Lady Gaga lancia il suo “Abracadabra”, ma l’incantesimo funziona?

Lady Gaga lancia il suo “Abracadabra”, ma l’incantesimo funziona?

In oltre 15 anni di carriera Lady Gaga ha dimostrato di essere un’artista decisamente poliedrica.

Ha fatto irruzione nel music biz con pezzi iper-radiofonici diventati classici del dancefloor; è entrata nel mondo del jazz mano nella mano con Tony Bennett; non ha mancato di fare l’occhiolino al rock duettando con Rolling Stones e Metallica; ha fatto valere il suo talento di compositrice più sofisticata tirando fuori ballatone di successo mondiale come Shallow e Die with a Smile; ha sporcato l’immaginario pop con un’estetica dirompente, eccessiva, talvolta volutamente di cattivo gusto (ce lo ricordiamo il meat dress del 2010?). Non da ultimo, si è fatta valere davanti alla macchina da presa con convincenti prove da attrice.

Insomma, quando si parla di Lady Gaga si sta parlando di una fuoriclasse. E dai fuoriclasse ci si aspetta che il livello dell’asticella venga portato ogni volta un po’ più su.

La copertina di MAYHEM

Nei giorni scorsi, Gaga ha finalmente annunciato titolo e data d’uscita del suo nuovo album, il settimo: il progetto si intitola MAYHEM (“caos”) e arriverà il 7 marzo. Stefani Germanotta lo ha presentato con queste parole: “L’album è nato dal mio timore di tornare alla musica pop che i miei primi fan amavano”.

E in effetti, ok l’amore per il jazz, ok i lenti al pianoforte, ok darsi al cinema, ma una buona fetta di little monsters della prima ora non aspettava altro che ritrovare la Gaga “brutta, sporca e cattiva” delle ere passate, The Fame Monster e Born this Way su tutte.

Tenendo da parte Die with a Smile, incluso nella tracklist del nuovo album solo in un secondo momento, probabilmente per il riscontro positivo oltre ogni aspettativa da parte del pubblico, ad anticipare MAYHEM sono stati i singoli Disease, pubblicato a ottobre, e Abracadabra, uscito in concomitanza con la cerimonia di consegna dei Grammy.
Due brani pop decisamente dark e dal mood malato, come lo furono all’epoca Bad Romance e Alejandro, e che sembrano trovare il giusto spazio nella cornice del nuovo album, il cui processo creativo è stato descritto come “riassemblare uno specchio in frantumi: anche se non riesci a rimettere insieme i pezzi alla perfezione, puoi creare qualcosa di bello e integro a modo suo”.

Un ritorno alle origini quindi, come i fan speravano, con un’inversione a U rispetto al country-pop di Joanne, alla dance di Chromatica e al soft rock di A Star is Born, per ritrovare i synth e l’elettronica ruvida dei primordi.

Già, ma siamo sicuri che sia la mossa giusta e che sia proprio questo che i fan chiedevano?

Perché confesso che più lo ascolto, più il nuovo singolo mi lascia perplesso e non mi fa ben sperare per quello che ci aspetta.

Per quanto radiofonico e potenzialmente virale, Abracadabra suona come un rimpasto di diverse cose già proposte in passato: ricorda un po’ Bad Romance (là c’era l’iconico Ra, ra, ah-ah-ah / Roma, roma-ma / Gaga, ooh, la, la qui c’è il meno efficace Abracadabra, amor-oo-na-na / Abracadabra, morta-ooh-ga-ga / Abracadabra, abra-oo-na-na, che ha sì un senso all’interno del brano, ma è davvero troppo complicato da decifrare), un po’ Government Hooker, magnifico tesoro nascosto della discografia gaghiana in omaggio agli anni ’80, un po’ tanto Venus, singolo presente in ARTPOP, forse l’album più incompreso e sottovalutato di Gaga.

Se in passato quei suoni e quell’abitudine nel costruire i ritornelli con le sillabe quasi balbettate (“po po po poker face”, “papa paparazzi”, “Ale Alejandro Ale Alejandro”, “Judas Juda-as, Judas Juda-as”) apparivano freschi ed erano come un marchio di fabbrica, oggi risultano stanchi e vuoti. Un lavoro di maniera, più che di autentica ispirazione.

L’impressione è che stavolta Mother Monster abbia messo da parte la sua solita versatilità e la sua vena creativa per adagiarsi troppo comodamente sulla confort zone.

Anziché essere un oscuro sortilegio pop, Abracadabra risulta la versione pigra dei successi degli anni addietro e Lady Gaga sta forse ripetendo lo stesso errore che fece nel 2011 con Judas, un pezzo che non a torto venne presto ribattezzato da alcuni maligni come “Bad Romance 2.0”.
La storia della musica è abbastanza lunga per dimostrare che in genere questi escamotage non si rivelano vincenti, a parte fortunate eccezioni.
Chiedetelo per esempio a Katy Perry, reduce dal fallimento – perché di questo si tratta – dell’album 143, ricordo sbiadito e insipido della sua golden age.

E anche per quanto riguarda il video, il pensiero corre a cose già viste più di 10 anni fa.

Arrivata al settimo album, Lady Gaga rischia di dare al pubblico un contentino per placare la fame dei fan, e non un disco che dimostri quanto è cresciuta.
Giusto per fare un paragone, il settimo album di Madonna, la matriarca del pop, a cui Gaga resterà per sempre legata da un invisibile filo spinato, fu Ray of Light, un capolavoro di ricerca e sperimentalismo. Tutto ciò che Disease e Abracadabra non sono.

Non mi è del tutto chiaro poi se Germanotta abbia parlato di “timore di tornare alla musica pop” perché la sua intenzione era di prendere un’altra strada, ma ha cambiato i piani per assecondare i fan, o perché temeva che tornando al pop avrebbe proprio rischiato di ripetersi. O forse sono tutte e due le cose insieme.

Da fan, voglio tanto bene a Lady Gaga, ma per la prima volta ho paura che il suo imminente ritorno segnerà un passo indietro.

Spero in una magia, abracadabra

Per Jovanotti è tempo di ripartire: esce il nuovo album “Il corpo umano”

Per Jovanotti è tempo di ripartire: esce il nuovo album “Il corpo umano”

Nella carriera di un musicista ci sono ritorni che sono “più ritorni” di altri. Vuoi per un cambio di stile, o perché è sgorgata una nuova vena creativa, oppure per un evento personale che ha coinvolto l’artista. Insomma, non è vero che tutti i dischi sono uguali e che ogni comeback ha lo stesso peso dei precedenti.

Lo sa bene Jovanotti, che si prepara a dare al pubblico il suo sedicesimo album in studio.

Un lavoro che arriva a tre anni dal precedente Il disco del Sole, ma che soprattutto arriva dopo il grave incidente in bicicletta che ha visto Lorenzo Cherubini protagonista suo malgrado a Santo Domingo nel 2023, e che gli ha comportato non solo la rottura di bacino e clavicola, ma anche un’infezione batterica che gli “mangiucchiato” parte del femore. Quindi la riabilitazione per riacquistare la motilità delle gambe.

Un lungo e difficile periodo di fermo forzato, durante il quale ha letto moltissimo, da Gilgamesh ai poemi omerici, e che non gli ha impedito di tenere in movimento la mente e di iniziare a pensare. Proprio da lì, da quello stato di immobilità, è partita la scintilla da cui è nato il nuovo album, in uscita il 31 gennaio e il cui titolo non è certo casuale, Il corpo umano (volume 1).

L’occasione per presentarlo in anteprima arriva una sera piovosa di fine gennaio al Teatro Gaber di Milano: per Lorenzo è il primo, vero ritorno in scena davanti al suo pubblico.

Nonostante tutto, lo spirito del “ragazzo fortunato” è lo stesso di sempre, la sua innata vitalità è forse ancora più corroborata di un tempo: si muove senza sosta sul palco, salta, fatica a tenere ferme le gambe, non perde occasione per ballare, inizia a parlare ed è un fiume in piena, al punto che occorre impostargli un timer per le rispondere alle domande.

“Il titolo è nato prima delle canzoni, sono entrato in studio a realizzare i pezzi quando ho avuto il titolo e subito dopo l’idea della copertina dell’album. In pratica ho iniziato a costruire questo “edificio” partendo dal tetto.
Il mio album si chiama Il corpo umano non solo perché è stato il mio personale campo di
indagine e di battaglia dell’ultimo anno e mezzo, ma soprattutto perché il mio viaggio mi ha
aperto panorami nuovi rispetto a questo argomento inesauribile.
Normalmente sentiamo di avere un corpo quando il corpo si rompe o si ammala, così come ci accorgiamo dell’aria quando ci viene a mancare, così come scopriamo che esiste il tempo quando alle cose che iniziano si affiancano quelle che finiscono e noi ci stiamo in mezzo.


Si tratta quindi, per me, di iniziare o proseguire con nuova consapevolezza un lavoro sul “sentire” il corpo, l’aria, la luce, le cose che iniziano, quelle che finiscono, il respiro, i cambiamenti in atto, il dolore, il piacere, la guarigione, l’amore, gli altri, la natura, l’epoca, la cura, le emozioni, le idee, il flusso dei pensieri. Diventare, continuare a diventare è impegno e sfida, fino all’ultimo attimo, a bordo di un corpo fragile e infinito, mutevole e unico, come la vita stessa.”

L’inguaribile ottimismo di Lorenzo lo porta a sdrammatizzare anche sulla scelta della copertina, che riprende l’Allegro chirurgo, un vecchio gioco probabilmente sconosciuto alla Gen z.

All’interno dell’album trovano posto 15 tracce, che accolgono le diverse anime di Jovanotti, da quella romantica a quella più scanzonata, e che sono il frutto di un lavoro realizzato con tre diversi produttori, ciascuno scelto per la propria identità: c’è Dardust, che firma i primi due singoli Montecristo e Fuorionda, ma anche la titletrack, una sorta di sirtaki che evolve in un mood dionisiaco,; c’è Michele Canova, il deus ex machina di innumerevoli successi italiani degli ultimi decenni; e c’è Federico Nardelli, che porta la sua visione più indie.

Tutti i pezzi del disco saranno accompagnati su Youtube da speciali visual girati alla Galleria Borghese di Roma, realizzate in un pomeriggio di chiusura settimanale avendo cura – sottolinea Lorenzo – di non sfiorare nessuna delle opere e impiegare luci di scena collaudate e approvate dalla soprintendenza.

E mentre Il corpo umano sta per arrivare tra le mani dei fan, Jovanotti sta già scaldando i motori per il Palajova, il nuovo tour in partenza a marzo: uno spettacolo che punta a superare  il tradizionale
concerto. Le parole chiave nella progettazione sono state motown e street band, Prince and the revolution, romanticismo psichedelico. Non si tratta solo di musica, ma di un viaggio multisensoriale, una grande festa che unisce energia, emozioni e condivisione.

“Il concept dello spettacolo parte dall’idea di fioritura, e nasce da alcune esperienze che ho vissuto mentre pensavo al mio ritorno in scena. Tra tutte mi piace pensare ad una parola scritta da Etty Hillesum in una pagina dei suoi diari nei giorni più tragici della sua breve esistenza. Questa parola ha continuato per giorni a risuonare in me: “FIORIRE!”

La magia inizierà già al momento dell’ingresso: i palazzetti si trasformeranno in spazi unici, pensati per riflettere la visione che ha saputo rivoluzionare il mondo dei concerti.

Colori, simboli e dettagli che raccontano il suo universo accoglieranno il pubblico, creando un’atmosfera che è già di per sé un’esperienza. Ogni show sarà un incontro tra creatività e innovazione, dove la tecnologia non è solo un supporto, ma amplifica le emozioni, rendendo ogni attimo irripetibile.
Tutto sarà all’insegna della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente.

I biglietti sono disponibili su Ticketone. Tanti gli appuntamenti già sold out.

 

 

#MUSICANUOVA: Emma Nolde, “Tuttoscorre”

#MUSICANUOVA: Emma Nolde, “Tuttoscorre”

«Mi sembra che si abbia un’attitudine “usa e getta” su tutto ormai, sui vestiti, sul cibo, sugli oggetti che durano un po’ di mesi e poi spariscono, tanto ne compreremo altri. Ne abbiamo talmente tanti, che alla fine averli o non averli non ci fa più differenza. Almeno coi rapporti umani io ci tengo a far durare le cose, in amicizia e in amore, mi sembra l’unica cosa da difendere davvero».

Così Emma Nolde spiega il messaggio che dentro al nuovo singolo Tuttoscorre.

Un manifesto a vivere almeno le relazioni con il giusto tempo, senza gettarle nel vortice della voracità che ci attanaglia quotidianamente, spingendoci alla continua ricerca del nuovo, di altro.

Un imperante panta rei, scandito dagli archi pizzicati e dall’incedere quasi minaccioso delle percussioni, a cui si contrappone una promessa da onorare (“ecco a te la mia parola che proverò a salvarci, a non buttarci come carta, a riparare questa storia”) con dedizione e impegno, per salvaguardare un legame che prova a resistere allo scorrere incessante del tempo.

Tremo come una sveglia ho capito che è ora
Stai per dirmi che stai per arrenderti ancora
Temo che si sia rotto o spezzato qualcosa
Per cambiare noi cambierò io per prima

Quindi ecco l’altra guancia
L’altra faccia di medaglia
Ecco a te la mia parola
Che proverò a salvarci, a non buttarci come carta
A riparare questa storia

E mentre tutto scorre
Tu non correre
Rimani qui
E mentre tutto scorre
Tu non correre
Rimani qui
Ci siamo strette forte
Che ci siamo rotte
Incollare due bocche non è semplice
Mentre tutto muore
Noi amore
Non moriremo qui

Ripartiamo proprio come un aereo che trema e poi vola
Tu mi hai dato qualcosa di cui avere paura

Ti vorrei convincere che questa incertezza che senti è normale
Ti regalo la mia età e un cannocchiale per vedere dove possiamo arrivare

E mentre tutto scorre
Tu non correre
Rimani qui
E mentre tutto scorre
Tu non correre
Rimani qui
Ci siamo strette forte
Che ci siamo rotte
Incollare due bocche non è semplice
Mentre tutto muore
Noi amore
Non moriremo qui

Ma se è l’ultima volta che posso volarti addosso
Se vuoi è l’ultima volta vai sei già libera adesso
Che comunque vada ci rideremo sopra un giorno
Perché tutto scorre
Tutto scorre
Se tu non corri
E rimani qui

Se mentre tutto muore
Noi amore
Non moriamo qui

Se mentre tutto muore
Noi amore
Non moriamo qui
Se non moriamo

“143”, perché l’ultimo album di Katy Perry non funziona?

“143”, perché l’ultimo album di Katy Perry non funziona?

Nel momento in cui scrivo, 143, ultima fatica discografica di Katy Perry, non ha ancora fatto la sua comparsa nelle classifiche, ma le previsioni del debutto sono tutt’altro che rosee.

Diciamocelo però, un po’ lo sapevamo: o Katy tirava fuori l’album del millennio, capace di risollevarle la carriera, oppure il destino del disco era già segnato ancora prima della sua pubblicazione. Colpa, purtroppo, dei due precedenti album, Witness (2017) e Smile (2020), non esattamente campioni di vendite, che hanno appannato l’aura di invincibilità di cui la Perry si era circondata nei primi anni ’10, ai tempi di Teenage Dream (2010) e Prism (2013). Due album fortissimi, che le hanno fatto guadagnare record su record. Basti ricordare che grazie ai singoli estratti da Teenage Dream, Katy Perry è stata l’unica artista – al pari di Michael Jackson – ad aver piazzato 5 canzoni dello stesso album al vertice della classifica americana. E poi sono arrivati, Roar e Dark Horses, estratti da Prism, entrambi certificati diamante negli USA.

Insomma, fino a una decina di anni fa Katy Perry sembrava l’incarnazione terrena del pop, l’artista capace di mettere d’accordo tutti. Se Madonna iniziava a perdere appeal sul pubblico più giovane, Britney e Christina erano in una fase calante della carriera, Lady Gaga destabilizzava con i look eccessivi e le scelte musicali non sempre digeribilissime (vedi alla voce Artpop), Katy era tutto ciò che al pop si poteva chiedere: canzoni super catchy e immagine rassicurante.

Poi, dicevo, è arrivato Witness, e quel magico mondo fatto di colori pastello e suoni zuccherati ha perso il suo mordente. Peggio ancora è andata a Smile, tre anni più tardi. Si potrebbe star qui ad analizzare il perché di quella débâcle, ma sarebbe un esercizio inutile. Accontentiamoci di sapere che è andata così.

Lo scorso luglio, a distanza di 4 anni, Katy torna è tornata, e ovviamente la notizia del suo comeback ha fatto tremare i muri e nutrito le aspettative. Aspettative che si sono però afflosciate come un sufflè malriuscito non appena è stato pubblicato il singolo della nuova era discografica, Woman’s World. Una canzone mediocre e facilona, che oggi troverebbe forse la sua giusta collocazione nel disco di qualche emergente. Invece è stato il brano di punta per il lancio del nuovo progetto. Catastrofe…
Troppo scontato, troppo semplice, troppo sfacciatamente ruffiano; e non è bastato neanche il messaggio femminista, davvero troppo annacquato per il mercato discografico del 2024.

La scelta di pubblicare in fretta e furia un secondo singolo (Lifetimes) e poi un terzo (I’m His, He is Mine) in poco più di un mese è stata la famosa pezza che ha fatto più danni del buco.
Troppo evidente la necessità di correre ai ripari, ma niente da fare, i due brani sono passati praticamente inosservati.

Restava da sperare che il resto fosse migliore.

Ora che l’album è uscito, possiamo tirare le somme, e capire perché poteva essere – e probabilmente sarà – un altro flop.

Molto semplicemente, 143 è un disco anonimo e superficiale. Un album che sembra essere rimasto fermo al 2013: forse per non correre rischi, Katy Perry ha scelto di riproporre le stessa ricetta che l’ha portata alla gloria. Peccato che siano passati più di 10 anni da allora, e che le cose siano cambiate un po’.
Prima di tutto, ci si augura che il pubblico che seguiva Katy anni fa sia cresciuto insieme a lei, e oggi si aspetti qualcosa di più maturo. E poi in questi anni il mondo del pop è stato rivoluzionato: solo per restare nell’universo femminile, sono arrivate creature come Billie Eilish e Taylor Swift (che nel 2013 esisteva già, ma era pressochè “confinata” al country) che ci hanno mostrato che si può essere pop e mainstream senza puntare tutto sulla semplicità. Non che loro siano state innovative in questo, ma sicuramente hanno abituato il pubblico di oggi a un ascolto diverso.

Presentato come un disco celebrativo dell’amore fin dal titolo – 143 sarebbe una forma in codice di “I love you”, sai che roba… – il settimo lavoro di Katy Perry si rivela essere una raccolta di pezzi buoni per ballare una sera, può essere la colonna sonora di un pigiama party, ma non è, oggi, quello che ci si aspetta da un nome del suo calibro.

I suoni pescano a pienissime mani dalla dance degli anni ’90 (I’m His, He’s Mine contiene anche un sample di Gypsy Woman, successo house del 1991), e questo poteva essere un buonissimo fil rouge. Ma oltre c’è ben poco di scoprire.

La sensazione è Katy Perry si sia fatta contagiare dalla sindrome di Peter Pan, e sia rimasta incagliata in una sorta di eterna giovinezza, convinta che dare ai fan un nuovo carico di canzoni-confetto sarebbe bastato ad accendere il loro entusiasmo come in passato. Ma così non è stato.

Quello che è mancato è stato prima di tutto la voglia di cambiare, evolversi, far vedere di essere altro rispetto a quello che tutti già conoscevano; e poi è mancato il coraggio di alzare la famosa asticella.

Intendiamoci, non tutto quello che è in 143 è da cestinare: Crush per esempio è un buon pezzo, ed è uno dei pochi che si fanno ricordare (anche qui c’è stata una ripresa dal passato, da My Heart Goes Boom). Così come non sono male Nirvana e Wonder. Ma tre pezzi passabili non sono abbastanza a fare un buon disco.

Infine, una considerazione a margine: tra le critiche mosse all’album vi sono state anche quelle di chi ha biasimato la scelta della Perry di lavorare con Dr. Luke, figura assai controversa nel musicbiz per via della vicenda processuale che lo ha visto coinvolto dopo le accuse mosse da Kesha.
Senza entrare nel merito della questione, sono abbastanza sicuro che il tallone d’Achille del disco abbia ben poco a che spartire con la condotta morale di Dr.Luke.

143 è un disco mediocre, punto e basta.

“Ora che non ho più te”. Il ritorno synth-pop di Cesare Cremonini. Nel 2025 negli stadi

“Ora che non ho più te”. Il ritorno synth-pop di Cesare Cremonini. Nel 2025 negli stadi

Ora che non ho più te è una canzone reale. L’ho scelta come apripista perché ha rappresentato una svolta dal punto di vista della produzione musicale e un volta pagina nella mia vita. Non è un ricordo che voglio ritorni, è un’esperienza che deve diventare biografia, tornando libera. Credo sia importante abbandonare le cose nel momento in cui ti è permesso, è inutile chiudere una relazione, un’amicizia, un rapporto di lavoro, qualunque pezzo della tua vita, prima del dovuto, prima che sia il momento. Esiste un passato nella canzone, esiste un amore finito, ma esiste anche una nuova vita da affrontare per me e per chi era con me. “Ora che non ho più te non riposo mai”. Non c’è stato niente di più vero per me. Non servono metafore, quando non riposi più, quando non riesci più a dormire. Poi la nuova musica uscendo ti veste di nuovo, tutto all’improvviso cambia. Sei padrone, per alcuni secondi, del tuo destino.”

A due anni dall’ultimo tour e dall’ultimo album, Cesare Cremonini torna con un nuovo singolo, anticipazione di un nuovo album, e una nuova serie di concerti negli stadi.

Il pezzo scelto per il gran ritorno è Ora che non ho più te, un brano synth-pop scritto dallo stesso Cremonini e Davide Petrella, che mostra una nuova evoluzione del percorso artistico del cantautore bolognese. Quasi un ponte che collega idealmente Bologna, con l’eredità di Dalla e Carboni, all’America, con le sonorità di The Weeknd.

Il testo è un dialogo con il proprio passato, alla ricerca di una redenzione di fronte alla fine di una relazione.

“Ora che non ho più te è il sipario che si apre su un progetto fatto di tante scenografie che svelerò canzone dopo canzone. In questo brano c’è tutta la voglia di tornare a parlare un linguaggio più reale, delle cose che vivo, senza nascondermi. Sto attaccato alla vita: lavoro, viaggio, conosco, mi butto nelle esperienze. Anche le scelte musicali rispecchiano questo atteggiamento, è un brano che vuole farti cantare, urlare, ballare con i piedi per terra”.

Sul sito di Universal Music Italia è disponibile in pre-order il 45 giri del singolo in una speciale edizione limitata in vinile colorato.
Link per il pre-order: https://shorturl.at/Lo3Ux

Ad accompagnare il nuovo singolo, un video diretto da Enea Colombi girato in Friuli, nella zona del Magredi del Cellina.

Per il grande ritorno Cesare Cremonini è stato ritratto da due importanti nomi della fotografia internazionale Luigi & Iango, che hanno immortalato l’artista italiano nei loro studi di New York a fine agosto.

Oltre al nuovo progetto discografico, Cesare Cremonini si prepara anche a tornare live con CREMONINI LIVE25.

Queste le date:
8 giugno LIGNANO
15 giugno MILANO
19 giugno BOLOGNA
20 giugno BOLOGNA
24 giugno NAPOLI
28 giugno MESSINA
3 luglio BARI
8 luglio PADOVA
12 luglio TORINO
17 luglio ROMA

A partire dalle ore 10:00 di giovedì 26 settembre, i biglietti saranno disponibili per gli utenti iscritti a My Live Nation. Per accedere alla presale basterà registrarsi gratuitamente su livenation.it/cremonini 

La vendita generale si aprirà alle ore 11:00 di venerdì 27 settembre su www.ticketmaster.itwww.ticketone.it  e www.vivaticket.com e nei punti vendita autorizzati.

#MUSICANUOVA: Rahim Redcar “DEEP HOLES”

#MUSICANUOVA: Rahim Redcar “DEEP HOLES”

Rahim Redcar – prima conosciuto come Christine and the Queens – ha annunciato l’uscita del suo nuovo album, HOPECORE, prevista per il 27 settembre.

Il disco, anticipato dal singolo DEEP HOLES, è stato interamente scritto, prodotto e mixato dall’artista.

“Hopecore è stato realizzato con lacrime, sangue e soprattutto con una fede incrollabile nella pura e cruda espressione dell’anima. La musica ha preso qui la sua piena vastità profetica, si è fatta più selvaggia e ha richiesto una ricerca assoluta in cui nessun altro è entrato a manomettere le intenzioni. Un richiamo della carne, una preghiera per la giustizia e la libertà”.

L’artista si è recentemente esibito davanti a 10 milioni di spettatori nell’ambito della cerimonia di apertura delle Paraolimpiadi di Parigi 2024, dove ha eseguito una spettacolare interpretazione di Non, Je Ne Regrette Rien di Edith Piaf e un’avvincente interpretazione di Born to Be Alive di Patrick Hernandez.
Si è inoltre esibito in una performance di “Supernature” con Cerrone alla cerimonia finale di Parigi 2024 all’Arco di Trionfo, sabato 14 settembre.

HOPECORE inaugura una nuova era dopo l’opera epica di 20 brani PARANOÏA, ANGELS, TRUE LOVE (2023) e il precedente album Redcar les adorables étoiles (2022).

Questa la tracklist di HOPECORE:

  1. FORGIVE 8888888
  2. ELEVATE
  3. INS8DE OF ME
  4. DEEP HOLES
  5. RED BIRDMAN EMERGENCY
  6. OPERA – I UNDERSTAND
  7. MANUELA DANSE

#MUSICANUOVA: Marcello Gori, “Troppi (ok boomer)”

#MUSICANUOVA: Marcello Gori, “Troppi (ok boomer)”

Non una semplice canzone, ma un inno social-generazionale, dedicato a tutti i possibili “boomer” alle prese con il mondo di oggi, fra responsabilità e voglia di evadere, iper-competitività e social network, “apocalissi nucleari e problemi psicologici”.

Troppi (ok boomer), nuovo singolo di Marcello Gori, racconta l’alienazione in cui tutti siamo immersi, non avendo ancora compreso, della maggior parte delle cose del mondo, se ci ripugnano o ci affascinano.

Un brano in equilibrio fra la profondità della musica d’autore e la memorabilità di una canzone pop.

Troppi (ok boomer) è il primo singolo che anticipa il secondo album di Marcello Gori, Panorama umano.

St. Vincent, a novembre la versione in spagnolo di “All Born Screaming”

St. Vincent, a novembre la versione in spagnolo di “All Born Screaming”

Con una mossa tanto inedita quanto inaspettata, St. Vincent annuncia l’uscita di Todos Nacen Gritando, la versione in lingua spagnola dell’ultimo album All Born Screaming, pubblicato lo scorso aprile.

La nuova versione dell’album uscirà il 15 novembre tramite Total Pleasure Records in collaborazione con Virgin Music Group.


St. Vincent spiega l’ispirazione di Todos Nacen Gritando e come è stato raggiunto l’equilibrio tra l’accuratezza della traduzione e l’intensità della performance, con il prezioso aiuto di Alan Del Rio Ortiz:

“Le origini di Todos Nacen Gritando risalgono ad alcuni degli spettacoli più memorabili che abbia mai fatto, in Messico, in Sud America e recentemente al Primavera di Barcelona nel 2023. Anche se separati dal tempo e dalla geografia, e attraverso una gamma di ambienti e luoghi diversi, queste folle erano unite nella loro passione, cantando ogni parola di ogni canzone in perfetto inglese. È stato davvero stimolante. Alla fine mi sono chiesta: “Se loro possono cantare in una seconda o terza lingua, perché io non posso andare incontro a loro? Così ho arruolato il mio migliore amico e collaboratore Alan Del Rio Ortiz per lavorare alla traduzione di questi testi, modificando qua e là per motivi melodici, facendo ogni sforzo per rimanere fedeli alla canzone in questione senza sacrificare l’accuratezza. Dopo aver riscritto e cantato nuovamente ogni traccia vocale dell’album, il risultato è Todos Nacen Gritando, un lavoro d’amore e un tributo alle persone che lo hanno ispirato”.

L’uscita dell’album è preceduta da Hombre Roto, versione in lingua spagnola di Broken Man, già scelto come brano per anticipare l’uscita di All Born Screaming.

BITS-RECE: Gia Ford, “Transparent Things”. Oscure trasparenze

BITS-RECE: Gia Ford, “Transparent Things”. Oscure trasparenze

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Se sarà vera gloria ce lo dirà il futuro. Quel che è certo è che il nome di Gia Ford è una delle grandi promesse della nuova scena pop.

Dopo essersi fatta conoscere – e apprezzare – dalla stampa che conta con una manciata di singoli, l’artista inglese arriva ora alla pubblicazione dell’album d’esordio, Transparent Things, un lavoro che ha tutte le carte in regola per portare il suo nome all’attenzione del pubblico internazionale.

Quasi un concept album incentrato sul tema dell’emarginazione e dell’alienazione, il che è sufficiente a inquadrare il personaggio: con la sua aura ombrosa e crepuscolare, Gia Ford è la perfetta incarnazione dell’alt pop del nuovo millennio, per quanto la sua comfort zone vada ben al di là dei confini del pop.

Impossibile infatti non scorgere nel suo DNA l’eredità dei Portishead o di PJ Harvey, così come le atmosfere dei Garbage (provate a chiudere gli occhi, e ditemi se nella sua voce non ritrovate Shirley Manson…) e di una certa scena anni ’90, il che avvicina volentieri le sonorità dei suoi brani all’indie e al rock.

Sonorità ibride e dark, proprio come Gia Ford, misterioso angelo dalle ali tinte di nero, creatura ancora da scoprire.

Transparent Things è un album che si scioglie traccia dopo traccia, è un incantesimo dolce e ammaliatore.

A noi non resta che lasciarci sedurre, e scommettiamo che funzionerà.