#BITS-RECE: Claudym, “Incidenti di percorso”.
La vita è una cosa seria, ridiamoci su!

#BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

“Mal di testa, penso troppo
Oggi non mi voglio alzare
Sono come una falena
Nel suo stadio larvale
Mi dimentico di bere il giusto
E lo ammetto mangio male
Frigo vuoto, orgoglio pieno
Non mi voglio mai aiutare
Provo a rendere poetico il disordine
Fare un po’ l’alternativa
Ma sono giorni che manco ti rifai il letto
Ma dai, chi vorresti fregare?”

(Claudym, Ragioni sbagliate)

“Se la vita ti offre dei limoni, tu facci una limonata”, recita più o meno così un celebre adagio. Ovvero, se la vita ti propina solo disgrazie e disagi, tu cerca di trarne il meglio e di farti amica la sorte.

Proprio questo detto era stato scomodato da alcuni critici e giornalisti quando si era trattato di recensire Lemonade, l’album di Beyoncé pubblicato nel 2016. Un album riconosciuto da subito come un manifesto epocale di orgoglio e indipendenza, ma che non risparmiava parecchie dosi di rabbia. Ecco, per restare nella metafora dei limoni, la signora Carter aveva preso i frutti che la vita le aveva offerto e ci aveva fatto una limonata decisamente acida.

Ben diversa è la ricetta seguita da Claudym, nome in ascesa del nuovo panorama italiano, che dopo un primo EP rilasciato nel 2022 arriva ora sul mercato con il primo album, Incidenti di percorso.

Un titolo molto eloquente, che mantiene la parola su quello che racconta: tradimenti, relazioni con maschi patriarcali, amicizie da salvare, propositi mancati, serate alcoliche… Un campionario di piccole e grandi sfighe quotidiane, episodi di una vita ordinaria, comune, fraterna.

Qui però c’è poco spazio per rabbia, rancore e grevi dolori. Piuttosto, la bevanda che Claudym ci serve ha tutto il gusto fresco e frizzantino del pop.

Un pop leggero e divertente che zampilla sbarazzino, vivace, ironico, sarcastico. Si gioca con le parole e con i beat, la musica vuole farci ballare, mentre le parole ci fanno sorridere delle nostre piccole miserie. A voler fare paragoni, si potrebbe pensare alla Rettore dei primissimi album, o – più recentemente – a Ditonellapiaga, giusto per restare in territorio nostrano.

A staccarsi dal generale mood giocherellone sono soprattutto brani come Joanne, dedicato a quell’amica con il cuore sempre inquieto, ed Ex, che descrive con grigio disincanto quei rapporti finiti ma che ancora si trascinano stanchi.

E poi c’è Ragioni sbagliate, il pezzo di apertura, punto di osservazione perfetto per affacciarsi sul mondo di Claudym.

Se volete invece farvi una bella scorpacciata di beat e bpm, li trovate in Trigger, proprio a metà del disco: un flashback diretto ad una festa dei primi anni ’00.

Segnatevi il nome Claudym ed evidenziatelo in colori fluo, perché lo risentirete…

Claudia Maccechini, in arte Claudym, è una cantante e illustratrice milanese.
La sua carriera musicale inizia con la pubblicazione dei primi brani, in lingua inglese, da indipendente.
Nel 2021 entra nel roster di Universal e inizia a scrivere in italiano. Scrive e compone personalmente le sue canzoni, nelle quali affronta tematiche molto intime e personali ma allo stesso tempo comuni alla maggior parte degli ascoltatori, fondendo il nuovo pop con tappeti elettronici dal retrogusto internazionale.

#MUSICANUOVA: Kimera, “Artico”

Artico vuole raccontare ed esplorare il luogo dove abitano emozioni e sentimenti che si sono congelati perché non possono essere rivelati ad un’altra persona . Un po’ come una condanna, l’Artico traccia una linea dritta, un muro che divide due vite che non potranno mai esistere “insieme”.

Inseguire una chimera significa perseguire sogni irrealizzabili, ma per Kimera è una spinta che guida la sua musica. Una musica creata per rompere l’illusione del sogno, per poter abbracciare la paura e la bellezza che si può trovare solo nei luoghi inaspettati della mente.

L’amore al tempo del liceo nel nuovo singolo di Mercvrio

L’amore ai tempi del liceo è quel condimento sui ricordi della vita di ognuno di noi: il primo innamoramento, i primi sentimenti, i primi momenti insieme.

Ricambiato o no, ognuno di noi ha vissuto quel momento ed è proprio la malinconia e il romanticismo di quegli istanti il cuore  del nuovo singolo di Mercvrio, che lascia i suoi ricordi in Liceali.

Mercvrio è il progetto musicale da solista di Davide Attili, un normale essere di forma umanoide cresciuto cantando e suonando in gruppi hard rock, metal e free jazz pop indogiapponese nei locali della capitale.

Nato a Roma il 19/9/1991, che se lo si legge al contrario è ancora  19/9/1991, alle ore 19:09, il che accende di mistero questa faccenda del 19 se consideriamo quanto segue: il numero di verso e di capitolo nel Corano in cui un angelo annuncia a Maria la nascita di Gesù è 19:19. Coincidenze? Forse. Il fatto che abbia scelto come nome d’arte il termine romano con cui si indicava proprio la divinità “messaggera” degli dei è ancora una coincidenza? Forse si, forse no, ma ad essere sincero in realtà si. Ma tutte queste coincidenze sommate insieme non  fanno forse una prova? Ma una prova di cosa? Tutto rimane ancora avvolto nel mistero.

“Orchestra di silenzi”, l’urgenza di scrittura di Pugni

Ho capito chi sono veramente quando ho smesso di raccontarmi per quello che credevo di essere.
Orchestra di silenzi è un invito ad abbandonare l’immagine che abbiamo di noi stessi per aprirci al cambiamento, alla trasformazione e all’evoluzione. Nasciamo partendo da un nucleo meraviglioso e fragile, cresciamo aggiungendo strati protettivi che, nel tempo, si induriscono come roccia.
È anche un invito al maschio, figlio sano del patriarcato (di cui mi sento pienamente parte), ad abbandonare l’immaginario dell’uomo forte, stabile, a cui non è concesso aprirsi troppo perché fuori luogo, fuori ruolo.

Orchestra di silenzi è il singolo d’esordio di Pugni.
gni nota è intenzionale, ogni parola ponderata. Gli echi grunge si intrecciano con il pop in un modo che va oltre la mera fusione di suoni, ma piuttosto si trasforma in un’esperienza narrativa. Le liriche sono dense di significato, mentre la struttura e la voce si svelano come un viaggio emozionale nella rabbia e nella bellezza, sfidando le convenzioni e portando avanti il concetto di autenticità nella musica pop contemporanea.

Il singolo, che anticipa l’album d’esordio dell’artista previsto per ottobre 2024, esce non a caso l’8 marzo.
Racconta il cantautore: “La piaga della violenza sulle donne è spesso uno specchio della violenza, fisica e psicologica, a cui sono stati sottoposti gli uomini durante la crescita. Il patriarcato esercita sul maschio una pressione insostenibile che rischia troppo spesso di esplodere in rabbia e violenza. C’è sicuramente necessità di denunciare, ma anche di rieducare, comprendere e curare.
In questo giorno così importante, faccio la mia piccolissima parte dicendo che non è possibile curarsi guardandosi allo specchio. Il “ce la faccio da solo” è l’ennesimo tentativo di mantenere un’immagine di sé costruita su principi vecchi e malati.
Puoi smettere di orchestrare i tuoi mostri nascondendoti e rimanendo in silenzio. Non c’è da
vergognarsi. Parlane, confrontati, fatti aiutare. Non sarai meno uomo per questo.
Questa incapacità di trattare le emozioni porta alla necessità di nasconderle nei cessi delle feste e dei concerti, dove le droghe abbondano come sedativi e diversivi alla libera espressione di sé.
Dentro questo pezzo c’è anche il significato del mio nome d’arte: Pugni, oltre ad essere un gioco di parole col mio cognome, è il ricordo di un periodo in cui la rabbia e l’aggressività mi impedivano di cogliere la complessità e la bellezza di tutti i vari colori emotivi che non mi permettevo di usare per dipingere i miei giorni.
Questo pezzo è nato in studio, di pari passo con la produzione. Assieme a Kendo abbiamo cercato di esprimere una sensazione di liberazione, come una corsa in riva al mare dopo essere stati incarcerati per anni.
È probabilmente il mio pezzo preferito, quello che mi fa urlare fuori i blocchi emotivi.

 

Lorenzo Pagni, in arte Pugni, nasce a Pisa il 19/06/1993.
Si avvicina allo studio della musica a 11 anni, suonando la batteria come primo strumento, che nel corso degli anni sostituisce con la chitarra per poter avere più possibilità espressive, ma per anni la sue principale attività è lo sport. Passa le giornate in canoa, sorretto dall’acqua e circondato dagli alberi del suo caro fiume Arno, ripetendo e affinando lo stesso gesto milioni di volte.
La musica rimane sempre con lui, ma è una cosa troppo bella che non riesce a concedersi totalmente. Col tempo, però, si accorge di quanto sia ampio il divario tra i suoi desideri e le sue azioni quotidiane.
Le sue canzoni rimangono segretamente nascoste in camera sua per anni, nel frattempo Pugni inizia a lavorare nei locali notturni come barman, musicista e dj e recupera la mondanità e il divertimento perso durante l’adolescenza, forse pure troppo.
Nel 2020 saluta il fiume, il mare e i pescatori per spostarsi a Torino.
È qua che Pugni inizia a esprimersi per quello che è.
L’incontro con Danny Bronzini (Jovanotti, Willie Peyote, Venerus), suo concittadino trasferitosi a Torino, è determinante nel proprio percorso di crescita artistica e nell’adozione di una visione matura del processo creativo.
Parallelamente all’attività di musicista, Lorenzo si laurea in psicologia e inizia a lavorare come psicologo in una clinica psichiatrica, dove ascolta storie di vita al limite del credibile.
La complessità delle persone che incontra gli fornisce il materiale emotivo per scrivere, che diventa non solo una necessità espressiva, ma un vero e proprio strumento terapeutico con cui poter esorcizzare il dolore.

“Vorrei”, l’antidoto ai rimorsi di Samuspina

Manifesto di un ventenne immerso in un mare di dubbi, alla ricerca di una serenità capace di placare il caos dei pensieri che lo assillano, Vorrei è il viaggio verso un porto sicuro, un percorso interiore che sembra finalmente trovare una risoluzione attraverso le note di questa canzone.

Con un ritmo serrato, sonorità dreamy e avvolgenti, Samuspina affida ancora una volta alla musica, desideri, pensieri, sogni e speranze di un’intera generazione, quella che non vuole più aspettare di sentirsi pronta, ma vivere pienamente e agire senza perdersi nei meandri dei propri complessi.

Un invito a saper riconoscere e fissare il proprio sguardo negli occhi della persona da cui tornare, qualsiasi cosa accada.

Se mi fossi
guardato meglio
se avessi aperto gli occhi
solo per vedere cosa c’è fuori
guardarti meglio e dirti non siamo soli ma
se fossi stato più forte della guerra e dei soldi
solo per dirti c’è dell’altro la fuori
un milione di ragioni
ma tu non le noti
ma

Se avessi il doppio del coraggio e la metà dei complessi
verrei da te
solo per dirti una cosa
solo per dirti che

Vorrei fare casino senza fare rumore
una canzone senza sapere le note
fare l’amore senza fare le prove

Ma vorrei
fare la pace senza usare pistole
gridare ti amo senza usare la voce
andare piano si ma fare veloce
con te

Gli avanzi dell’amore in “Due morsi” di Michelangelo Vood

Due morsiDove sei mi hai lasciato a metàMi scordiTra gli avanzi di 2 giorni faE non è cambiato nienteTi spogliDue morsiE te ne vai
Giocavamo a non ridere e tu non vincevi maiTi ho cercato per tutta la notte fino alle sei
Sotto la luna na na naCantare prova sa sa saCi provo a non amarti, anziA non vederti mai

«L’atmosfera sospesa di Due morsi riflette gli strascichi di un amore finito, ma che fatica a tramontare nell’animo di chi l’ha vissuto. Il sentimento di abbandono si fa strada nel protagonista, sale la delusione di esser stato lasciato “come gli avanzi di 2 giorni fa”.

Lo sconforto si trasforma in una preghiera, in una disperata fuga notturna alla ricerca dell’altra persona. Ma lì fuori non c’è nessuno, solo la Luna a farci compagnia», racconta Michelangelo Vood.

«É il secondo singolo tratto dal disco, è un’altra tessera del puzzle che ci condurrà al mio primo lavoro discografico. Con una sfumatura di romanticismo diversa rispetto al precedente singolo 2000 anni, questo è un brano che si muove in un contesto urbano costellato di immagini vivide e quotidiane, vicine alle esperienze vissute da ognuno di noi».

Michelangelo Vood, nome d’arte di Michelangelo Paolino, è un cantautore originario della Basilicata. Vood non è solo il cognome della madre, alla quale egli dedica il suo percorso artistico, ma anche un richiamo alla parola “wood” (bosco), omaggio alla natura selvaggia e incontaminata della sua terra.

Dopo aver preso parte ad alcuni dei principali festival italiani nell’estate 2023, Michelangelo Vood è al lavoro sul suo primo disco di inediti in uscita nel 2024.

L’amore secondo Amalfitano


Prende sempre più forma il nuovo progetto discografico di Amalfitano, la cui uscita è prevista per il prossimo 22 marzo.

Dopo la prima, potentissima, anticipazione con il singolo Fosforo, scritto e interpretato insieme a Francesco Bianconi, il cantautore romano torna ora non con uno, bensì con due nuovissimi brani.

Una doppia uscita che lascia ben sperare in quella che sarà la natura dell’album: un cantautorato pop-rock teso e viscerale, che canta la forza immensa dell’amore con un romanticismo personale, dalla parvenza forse più ruvida che dolce, ma profondamente sincero.

E…Ancora Tu racconta di come tutto potrebbe essere messo in discussione, tutto potrebbe essere opinabile, tranne la bellezza.

In Quanto dolore ci servirà per smettere d’Amare, il titolo è invece una domanda su cui si interroga l’artista.
Una domanda scomoda e paradossale, perché lo sappiamo, l’amore sa fare male, ma mentre il dolore offre sempre una via di uscita, dall’amore difficilmente si esce.

E quindi? Davvero il dolore è l’unico antidoto all’amore?

 

Amalfitano e Bianconi: bruciare d’amore. Anzi, di fosforo

Hai mai provato l’effetto fosforo?
Io l’ho sperimentato diverse volte, sempre con le canzoni, ma magari tu lo hai provato con un film, o con un quadro. Con il tempo ho anche imparato a riconoscerlo da subito.
Non sapendo come definirlo, lo chiamerò “effetto fosforo”, e ti spiego anche il perchè.

Succede così: sento una canzone per la prima volta e penso “bah…”. Cioè, non è che non mi piaccia proprio, ma tutto sommato mi lascia indifferente. Anzi no, non è esattamente indifferenza, è più un “sì, carina, ma nulla di che”.

Poi, dopo qualche giorno, o la riascolto per caso o mi si ripresenta in testa da sola, ed è lì che si innesca “l’effetto fosforo“. Perchè inizio a capire che in quella canzone c’è qualcosa di magnetico, qualcosa che non so spiegare: forse è nel giro melodico, forse nel canto, forse in uno strumento, ogni volta può cambiare, e mi accorgo che quel brano lo voglio riascoltare, e ancora, e poi ancora, a loop, anche per giorni, fino a quando mi si pianta in testa e capisco che sarà amore. Anzi, lo è già.

Negli anni questa cosa mi è capitata diverse volte: andando a memoria, con “That don’t impress me much” di Shania Twain, “Bruci la città” di Irene Grandi, “Stand inside your love” degli Smashing Pumpkins, ma persino con “Poker face” di Lady Gaga.
Ogni volta sono farfalle nello stomaco.

Ovvio che col passare del tempo l’entusiasmo si ridimensiona, ma il bello sta proprio in quei primi momenti in cui capisci che da un “meh..” stai passando a un “WOW!!”

Come dicevo, con il tempo ho imparato a capire subito quando una canzone mi provocherà ‘l’effetto fosforo”. Ed è proprio quello che è successo in questi giorni – appunto – con “Fosforo” di Amalfitano e Francesco Bianconi.

L’ho sentita giorni fa, non mi ha colpito, ma sapevo che lo avrebbe fatto, e così è stato. Ci ha messo quasi una settimana, ma poi è esplosa come un’atomica, e lo ha fatto senza che forzassi nulla.

È entrata a gomitate nel cervello, e ancora adesso sta ferma lì. Anzi, non sta ferma per nulla, gira vorticosamente!
“Fosforo” è un brano matto, disgraziato, di quelli che ti fanno ridere e gridare.
“Tienimi la mano diva / che mi balla lo sguardo”, un incipit che sa di moderna saga epica. Una suggestione abbagliante che dura giusto il tempo di un lampo, prima che si inneschi la detonazione sonora: percussioni, chitarre, basso, persino archi. Tutto freme, arde, si scalda, brucia.
Il giro armonico è una giostra selvaggia, le note crescono e si scaldano mano a mano, mentre sotto scalpita e si agita una commistione salmastra di sensualità ustionante e disperazione d’amore.
Perché “Fosforo” è anche la più folle canzone d’amore uscita negli ultimi anni. Anzi, “Fosforo” è soprattutto una canzone d’amore.

Io l’amore non potrei immaginarlo diversamente, un’onda incandescente che ti arriva addosso “e mi prende la testa e scende giù nel cuore / e poi risale come di rimbalzo e mi fa lacrimare”.

Che sia anche questo l’effetto fosforo?

Brillare di buio. Romina Falconi torna con “Lupo mannaro”

Vi è mai capitato di sentirvi “storti” rispetto alla vita?
Vi siete mai sentiti fuori tempo con il mondo?
O avete mai avuto la sensazione di trovarvi fuori posto quando tutti gli altri esplodevano di entusiasmo, mentre voi sentivate dentro solo il grande boato del vuoto?

E se almeno una volta vi è successo, lo avete detto a qualcuno? O qualcuno è mai venuto a confessarlo a voi?

Senza essere troppo pessimisti, credo che la risposta all’ultima domanda siano “no”. Ed è quasi sicuramente “no” perché l’Uomo è un animale che rifiuta il dolore. Lo nasconde, lo tace, lo rinnega, e anche quando si trova nel buio più profondo della sua esistenza fa di tutto per mostrarsi agli altri con quel poco di luce che gli è rimasta.
Perché il dolore ci costringe ad ammettere che siamo vulnerabili e frangibili, e quindi fa paura. E chiedere aiuto agli altri lo fa ancora di più.

Ogni giorno il mondo ci chiede di presentarci al meglio, di spingere al massimo, di dire sempre “sì”, e di farlo possibilmente con il sorriso più smagliante che abbiamo.

Non assecondare la richiesta significa spesso passare dalla parte del torto, sentirsi in errore, disallineati. La verità è che siamo semplicemente umani, ognuno con i propri coni d’ombra con cui convivere e il proprio scopo di felicità da non perdere di vista, come una luna piena che illumina l’oscurità.

Romina Falconi ha trasformato tutto questo in musica nel suo ultimo singolo, Lupo mannaro, secondo spietato ritratto della galleria degli “sbagliatori” che popolerà il suo terzo album, in arrivo nel 2023.

 

“Con questa canzone ho messo in scena il grande spettacolo del buio. Ho cercato di riassumere la condizione di chi ha un’ombra che esce fuori con grande consapevolezza.
Una confessione a cuore aperto e rotto di chi vuole solo riemergere senza avere un libretto di istruzioni. Non ho censurato la cattiveria perché si tende ad immaginare una persona triste come debole, fragile.
Chi sopravvive al proprio buio, si sente un lupo mannaro per la vita.
Un essere umano può colpevolizzarsi e perdonarsi, pregare e imprecare. Un essere umano è miserabile e supremo, tutto in una vita.
La speranza è la grande assente di questa canzone perché quando un’ombra si rivela e tutto si compie, la speranza la si cerca come si fa con Dio.
E Dio esiste ma temo che ogni tanto ci abbia sopravvalutati.”

Come accaduto lo scorso maggio per l’uscita del singolo La suora, anche Lupo mannaro è accompagnato da una “costola editoriale”, ovvero il secondo volume del Rottocalco. Un vero e proprio metalibro di oltre 230 pagine edito da Poliniani (qui il link per l’acquisto online), che tratterà nel profondo i macrotemi affrontati in Lupo mannaro: gli ululati nel vuoto, la positività tossica e la dannazione dell’impostore.

Il volume sarà disponibile in anteprima dal 28 ottobre all’1 novembre al Lucca Comics & Games 2022, presso gli stand Freak&Chic (Padiglione Games) e Poliniani (Padiglione Autori).

Ad arricchire le pagine dell’opera saranno, fra gli altri, i contributi dell’antropologa Elena Nesti, della psicologa Monia D’Addio, degli autori Roberto RecchioniFrektTito Faraci, dei giornalisti Caterina DamianoPietro CernigliaEmanuele Corbo e Roberto Pancani, e del pubblicitario Riccardo Pirrone; le tavole in versione manga di Marco Albiero, oltre alle opere di Evviart, Edoardo Del Pero e Ninphetamina.

“Chiamami”. La malinconia corre sul filo dei Coma_Cose

Li avevamo lasciati più di un anno fa, reduci dal debutto sanremese e dalla pubblicazione del secondo album, Nostralgia. Poi, dopo la fase dei live di ordinanza, sono seguiti mesi di (quasi) silenzio, e dei Coma_Cose sembravano essersi perse le tracce.

Serviva aspettare un po’. Ora, finalmente, rieccoli. Lama e California sono tornati, e lo hanno fatto nel modo migliore, con un singolo nuovo di zecca, primo assaggio di un nuovo album in arrivo nei prossimi mesi.

Il nuovo brano si intitola Chiamami, ed è stato scritto dai Coma_Cose con Fabio Dalè e Carlo Frigerio, mentre i Mamakass si sono occupati della produzione assieme a Lama.

Ancora una volta, intimità, malinconia e leggerezza si ritrovano nella personale formula che fin dagli esordi ha reso riconoscibile la firma del duo milanese.

Ad accompagnare il brano, un videoclip scritto e diretto da Fausto Lama.

In occasione della nuova uscita, Fausto e California hanno invitato il pubblico a partecipare a un’iniziativa misteriosa: nei giorni scorsi i fan si sono registrati e si sono ritrovati in Largo La Foppa a Milano di fronte a una cabina telefonica allestita per l’occasione dove hanno potuto ascoltare la canzone in anteprima. Tolte le cuffiette è arrivata la vera sorpresa: i Coma_Cose hanno chiamato personalmente i fan presenti, tramite la cornetta della cabina, instaurando delle conversazioni con ogni singolo partecipante e creando così un momento d’intimità unico nel suo genere. C’è chi è accorso da Bologna, Firenze, Napoli. Una ragazza in gravidanza ha voluto portare il proprio bambino a questo suo primo ‘incontro’.