Si intitola semplicemente Marcoe basta darci un ascolto per capire che per Sethu non è solo un nuovo singolo, ma l’inizio di una fase nuova.
Il titolo del brano riprende il nome di battesimo del cantautore ligure e raccoglie ne testo una fitta lista di consigli, pareri e critiche che Sethu si è sentito rivolgere in questi ultimi anni, dall’exploit sanremese ad oggi.
«Marco cantala un po’ meglio, dicono che avrai successo, Marco ma cos’è successo? Marco prendi la pastiglia, non scordare la famiglia» e «digli ancora la tua storia, Marco tu la sai a memoria, Marco ma mi stai ascoltando?».
Un brano fortemente autobiografico che è a tutti gli effetti un canto catartico per trasformare il giudizio altrui in un punto di (ri)partenza per un percorso di autoanalisi, sino ad approdare all’accettazione di sé stessi in tutte le proprie sfumature e contraddizioni.
«Se deve andare andrà, Marco sono ancora qua».
Dopo le difficoltà personali condivise nel primo album tutti i colori del buio(pubblicato nel 2024 da Carosello Records), Sethu ha ritrovato maggiore serenità e nuova spinta creativa. Marco, insieme agli ultimi singoli Si balla e Fino all’osso, ne è la prima testimonianza.
BITS-CHAT: Canzoni, storytelling e uncinetto. Quattro chiacchiere con… Prim
All’anagrafe è registrata come Irene Pignatti, ma ha scelto di firmare le sue canzoni come Prim, portando nella musica tutto il mondo che le sta attorno. Classe 1999, ha iniziato a scrivere canzoni in inglese all’età di 14 anni, prendendo come riferimento gli artisti internazionali, prima fra tutti i Beatles. Con il tempo, partendo dai dintorni di Modena, sua città natale, il “pop triste” di Prim ha iniziato a farsi sentire sempre più in là, e pur giovanissima la cantautrice può tra le sue esperienze può vantare anche una partecipazione allo SXSW, importante festival musicale e cinematografico che dal 1987 si tiene ogni anno ad Austin, in Texas.
Per lei è arrivato ora il tempo di pubblicare un nuovo EP, DIY Crochet, anticipato negli scorsi mesi da alcuni singoli. Il titolo nel nuovo progetto è piuttosto eloquente e suona come un manifesto: da una parte, il concetto del farcela da soli (“do it yourself”), dall’altra il riferimento all’uncinetto (in inglese crochet), sua grande passione, simbolo anche di artigianalità e creatività, anche nella musica.
Riprendendo la metafora dell’uncinetto e dei tessuti, che torna anche sulla cover del nuovo EP, se dovessi abbinare ogni traccia del disco a un tessuto colorato, quale tessuto e quale colore sceglieresti? Ognuna delle tracce del mio EP è un lungo filo di cotone, che si intreccia con il resto diventando un prodotto finito. Ogni brano ha un colore e il colore è lo stesso usato per le rispettive copertine dei brani: “Dormire in macchina” giallo, “Mhh mmm” rosso, “Amore infedele” bianco, “Luglio” grigio.
Il titolo dell’EP, DIY Crochet, racchiude due concetti oggi centrali, quello del “farcela da soli” e quello della creatività handmade, che oggi sembra messo a dura prova dell’intelligenza artificiale. Da musicista, hai paura che l’AI possa uccidere la creatività e appiattire l’arte? No, non ho questa paura. L’emotività non può essere sostituita dall’intelligenza artificiale, e senza l’emotività e l’empatia la musica non esisterebbe. Sicuramente l’AI è avanti nel creare brani da zero, dal punto di vista del sonoro e delle topline, ma non credo che sarà mai in grado di scrivere un brano in maniera unica e personale.
A differenza del precedente EP, incentrato sulla tua famiglia, in questo racconti le storie degli altri, il mondo che ti circonda. Da cantautrice, trovi più semplice raccontare te stessa o il mondo esterno? Dipende. Il primo EP è nato in maniera spontanea e concreta. Avevo bisogno di esprimermi su quelle tematiche e ci sono riuscita facilmente. Se dovessi scrivere invece una canzone più introspettiva o legata all’amore e al rapporto di coppia, farei veramente tanta fatica, perché mi sembra di mettermi a confronto con tutti gli altri artisti che scrivono di questo tema. Non so se ha senso, ma mi sembra di perdere concretezza. Per la scrittura del nuovo EP mi sono presa molto più tempo: parla di storie di altri, perché è tutto storytelling. Con lo storytelling si può andare ovunque e per questo ti si aprono migliaia di porte, ed è poi complicato decidere quale scegliere.
Vivere in macchina affronta alcuni temi cruciali per la tua generazione (il costo della vita in un grande grande città come Milano, la difficoltà nel trovare stabilità), intrecciandoli con la tua sensazione di essere sempre inadeguata. Qual è la tua personale soluzione per non vivere “una vita di plastica”? Non credo ci sia una soluzione, in realtà il brano è scritto in chiave ironica seguendo le lamentele di un’amica che non ha alcun problema economico ma si lamenta della sua situazione, appunto, economica, essendo una fuorisede a Milano.
Luglio continua ancora essere per te un mese grigio e interminabile, come canti nel brano omonimo? Sì luglio è sempre un mese grigio e interminabile, quasi paragonabile a febbraio, altro mese interminabile, anche se dura meno degli altri. Ho sempre passato le giornate di luglio a fare il conto alla rovescia, sperando che finisse il più presto possibile.
Chi sono i tuoi principali riferimenti musicali? I The 1975 sicuramente, ma dal punto di vista del suono mi sto riferendo soprattutto ad artisti internazionali che fanno bedroom pop e dream pop come i Men I Trust, Clairo, Mac De Marco, Her’s.
Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione? La ribellione per me è prendersi il tempo di fare le cose con le proprie mani, in un mondo che va sempre più veloce. È scegliere il proprio processo creativo in maniera indipendente.
Il titolo è una citazione tratta da una lettera d’amore di Cesare Pavese, e così il brano è una riflessione sulla scrittura, sulle lettere, e sul valore del segno analogico nell’era contemporanea.
“Ma dove andremo a finire? C’è qualcosa di più assurdo dell’amore? Se lo godiamo fino all’ultimo, subito ce ne stanchiamo, disgustiamo; se lo teniamo alto per ricordarlo senza rimorsi, un giorno rimpiangeremo la nostra sciocchezza e viltà di non avere osato. […] Non so trovare parole di conforto per te che valgano, se non ricordarti quel giorno che eravamo stretti insieme, in piedi, e pareva che uno dei due dovesse condurlo a fucilare e invece era tutta gioia. […]. Ti bacio così, come vuoi tu, anche se sei stata cattiva a non venire sulla strada di Crevacuore”.
Crevacuore è il luogo misterioso e segreto dove vanno le storie che devono finire. Nascosta in un cluster di pixel, in bilico tra la traccia analogicadi una lettera d’amore e il radicalismo elettronico della produzione di mofw, è una canzone fatta di immagini enigmatiche e un ritornello aperto espressione di un vero e proprio “romanticismo digitale”.
Il videoclip che accompagna il brano mostra una ricerca ossessiva per le strade di una mappa digitale. La persona dietro al computer (o dentro?) sta cercando qualcosa. O qualcuno? Quel viaggio nevrotico sembra destinato a non finire mai.
Barriera è il sogno lucido di Valerio Casanova, musicista, autore e filmmaker casertano, in esilio nel sud est di Roma. Canta di solitudini e di separazioni, muovendosi in un universo nostalgico e a tratti ironico. Il suo è un mondo in conflitto, intrappolato nella ragnatela delle grandi città e stretto nella morsa dei dispositivi digitali. Per sopravvivere, e per trovare qualcuno che gli assomigli, ha scelto di fare musica. Gli amori difficili e il disagio mentale, due argomenti che si trovano spesso nei suoi brani, prendono il volo grazie ai tanti synth rarefatti che guardano al cantautorato indie romano, all’elettronica glitch e all’alt pop internazionale.
Il suo primo EP Abbandonarsi, prodotto da Blindur, esce nel 2020 per l’etichetta Wires records. Nel 2022 viene selezionato per partecipare alle selezioni di Musicultura. A settembre dello stesso anno ritorna con Dovehomessomiopadre?, una graffiante distopia pop alla Black Mirror. Nel Novembre 2022 esce Olodramma, il primo album seguito a giugno 2023 dall’edizione “bundle” del singolo Deserto Rosso, estratto dall’album.
Sacra e dissacrante, intensa e delicata, ricercata e immediata. Straordinariamente pop.
Fiorita sotto il sole di una calda estate siciliana, Zagara è il nuovo singolo di Francamente.
Un incontro tra Palermo, dove il pezzo è stato scritto ed è ambientato, e Berlino, città dove Francamente ha vissuto a lungo. Due luoghi che rappresentano mondi sonori diversi ma capaci di coesistere in modo armonioso e sorprendente, uniti dalla predilezione per la molteplicità e per le sfumature.
“Palermo è la custode di chi amando si contamina”,afferma Francamente, “e Zagara è la preghiera laica che pronunciano le persone innamorate”.
Nel brano si fondono la canzone italiana e l’elettronica, in un incontro arricchito da richiami alla tradizione popolare – grazie all’uso della fisarmonica e di cori gregoriani da festa religiosa di paese -, e sonorità anni ‘80 della cold wave tedesca. Il risultato è un cantautorato raffinato, fatto di immagini e dettagli vividi e suoni ricchi di sperimentazioni. Il frutto di un lavoro quotidiano e profondamente artigianale portato avanti insieme a Goedi alias Diego Montinaro, produttore di Francamente che scava alla ricerca di un sound unico e personale, in grado di aderire perfettamente all’essenza creativa indipendente e anarchica – ma mai autarchica – del progetto.
Voci dai balconi Costeggiano i lampioni Palermo che si sveglia sfatta E io sopra di te Suoni dai cantoni Donne come tuoni Palermo che mi mangia l’anca E io sopra di te Strette sui vagoni Le mie mani sono suoni Aprono portoni, corrono ai tuoi piedi e si schiantano sui nomi Dei tuoi nonni e dei nipoti Con le ossa tutte in fuori Le mie cosce sono fiori, corrono sul mare mentre a riva ti riposi Prenditi un poco cura di me Spaventami come Santa Rosalia Prendimi un poco sopra di te Spaventami come tu fossi regina Distese sopra il sole con gli scogli a far rumore Onde di persone che ci guardano curiose Pioggia sui bastioni mentre vola un ombrellone Palermo che rimane calma e io sopra di te Ferme sulle scale Hai le labbra di tua madre Sorridono ai rioni, smontano la rabbia di chi grida dai motori Noi che siam donne e non visioni Con le gambe sui cannoni Le gonne stese fuori Giocano col mare mentre a Riva ti riposi Prenditi un poco cura di me Spaventami come Santa Rosalia Prendimi un poco sopra di te Spaventami come tu fossi regina Ancora ancora ancora le tue mani di sale Ancora ancora ancora tra le nostre risate Ancora ancora ancora le tue mani di sale Ancora ancora ancora tra le nostre risate Prenditi un poco cura di me Spaventami come Santa Rosalia Prendimi un poco sopra di te Spaventami come tu fossi regina
BITS-RECE: Tamino, “Every Dawn’s a Mountain”. Dolcissimo, come la malinconia
BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Qual è il confine tra la poesia e la canzone? Cos’è quell’elemento che permette di dare agli infiniti orizzonti della parola poetica un’inedita tridimensionalità? Il segreto sta forse in una successione di accordi, o in una voce capace di strappare la mente dalla realtà e trasportarla in un universo parallelo. Dall’alba dei tempi, musica e poesia sono due mitologiche sorelle che sono sempre andate molto d’accordo, ma nonostante tutto si resta ancora esterrefatti quando si vede cosa sono capaci di fare insieme. Quando, cioè, si realizza quella delicatissima congiunzione astrale che eleva al quadro la loro forza.
Ascoltare la musica di Tamino è un buon modo per rendersene conto. Con lui ogni volta è come se prendesse forma una magia, un incantesimo dolcissimo che solo quell’unione di musica e parole possono realizzare, ed è così fin dal meraviglioso esordio di Amir, che ci ha fatto conoscere la malinconia cantata da questo ragazzo belga (e di padre egiziano) dalla voce dorata.
Giunto ora al terzo album, Tamino mantiene quella che all’inizio poteva essere solo una promessa: è cresciuto, tanto, si è preso il suo spazio, ha arricchito il suo mondo imaginifico con spunti cantautorali che si sono innestati perfettamente nelle sue suggestioni esotiche, mai venute meno. Qui, per esempio, oltre alle densissime melodie fuori dal tempo, roventi come i tramonti mediorientali, c’è il suono dell’oud, tipico strumento di quelle terre, mentre le composizioni richiamano il cantautorato folk e indie (impossibile non cogliere in filigrana le influenze di Jeff Buckely, o di Thom Yorke, giusto per fare un nome).
Every Dawn’s a Mountain – questo il titolo del nuovo lavoro – è un disco incentrato sul distacco e sulla perdite, ma non è un disco senza speranza: anzi, come l’artista ha dichiarato a Rolling Stone, il titolo (“Ogni alba ha una montagna”, ma anche “Ogni alba è una montagna”) vuole proprio fare riferimento al fatto che ogni giorno offre una nuova sfida e una nuova opportunità. A raccontarlo è anche un brano struggente come Willow, che parte dall’immagine del salice piangente per spiegare come a volte sia necessario morire per “vedere il sole”.
Più legate al tema del distacco e dell’alienazione sono invece Babylon, uno dei pilastri dell’album, e Dissolve: la moderna Babilonia a cui allude il titolo della prima è New York, città in cui Tamino si è trasferito e in cui ha potuto godere del privilegio dell’essere un anonimo cittadino immerso in quella giungla urbana. E poi c’è Sanctuary, in cui la voce del nostro si rincorre con quella dell’americana Mitski, unica presenza esterna nell’album.
I reside in the ruins of the sanctuary where a man praised a woman and she loved him holy it shakes me
Every Dawn’s a Mountain è album che avanza lento, cade morbido e denso come una goccia di miele, si prende tutto il tempo per spalancare il proprio orizzonte malinconico e dolcissimo. Emana la sua luce intensa e vivida, fatta di parole e di suoni provenienti da un mondo bellissimo. Che sta proprio lì, dietro alla montagna.
BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Sulla copertina del suo secondo album, il volto di La Niña, dipinto sulla superficie di un tamburello, osserva l’ascoltatore con aria severa, e in quello sguardo convivono antichità e tragedia, radici e fierezza. Proprio come le 10 canzoni che compongono Furèsta, il secondo lavoro di Carola Moccia, vero nome dell’artista partenopea.
“Furèsta” non semplicemente a richiamare uno spazio verde abitato dagli alberi, ma un’entità selvaggia, poco incline alle regole domestiche, che in comune con gli alberi ha profonde radici affondate nella propria terra, pur slanciandosi verso l’alto, alla scoperta di qualcosa lontano.
Furèsta è esattamente questo, un disco imbevuto della storia e dell’orgoglio di Napoli, della sua eredità sonora, della sua anima popolare e indomita, arcaica e persino sacrale, ma che non perde il contatto con il presente. Un disco pieno di rabbia e di amore, di tradizione e contaminazione (accanto a mandolino e tamburello spuntano qua e là anche il suono del clavicembalo e le cadenze dell’urban), un disco che più di tutto fa pensare a un messaggio di accoglienza, perché La Niña sembra voler dare voce a tutti. E che si tratti di un progetto di stampo corale è proprio nella dichiarazione di intenti dell’artista.
Se l’immensa eredità della musica di Napoli è la solida base su cui tutto poggia, ogni singolo brano racconta una storia a sé e il disco si allarga in un abbraccio cosmopolita: si va così da O ballo d’ ‘e ‘mpennate, tutto costruito sul suono degli zoccoli dei cavalli, ad Ahi!, che pesca invece dal bolero e da certe sonorità latine; Tremm’ prende spunto dall’atavico fenomeno del bradisismo di Pozzuoli per parlare del tremendo e pacifico senso di impotenza che si prova davanti alla forza della Natura, scatenando un baccanale di percussioni, accompagnato dalla voce di KUKII, artista egiziano-iraniana. Si spinge ancora più lontano nello spazio Sanghe, brano di aura ancestrale, quasi liturgica, incentrato sul tema tremendo della guerra e che mescola napoletano e arabo grazie alla presenza di Abdullah Miniawy.
Con il suo ritmo incalzante, quasi da marcia militare, Figlia d’a tempesta è un autentico e amaro manifesto di denuncia della condizione femminile.
A chiudere è Pica pica, uno dei momenti più interessanti: se da una parte il titolo fa riferimento al nome scientifico della gazza ladra (di cui si sente il suono), dall’altra l’espressione partenopea “pica pica” è usata per indicare la tigna di chi non demorde nel perseguire la propria strada. Musicalmente, a emergere in trasparenza sono sonorità medievali, ancora una volta in un gioco di rimandi tra passato e presente.
Nonostante sia un lavoro ricchissimo di influenze e stratificato, Furèsta è un album che si fa capire subito, perché parla un linguaggio universale, pop(olare) nel vero senso della parola. La Niña canta per tutti.
“Hanami è per me uno di quei rari casi in cui nasce prima il testo e poi la musica. Era marzo 2020 e le passeggiate nel cortile del condominio erano l’unico modo per uscire di casa, vincolati dalle restrizioni della pandemia. Ogni giorno, il mio sguardo veniva catturato dal più grande dei ciliegi in giardino. Inizialmente spoglio, poi lentamente ricoperto di gemme e fiori. Un’esplosione di bellezza che durava appena due settimane. Fragili e inconsapevoli di non poter essere sfiorati, i fiori cedevano il passo alle foglie, destinate a cadere. Da allora mi chiedo come possa la primavera rinunciare così in fretta a qualcosa di tanto meraviglioso. Ma sto ancora cercando una risposta che mi soddisfi davvero.”
“Hanami”è un termine giapponese che indica l’atto di soffermarsi a godere della bellezza della fioritura primaverile degli alberi.
Nel pieno della pandemia, quando nonostante la nostra reclusione forzata la natura non si è mai fermata, Hesanody ha preso in prestito la parola e ne ha fatto una canzone. Ecco quindi Hanami, una ballata elettro-acustica dalle venature gospel che affronta la caducità delle cose belle, sospesa in un’atmosfera onirica tra contemplazione e rassegnazione.
Hesanobody è l’alter ego musicale di Gaetano Dino Chirico, che da anni si muove nella scena underground.
Tra le sue collaborazioni può vantare nomi del calibro di PLASTICA, Fugazza, Suorcristona (produttori per Mahmood, GINEVRA, NAVA, Noemi) e Federico Ferrandina (compositore di colonne sonore, accreditato in ‘Dallas Buyers Club’ e altri show tv di enorme successo quali ‘The Big Bang Theory’ e ‘The Night Of’).
Odio l’estate è il singolo che segna il ritorno sulle scene di Karter, nome d’arte del cantautore polistrumentista Andrea Biolcati Rinaldi, in collaborazione con Luca Urbani, amico e nome fondante dell’underground musicale degli anni ’90 con i Soerba.
Non solo un titolo, ma una dichiarazione di disagio, un sentimento nato da esperienze vissute nell’adolescenza. Lontano dall’immaginario spensierato che accompagna di solito questa stagione, con le sue sonorità elettroniche e cupe, il brano esplora l’ansia e il senso di oppressione che l’estate può portare.
Un nuovo singolo che arriva a ridosso delle prime giornate di luce, un anticipo di un nuovo disco.
Andrea Biolcati Rinaldi, in arte Karter, è un cantautore polistrumentista, classe ‘68, milanese di nascita e ferrarese di adozione. Fin da giovanissimo si appassiona alla musica intraprendendo a soli 13 anni il suo percorso e diventando poi parte di diverse band della scena locale, quali Radioluna, Lo stato delle cose, Olsen e Paradox.
Il suo stile spazia dal post-punk, new wave, shoegaze fino ad arrivare al pop rock. Tra il 1997 e il 2000 lavora come backliner nel tour “Metallo non metallo” dei Bluvertigo, vivendo da vicino l’esperienza dei grandi palchi e continuando a coltivare, in parallelo, la sua carriera artistica, pubblica ben tre album: Fiori elettrici, Vivendo di gioia riflessa e L’uomo vola la sua ombra a terra.
«Mi sembra che si abbia un’attitudine “usa e getta” su tutto ormai, sui vestiti, sul cibo, sugli oggetti che durano un po’ di mesi e poi spariscono, tanto ne compreremo altri. Ne abbiamo talmente tanti, che alla fine averli o non averli non ci fa più differenza. Almeno coi rapporti umani io ci tengo a far durare le cose, in amicizia e in amore, mi sembra l’unica cosa da difendere davvero».
Così Emma Nolde spiega il messaggio che dentro al nuovo singolo Tuttoscorre.
Un manifesto a vivere almeno le relazioni con il giusto tempo, senza gettarle nel vortice della voracità che ci attanaglia quotidianamente, spingendoci alla continua ricerca del nuovo, di altro.
Un imperante panta rei, scandito dagli archi pizzicati e dall’incedere quasi minaccioso delle percussioni, a cui si contrappone una promessa da onorare (“ecco a te la mia parola che proverò a salvarci, a non buttarci come carta, a riparare questa storia”) con dedizione e impegno, per salvaguardare un legame che prova a resistere allo scorrere incessante del tempo.
Tremo come una sveglia ho capito che è ora
Stai per dirmi che stai per arrenderti ancora
Temo che si sia rotto o spezzato qualcosa
Per cambiare noi cambierò io per prima
Quindi ecco l’altra guancia
L’altra faccia di medaglia
Ecco a te la mia parola
Che proverò a salvarci, a non buttarci come carta
A riparare questa storia
E mentre tutto scorre
Tu non correre
Rimani qui
E mentre tutto scorre
Tu non correre
Rimani qui
Ci siamo strette forte
Che ci siamo rotte
Incollare due bocche non è semplice
Mentre tutto muore
Noi amore
Non moriremo qui
Ripartiamo proprio come un aereo che trema e poi vola
Tu mi hai dato qualcosa di cui avere paura
Ti vorrei convincere che questa incertezza che senti è normale
Ti regalo la mia età e un cannocchiale per vedere dove possiamo arrivare
E mentre tutto scorre
Tu non correre
Rimani qui
E mentre tutto scorre
Tu non correre
Rimani qui
Ci siamo strette forte
Che ci siamo rotte
Incollare due bocche non è semplice
Mentre tutto muore
Noi amore
Non moriremo qui
Ma se è l’ultima volta che posso volarti addosso
Se vuoi è l’ultima volta vai sei già libera adesso
Che comunque vada ci rideremo sopra un giorno
Perché tutto scorre
Tutto scorre
Se tu non corri
E rimani qui
Se mentre tutto muore
Noi amore
Non moriamo qui
Se mentre tutto muore
Noi amore
Non moriamo qui
Se non moriamo
Non c’è nulla di male nella normalità, ma quella di cui Caspio parla in Normaliè artificiosa, alienante. Una normalità che ci svuota del nostro tempo e di quello che siamo veramente, ci continua a chiedere sempre di più fino a sfinirci.
Non sappiamo perché inseguiamo questo tipo di normalità, perché scegliamo spontaneamente di conformarci a standard che forse non sentiamo davvero nostri.
Forse, semplicemente, lo facciamo “perché la gente ci guarda”.
E se quella gente non ci stesse davvero guardando e fosse proprio “normale” come noi?
Con questo brano, in pieno stile Pixies, Caspio anticipa il suo primo album in uscita in inverno con distribuzione Believe Music Italia.