo che ripeteva queste parole ossessivamente: “siempre y para siempre, siempre y para siempre…”. Chiedendo informazioni agli altri abitanti ho scoperto che aveva avuto una grande delusione d’amore, era stato abbandonato, e da allora continuava a ripetere alla sua amata che l’avrebbe aspettata “sempre e per sempre, sempre e per sempre”. È la testimonianza di come l’amore possa devastare la mente e portare alla follia.

Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di “ribellione”?
Rispettare sé stessi. Spesso mettiamo in secondo piano le nostre esigenze, ma un sano egoismo a volte è necessario.