BITS-RECE: DiMaio, Debut. Spettacoli crossover tra lirica barocca ed elettronica per controtenore

BITS-RECE: DiMaio, “Debut”. Spettacoli crossover tra lirica barocca ed elettronica per controtenore

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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La contaminazione è un elemento che nella musica ha sempre destato la mia curiosità. Parlo ovviamente della contaminazione realizzata per bene, con attenzione, con lucida consapevolezza e una chiara idea di cosa voler creare.
Un interessante caso di musica contaminata l’ho ritrovato recentemente in Debut, l’album che, come si può ben capire, apre le porte alla carriera di Maurizio Di Maio, in arte solo DiMaio.
Si tratta di una contaminazione che corre su doppio binario, quello stilistico e quello temporale: sul primo troviamo un incontro/scontro di lirica ed elettronica, sul secondo si fronteggiano invece il repertorio barocco e gli stimoli sintetici contemporanei provenienti dal Nord Europa.
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Ma andiamo con ordine. In quel mondo di cristallo che è la musica lirica esiste una figura forse non molto nota al grande pubblico, ma di assoluto fascino, il controtenore. Un uomo cioè in grado di eseguire partiture nelle tessiture del contralto, del mezzosoprano o addirittura del soprano, vale a dire i tre registri femminili, annullando di fatto in un solo corpo vocalità maschile e femminile.
Nulla a che vedere però con quello che succedeva con i poveri castrati di farinelliana memoria, sventurati giovinetti i cui attributi venivano sacrificati nel sacro nome del canto: il controtenore riesce nell’impresa grazie a doti che possiede per natura, e che naturalmente affina con lo studio.
Come nel caso del nostro DiMaio, sopranista, che dopo una lunga esperienza come corista, si lancia ora – pare su consiglio di Luis Bacalov – nell’arduo repertorio del XVII e XVIII secolo, quello in cui fiorì il gusto barocco, l’epoca di Handel. Repertorio complesso e sicuramente non tra i più conosciuti tra non melomani, se non per qualche singolo episodio.
Il suo progetto però, già molto coraggioso e ambizioso, non si ferma qui, ma va a cercare arrangiamenti inediti, sorprendenti, per un effetto ancora più scenografico: la soluzione è offerta dai sintetizzatori di Dario Faini, aka Dardust, che mette mano alle arie liriche e le immerge in un bagno di elettronica.

Il risultato è affascinante ed elettrizzante: la voce angelica di DiMaio svetta tra le ottave di un pezzo celebre come Lascia ch’io pianga e Ombra mai fù, ma esegue candidamente anche L’Ave Maria Caccini di Vavilov, fino a far visita a Vivaldi in Vedrò con mio diletto, mentre sotto Dardust tesse freddi tappeti di luci al neon.
Uno spettacolo barocco nel significato più vivo del termine. Magia del crossover.

Perché dovremmo tutti vedere Florence

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Da alcune settimane è arrivato anche nelle sale italiane Florence, deliziosa commedia diretta da Stephen Frears incentrata sulla figura di Florence Foster Jenkins, improbabile cantante lirica che fece molto parlare di sé nell’America degli anni ’30 e ’40.

Quanto la pellicola sia fedele alla reale biografia del personaggio non saprei dire, e non escludo che alcuni particolari siano stati enfatizzati o girati “a favore di camera”, ma la pellicola merita senza dubbio il prezzo del biglietto (o il noleggio dello streaming) per più di una ragione.
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Prima di tutto, Florence racconta la storia di una donna che a suo modo ha fatto storia, ma di cui fino ad oggi si è poco sentito parlare: stonatissima e con scarsissimo senso del ritmo, la Jenkins ha usato l’eredità del padre per realizzare il suo sogno di cantante, nonostante la famiglia avesse sempre cercato di dissuaderla. Non solo è riuscita a incidere un paio di (vendutissimi) dischi, ma nell’ottobre del 1944, all’età di 76 anni, ha tenuto un memorabile concerto alla Carnegie Hall, rimasto negli annali come uno degli eventi di maggior successo di pubblico per il prestigioso teatro newyorkese.
In secondo luogo, Florence è una commedia di grande leggerezza, con momenti di vero divertimento (provate a trattenere le risate ascoltando la prima “performance” di Florence), ma è anche in grado di far riflettere su quanto la determinazione e la forza di volontà siano fondamentali per realizzare un sogno, anche il più piccolo e allo stesso tempo irraggiungibile, sfidando le critiche e l’ironia. Secondo alcune teorie, Florence era ben consapevole dei suoi limiti artistici e avrebbe organizzato le sue esibizioni solo per prendersi gioco del pubblico: difficile stabilirlo, e resta comunque il fatto che ogni sua apparizione in scena era preceduta da grande entusiasmo.

Ci sarebbe poi da parlare di come è finita la sua storia, ma Dio me ne guardi dallo svelarvi il finale del film…..
Interessante inoltre il modo in cui viene dipinta la stampa dell’epoca, pronta a tessere elogi, o comunque a moderare le critiche, e riempire le recensioni con giudizi ambigui e focalizzati per lo più sugli abiti e il contorno delle esibizioni dietro i compensi elargiti dal marito della Jenkins che non voleva arrecare dispiaceri alla moglie.
Da ultimo, gli interpreti: Simon Helbergh offre un gioioso ritratto di Cosmé McMoon, pianista di Florence, Hugh Grant è perfetto nel vestire i panni del marito un po’ naïf Clair Bayfielfd e Nina Arianda è spassosissima nelle vesti dell’emancipata e volgarotta Agnes Stark. Ma più di tutto, Florence ci regala un’ennesima interpretazione-capolavoro di Meryl Streep: lei, che ci aveva dimostrato in Mamma mia! di saper cantare benissimo, riesce ora a storpiare la propria voce con altrettanta naturalezza e si cala nel nuovo personaggio con una bravura che non ha proprio bisogno di commenti. Lei che ha saputo essere la cattivissima Miranda Priesley, diventa adesso l’adorabile Florence Foster Jenkins. D’altra parte, stiamo parlando Meryl Streep, e questo sarebbe sufficiente per dedicare al film un paio di ore del nostro tempo.