BITS-RECE: La Niña, “Furèsta”. Anima universale

BITS-RECE: La Niña, “Furèsta”. Anima universale

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Sulla copertina del suo secondo album, il volto di La Niña, dipinto sulla superficie di un tamburello, osserva l’ascoltatore con aria severa, e in quello sguardo convivono antichità e tragedia, radici e fierezza. Proprio come le 10 canzoni che compongono Furèsta, il secondo lavoro di Carola Moccia, vero nome dell’artista partenopea.

“Furèsta” non semplicemente a richiamare uno spazio verde abitato dagli alberi, ma un’entità selvaggia, poco incline alle regole domestiche, che in comune con gli alberi ha profonde radici affondate nella propria terra, pur slanciandosi verso l’alto, alla scoperta di qualcosa lontano.

Furèsta è esattamente questo, un disco imbevuto della storia e dell’orgoglio di Napoli, della sua eredità sonora, della sua anima popolare e indomita, arcaica e persino sacrale, ma che non perde il contatto con il presente. Un disco pieno di rabbia e di amore, di tradizione e contaminazione (accanto a mandolino e tamburello spuntano qua e là anche il suono del clavicembalo e le cadenze dell’urban), un disco che più di tutto fa pensare a un messaggio di accoglienza, perché La Niña sembra voler dare voce a tutti. E che si tratti di un progetto di stampo corale è proprio nella dichiarazione di intenti dell’artista.

Se l’immensa eredità della musica di Napoli è la solida base su cui tutto poggia, ogni singolo brano racconta una storia a sé e il disco si allarga in un abbraccio cosmopolita: si va così da O ballo d’ ‘e ‘mpennate, tutto costruito sul suono degli zoccoli dei cavalli, ad Ahi!, che pesca invece dal bolero e da certe sonorità latine; Tremm’ prende spunto dall’atavico fenomeno del bradisismo di Pozzuoli per parlare del tremendo e pacifico senso di impotenza che si prova davanti alla forza della Natura, scatenando un baccanale di percussioni, accompagnato dalla voce di KUKII, artista egiziano-iraniana. Si spinge ancora più lontano nello spazio Sanghe, brano di aura ancestrale, quasi liturgica, incentrato sul tema tremendo della guerra e che mescola napoletano e arabo grazie alla presenza di Abdullah Miniawy.

Con il suo ritmo incalzante, quasi da marcia militare, Figlia d’a tempesta è un autentico e amaro manifesto di denuncia della condizione femminile.

A chiudere è Pica pica, uno dei momenti più interessanti: se da una parte il titolo fa riferimento al nome scientifico della gazza ladra (di cui si sente il suono), dall’altra l’espressione partenopea “pica pica” è usata per indicare la tigna di chi non demorde nel perseguire la propria strada. Musicalmente, a emergere in trasparenza sono sonorità medievali, ancora una volta in un gioco di rimandi tra passato e presente.

Nonostante sia un lavoro ricchissimo di influenze e stratificato, Furèsta è un album che si fa capire subito, perché parla un linguaggio universale, pop(olare) nel vero senso della parola.
La Niña canta per tutti.

BITS-RECE: Keyra, “Femmena”. Orgoglio urban made in Campania

BITS-RECE: Keyra, “Femmena”. Orgoglio urban made in Campania

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit

Questo è quello che definirei un esordio promettente, e fossi in voi mi segnerei il nome di Keyra perché è facile che ne risentirete parlare.

Classe ’98, nata a Salerno, all’anagrafe Annapaola Giannattasio, arriva alla pubblicazione del suo primo EP dopo aver pubblicato una manciata di singoli con cui ha definito il proprio stile: un urban verace ambientato per le strade della sua città, con testi che rispecchiano i sogni e gli sfoghi di chi sta vivendo i proprio anni Venti.

Il titolo dell’EP – Femmena – è già una dichiarazione di orgoglio e di personalità, mentre le sei tracce che lo compongono raccontano il mondo agrodolce di una ragazza alle prese con relazioni sbagliate, rimorsi, storie da riparare, desiderio di dichiarare l’amore per sé stessa e volontà di affermare la propria indipendenza come donna. Anzi, come un femmena.

A prendersi maggiormente l’attenzione sono Femmena, personale rilettura del celeberrimo brano di Totò, Piccirè (“Non sono più una bambina, ma una donna. Il messaggio è: lasciami, lasciami cadere, che tanto mi so rialzare da sola”) e Tabi (“è il mio inno da Amazzone degli anni Venti”).

C’è parecchio potenziale inespresso, e questo mi fa sperare che Keyra ci darà belle soddisfazioni. Diamole il tempo.

#MUSICANUOVA: ANSIAH, “VOODOO”

#MUSICANUOVA: ANSIAH, “VOODOO”

Nel nuovo singolo VOODOO ANSIAH “sputa” fuori veleno contro la società che abbandona gli ultimi e gli emarginati, coloro che non riescono a incasellarsi in nessuno schema preciso e rimangono estraniati dal mondo, senza la possibilità di farne davvero parte.

Uno sfogo in versi, un esercizio di stile che mostra un lato più urban e inaspettato dell’artista casertano.

Pregiudicati Spregiudicati
Tutti i miei amici inguaiati
Escono tardi rientrano tardi
Dio perdona quei bravi ragazzi

Penso alle mie tu pensa alle tue
Non ho mai chiesto a nessuno
La Fila ai bancomat dopo le due
Cavalli scattano formula uno

Due sessanta su un BMW
Così bianca guarda che luna
Spilli addosso fanno voodoo
Mi sono perso non torno più

Mi sento
Metà uomo
Metà bestia
Questa vita
Non è più la stessa
E menomale
Faccio differenza
Parla tanto a me non interessa

Ho l’ansia che mi sale
E una vita da rifare
Bambini per la calle
Sanno cosa fare

Milano come colpo grosso

Ho deciso di fare tutto ciò che posso
Leviamo l’amaro col rosso
Niente ha valore però tutto ha un costo
È così che va
Problemi con tutta l’autorità
Siamo gli sbagli della società
Me la godo perché so che finirà
Dopo si vedrà, l’odio accelera
Nessuno che dice la verità tu vuoi scommettere
Tutti che vogliono fare un giro sulla stessa giostra io voglio scendere

Ho l’ansia che mi sale
E una vita da rifare
Bambini per la calle
Sanno cosa fare

#MUSICANUOVA: Keyra, “Scema”

#MUSICANUOVA: Keyra, “Scema”

Nuovo singolo per Keyra.

Dopo SDM, l’artista salernitana torna infatti con Scema e ci porta nella sua terra d’origine per raccontare una storia d’amore controversa, un sentimento che da amore si trasforma in ossessione e malattia.

Il titolo del brano nasce dall’espressione dialettale m’arraccumann nu fa a scem!, spesso usata tra amanti come giocosa provocazione mossa dalla gelosia.

Il forte legame con il Sud è da sempre uno dei tratti distintivi di Keyra, che in Scema ha un ruolo da protagonista nelle strofe in dialetto campano.

Sin dal singolo Femmena, reinterpretazione in chiave urban del celebre brano di Totò Malafemmena, Keyra ha sempre cercato di coniugare un sound dal sapore mediterraneo, grazie all’utilizzo delle chitarre e delle nacchere flamenche, senza perdere la freschezza del pop e le contaminazioni della musica urban.

Co-scritto da Keyra e Palmitessa e co-prodotto da Thirty e LDO, il nuovo singolo riesuma i resti di una relazione che ha direttamente segnato Keyra nel profondo, influenzando il suo modo di vivere l’amore nel presente.

Scema è una storia verace e passionale, vissuta in sella ad un motorino tra le strade di Salerno, che racconta di come a volte l’amore possa trasformarsi in una “malattia” che salva dalla noia, ma divora dall’interno.

Racconta Keyra: «Scema nasce da un periodo turbolento della mia vita, raccontando l’inizio di una relazione intensa che mi ha segnato profondamente. La stessa relazione che ho raccontato con il brano Piccerè. In questo caso non racconto la fase finale della relazione bensì l’inizio, quando il sentimento tra noi era talmente forte che non riuscivamo a smettere di vederci. Solo dopo molto tempo ho capito che in realtà si trattava di qualcosa di tossico, un gioco malato, una gara a chi ha più potere.
Ammetto di non aver avuto un’adolescenza facile, sono cresciuta più in fretta del dovuto e sicuramente aver avuto una relazione con una persona più grande in un modo o nell’altro mi ha cambiata. Questa situazione mi ha causato molte insicurezze, poi trasformatesi in gelosia, e se oggi ne parlo nelle mie canzoni è perché la musica mi sta dando modo di stare meglio con me stessa e gli altri».

BITS-RECE: Rizzo, “Mi hai visto piangere in un club”. Confessioni sul dancefloor

BITS-RECE: Rizzo, “Mi hai visto piangere in un club”. Confessioni sul dancefloor

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

No, il titolo che ho scelto di dare a questa recensione non è casuale. Confessioni sul dancefloor, ovvero Confessions on a dancefloor, ovvero il titolo di un glorioso album di Madonna. Per la precisione, il disco in cui la regina del pop mondiale – l’unica e vera – celebrava la dance culture e il potere salvifico e catartico della musica sulla pista da ballo.

Con il suo primo EP, Rizzo fa più o meno la stessa cosa: raccoglie otto brani composti negli ultimi 3 anni e ci infila dentro frammenti gioiosi e dolori di vita, esperienze, confessioni, confidenze.

Neanche troppo idealmente, questo progetto nasce come la colonna sonora per accompagnare un flusso di coscienza lasciato fluire tra i laser e le luci stroboscopiche di una pista da ballo, trasformata in un vero e proprio confessionale.

Mi hai visto piangere in un club è il diario personale dell’artista, l’occasione per condividere pensieri intimi, episodi dolorosi e gioie senza freni, declinando il tutto in un ventaglio di sonorità che vanno dalla ballad, all’urban, alla techno.

Come a voler fornire una sorta di legenda con le “istruzioni per l’ascolto”, ogni brano è accompagnato dall’indicazione sul mood che lo caratterizza: si inizia così dal “piangi” di X1MILLY, sicuramente il momento emotivamente più difficile dell’EP, per passare subito dopo al “balla” di CASSA FORTE. Interessante poi il passaggio dal “piangi e balla” di SCIVOLANDO al “balla e piangi” di BONJOUR ADIEU: se il primo, un ritmo tropicale ballato sotto un cielo nuvoloso, è un brano che racconta di una rinascita, il secondo è invece notevolmente più leggero e solare, ma vede al centro una storia di rimorsi su ciò che il passato avrebbe potuto riservare.

Tra i pezzi più interessanti vi è sicuramente FUORITEMPO (categoria “balla”), la cui produzione è affidata a Okgiorgio: un brano sul senso di inadeguatezza di chi capisce di muoversi a un ritmo costantemente diverso da quello del contesto.

Per l’ultima traccia, AMORE – titolo stilizzato in <MOR3 – l’indicazione è “balla tantissimo”, ed effettivamente è difficile stare fermi sotto alla carica di bpm techno da cui si viene travolti.

E allora, in alto i cuori, in alto le mani: nella gioia e nel dolore, la pista del club saprà sempre come accogliervi.

“Desnuda”: da Medellín, il ritorno di BLANCO nel segno del latin-urban

“Desnuda”: da Medellín, il ritorno di BLANCO nel segno del latin-urban

È un sonnacchioso venerdì di giugno inoltrato. Il calendario segna il primo giorno d’estate, ma nonostante il caldo sia arrivato, fuori il cielo sembra ancora piuttosto incerto sulla stagione da indossare.

Essendo venerdì, è giornata di nuove uscite discografiche, ed essendo giugno il menù propone l’arrivo di nuovi brani pretendenti al titolo di tormentone (ma esistono ancora?) estivo, che vanno ad aggiungersi a quelli già pubblicati nelle scorse settimane. Tra le novità in programma per oggi – 21 giugno – è stato annunciato anche Desnuda, il singolo che segna il ritorno sulle scene di BLANCO.

Oggi gli occhi, o meglio le orecchie, sono soprattutto per lui.

Dopo un 2023 che poteva essere esplosivo, l’anno della grande svolta, ma che in parte si è rivelato un boomerang – il fattaccio delle rose a Sanremo; un album, Innamorato, non altezza delle aspettative di vendita; due live negli stadi fissati forse un po’ troppo presto per una carriera ancora così breve – per l’artista bresciano era arrivato il momento del riscatto.

Per questo era ovvio aspettarsi che il nuovo singolo non fosse solo un riempitivo per battere le casse della casa discografica nei mesi estivi. Detto fatto: il nuovo BLANCO – o meglio, il nuovo (brano) di BLANCO – esce e spiazza tutti.

Non solo per la prima volta l’artista canta in spagnolo, ma lo fa mettendo da parte quasi tutto quello che avevamo imparato a conoscere di lui.

Se infatti la produzione è ancora una volta nelle mani del fido Michelangelo, affiancato da Finesse, BLANCO mette da parte il sound ibrido tra pop, rock ed elettronica che lo aveva caratterizzato fino a oggi ed esplora l’universo sonoro del latin-urban.

Anche il canto, di solito così tirato, urlato, “storto”, si fa ora più sommesso, pacato, nonostante nel testo continui a bruciare un’indole viscerale ed esplosiva, che nel brano racconta l’equilibrio tra l’ardore del momento e il desiderio di romantica condivisione di momenti intimi.

DESNUDA è un ponte che unisce in poco meno di 3 minuti storie e mondi lontani: scritto e registrato tra Miami – dove è nato, fluendo spontaneamente a partire da alcune session in studio – e Medellín, la città colombiana dell’eterna primavera che fa da set al videoclip per la regia di Simone Peluso, dove BLANCO ha trascorso il suo primo vero viaggio in solitaria fuori dall’Europa.

BITS-RECE: Anitta, “Funk Generation”. Corto, sporco e cattivo

BITS-RECE: Anitta, “Funk Generation”. Corto, sporco e cattivo

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una mancata di bit.

Lo dico tranquillamente: non avevo nessuna valida ragione per ascoltare questo disco. Conosco discretamente l’artista, non vado particolarmente matto per il suo genere e nessuno mi ha commissionato la recensione. Se l’ho ascoltato – e ora ne scrivo, visto che ci ho investito del tempo – è perché scorrendo la tracklist in Spotify sono rimasto colpito dalla durata media delle canzoni.

Più che album, Funk Generation di Anitta è una scatola di cartucce.

Una raffica di 15 proiettili veloci come schegge, sparati a perdifiato, in neanche 40 minuti.

Si fa giusto in tempo a prendere confidenza con quella carica di bollenti ritmi carioca che tutto è già finito.

Il sesto album della star brasiliana più famosa al mondo (in questi anni almeno) nasce come un tributo al funk delle favelas: “Funk Generation incarna ogni sfumatura di questo genere musicale 100% brasiliano che ha plasmato il mio percorso sia come persona sia come artista”, ha dichiarato Anitta. “Il funk è radicato nella cultura di coloro che vivono nelle favelas brasiliane, da cui provengo, e spesso è stato ingiustamente giudicato come privo di valore artistico, persino associato alla criminalità organizzata. Riflette il classismo e il razzismo presenti nella nostra società. Io faccio parte di una generazione che ha abbracciato il ritmo, è uscita dalle favelas e ha conquistato il Brasile”.

Uno scopo più che nobile insomma, non fosse che terminato l’ascolto dell’album si fa fatica a dire cosa ne resta in testa a parte il bada bum bada bum bada bum. Tutto risulta così frenetico e i pezzi sono così – diciamolo – “simili” tra loro che distinguerli uno dall’altro diventa il vero esercizio dell’ascoltatore. Tra l’altro, sono di una lunghezza imbarazzante, che raramente ho visto in altri album: su 15 tracce totali, solo una supera i 3 minuti, e ben tre restano addirittura sotto i 120 secondi. Per dire, ci sono artisti che inseriscono nei propri album degli “Interlude” più lunghi. Già faccio fatico a farmi andare bene le mini-canzoni da 2 min e un tot che vanno di moda ora, figuriamoci se vedo un timing di 1.23 min…

Più che un manifesto funk, questo lavoro è un mosaico in cui le singole tessere si mangiucchiano a vicenda, si confondono, si appiattiscono pur nel loro fragore.

Se l’intento era far sentire il calore delle notti lungo le strade di Rio, la missione è stata centrata, così come è indubbio che volenti o nolenti ci si ritrovi a ondeggiare le spalle spinti da un esercito di percussioni che non lascia scampo. Ma soprattutto, Funk Generation è un’intricata selva di folklore carioca sporchissima, sudaticcia, lussuriosa e lussureggiante di contaminazioni urban, hip-hop, elettroniche, che sono poi la vera anima dell’album.

A un certo punto, in Ahi, spunta fuori pure Sam Smith, che qui però non centra proprio nulla e, anzi, appare pure un tantino a disagio nonostante la svolta dirty degli ultimi anni.

Da segnalare la citazione di Lose My Breath delle Destiny’s Child nel brano di apertura, che non a caso si intitola Lose Ya Breath. Un tocco gustoso, va detto.

Per il resto, è un po’ tutto come in una sveltina: focoso, travolgente, senza vera passione. E una volta finito passi a fare qualcos’altro.

#MUSICANUOVA: Estremo feat. Rizzo, “MILANO”

#MUSICANUOVA: Estremo feat. Rizzo, “MILANO”

Eri triste
ma era solo Milano

“Spesso, se non ho sessioni o impegni su Milano, nonostante io ci viva e lavori stabilmente, rientro a Brescia, dove sono nato e cresciuto, e lavoro dalla cameretta di casa dove ho iniziato a produrre”.

MILANO è il nuovo singolo di Estremo, qui in collaborazione con Rizzo.

Al confine tra elettronica e pop dance, il brano è un inno alla spensieratezza, alla ricerca della serenità, dove la metropoli lombarda è sinonimo di frenesia, ansia e rincorsa.

“Vengo dalla Franciacorta ed il verde, la campagna, le colline e la tranquillità della vita di paese è ciò che mi fa stare bene quando la grigia frenesia milanese mi rende triste. Questo brano è nato in modo super spontaneo durante la nostra prima sessione insieme. Prima di MILANO io e Rizzo ci conoscevamo già, ma non avevamo mai avuto l’occasione di vederci in studio. Una volta avuta l’idea abbiamo chiuso il brano in pochissimo tempo, eravamo troppo gasati”.

Estremo è Enrico Botta, DJ e produttore classe 1997 nato a Brescia. È capace di destreggiarsi tra urban e musica elettronica e trarre influenze parallele che rendono le sue produzioni un mix omogeneo di generi e vari mondi sonori.

Ha prodotto per Izi, Tedua, Vaz Te, IRBIS 37, Blind, Nomercy Blake e Anzj, fino all’inizio della collaborazione con Madame, con la quale firma il singolo “La promessa dell’anno”. A dicembre 2020 arriva poi l’annuncio della partecipazione del brano “VOCE”, scritto insieme a Madame e Dardust, all’edizione 2021 del Festival di Sanremo.

Continua la sua carriera da DJ, suonando in vari club e festival italiani ed esteri e producendo per artisti come Marco Mengoni, Epoque, Roshelle, Giuse The Lizia, Johnny Marsiglia, Sina e NIO.

Il 2024 si apre con la seconda partecipazione a Sanremo con la produzione di “La Rabbia non ti basta” di Big Mama e con la firma in M.A.S.T. (Believe italia), etichetta con la quale pubblica il suo primo singolo “Forza”, insieme a Okgiorgio.

BITS-RECE: Jeson, “Solo un uomo”. Fuoco e introspezione

BITS-RECE: Jeson, “Solo un uomo”. Fuoco e introspezione

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Ci sono due parole chiave che ben si adattano a sintetizzare le tracce di Solo un uomo, il nuovo EP di Jeson.

La prima è fuoco, che vuol dire passione, ispirazione, energia. La passione per la musica, l’energia che essa richiede, ma anche l’energia e la potenza che traspirano dai pezzi del disco. Un urban “meticcio” e muscolare, ibridato di r’n’b, elettronica, ma anche di gospel e di soul. Un pastiche di stili frutto del un sodalizio artistico con il producer MDM, che si è occupato della realizzazione di tutte le tracce.

La seconda parola è introspezione, che è la prospettiva da cui Jeson ci permette di entrare nel suo universo, la lente da indossare per poter decifrare i brani. Solo un uomo è la lettura di un mondo interiore, uno sguardo profondo alla ricerca di chi si è veramente e di cosa si stia cercando.

Fuoco e introspezione. Non come poli in opposizione, ma come due sfere che si intersecano e si mantengono in equilibrio. Come nella titletrack, uno dei due inediti dell’EP: un brano che riesce a coniugare vigore e apertura musicale con una riflessione matura sul proprio essere.

Colpisce poi la preghiera laica di Halleluja, tesa, tormentata.

Sul finale, con Se penso a me e Il mio posto l’atmosfera si fa musicalmente più intimista grazie a un’impronta più spiccatamente soul, ma non per questo viene meno il fuoco delle intenzioni: anzi, sono forse proprio questi i due brani che “bruciano” maggiormente di desiderio di scrivere, di raccontarsi, di trovare un proprio posto.

Ci aveva visto benissimo Marco Mengoni, che ha voluto coinvolgere direttamente Jeson in Lasciami indietro: in questo ragazzo c’è una promessa accesa sul futuro.
Forse c’è un po’ di lavoro da fare per marcare l’identità (a tratti, la voce mostra richiami un po’ troppo “blancheggianti”, e questa è davvero l’unica sbavatura del progetto), ma il fuoco di Jeson può e deve divampare.

“Eternantena”, l’inedito social di Mahmood


“A volte è solo nel silenzio che ci si ricorda chi siamo e cosa vogliamo diventare. Tutti i giorni leggo i vostri messaggi pieni di sostegno e incoraggiamento e per ringraziarvi ho deciso di farvi un piccolo regalo. Questo è il mio primo inedito social, in regalo a tutti”.
Con queste parole Mahmood ha annunciato via social la pubblicazione di Eternantena, un nuovo brano nato durante il periodo di isolamento per l’emergenza Coronavirus.

Non si tratta di un vero e proprio nuovo singolo, ma di un “inedito social” disponibile – almeno al momento – solo su YouTube come ringraziamento ai fan.

Prodotto da Muut (Francesco Fugazza e Marcello Grilli), il pezzo mostra sonorità decisamente meno immediate di Soldi o dell’ultimo Rapide, rivelando la vena più sperimentale e personale della scrittura di Alessandro.