#MUSICANUOVA: Maxé, I Wonder Why

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I Wonder Why
è il singolo di Maxé, giovane dj/producer tedesco di origini italiane.

Nelle sue produzioni unisce un mix di sonorità che spaziano dall’elettronica alla musica acustica, alla house, alla nudisco, alla deep house, tutto contaminato da hip-hop, soul e funk, la sua vera passione.
Molte le sue collaborazioni con artisti del calibro di Redman, Method Man, Masta Ace, The Beatnuts, Afrob e Cece Rogers. Inoltre, è anche produttore del progetto GOH e ha preso parte al singolo I Used To Be feat. Redman & Method Man.

BITS-CHAT: "Ho trovato il mio respiro". Quattro chiacchiere con… Eleonora Mazzotti

Among The Waves In The Sky è il tema portante di Tra le onde, nel cielo, il docu-film di Francesco Zarzana presentato all’ultimo Festival di Cannes e che racconta la tragedia che ha colpito la Nazionale Italiana di nuoto nel 1966.
A interpretare il brano è Eleonora Mazzotti, cantante ed attrice che già da un po’ di anni si divide tra musica, teatro (musica soprattutto) e radio (conduce il programma Coffee & Chips in diretta ogni mattina su Radio Italia Vision).
Un amore, quello per la musica, nato dopo aver ascoltato la voce di Giorgia – con la quale ha avuto modo di duettare nella trasmissione Il treno dei desideri – e che l’ha portata poi a lavorare anche con Michael Baker, music director e batterista di Whitney Houston.

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Come si è concretizzato il progetto di questo brano?

Tutto è arrivato in maniera molto naturale: un anno fa mi sono trovata in studio con gli autori Francesco Zarzana e Lorenzo Maiani per comporre il tema della colonna sonora di Tra le onde, nel cielo e ho sentito l’esigenza di dire la mia, prima con il testo e poi con la linea melodica. Di fatto, è la mia prima colonna sonora ed è stato un grande onore presentarlo al Festival di Cannes e poi sentirlo trasmesso su Rai Storia. Poi il produttore inglese Eliott Cohen ha voluto produrre il brano e siamo quindi ritornati in studio per riarrangiarlo e dargli la forma che ha adesso, con quel bel respiro internazionale.

Il brano sembra avere degli spunti quasi lirici: qual è stato il tuo percorso di formazione?

Sono partita con lo studio del canto leggero a 16 anni, forse un po’ tardi se pensiamo ai talent di oggi. La mia insegnante, Elena Ferilli, è stata una figura fondamentale, quasi una guida spirituale, perché chi intraprende lo studio del canto deve affidarsi completamente al maestro, è lui che ti plasma. Nel mio caso, l’impostazione che ho ricevuto ha subito anche un po’ di influenza lirica, poi ho approfondito il soul e l’r’n’b, per arrivare infine al teatro, dove mi sono concentrata sul musical. Ho studiato con Francesca Taverni, ora con Mattia Inverni, ho seguito masterclass, e ho unito la recitazione, perché mi sono resa conto che mi piace sperimentare in linguaggi diversi, sempre restando nell’ambito della musica. A questo si è aggiunta, ormai quattro anni fa, l’esperienza in radio. Sono stati anni molto formativi, in cui sono cambiata molto: adesso sento la vera Eleonora, sento venir fuori il mio vero respiro vocale. Credo sia giusto dare alla voce tutto lo spazio che può prendersi, purché il virtuosismo non sia fine a se stesso, ma all’emozione, come in questo caso.
Come ti sei approcciata alla canzone?
Sono una persona positiva, e ho voluto mettere questa positività all’interno di una canzone che parla di persone non più al nostro fianco. Anche nei momenti più grigi dobbiamo cercare la spinta per andare avanti: senza farci troppe illusioni, credo che essere felici si può.
Questa è la prima volta che firmi il testo di un tuo brano: ti senti più a tuo agio con la scrittura in inglese?
Mi è venuto naturale scrivere in inglese, è stato tutto molto fluido e naturale. Non so può aver influito l’aver lavorato con Michael Baker, anche se in un brano in italiano, ma con un metodo americano. Forse in futuro mi cimenterò con la lingua, e allora vedremo come andrà.
Quali sono i tuoi riferimenti musicali?
Sono cresciuta con il soul americano, in particolare con Whitney Houston, poi mi sono avvicinata anche all’r’n’b. Amo il cantautorato italiano e le voci delle grandi interpreti, su tutte quella di Mia Martini. Penso che nessuno di no abbia un solo genere di appartenenza, semmai ci sono generi che ci accompagnano in alcuni momenti della vita.
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Restando nell’ambito delle colonne sonore, c’è un regista con cui ti piacerebbe collaborare per la musica di un film?
A dir la verità non ci ho mai pensato: anche in questo caso mi piacerebbe sperimentare e provare con film di generi diversi. Soprattutto però, mi piacerebbe dedicarmi al doppiaggio cantato dei cartoni animati, mi ha sempre affascinato molto ed è difficile perché richiede un lavoro particolare, ci si deve calare in un personaggio e poi c’è la questione del labiale.
Tra i musical invece c’è un classico che a cui vorresti prendere parte?
Avrei un elenco troppo lungo! Oltre ai classici, ci sono in giro tante nuove produzioni interessanti. Mi piace l’idea di calarmi in contesti molto diversi uno dall’altro: ultimamente ho preso parte a musical a tema religioso, come San Pietro Music Opera e La Lauda di Francesco con le musiche di Branduardi, e mi sono resa conto della modernità di quelle storie che potevano apparire molto lontane da noi, mano interpretato anche Velma Kelly in Chicago, in un contesto completamente diverso. Il bello del teatro è proprio la possibilità di mettersi in gioco.
Among The Waves In The Sky è presente anche nello spettacolo teatrale In A Better World giusto?
Esatto, è uno spettacolo che porterò in tour per tutto il 2017 ed è finanziato dall’Unione Europea nell’ambito del progetto LADDER (Local Authorities as Drivers for Development Education and Raising Awareness). Abbiamo debuttato a Parigi e andremo in giro per l’Europa, con alcune date anche in Italia. Al centro ci sono temi forti, come la povertà e l’immigrazione. 
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Ribellione per me è provare ad essere felici ogni giorno, essere ciò che si è giorno dopo giorno. È lì che sta la difficoltà, perché ci può essere l’exploit, magari anche determinante, ma il segno più permanente lo lasciano le azioni compiute quotidianamente. I risultati arriveranno magari dopo, ma alla lunga ripagano.

Dal film al teatro: arriva in Italia The Bodyguard – Il musical

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è la prova di come si possa sopravvivere a un talent senza vincerlo, ma avendo le idee chiare in testa e (soprattutto) tanto talento in tasca.

Lei, per esempio, fin da quando sedeva sui banchi della scuola di Amici sapeva che avrebbe voluto buttarsi nel mondo del soul e del blues, e ce l’ha fatta. Non solo ha avuto la possibilità di lavorare con Burt Bacharach e di aprire i concerti italiani di Whitney Houston nel 2010, ma adesso vestirà a teatro anche i panni di Rachel Marron, la superstar di The Bodyguard, il personaggio che proprio Whitney ha portato al cinema nel 1992 in uno dei film di Hollywood più amati di sempre.
In quella pellicola ce la ricordiamo tutti la Houston, diva capricciosa, costretta ad assoldare una guardia del corpo personale per proteggersi da un misterioso killer. E ci ricordiamo tutti le canzoni, da Queen Of The Night alla celeberrima I Will Always Love You, che ne hanno fatto la colonna sonora di maggior successo di tutti i tempi.
Dal 23 febbraio al 7 maggio, la storia di The Bodyguard arriva al teatro Nazionale di Milano nella forma di musical per la regia di Federico Bellone. Al fianco di Karima, Ettore Bassi nel ruolo che fu di Kevin Costner. Per lui però niente canto e ballo, ma solo recitazione, come previsto dal copione.
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Su sceneggiatura originale di Lawrence Kasdan e fedele al libretto di Alexander Dinelaris, The Bodyguard prende le mosse dal film per concentrarsi di più sulla storia d’amore dei due protagonisti, così come la colonna sonora è stata integrata con ulteriori brani del repertorio di Whitney (Million Dollar Bill, I Wanna Dance With Somebody).
Il progetto di portare il musical in Italia è di almeno una decina di anni, quando il regista ebbe modo di vederlo in scena a Londra.
Per le coreografie è stato chiamato un asso come Bill Goodson, che ha l’occhio abituato ai grandi show d’Oltreoceano avendo lavorato tra gli altri anche con Michael Jackson, mentre la supervisione musicale è nelle mani di Cheryl Porter, americana di Chicago, da sempre immersa nella realtà del gospel e con alle spalle una buona esperienza televisiva qui in Italia.
Dato il grande numero di repliche settimanali previste, ad alternarsi con Karima nell’impegnativo ruolo di Rachel sarà Helen Tesfazghi, che recentemente ha vestito gli abiti di Deloris nel musical Sister Act.
Grande attenzione è stata inoltre posta nella realizzazione del palco, un piano inclinato su cui si posizioneranno le scenografie tra botole per portare in scena gli attori, laser e fiamme vive, proprio come nei grandi spettacoli live degli anni ’90.
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Prezzi

– martedì, mercoledì, giovedì, sabato pomeriggio e domenica sera
POLTRONISSIMA VIP € 64,00
POLTRONISSIMA € 54,00
POLTRONA € 44,00
GALLERIA € 34,00
VISIBILITÀ RIDOTTA € 24,00
– venerdì, sabato sera e domenica pomeriggio
POLTRONISSIMA VIP € 74,00
POLTRONISSIMA € 64,00
POLTRONA € 54,00
GALLERIA € 44,00
VISIBILITA’ RIDOTTA € 34,00
Orari
da martedì a venerdì ore 20:45
Sabato ore 15:00 e ore 20:45
Domenica ore 15:00 e ore 19:00
Info: www.thebodyguardmusical.it
Prevendite:
www.ticketone.it

Biglietteria: Teatro Nazionale CheBanca! (via Giordano Rota 1, 20149 Milano – ex Piazza Piemonte 12)
aperta da martedì a domenica dalle ore 14.00 alle ore 19.00
Tel. 02 00640888 orario 15:00 – 18:00 da mercoledì a sabato
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BITS-CHAT: "Sono i dettagli a fare la differenza". Quattro chiacchiere con… Elodie

La prima cosa che si nota in Elodie dopo alcuni minuti di chiacchierata è la sua determinazione. Nonostante abbia mosso ancora pochi passi nel mondo della musica, sembra avere già le idee molto chiare su quello che vuole, e anche di fronte ad alcune domande non proprio accomodanti non si lascia scomporre e risponde tranquillamente senza mai perdere di vista il tuo sguardo.
D’altronde, è reduce da Sanremo, lei che ancora meno di due anni fa si esibiva nei piccoli locali e un batter d’occhio si è ritrovata catapultata sul palco più insidioso e osservato d’Italia. Un battesimo del fuoco che non poteva che rafforzarla. La sua Tutta colpa mia si è piazzata ottava e il suo bilancio di questa esperienza è più che positivo.
Ora è uscito il suo primo album, che ha lo steso titolo: un disco di 13 brani firmati da alcuni degli autori più rilevanti della nuova scena italiana, come Zibba, presente nel duetto di Amarsi basterà, Federica Abbate e Amara.
Tante influenze tra pop e soul, da sempre il suo mondo di riferimento (ma ricorda che andava a scuola con i Kool & The Gang nelle cuffie), con l’utilizzo di strumenti registrati in presa diretta e qualche sorpresa dal sapore atipico, come La cosa che rimane. Un disco femminile nell’anima, che in qualche modo prosegue il percorso già iniziato con il primo EP uscito la scorsa primavera.
E il 26 aprile sarà la volta dell’Alcatraz di Milano.
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Domanda iniziale quasi d’obbligo: Sanremo, com’è andata?

Benissimo, mi sono proprio divertita: la definirei un’esperienza liberatoria, la rifarei cento volte.
Pensi che il Festival ti abbia aiutata in qualcosa?
Ho acquisito più sicurezza, perché dai locali sono passata in breve tempo allo studio di Amici e poi all’Ariston. Poi ho imparato a non prendermela troppo per i giudizi che leggo in giro: all’inizio fanno male, poi ci ridi su, ma bisogna imparare. Dopo tutto, questo lavoro l’ho scelto io.
Tra le critiche, alcuni dicono che ci sono troppe somiglianze tra te ed Emma.
Indubbiamente entrambe abbiamo un approccio viscerale e raccontiamo le cose in maniera forte, ma io era già così prima di arrivare ad Amici e conoscere Emma. I nostri progetti però sono costruiti in modo completamente diverso, perché io arrivo dal pop-soul, lei dal pop-rock.
Adesso è il momento dell’album. Un disco con le firme di tanti autori!
Fortunatamente sì, autori importanti: è arrivato tanto materiale tra cui scegliere, ma non è stato molto difficile fare la scrematura dei pezzi.
Gli autori sono quasi tutti uomini, ma l’album ha una forte visione femminile: come lo spieghi?
Chi più di un uomo può apprezzare la donna? E poi penso che sia soprattutto una questione di sensibilità, non di una visione maschile o femminile. Voglio farmi portavoce per le ragazze che non trovano un senso, un obiettivo  e hanno bisogno di sentirsi utili: la dignità e il rispetto sono valori in cui credo molto, perché noi donne dobbiamo guadagnarci le cose con un po’ più di fatica. Un elemento che voglio che arrivi alla gente è che sono una donna forte, pur avendo molte fragilità, alcune evidenti anche fisicamente. Mi sento una guerriera e voglio affrontare i miei limiti.
Sembra abbastanza evidente che al centro di tutto il disco ci sia l’amore: perché?
Perché l’amore è l’unica cosa che mi fa alzare dal letto la mattina. Di cosa avrei potuto parlare se non di sentimenti? Non sono ancora abbastanza adulta per parlare di vita, ma mi sento aperta verso le persone. Però l’amore non è da intendere solo come quello tra due compagni, quello semmai arriva alla fine: prima bisogna saper amare se stessi. L’amore è impegnativo, vedere le cose negative è facile, mentre è faticoso essere felici, perché richiede lavoro, va costruito.
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Tra i brani che portano una firma femminile c’è La verità, scritto da Amara. Si sente un’atmosfera diversa: è messo apposta alla fine dell’album?
Sì, è come una riflessione detta tra i denti, e mi è sembrato giusto per la chiusura. Amara è una fuoriclasse, è spirituale, ha un bel cervello, e quando ti arriva un brano così non puoi che restare senza parole.

Tu non hai mai provato a scrivere una canzone?
No, non penso di esserne capace. Ho un quaderno su cui ogni tanto scrivo delle cose, quello che penso, ma per ora nessuna canzone. Magari in futuro, ma adesso mi limito a scrivere le mie frustrazioni.
E tra i grandi autori della canzone italiana, chi vorresti scrivesse per te?
Fossati, mi piacerebbe tanto, perché non è mai banale. Parla dell’amore con parole che non sapevo nemmeno esistessero.
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Considerando il tuo amore per il mondo del soul, l’assenza di brani in inglese è un po’ strana. E’ una scelta o semplicemente non c’era il pezzo giusto?
Non ho voluto cantare in inglese, è troppo semplice. Senza passare per tradizionalista, voglio cantare nella mia lingua. Sono italiana, parlo italiano, perché dovrei cantare in inglese? L’italiano è molto più difficile, più ampio, ha un peso diverso, e lo conosco meglio dell’inglese.
In Giorni bellissimi canti “uno sbaglio ti illuminerà”. Credi nel valore degli errori?
Come no, sono fondamentali! Da incosciente, ne ho fatti tantissimi e sono convinta che, senza arrivare a commettere colpe gravi, nella vita ci si debba sempre buttare. I fallimenti ci sono, ma ci sia rialza e si va avanti, possibilmente circondati dalle persone giuste. Il vero fallito è quello che non fa niente.
E’ vero che “l’universo è nei dettagli”, come dici in Sono pazza di te?
Facciamo tutti la stessa vita, la differenza sta proprio nei dettagli. Sono una grande osservatrice, mi piace il genere umano e guardo molto le persone, il modo in cui muovono gli occhi, mi parlano, e facendo questo lavoro sto conoscendo tante persone diverse.

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Nel video di Tutta Colpa Mia c’è quella scena in cui metti in bocca un pesciolino d’oro: cosa c’entra con la canzone?
Ha un significato particolare, ma non si può dire. In realtà il pesce era attaccato a una collanina che non si poteva togliere, per cui è stato un po’ complicato… Tutto il video è molto particolare, mi sono affidata a loro e io ho soltanto dovuto fare il playback. Questa volta è andata così infatti è pieno di significati.
Il 26 aprile ti aspetta il live all’Alcatraz di Milano: cosa vedremo?
Prima di tutto vedrete me! (ride, ndr) Parlando seriamente, ci stiamo lavorando: potrebbe esserci Loredana Bertè e altri ospiti, ma non c’è ancora niente di sicuro. Potrei anche fare delle cover in inglese, chissà…
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Semplicemente, penso che la ribellione sia seguire il proprio istinto senza ascoltare quello che gli altri vorrebbero da te. Mi sembra positivo, io ho sempre fatto così. Penso di essere una brava persona, no? 

Davide Shorty: arriva Straniero

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“Sono un fiero cittadino del mondo, dedito alla ricerca e alla celebrazione della diversità in quanto chiave della bellezza degli esseri umani. Mi sono sentito per assurdo straniero nel mio paese, e adesso lo sono di fatto in una città come Londra che però mi ha dato la possibilità di crescere a contatto con una dimensione multiculturale. Come diceva Nina Simone, gli artisti hanno il dovere di rispecchiare i tempi che vivono, ed é proprio questo il mio obiettivo”.

Arriverà il prossimo 24 febbraio, a un anno di distanza dalla partecipazione ad X-Factor, Straniero, il primo album di Davide Shorty.
L’indipendenza artistica ottenuta con la sua nuova etichetta Macro Beats è stata necessaria all’artista per essere pienamente soddisfatto del suo progetto d’esordio, in cui ha voluto parlare non solo a se stesso, ma a una generazione che si sente “straniera”, isolata ed emarginata in un mondo pieno di divisioni.
Straniero unisce il classico e il moderno, tra sonorità hip hop, soul, funk e jazz e testi figli della grande tradizione cantautorale italiana
Un lavoro ricco di collaborazioni importanti: Daniele Silvestri e la sua band, la neo soul band romana ThrowBack, il rapper Tormento e la stella del rap underground Johnny Marsiglia.
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Shorty ha composto e prodotto i brani del disco in prima persona con la collaborazione del tastierista Claudio Guarcello e del chitarrista Alessandro La Barbera dei Retrospective For Love, e si è avvalso di un vasto team di musicisti.
Dopo la pubblicazione a sorpresa del nuovo album di Mecna Lungomare Paranoia lo scorso 13 gennaio, Straniero continua i festeggiamenti per il decennale di Macro Beats, una delle più importanti etichette indipendenti italiane.
Questa la tracklist:
Terra
Sentirò
Fare A Meno (ft. Tormento)
Ci Amo
Plastica
Fenomeno (ft. Daniele Silvestri)
Nessuno Mi Sente
Tutto Scorre/Good Times (ft. ThrowBack)
Se Solo Ti Lasciassi Andare
Viaggio Breve
Dentro Te (ft. Johnny Marsiglia)
Sono già disponibili i pre-order iTunes ad un prezzo speciale con il download immediato del brano “Terra”, che da oggi è anche disponibile su Spotify. Inoltre solo su www.musicfirst.it sono aperti i pre-order del disco in formato Cd e Vinile autografati.

BITS-RECE: Tiziano Ferro,Il mestiere della vita. Vivi, ama, balla

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Da qualche tempo la musica di Tiziano Ferro aveva preso una strada che mi lasciava non poche perplessità: dopo i primi album ridondanti di influenze r’n’b e soul, il ragazzone di Latina si era sempre più lasciato andare a ballatone melense, spesso tendenti a umori in minore. Grande sfoggio vocale, non c’è che dire, e grandissimo apprezzamento da parte del pubblico, ma a me mancavano i tempi Xverso e Stop! Dimentica, quando Tiziano sapeva mostrare cosa significa prendere dei generi stranieri e portarli nella musica italiana senza cadere in banalità e provincialismi.

E se devo essere sincero, anche quando è uscito Potremmo ritornare, il singolo che ha anticipato il nuovo album, mi ero già immaginato un nuovo capitolo discografico fatto lacrime, downtempo e struggimenti del cuore. Che per un po’ può anche andare bene, perché Ferro le ballate e i lenti li sa fare con tutti i crismi, ma dalla sua musica io voglio sentire più mordente. Cerco, insomma, un po’ meno zucchero filato e un po’ più di croccantezza.
Fortunatamente, Il mestiere della vita, questo il titolo del disco, è stata in questo – se mai fosse possibile – una rivelazione, fin dall’intro di Epic: un album che finalmente tira fuori i denti e ricomincia a mordere con i suoi ritmi decisi, molto diversi da brano a brano, a tratti taglienti; ecco ritornare in primo piano il sound d’Oltreoceano, recuperato senza l’inutile pretesa di adattarlo alla melodia e al bel canto italiano. In questo Tiziano Ferro è sempre stato coraggioso, o meglio un innovatore, non ha cercato di mettere a tutti i costi lo spirito italiano dove non poteva starci, e si è adattato lui (e i suoi produttori, Canova su tutti) all’anima di quei suoni creandosi un ambiente musicale personale.
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In Il mestiere della vita il ragazzo spazia con invidiabile disinvoltura tra r’n’b, soul, hip hop e pop, fino alle lande dell’elettronica e, come in passato ha dimostrato di saper fare, ci unisce l’immensa componente umana dei testi, che ti fa venire il brividino per quelle due o tre parole messe in fila nel punto giusto; Tiziano la vita la sa guardare in faccia e sa raccontarla con trasparenza e sensibilità pura, e quando non è lui a scrivere i testi, sa scegliersi con acume gli autori giusti (vedi, per esempio, alla voce Emanuele Dabbono, che non a caso Tiziano ha legato a sé con contratto in esclusiva).
Questo suo sesto capitolo discografico è quindi in un certo senso un ritorno alle origini, a quelle atmosfere internazionali che ce lo avevano fatto conoscere giovanissimo, ma è anche un disco che sa stupire, soprattutto se si ascolta il duetto con Carmen Consoli in Il conforto, forse il brano più atipico in cui la cantantessa si sia cimentata. O, ancora, è un disco che fa strabuzzare gli occhi quando si scopre che dentro ci è finito anche My Steelo, in duetto con Tormento: chi non è proprio teenager forse ricorderà che costui è stato una delle due colonne portanti dei Sottotono, uno dei primi progetti di area rap italiani tra anni ’90 e primi ’00, e forse si ricorderà anche che prima di esordire con la sua musica il buon Tiziano era stato ingaggiato come corista proprio in un tour dei Sottotono. Scambio di favori? Boh. A me piace più vederlo come un ritorno alle origini.

Melodia, tanta melodia quindi, e soprattutto piena libertà data ai ritmi, declinati sotto una gran varietà di luci, e una presenza nei giusti termini di momenti “sentimentaloni”.
Assurto ormai a tutti gli effetti al rango di “grandissimo” del nostro patrimonio musicale, con questo disco Tiziano fa vedere come si possa fare un album di electro-r’n’b che oltre a far muovere i piedi riesce anche a spiegare come si maneggia questo complicato arnese chiamato vita. O almeno ne offre un lucido punto di vista.

BITS-RECE: Emeli Sandé, Long Live The Angels. Sopravvivere a se stessi

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Come si sopravvive al successo, quello inaspettato, sconvolgente, frastornante? Ne sa forse qualcosa Alanis Morissette, che dopo lo sconvolgimento portato da Jagged Little Pill ha dato ritrovare se stessa e rimettersi in moto, e più recentemente pare ne sappia qualcosina anche Adele, che non doveva proprio essere preparata alla valanga di 21. Ma ne può parlare, e anzi lo ha fatto, anche Emeli SandéL’artista inglese infatti si è ritrovata di punto in bianco nel 2012 al centro di un ciclone mediatico non previsto, dopo che il suo album d’esordio, Our Version Of Events, si è ritrovata a dover gestire un successo probabilmente neanche lontanamente previsto, con un album che è arrivato a vendere più di due milioni di copie nella sola Inghilterra.
Ecco, davanti a una prova del genere, reagire con nervi saldi è pressoché impossibile, tante sono le pressioni, le aspettative, le ansie. Per non parlare dei confronti con altri artisti (vedi alla voce Adele) che media e pubblico si sentono in dovere di mettere in pratica.
Nel corso di questi ultimi quattro anni, Emeli Sandé ha suonato un sacco in giro per il mondo, ma a un certo punto ha sentito il bisogno di fermarsi, quasi sparire, riannodare le fila sparpagliate del discorso e poi tornare. Un ritorno che ha visto la luce con Long Live The Angels, il secondo, generosissimo, album di inediti. Ben 15 tracce nell’edizione standard e 18 nella deluxe, tante erano le cose da raccontare.

Un disco in cui le influenze dance del primo album sono state messe da parte per lasciare spazio alle note più calde del soul: nessuna vampata sulla scia di Heaven quindi, ma una fiamma incandescente che si spande lenta, densissima, quasi in silenzio, mettendo al centro la voce e le parole. Gli interventi più carichi si riducono a una manciata  brani (Hurts, il primo singolo, Highs And Lows, Babe), ma nel resto dei brani si percepisce un calore raccolto, tra influenze di r’n’b e gospel.
Un nuovo viaggio che inizia tra i colori quasi misticheggianti di Selah (Try to hold my breath but it’s filling up my lungs/Try keep it quiet but it’s banging like a drum/And they’re shaking up my bones), prosegue con Breathing Underwater e poi Happen, tra cadute nel vuoto e sguardi rivolti verso l’alto, fino a Highs And Lows, manifesto di vittoria e rinascita personale.
Si fugge, ci si nasconde, ma sopravvivere si può, basta rifugiarsi in se stessi e guardarsi in faccia: la forza di riemergere è lì, davanti a noi. Anzi, siamo proprio noi.

BITS-RECE: Rebecca Ferguson, Superwoman. Scintillio di soul

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.

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Già arrivata al quarto album, Rebecca Ferguson si dimostra una gran dama del soul dei giorni nostri. La ragazza che solo cinque anni fa si è messa in luce a X Factor UK, è oggi un’artista in piena corsa e in piena autoaffermazione.La sua ultima fatica si intitola Superwoman ed è – come si può ben intuire – un inno alla forza e alla rinascita, prima di tutti sue, in secondo luogo di tutte le donne, infine di ognuno di noi.

Un album di grande carica e un concentrato di scintillio soul, che lo pervade dalla prima all’ultima traccia. La signora ci sa fare alla grande, e con la sua voce vagamente felpata dimostra di saper regalare meraviglie: d’altronde, non dimentichiamo che solo l’anno scorso la Ferguson si è cimentata in un coraggioso progetto di cover di Billie Holiday, uno dei suoi punti di riferimento artistico, indi per cui è facile capire quanto lo spirito del soul o del jazz trovino in lei salde radici nonostante la giovanissima età.

A cominciare dal singolo Bones, cover di Ginny Blackmore, per poi passare a Mistress, Superwoman, Stars, Don’t Want You Back, Withou A Woman si assiste a lucenti esplosioni di musica, tripudi di declinazioni tra pop e soul, inni di battaglia di un’anima che è caduta, si è rialzata e vuole gridare forte la sua vittoria.

Un album di altissimi voli.

BITS-RECE: Laura Mvula, The Dreaming Room. Pop, ma non troppo

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Ci sono tante cose dentro a questo The Dreaming Room, secondo lavoro di Laura Mvula. C’è una buona dose di soul, una certa quantità di pop, dell’r’n’b, reminiscenze gospel, persino eco di afro music. E proprio per questo album sfugge a qualsiasi tipo di catalogazione, così come la sua interprete: non certo la più tipica “lady soul”, ma neppure una qualsiasi starletta del pop.

Senza essere un disco indimenticabile, The Dreaming Room è una piacevole dimostrazione di come si possa fare della buona musica fluttuando tra un genere e l’altro, e riuscendo a piazzare un paio di colpi vincenti come il singolo Overcome (guardatevi anche il video!), che vede l’intervento di Nile Rodgers, e la gaudente Let Me Fall.
In People fa capolino nientemeno che la London Symphony Orchestra, anche qui in un amalgama di stili spumoso che sì sale, ma non quanto si vorrebbe e ci si aspetterebbe.

Bene quindi nel complesso, ma la sensazione è che con questo “materiale di partenza” si potrebbe arrivare a tirare fuori qualcosa di molto più intrigante.