Goa Boa: oltre 50 artisti per la “spaziale” edizione 2019. Anteprime con Calcutta e Gazzelle

Luglio 1969: l’uomo muoveva il primo passo sulla Luna.
50 anni dopo, a luglio 2019, Goa-Boa sventola la bandiera della nuova musica italiana nel cuore del Porto Antico di Genova.
Oltre 50 artisti, una manciata di poeti e dj in 9 serate programmate in centro città, giocando a Ping Pong sulla Luna, circondati dal mare.

Nel luglio del 1969, Neil Armstrong compie quel “piccolo passo per l’uomo” che per la prima volta unisce tutta l’umanità – oltre ogni frontiera geografica o ideologica – col fiato sospeso davanti al tubo catodico: l’uomo è sulla luna.
La Luna. L’unico satellite terrestre, fin dall’antichità oggetto di fascinazione e ispirazione per gli artisti del nostro Pianeta, è la protagonista della 22a edizione del Goa Boa di Genova. A 50 anni dall’allunaggio dell’Apollo 11, lo storico festival celebra questo importante compleanno ospitando un cast stellare pronto ad atterrare nel cuore del Porto Antico della “Superba” per una festa senza precedenti.

Molte le tappe disegnate sulla mappa intergalattica di questa edizione, a partire dalle due ghiotte anteprime in cui saranno protagonisti Calcutta (5 luglio) e Gazzelle (9 luglio).
Scaldati i motori si decolla seguendo le rotte più avventurose cui ci hanno abituati gli esploratori dell’Associazione Psyco, organizzatori della kermesse genovese sin dal 1998. Ed è così che una miscellanea di coraggiosi artisti, uniti da quella voglia di perlustrare costellazioni musicali sempre nuove, si avvicenderanno dal 17 al 21 luglio: dal rock incediario dei Fast Animals and Slow Kids, alle declinazioni transgenerazionali della canzone nostrana proposte da Carl Brave, Ghemon e Max Gazzè, sino alle commistioni rap di Salmo e IZI, che chiudono Goa Boa 2019 proprio tra il 20 e 21 luglio, gli stessi giorni in cui 50 anni fa gli statunitensi misero piede sull’Astro d’Argento. In mezzo c’è spazio per tutti quegli esponenti del nuovo corso che, con ogni probabilità, saranno le stelle delle prossime stagioni: Dutch Nazari, Priestess, Leyla El Abiri, Eugenio in Via Di Gioia Quentin40, Mecna, Alfa sono solo alcune delle sorprese in cartellone.

Ma sul pianeta Goa Boa c’è ancora spazio per le novità ed è così che nasce Goazilla, un nuovo format dedicato agli “intramontabili” della storia del rock, un altro tassello che testimonia l’attitudine di chi è capace di guardare sempre avanti mantenendo ben salde le radici nel passato.
Goazilla apre ufficialmente i battenti il 14 luglio con Steve Hackett – mitico chitarrista dei Genesis che, per la prima volta in Italia, eseguirà integralmente Selling England by the Pound, l’album definitivo della band britannica – e a seguire i leggendari Jethro Tull di Ian Anderson, che il 16 luglio sbarcano a Genova per festeggiare, insieme alla Luna, il prezioso anniversario d’oro.

L’intero programma del Goa Boa 2019 è visibile qui.

“Se devi scegliere, scegli di essere Bruce Springsteen”. Tornano i “notturni” Fast Animals and Slow Kids


Quella dei Fast Animals and Slow Kids è la storia di una band che ce l’ha fatta. O, almeno, è la storia di una band che da 11 anni a questa parte è sempre andata nel senso dell’ascesa.
Formatosi tra i banchi di un liceo di Perugia nel 2008, il gruppo ha saputo attirare l’attenzione di un pubblico sempre più numeroso, facendosi strada tra le intricate e affollate vie dell’underground fino ad approdare, con il quindo album, nelle schiere di una major, Warner, che scelto di scommettere sulla band e di distribuire Animali notturni, pubblicato lo scorso 10 maggio.
Seduti all’ombra di un pacifico angolo verde di un terrazzo milanese, Aimone Romizi, Alessandro Guercini, Alessio Mingoli e Jacopo Gigliotti non sembrano essersi fatti sconvolgere molto da questo “upgrading”, ma non nascondono un certo entusiasmo: “Non abbiamo avuto nessuna imposizione, siamo arrivati in Warner con il disco già in mano. Non pensiamo che nelle major ci siano dei padroni con in mano chissà che potere. Per ora, entrare in un realtà come quella ci ha permesso di vedere come funziona una struttura che lavora solo per la musica”, oltre a far diventare la musica un lavoro dopo anni di gavetta “passati a suonare davanti a cinque persone che ci odiavano”, come ricorda da dietro i suoi occhiali da sole Aimone.

E sempre il frontman inizia a raccontare la genesi dell’album: “Di solito ci mettiamo al lavoro su un nuovo disco già un mese dopo l’uscita del precedente: se questo non succede vuol dire che la band è morta. Ed è stato così anche per Animali notturni: abbiamo iniziato a scriverlo durante le prove del tour e tra una tappa e l’altra o scambiandoci le idee con file inviati su Garage Band: abbiamo scritto tanto, e purtroppo tanto è stato è rimasto fuori dal disco. Da subito abbiamo però avuto chiara la direzione da prendere. L’idea di base per ogni nostro album è quella di farlo suonare nel modo in cui suonano i dischi che ci hanno influenzato in quel periodo”. E per questo nuovo album le influenze citate dai quattro musicisti comprendono Bruce Stringsteen, REM,  – “una band che è rimasta indipendente per molti anni” -, Stone Roses, War on Drugs, fino al punk e ai Clash.
Proprio parlando dei Clash la band tocca un tema che sembra stare particolarmente a cuore a tutti i componenti, quello della libertà: “Dopo il punk, con London Calling i Clash sono arrivati a fare quello che volevano, e per noi è stato uno stimolo di ricerca verso la perfezione. Puntiamo molto in alto, anche per rendere omaggio a quegli artisti che ci hanno aiutato a diventare persone migliori. Insomma, se proprio devi scegliere, almeno sii Bruce Springsteen! Non vogliamo essere una fiammella che si spegne.”

Coerenza, istinto, necessità di libertà, pensieri che si mescolano nelle parole dei FASK, affiorando qua e là, come quando il discorso si ferma su Matteo Cantaluppi, il produttore assoldato per il nuovo album. Una scelta coraggiosa per una band che ha fatto dell’introspezione e dei suoni potenti del rock le proprie cifre stilistiche, ma che ora si è messa nelle mani di colui che – tra le altre cose – è stato anche l’artefice del successo dei Thegiornaslisti, un gruppo non esattamente in linea con loro.
“Cantaluppi lo siamo andati a cercare noi, e lo abbiamo scelto dopo aver contattato altri cinque diversi produttori. La prima cosa che ha fatto è stata sedersi con noi intorno a un tavolo per parlare di musica e chiederci cosa volevamo fare: è uno con una cultura musicale immensa, ci ha fatto sentire alcune cose dei Talk Talk, una band che non conoscevamo. Questo disco è diverso dal precedente perché siamo cambiati anche noi, è la vita: quando si considera la carriera di una band non si dovrebbe mai perdere di vista il percorso personale che c’è dietro. Alcuni si sono stupiti di sentire nel disco parole come ‘cuore’ o ‘amore’, senza capire che Non potrei mai è un brano che parla del frantumarsi di un rapporto. Tutto quello che si sente nell’album è però tutto merito o colpa nostra, non c’è niente che ci sia stato imposto dal produttore”.
Impossibile quindi non soffermarsi su Radio radio, uno dei nuovi brani, in cui tra le righe emerge il tema del compromesso con cui un artista deve fare i conti: “Se vuoi fare l’artista e inizi a chiederti cosa fare per piacere a tutti hai sbagliato lavoro. Non ho mai conosciuto artisti così – spiega Aimone – ma credo che sia una vita di merda, perché se le cose ti vanno male sarai insoddisfatto. E se anche dovesse andarti bene probabilmente non saresti felice. Come musicista, so che il mio è uno dei lavoro meno essenziali nella società, è come il canto della cicala, e tra le mie paure c’è quella che un giorno quello che faccio non interessi più a nessuno: ma spero che se la nostra musica non dovesse più piacere, sia per le scelte che abbiamo fatto, e non perché abbiamo cercato di piacere“.