“Se devi scegliere, scegli di essere Bruce Springsteen”. Tornano i “notturni” Fast Animals and Slow Kids


Quella dei Fast Animals and Slow Kids è la storia di una band che ce l’ha fatta. O, almeno, è la storia di una band che da 11 anni a questa parte è sempre andata nel senso dell’ascesa.
Formatosi tra i banchi di un liceo di Perugia nel 2008, il gruppo ha saputo attirare l’attenzione di un pubblico sempre più numeroso, facendosi strada tra le intricate e affollate vie dell’underground fino ad approdare, con il quindo album, nelle schiere di una major, Warner, che scelto di scommettere sulla band e di distribuire Animali notturni, pubblicato lo scorso 10 maggio.
Seduti all’ombra di un pacifico angolo verde di un terrazzo milanese, Aimone Romizi, Alessandro Guercini, Alessio Mingoli e Jacopo Gigliotti non sembrano essersi fatti sconvolgere molto da questo “upgrading”, ma non nascondono un certo entusiasmo: “Non abbiamo avuto nessuna imposizione, siamo arrivati in Warner con il disco già in mano. Non pensiamo che nelle major ci siano dei padroni con in mano chissà che potere. Per ora, entrare in un realtà come quella ci ha permesso di vedere come funziona una struttura che lavora solo per la musica”, oltre a far diventare la musica un lavoro dopo anni di gavetta “passati a suonare davanti a cinque persone che ci odiavano”, come ricorda da dietro i suoi occhiali da sole Aimone.

E sempre il frontman inizia a raccontare la genesi dell’album: “Di solito ci mettiamo al lavoro su un nuovo disco già un mese dopo l’uscita del precedente: se questo non succede vuol dire che la band è morta. Ed è stato così anche per Animali notturni: abbiamo iniziato a scriverlo durante le prove del tour e tra una tappa e l’altra o scambiandoci le idee con file inviati su Garage Band: abbiamo scritto tanto, e purtroppo tanto è stato è rimasto fuori dal disco. Da subito abbiamo però avuto chiara la direzione da prendere. L’idea di base per ogni nostro album è quella di farlo suonare nel modo in cui suonano i dischi che ci hanno influenzato in quel periodo”. E per questo nuovo album le influenze citate dai quattro musicisti comprendono Bruce Stringsteen, REM,  – “una band che è rimasta indipendente per molti anni” -, Stone Roses, War on Drugs, fino al punk e ai Clash.
Proprio parlando dei Clash la band tocca un tema che sembra stare particolarmente a cuore a tutti i componenti, quello della libertà: “Dopo il punk, con London Calling i Clash sono arrivati a fare quello che volevano, e per noi è stato uno stimolo di ricerca verso la perfezione. Puntiamo molto in alto, anche per rendere omaggio a quegli artisti che ci hanno aiutato a diventare persone migliori. Insomma, se proprio devi scegliere, almeno sii Bruce Springsteen! Non vogliamo essere una fiammella che si spegne.”

Coerenza, istinto, necessità di libertà, pensieri che si mescolano nelle parole dei FASK, affiorando qua e là, come quando il discorso si ferma su Matteo Cantaluppi, il produttore assoldato per il nuovo album. Una scelta coraggiosa per una band che ha fatto dell’introspezione e dei suoni potenti del rock le proprie cifre stilistiche, ma che ora si è messa nelle mani di colui che – tra le altre cose – è stato anche l’artefice del successo dei Thegiornaslisti, un gruppo non esattamente in linea con loro.
“Cantaluppi lo siamo andati a cercare noi, e lo abbiamo scelto dopo aver contattato altri cinque diversi produttori. La prima cosa che ha fatto è stata sedersi con noi intorno a un tavolo per parlare di musica e chiederci cosa volevamo fare: è uno con una cultura musicale immensa, ci ha fatto sentire alcune cose dei Talk Talk, una band che non conoscevamo. Questo disco è diverso dal precedente perché siamo cambiati anche noi, è la vita: quando si considera la carriera di una band non si dovrebbe mai perdere di vista il percorso personale che c’è dietro. Alcuni si sono stupiti di sentire nel disco parole come ‘cuore’ o ‘amore’, senza capire che Non potrei mai è un brano che parla del frantumarsi di un rapporto. Tutto quello che si sente nell’album è però tutto merito o colpa nostra, non c’è niente che ci sia stato imposto dal produttore”.
Impossibile quindi non soffermarsi su Radio radio, uno dei nuovi brani, in cui tra le righe emerge il tema del compromesso con cui un artista deve fare i conti: “Se vuoi fare l’artista e inizi a chiederti cosa fare per piacere a tutti hai sbagliato lavoro. Non ho mai conosciuto artisti così – spiega Aimone – ma credo che sia una vita di merda, perché se le cose ti vanno male sarai insoddisfatto. E se anche dovesse andarti bene probabilmente non saresti felice. Come musicista, so che il mio è uno dei lavoro meno essenziali nella società, è come il canto della cicala, e tra le mie paure c’è quella che un giorno quello che faccio non interessi più a nessuno: ma spero che se la nostra musica non dovesse più piacere, sia per le scelte che abbiamo fatto, e non perché abbiamo cercato di piacere“.

Se Carla Bruni rifà i Depeche Mode, ovvero la cover che non ti aspetti

Carla Bruni

Nelle vesti di cantante, l’abbiamo conosciuta mentre imbracciava una chitarra e sussurrava melodie poco più che recitate. Dovendola pensare alle prese con delle cover, mai verrebbe in mente un pezzo come Enjoy The Silence.
E invece Carla Bruni fa la mossa che non ti aspetti e rimette mano al classico dei Depeche Mode, una delle colonne del synthpop degli anni ’80, universo musicalmente lontanissimo da quello dell’ex top model.
L’occasione è quella di anticipare French Touch, il suo quinto album, in arrivo il 6 ottobre: una raccolta di cover in lingua inglese prodotta nientemenoche da David Foster.

Se già la notizia che Carla Bruni rifà Dave Gahan è sorprendente, ancora di più lo è sapere che il suo tentativo è riuscito bene. Perché Enjoy The Silence è una di quelle canzoni talmente immortali che pensare di riproporle è un azzardo, un po’ per il confronto con l’originale, un po’ per la difficoltà di trovarne una nuova chiave personale convincente.
Carla Bruni opta per un approccio minimale, fatto solo di voce e chitarra, trasformando il brano in un’intima confidenza, merito forse di quel “french touch” che dà il titolo all’intero progetto. E funziona.

Oltre ai Depeche Mode, nel nuovo album sembra che ci sarà posto anche per rivisitazioni di ABBA (The Winner Takes It All), Rolling Stones (Miss You) e Clash (Jimmy Jazz).