Marilyn Manson: un’immersione di dolore e oscurità nella cover di “The End”

Ultimamente Marilyn Manson sembra prenderci parecchio gusto con le cover.
Dopo aver trasformato un classico del repertorio folk americano come God’s Gonna Cut You Down, il Reverendo ha rimesso mano a un brano leggendario come The End dei Doors, facendone una personale immersione di dolore e oscurità.
Una rivisitazione che porta nei territori del doom, lontana dalle atmosfere create dalla voce di Jim Morrison e dallamusica dei Doors.

The End è disponibile in pre-order in vinile in edizione limitata con un dipinto ad acquerello realizzato da Manson.

Marilyn Manson rivisita il classico folk “God’s Gonna Cut You Down”


God’s Gonna Cut You Down
è un classico del repertorio folk americano talvolta conosciuto anche con i titoli di Run On Run On for a Long Time, e con cui negli anni si sono cimentati giganti come Johnny Cash e Elvis.

Adesso è la volta di Marilyn Manson, che ne ha realizzato una personale versione dai toni dark, con un video dalle atmosfere apocalittiche girato nel deserto di Joshua Tree.

BITS-RECE: Marilyn Manson, Heaven Upside Down. La musica salverà il Reverendo?

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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C’è stato un tempo in cui il nome di Marilyn Manson metteva paura solo a pronunciarlo, perché dietro c’era un artista considerato l’incarnazione musicale del demonio, il più maledetto tra la star maledette, l’Anticristo da esorcizzare, la causa del male sociale che colpiva la gioventù d’America e non solo (praticamente in tutte le stragi avvenute in qualche campus universitario o college, si scopriva che tra gli ascolti abituali dei pazzi responsabili c’era Manson, soprattutto Manson).
Erano gli anni ’90, il periodo in cui la stella nera del personaggio creato da Brian Warner era appena sorta a imbrattare di pece la coscienza dell’America bigotta, puritana e anche un po’ ipocrita. Manson metteva paura – oltre che per un’immagine decisamente poco rassicurante – perché arrivava a scuotere i sogni dorati di un popolo, urlava in faccia ai benpensanti, e nel farlo usava l’arma sempre affilatissima della provocazione, giocando astutamente con la religione e il sesso, in una collisione perfetta tra i due volti complementari dell’America, Marilyn Monroe e Charles Manson. C’era chi capiva il senso del messaggio e della sua maschera, e c’era chi ci cascava in pieno.
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Poi gli anni sono passati e dopo i fasti funesti della trilogia di Antichrist Superstar, Mechanical Animals e Holy Wood e The Golden Age Of Grotesque anche la macchina diabolica di Manson ha iniziato a mostrare le prime falle, avvitandosi su se stessa e riducendosi piano piano a un sempre più patetico baraccone di croci propinate in ogni salsa, mascheroni di cerone, litri di mascara nero e niente più. Sì, qualche episodio degno di memoria c’è stato, ma sembrava frutto di fortuna.
Manson era diventato l’ombra di se stesso, fagocitato da un personaggio da cui non riusciva e non poteva più uscire: quel che c’era da dire era stato detto, restava spazio solo per urlare qualche maledizione, sperando che qualcuno si spaventasse ancora.
Manson aveva perso l’elemento fondamentale per far funzionare qualsiasi progetto artistico, soprattutto se provocatorio come il suo: l’ispirazione.
Poi, dopo qualche disco un po’ così, nel 2015 è arrivato The Pale Emperor, che ha riacceso le speranze di ritrovare un artista che si pensava ormai destinato al tramonto.
A quell’album segue ora Heaven Upside Down, e un fatto pare certo: per come stanno le cose oggi, a salvare la carriera di Manson non saranno certo i contenuti delle sue canzoni. Quelli sono fermi a una decina di anni fa, come la sua immagine tenebrosa (e inevitabilmente modificata dal passare del tempo). Se qualcosa può ancora tenerlo artisticamente in piedi e renderlo minimamente appetibile è la musica, i ritorni al passato che Manson è riuscito a inserire nel nuovo lavoro. Sarà anche abbastanza terribile e desolante, ma è così.
Ascoltate l’ultimo album e provate a farvi turbare dalle parole che lo riempiono, provate a non sbuffare davanti all’ennesimo pseudo-inno diabolico, davanti all’ennesimo abuso dei vari Jesus, God, Devil e repertorio vario. Le provocazioni corrono a vuoto, le idee succulente paiono defunte. La Bibbia nera di Manson si è svuotata di salmodie profetiche.

Invece, ciò che potrebbe trattenervi dallo “skippare” le tracce sono le soluzioni musicali, tra hard rock, industrial, una certa dose di elettronica arroventata e distorta come in Say10, Kill4Me o la ballatona dark Blood Honey.
C’è stato un tempo in cui Marilyn Manson metteva paura. Oggi Marilyn Manson assomiglia un po’ di più al suo fantasma e fa ancora musica, abbastanza bene. Le provocazioni e i colpi di genio però erano un’altra cosa.

Marilyn Manson: il ritorno del Reverendo il 6 ottobre con l’album Heaven Upside Down

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Marilyn Manson
ha confermato l’uscita di Heaven Upside Down il 6 ottobre, anticipandolo dal singolo We Know Where You Fucking Live.

I dieci brani di Heaven Upside Down sono stati registrati a Los Angeles e creano un paesaggio sonico che ricorda l’aggressività dei dischi seminali di Manson Portrait of an American Family e Holy Wood. Come per The Pale Emperor del 2015, Manson collabora nuovamente con il produttore e compositore cinematografico Tyler Bates.

Temi come violenza, sesso, politica e romanticismo trovano spazio nel nuovo lavoro: in KILL4ME Manson chiede ai suoi fan di affermare brutalmente la loro devozione e si lancia in nuovi generi con la trap di SAY10.

Questa la tracklist dell’album:
Revelation #12
Tattooed In Reverse
WE KNOW WHERE YOU FUCKING LIVE
SAY10
KILL4ME
Saturnalia
JE$U$ CRI$I$
Blood Honey
Heaven Upside Down
Threats of Romance

Il 27 settembre, Manson inizierà il suo tour mondiale e toccherà l’italia per una data unica il 22 novembre a Torino al Pala Alpitour.

BITS-CHAT: “Non è sempre colpa della musica”. Quattro chiacchiere con… i Gemelli DiVersi

Li avevamo lasciati nel 2012 in quattro con l’album Tutto da capo, li ritroviamo in oggi in due con il nuovo Uppercut. In mezzo, un’attività live che non si è mai fermata… e qualche colpo ricevuto.

Proprio da questi “colpi” incassati, i Gemelli DiVersi hanno preso spunto per il titolo del loro ultimo album, il settimo di una carriera partita 18 anni fa, quando l’invasione hip hop non si era ancora affacciata sulle classifiche e in Italia i rapper “famosi” si contavano sulle dita delle mani.
Nel linguaggio della boxe, l’uppercut è quel colpo che il pugile sferra dall’alto verso il basso, spesso come mossa finale per mettere al tappeto l’avversario.
Ma loro, che hanno la pellaccia dura, sanno bene che per quante volte puoi cadere, nulla sarà più importante di come ti rialzerai. Nella vita e nella musica.
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Tornate dopo più di tre anni con un nuovo album: cosa avete raccolto all’interno?

Thema: In Uppercut c’è un po’ tutto quello che siamo stati in questi anni, dagli inizi fino ad oggi, senza però ricalcare in tutto il passato. Ci sono tanti richiami alla nostra storia, ma questo disco segna anche una nuova ripartenza, con nuovi elementi nella musica e nei testi. Ci sono canzoni d’amore, canzoni che parlano di noi, ma fondamentalmente è un album positivo: già con il titolo, che richiama un colpo della boxe, abbiamo voluto far riferimento ai colpi che puoi ricevere dalla vita, ma dai quali devi sempre riprenderti. In questo caso non siamo noi ad averlo dato, ma è un colpo che abbiamo ricevuto, come il pugile della copertina: ci siamo rimessi in gioco, trovando la spinta grazie ai nostri fan e alla passione per la musica.

E’ evidente che in questi tre anni ci sono stati dei cambiamenti: vi ricordavo in quattro e vi ritrovo in due…
Strano: Dopo 18 anni insieme, due di noi, Grido e THG, hanno deciso di intraprendere nuovi percorsi. È legittimo: come succede nelle relazioni, si può andare avanti, ma si possono fare anche scelte diverse, e noi ne abbiamo preso atto. Ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo continuato a fare musica come Gemelli DiVersi, perché in realtà il gruppo non si è mai sciolto. Abbiamo cercato di non tradire quello che siamo stati.
T: Nell’album ci sono tanti riferimenti anche a quello che è successo nella band, il “colpo” che abbiamo ricevuto è legato anche a questo. Ovviamente all’inizio sei destabilizzato, ma poi devi ritrovare la speranza.
S: Dopo tutto, la storia della musica è piena di band partite con una formazione e che poi hanno subito defezioni, succede. È una delle sfide che ti si pongono davanti, e noi l’abbiamo accettata.
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In questo periodo anche la musica in Italia è cambiata molto, con l’esplosione dell’hip hip: come l’avete vissuta?
S: L’abbiamo guardata dall’esterno e abbiamo notato che rispetto all’hip hip di qualche anno fa, adesso le canzoni hanno le strofe rap ma il ritornello cantato. Noi però l’avevamo già fatto alla fine degli anni Novanta, e ci sono arrivate addosso le critiche degli addetti ai lavori e della frangia più estremista del mondo hip hip. Adesso quasi tutti usano la melodia per arrivare al pubblico più ampio: possiamo dire di essere stati legittimati? A noi non può fare che piacere sapere che ci sono molti rapper della nuova generazione che dicono di essere cresciuti ascoltando noi, ma succede adesso, prima nessuno lo diceva. Sarà che mi è venuta la barba grigia, ma mi sento un uomo soddisfatto e cresciuto.
T: Va anche detto che noi non ci siamo mai sentiti pienamente parte della scena hip hop, siamo sempre rimasti sul confine, un po’ borderline se vogliamo. Abbiamo iniziato riprendendo un pezzo dei Pooh (il ritornello di Un attimo ancora, il loro singolo d’esordo, riprendeva Dammi solo un minuto, ndr), più pop di così! Abbiamo sempre fatto le scelte da soli, e oggi dà soddisfazione vedere che anche gli addetti ai lavori vanno più a fondo nella nostra musica, riescono a vedere i contenuti e non solo l’apparenza di una band di tamarri come accadeva anni fa. Purtroppo il rap soffre di tanti preconcetti, tra cui quello di essere un sottogenere fatto solo di mosse sul palco: siamo rimasti fermi al cliché di Jovanotti con il cappellino che fai gesti con le mani. Lui in Italia è stato un precursore, ma dietro al rap c’è molto di più. Non ci è mai interessato buttare nei pezzi degli skills per far vedere quanto eravamo bravi con le rime, ma abbiamo cercato di dare sempre dei contenuti.
S: Il rap è diventato cultura negli Stati Uniti già negli anni Ottanta, perché li c’era già la base: qui da noi i pionieri sono stati Jovanotti e gli Articolo 31, ma negli anni Novanta non avevamo ancora la subcultura dell’hip hop, ci sono volute due generazioni.

Tra i cliché legati al mondo del rap c’è forse anche quello di essere un genere che parla di violenza…
S: Proprio qualche giorno fa ho sentito della polemica contro Emis Killa per il testo che inciterebbe al femminicidio (3 messaggi in segreteria, ndr): non ho ascoltato il brano, forse lui avrà usato un linguaggio crudo, ma sono sicurissimo che l’intento non fosse quello di legittimare la violenza. Non è sempre colpa della musica, molto spesso il problema sta nelle interpretazioni sbagliate: un artista deve sempre stare attento a quello che scrive, perché le canzoni arrivano anche a persone che non hanno abbastanza sensibilità per cogliere tutti i significati, ma non si può dare alla musica responsabilità che non ha. Allora noi con Mary avremmo legittimato la violenza dei genitori sui figli?
T: È lo stesso discorso che si faceva anni fa con Marilyn Manson: nelle stragi che si verificavano nei college americani, si diceva che era colpa della musica che ascoltavano gli studenti, e in mezzo ci finivano sempre le canzoni di Manson. La colpa non è degli artisti, ma di chi vuole trovare un pretesto per sollevare la polemica. Sono convinto che ci sia bisogno d tutto, anche di artisti che usano parole forti e che hanno il coraggio di affrontare un certo tipo di argomenti.
S: È questo il vantaggio della democrazia, dare a ognuno la libertà di parola, invece oggi sembra che tutto deve essere criticato e messo in discussione. Qualunque cosa tu dica o faccia, arriva qualcuno che trova da dire, che si tratti di una presunta legittimazione al femminicidio piuttosto che il fatto di mangiare carne.

Siete d’accordo con chi dice che oggi i rapper sono i nuovi cantautori?
T: È un complimento! I veri cantautori sono quelli che negli anni Settanta hanno avuto la possibilità di esprimere le proprie idee, e sono d’accordo sul fatto che alcuni rapper possono essere avvicinati ai cantautori per il loro impegno nel manifestare il loro pensiero, anche se i veri cantautori restano gli intoccabili De Gregori, Guccini, Dalla…
S: Forse più che di cantautori sarebbe giusto parlare di cantastorie, perché portano avanti la pratica del cosiddetto storytelling. Ci sono alcuni nomi della nuova scena rap che lo stanno facendo bene, e penso a Ghali o a Sfera Ebbasta, che portano nella musica molto del loro vissuto. Un’aria nuova che può che fare bene a tutta la scena hip hop.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato ha per voi il termine “ribellione”?
S:
Oggi la ribellione è semplicemente riuscire a esprimere il proprio parere, in un mondo in cui tutti cercano di imbavagliarci, le guerre si rivestono di ragioni economiche, il popolo è messo in ginocchio dai poteri forti. L’unico potere che ha il popolo è quello della parola, visto che anche quello del voto non sembra più così forte.

InStore:
26 ottobre, Roma, Discoteca Laziale, va Giolitti 263
27 ottobre, Milano, Mondadori, via Marghera

Supernatural, extraterrestrial. Alieni, mostri e fate: quando il videoclip è visionario

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Alieni, mostri, fate. 

Cosa succede quando il videoclip si immerge nel mondo della magia o vuole dare uni sguardo sugli universi paralleli? La natura si distorce, si piega, si capovolge, diventa addirittura distopica o si riempie di simboli arcani, l’artista incarna le sembianze di una creatura extraterrestre o soprannaturale e per i registi è una succulenta occasione per dare libero sfogo alla creatività più visionaria.

Dagli anni ’70 fino ad oggi, ecco alcuni esempi di come il mondo fantastico e alieno abbia fatto irruzione nel videoclip musicale, trasformando per alcuni minuti i cantanti in splendide o terrificanti creature…

David Bowie, Life On Mars?
Qui c’era solo l’imbarazzo della scelta, perché sono state tante le volte in cui l'”alieno” Bowie ci ha portato fuori dalla realtà (o ha portato la sua in mezzo a noi, dipende da come la si guarda…). In Life On Mars? però la sua identità extraterrestre si manifesta in tutta la sua eleganza.

Madonna, Bedtime Story
Per dare le immagini a una canzone in cui aveva infilato le mani anche Björk come autrice, la Signora del pop costruì un video surreale, sicuramente il più enigmatico e il meno intelliggibile della sua carriera, ambientato in una realtà futuristica e piena di simbolismi arcani.

Björk, Hunter
Più che una cantante, Björk è un’abitante di una galassia remota che ogni tanto si presta a cantare. Qui, per esempio, si mostra completamente calva, mentre sul suo volto prende forma lo strambo muso di… un orso!

Marilyn Manson, The Dope Show
Con quegli occhi bicolori e quel corpo provocatoriamente ermafrodito, ai tempi di The Dope Show il Reverendo sfidava il buoncostume e ci piombava addosso nei panni di un umanoide con seni e pacco di plastica, per di più con una canzone che inneggiava alla droga (o così almeno si diceva). Lo scandalo all’epoca fu rovente.

Busta Rhymes feat. Janet Jackson, What’s It Gonna Be?
Video per l’epoca costosissimo dato l’elevatissimo tasso di effetti speciali. Immersi in una non-realtà, una dimensione indefinita in tempo e in spazio, Busta Rhymes e Janet Jackson appaiono nelle vesti di signori del post-moderno. Lui umanoide dal corpo di mercurio, lei fatalona un po’ cyber e con tanto latex.

Christina Aguilera, Fighter
Diretta dalla superba Floria Sigismondi, Christina Aguilera compie sotto i nostri occhi la trasformazione da enorme bozzolo nero a candida crisalide, in un’ambientazione onirica e distorta. Gli insetti non sono mai sembrati tanto belli.

Grace Jones, Corporate Cannibal
Nel video di questo pezzo dalle atmosfere alquanto sinistre, la pantera giamaicana è poco più di un ectoplasma nero con occhi e bocca che si muovono, si spandono, si restringono e si deformano.

Lady Gaga, Born This Way
Nel cantare che dobbiamo tutti accettarci per come siamo, Mother Monster arrivava direttamente dallo spazio proclamando l’avvento di una nuova, utopica era universale, popolata da creature dalle fattezze umane e dal cuore immacolato. Segni particolari, un paio zigomi “importanti”.

Katy Perry, E.T.
Fosse anche solo per il titolo della canzone, questa è la cosa più aliena che si sia vista nella musica, almeno negli ultimi 20 anni. Volteggiando nello spazio in magnifiche metamorfosi, l’extraterreste Perry arriva sulla terra e si ritrova in uno scenario post-apocalittico, in cui niente e nessuno sembra essere sopravvissuto. Forse…

Brooke Candy, Opulence
Video malatissimo, di una violenza disturbante, scurissimo. Nelle mani esperte di Steven Klein, Brooke Candy veste gli innumerevoli panni di una creatura folle, un personaggio distopico a metà strada tra una diva in crisi di nervi e il protagonista di un incubo. Un viaggio allucinato a velocità fuori controllo.

Die Antwoord, Ugly Boy
Sono tra le band che amano spingersi sempre “un po’ più in là” con l’immagine. Il loro universo visionario li porta per questo video ad alternare immagini di angeli neri, inquietanti bambini-pupazzo, sangue e rose in fiamme.

Daphne Guinness, Evening In Space
Un coloratissimo scenario spaziale, decisamente barocco. Costumi esagerati, gioielli, bolle di cristallo, make up elaboratissimi, aitanti marziani fucsia e luminosi. La grande fashion star ha fatto le cose in stile eccelso per questo video diretto nientemeno che da David LaChapelle. Alla produzione del brano invece c’è Tony Visconti, sì, proprio quello di Bowie. Un pezzo così come poteva non avere un’anima aliena?

Rose McGowan, RM486
Per il suo primo video musicale, l’attrice diventata famosa grazie a Streghe ha scelto di comparire nelle inquietanti fattezze di una creatura bianca e calva, ora nuda, ora ricoperta di glitter rossi, piume, pendenti, spilli sulle unghie.

Rihanna, Sledgehammer
Dal momento che la canzone fa parte della colonna sonora di Star Treck, il video non poteva non riprendere quelle suggestioni spaziali. Sola sulla terra, la meravigliosa aliena Rihanna, dal volto enigmaticamente dipinto, si muove ipnotica in danze arcane sotto a un cielo in piena tempesta cosmica.

Kerli, Blossom (The Halls of Heaven Session)
In totale unione con la natura, la cantante estone, da tempo impegnata nella sensibilizzazione verso l’ambiente, assume i panni di una coloratissima fata delle nevi nordiche.

Marc Jacobs mette in mostra la bellezza “alternativa”


È un’autentica sfilata di bellezza freak quella proposta da Marc Jacobs per la campagna pubblicitaria autunno/inverno 2016.


Per promuovere la sua ultima collezione, il designer statunitense ha pensato a un vero e proprio videoclip di celebrità che in un’atmosfera alquanto gotica e dardeggiante mettono in mostra una bellezza, diciamo così, “alternativa”. Diretto dall’ultra blasonato Hype Williams, il video è ambientato in uno scenario oscuro, illuminato dalle sole luci ipnotiche di alcuni neon, mentre sullo schermo si avvicendano sinistre apparizioni di personaggi del calibro di Marilyn Manzon, Courtney Love, Missy Elliot, St. Vincent, Cara Delevingne, Susan Sarandon. E, perché no, anche lo stesso Jacobs.

La colonna sonora è invece affidata a Love Honey, Love Heartache dei Man Friday.