Lady Gaga lancia il suo “Abracadabra”, ma l’incantesimo funziona?

Lady Gaga lancia il suo “Abracadabra”, ma l’incantesimo funziona?

In oltre 15 anni di carriera Lady Gaga ha dimostrato di essere un’artista decisamente poliedrica.

Ha fatto irruzione nel music biz con pezzi iper-radiofonici diventati classici del dancefloor; è entrata nel mondo del jazz mano nella mano con Tony Bennett; non ha mancato di fare l’occhiolino al rock duettando con Rolling Stones e Metallica; ha fatto valere il suo talento di compositrice più sofisticata tirando fuori ballatone di successo mondiale come Shallow e Die with a Smile; ha sporcato l’immaginario pop con un’estetica dirompente, eccessiva, talvolta volutamente di cattivo gusto (ce lo ricordiamo il meat dress del 2010?). Non da ultimo, si è fatta valere davanti alla macchina da presa con convincenti prove da attrice.

Insomma, quando si parla di Lady Gaga si sta parlando di una fuoriclasse. E dai fuoriclasse ci si aspetta che il livello dell’asticella venga portato ogni volta un po’ più su.

La copertina di MAYHEM

Nei giorni scorsi, Gaga ha finalmente annunciato titolo e data d’uscita del suo nuovo album, il settimo: il progetto si intitola MAYHEM (“caos”) e arriverà il 7 marzo. Stefani Germanotta lo ha presentato con queste parole: “L’album è nato dal mio timore di tornare alla musica pop che i miei primi fan amavano”.

E in effetti, ok l’amore per il jazz, ok i lenti al pianoforte, ok darsi al cinema, ma una buona fetta di little monsters della prima ora non aspettava altro che ritrovare la Gaga “brutta, sporca e cattiva” delle ere passate, The Fame Monster e Born this Way su tutte.

Tenendo da parte Die with a Smile, incluso nella tracklist del nuovo album solo in un secondo momento, probabilmente per il riscontro positivo oltre ogni aspettativa da parte del pubblico, ad anticipare MAYHEM sono stati i singoli Disease, pubblicato a ottobre, e Abracadabra, uscito in concomitanza con la cerimonia di consegna dei Grammy.
Due brani pop decisamente dark e dal mood malato, come lo furono all’epoca Bad Romance e Alejandro, e che sembrano trovare il giusto spazio nella cornice del nuovo album, il cui processo creativo è stato descritto come “riassemblare uno specchio in frantumi: anche se non riesci a rimettere insieme i pezzi alla perfezione, puoi creare qualcosa di bello e integro a modo suo”.

Un ritorno alle origini quindi, come i fan speravano, con un’inversione a U rispetto al country-pop di Joanne, alla dance di Chromatica e al soft rock di A Star is Born, per ritrovare i synth e l’elettronica ruvida dei primordi.

Già, ma siamo sicuri che sia la mossa giusta e che sia proprio questo che i fan chiedevano?

Perché confesso che più lo ascolto, più il nuovo singolo mi lascia perplesso e non mi fa ben sperare per quello che ci aspetta.

Per quanto radiofonico e potenzialmente virale, Abracadabra suona come un rimpasto di diverse cose già proposte in passato: ricorda un po’ Bad Romance (là c’era l’iconico Ra, ra, ah-ah-ah / Roma, roma-ma / Gaga, ooh, la, la qui c’è il meno efficace Abracadabra, amor-oo-na-na / Abracadabra, morta-ooh-ga-ga / Abracadabra, abra-oo-na-na, che ha sì un senso all’interno del brano, ma è davvero troppo complicato da decifrare), un po’ Government Hooker, magnifico tesoro nascosto della discografia gaghiana in omaggio agli anni ’80, un po’ tanto Venus, singolo presente in ARTPOP, forse l’album più incompreso e sottovalutato di Gaga.

Se in passato quei suoni e quell’abitudine nel costruire i ritornelli con le sillabe quasi balbettate (“po po po poker face”, “papa paparazzi”, “Ale Alejandro Ale Alejandro”, “Judas Juda-as, Judas Juda-as”) apparivano freschi ed erano come un marchio di fabbrica, oggi risultano stanchi e vuoti. Un lavoro di maniera, più che di autentica ispirazione.

L’impressione è che stavolta Mother Monster abbia messo da parte la sua solita versatilità e la sua vena creativa per adagiarsi troppo comodamente sulla confort zone.

Anziché essere un oscuro sortilegio pop, Abracadabra risulta la versione pigra dei successi degli anni addietro e Lady Gaga sta forse ripetendo lo stesso errore che fece nel 2011 con Judas, un pezzo che non a torto venne presto ribattezzato da alcuni maligni come “Bad Romance 2.0”.
La storia della musica è abbastanza lunga per dimostrare che in genere questi escamotage non si rivelano vincenti, a parte fortunate eccezioni.
Chiedetelo per esempio a Katy Perry, reduce dal fallimento – perché di questo si tratta – dell’album 143, ricordo sbiadito e insipido della sua golden age.

E anche per quanto riguarda il video, il pensiero corre a cose già viste più di 10 anni fa.

Arrivata al settimo album, Lady Gaga rischia di dare al pubblico un contentino per placare la fame dei fan, e non un disco che dimostri quanto è cresciuta.
Giusto per fare un paragone, il settimo album di Madonna, la matriarca del pop, a cui Gaga resterà per sempre legata da un invisibile filo spinato, fu Ray of Light, un capolavoro di ricerca e sperimentalismo. Tutto ciò che Disease e Abracadabra non sono.

Non mi è del tutto chiaro poi se Germanotta abbia parlato di “timore di tornare alla musica pop” perché la sua intenzione era di prendere un’altra strada, ma ha cambiato i piani per assecondare i fan, o perché temeva che tornando al pop avrebbe proprio rischiato di ripetersi. O forse sono tutte e due le cose insieme.

Da fan, voglio tanto bene a Lady Gaga, ma per la prima volta ho paura che il suo imminente ritorno segnerà un passo indietro.

Spero in una magia, abracadabra

BITS-RECE: Rizzo, “Mi hai visto piangere in un club”. Confessioni sul dancefloor

BITS-RECE: Rizzo, “Mi hai visto piangere in un club”. Confessioni sul dancefloor

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

No, il titolo che ho scelto di dare a questa recensione non è casuale. Confessioni sul dancefloor, ovvero Confessions on a dancefloor, ovvero il titolo di un glorioso album di Madonna. Per la precisione, il disco in cui la regina del pop mondiale – l’unica e vera – celebrava la dance culture e il potere salvifico e catartico della musica sulla pista da ballo.

Con il suo primo EP, Rizzo fa più o meno la stessa cosa: raccoglie otto brani composti negli ultimi 3 anni e ci infila dentro frammenti gioiosi e dolori di vita, esperienze, confessioni, confidenze.

Neanche troppo idealmente, questo progetto nasce come la colonna sonora per accompagnare un flusso di coscienza lasciato fluire tra i laser e le luci stroboscopiche di una pista da ballo, trasformata in un vero e proprio confessionale.

Mi hai visto piangere in un club è il diario personale dell’artista, l’occasione per condividere pensieri intimi, episodi dolorosi e gioie senza freni, declinando il tutto in un ventaglio di sonorità che vanno dalla ballad, all’urban, alla techno.

Come a voler fornire una sorta di legenda con le “istruzioni per l’ascolto”, ogni brano è accompagnato dall’indicazione sul mood che lo caratterizza: si inizia così dal “piangi” di X1MILLY, sicuramente il momento emotivamente più difficile dell’EP, per passare subito dopo al “balla” di CASSA FORTE. Interessante poi il passaggio dal “piangi e balla” di SCIVOLANDO al “balla e piangi” di BONJOUR ADIEU: se il primo, un ritmo tropicale ballato sotto un cielo nuvoloso, è un brano che racconta di una rinascita, il secondo è invece notevolmente più leggero e solare, ma vede al centro una storia di rimorsi su ciò che il passato avrebbe potuto riservare.

Tra i pezzi più interessanti vi è sicuramente FUORITEMPO (categoria “balla”), la cui produzione è affidata a Okgiorgio: un brano sul senso di inadeguatezza di chi capisce di muoversi a un ritmo costantemente diverso da quello del contesto.

Per l’ultima traccia, AMORE – titolo stilizzato in <MOR3 – l’indicazione è “balla tantissimo”, ed effettivamente è difficile stare fermi sotto alla carica di bpm techno da cui si viene travolti.

E allora, in alto i cuori, in alto le mani: nella gioia e nel dolore, la pista del club saprà sempre come accogliervi.

SONIKKU annuncia il nuovo album tra estetica queer e manifesti da dancefloor


SONIKKU
annuncia l’uscita del loro nuovo LP Joyful Death, in uscita il 17 aprile tramite Bella Union. Oggi l’artista rivela il video del primo singolo dell’album Remember to Forget Me, uno spettacolo di lacrime sulla pista da ballo co-scritto con l’amico e collega artista Douglas Dare, e con la voce di Chester Lockhart.

Remember to Forget Me è la canzone più personale del disco”, spiega l’artista. “Douglas mi ha aiutato a scriverlo trattando la sessione di scrittura come una sessione di terapia. Ho mostrato la canzone a Chester e l’abbiamo registrata a Los Angeles con l’aiuto di HANA. La canzone è dedicata chi viene colpito da una leggera pazzia quando è innamorato. Il ritornello è un ossimoro che ricorda a qualcuno che dovrebbe dimenticarti – che di per sé è completamente narcisistico e qualcosa che solo qualcuno sull’orlo del crepacuore direbbe”.

Il video, realizzato con il collettivo di queer dance londinese Pierre & Baby, esplora i problemi all’interno della comunità queer, l’ipercessualizzazione del fisico maschile, la dipendenza, gli effetti che la tecnologia ha sul nostro benessere mentale e il gioco di potere della dipendenza e intimità nei rapporti.

“Adoro le canzoni che ti fanno venire voglia di piangere e ballare allo stesso tempo”, afferma SONIKKU.
Quel senso di liberazione e liberazione senza limiti guida il suo nuovo album, Joyful Death. Un ibrido fluido di vibrante italo-house e synth-pop liquido: un album che segna l’emergere di SONIKKU. “Questo album sembra una trasformazione nel senso che sto creando la musica che ho sempre desiderato fare. Un disco pop pienamente realizzato e coerente che mette in mostra la mia arte come cantautore e produttore”.

“Visivamente, il mio concetto è una mutata interpretazione futuristica dell’estetica degli anni ’80. Mi è venuta questa idea quando ho visto un’immagine di Alien che falsificava un’iconica posa di Grace Jones. Questo tema è presente nella mia copertina dell’album: appaio come un body builder vestito di lattice con muscoli anatomicamente esagerati. Riprenderò questa estetica nel video di Sweat, che mostrerà LIZ mutare in una pulsante macchia di sudore mentre esegue la canzone in un distopico stabilimento balneare ispirato a Blade Runner. ”

Questa la tracklist:
1. Let The Light In (feat. Douglas Dare)
2. WKND (feat LIZ)
3. Don’t Wanna dance With You (feat Aisha Zoe)
4. Sweat (feat LIZ)
5. X Hopeless Romantic (Feat Little Boots)
6. Remember To Forget Me (feat Chester Lockhart)
7. Joyful Death (feat Tyler Mather Oyer)
8. Remember 2 Forget Me (Piano Version) (feat Douglas Dare)

Il controllo totale della sua arte SONIKKU la mostra fin dall’inizio in Let the Light In, in cui le influenze della disco e dei Pet Shop Boys si fondono sotto la voce di Douglas Dare. Il ritmo accelera in WKND, un brano al punto di convergenza tra Madonna, Daft Punk e Indeep con il featuring del losangelino LIZ. L’intento indipendente di SONIKKU è fermamente affermato nel film ispirato al freestyle Don’t Wanna dance With You, a cui partecipa Aisha Zoe.
LIZ ritorna in Sweat, un vero e proprio manifesto di devozione al dancefloor. In X Hopeless Romantic si fanno invece sentire le influenza malinconiche di Robyn.
I sintetizzatori segnalano un cambiamento di ritmo nella linea quasi elettro-darkwave di Remember to Forget Me. Il performer Tyler Matthew Oyer prende la voce per la title-track ispirata alla italo-disco, un manifesto dell’album che trova ispirazione nel concetto di “corpo senza organi” espresso negli anni ’80 dal filosofo francese Gilles Deleuze, e dall’anime The End of Evangelion.
Chiude l’album una ripresa dolorosamente spogliata di Remember to Forget Me.

Dopo essersi trasferito da Derby a Londra all’età di 18 anni, Tony Donson – vero nome di SONIKKU – ha fatto esperienza come stagista in MTV, Dazed & Confused, SHOWstudio, per poi dedicarsi all’attività di DJ tra Londra, Tokyo, Parigi e Berlino. Sebbene continui a fare regolarmente DJ al LGBTQ di Adonis del Tottenham, ha in mente ambizioni extra: “Adoro il DJ ma non vedo l’ora di sviluppare uno spettacolo dal vivo”.

“Non ho mai avuto alcuna formazione musicale, non so nemmeno leggere la musica, ma ho iniziato a produrre sul mio laptop quando avevo 14 anni, ricreando i suoni usati da Madonna. Voglio essere in grado di mostrare ai bambini che non provengono da un ricco background o che non possono permettersi lezioni di musica che è comunque possibile seguire la musica”.

Ava Max ci riprova con “Torn” (e campiona gli ABBA?)


Lanciata lo scorso anno come nuova promessa del pop internazionale, Ava Max è ancora alla ricerca di un secondo brano che la liberi dallo spettro dei fenomeni da “one hit only”.
Se infatti il successo di Sweet But Psycho è stato a dir poco folgorante e le ha permesso di campare di rendita per un’intera annata, non altrettanto si può dire dei brani pubblicati nei mesi scorsi, a cominciare dal secondo singolo, So I Am, che ben poco hanno impattato nelle radio e nelle classifiche.

Per tentare il colpaccio, l’artista si affida perciò ora a Torn, rilasciato il 19 agosto come terzo singolo ufficiale dell’album di debutto, che al momento non ha ancora una data di uscita.
La canzone avrebbe anche il suo bel potenziale e si potrebbe lasciare semplicemente la parola agli streaming e ai download, se non fosse che fin dal primo ascolto l’attenzione viene catturata da un dettaglio su cui vale la pena soffermarsi un attimo.
Sommersa in sottofondo tra i sintetizzatori, non può infatti sfuggire la presenza di un giro armonico familiare, soprattutto per chi ha una certa frequentazione con il pop: mi riferisco a Gimme! Gimme! Gimme! (A Man After Midnight), successone degli ABBA del 1979, tornato in grande auge nel 2005 grazie all’astuto campionamento che ne ha fatto Madonna in Hung Up, e poi di nuovo lo scorso anno grazie alla cover incisa da Cher nel suo primo album-tributo al quartetto svedese.

Sample? Coincidenza? Strategia di marketing? Per ora pare difficile dirlo, visto che tra i crediti – oltre ad Ava Max la canzone è stata scritta da Samuel Martin, James Lavigne, Madison Love e Thomas Eriksen – non compare la firma degli autori di Gimme! Gimme! Gimme! ed è risaputo quanto gli ABBA siano restii a concedere la licenza per l’utilizzo di campionamenti (oltre a Madonna infatti, l’unico caso in cui il gruppo ha dato il nullaosta risale al 1997 ed è stato per The Name Of The Game utilizzata dai Fugees in Rumble In The Jungle).

Succedeva 20 anni fa: Geri Halliwell cercava il suo “chico latino”…


“¿Dónde está el hombre con fuego en la sangre?” si chiedeva esattamente 20 anni fa Geri Halliwell, languidamente distesa al sole in forma tonicissima sui divanetti bianchi di uno yatch.
Era l’estate del 1999 e la popstar britannica apriva così il video di Mi chico latino, secondo singolo estratto dal suo primo album solista Schizophonic, pubblicato nel giugno di quello stesso anno. Il disco inaugurava la “nuova vita” della cantante dopo la rottura con le Spice Girls avvenuta solo l’anno precedente (segnando tragicamente la giovinezza di milioni di teenager in tutto il mondo), con tanto di funerale di Ginger Spice messo in scena nel precedente video di Look At Me. L’idea di una reunion non era nemmeno concepibile all’epoca, e quindi dovevamo tutti abituarci a vedere Emma, Mel B, Mel C e Victoria da una parte e Geri dall’altra.

Perfettamente inserito nel filone del latin-pop che in quegli anni furoreggiava nelle radio grazie ad artisti come Ricky Martin ed Enrique Iglesias, quando l’infestante moda del reggaeton non si era ancora manifestata, il brano è stato scritto dalla Halliwell insieme ad Absolute, nome dietro al quale si celava la coppia di songwriter Paul Wilson e Andy Watkins, ed è un omaggio che la cantante ha voluto rendere alle origini della madre, Ana María Hidalgo, spagnola di Huesca.
Il testo, racconto di una fervente ricerca di un ragazzo latino “con fuego en la sangre” come si diceva, mescolava inglese, spagnolo e italiano, con quel riferimento alla “dolce vita” che ha sempre fatto così tanta presa sugli stranieri.

Il singolo, rilasciato il 16 agosto, è stato accompagnato da un video diretto da Doug Nichol e girato nel mese di luglio sulle spiagge dell’isola di Mortorio, in Sardegna, e vede Geri “braccata” in mare da un manipolo di ragazzoni straripanti di testosterone mediterraneo, tra cui il nostro Luca Tommassini, che si era occupato anche delle coreografie.
Le sonorità latine unite agli scenari di sole e mare della Costa Smeralda erano la combinazione più classica per un successo estivo. E così è stato, soprattutto in patria: Mi chico latino è stato infatti il primo singolo della Halliwell a raggiungere la vetta della classifica inglese, mentre in Italia si è fermato alla quarta posizione.
A rovinare la festa in barca di Geri sono però arrivate alcune accuse di plagio: i francesi Alabina hanno segnalato la somiglianza tra Mi chico latino e la loro Alabina, mentre altre affinità sono state individuate con La isla bonita di Madonna, diventata un’inevitabile pietra di paragone per ogni cantante pop che si fosse azzardata a fare qualcosa anche solo lontanamente spagnoleggiante.

Era tutto bellissimo, eravamo tutti più giovani, ma a distanza di vent’anni una domanda ancora non ha trovato in me risposta: Geri, tesoro, per il crespo di quei capelli non si poteva davvero fare niente?

“God Control”: l’arma del pop contro le armi della violenza


Altro che Raffaella Carrà.
Quando nei giorni scorsi sono trapelate in rete le prime immagini del video di God Control, l’entusiasmo dei fan italiani si è acceso nel vedere Madonna agghindata come la Raffà nazionale, tanto che non è mancato chi ha pensato a un vero e proprio tributo dell’icona americana a quella italiana.
Se la Carrà fosse davvero nella mente della Ciccone non si sa, ma una cosa è certa: il nuovo video di Madonna è qualcosa di molto di più di una luccicante parata danzereccia.
Diretta dal genio visionario di Jonas Åkerlund, autore di alcuni dei video più belli degli ultimi vent’anni, la clip che accompagna il brano è infatti un vero e proprio manifesto politico contro il libero uso delle armi in America, un mezzo creativo con cui Madonna ha scelto di scuotere di nuovo le coscienze, come ha fatto ai tempi di Erotica e di America Life, due tra le su ere discografiche più discusse.

Le immagini del video alternano le scene drammatiche di una sparatoria all’interno di un club durante una serata di musica a quelle di Madonna/Madame X seduta davanti alla macchina da scrivere, intenta a comporre il messaggio della canzone. E non è difficile trovare un collegamento con la strage avvenuta nel Pulse di Orlando nel giugno del 2016, quando Omar Mateen uccise 49 persone all’interno del locale (ferendone più di 50) rivendicando il gesto in nome del sedicente stato islamico. Ad oggi, uno dei più grandi attacchi terroristici compiuti contro la comunità LGBTQ. Ma è evidente che qui il messaggio di Madonna vuole essere universale: sullo sfondo riecheggia anche la strage del 1 ottobre 2017, quando 57 persone persero la vita sotto la mano armata di Stephen Paddock, solo per citare i casi più recenti.
Spostandoci in Europa, si ricorderà che il 13 novembre 2015 130 persone sono morte nell’attentato terroristico avvenuto all’interno del Bataclan di Parigi. Un evento che – pur se non direttamente collegato con il libero uso delle armi – aveva in qualche modo toccato anche Madonna: poche settimane dopo infatti, la popstar ha fatto tappa per due concerti nella capitale francese con il Rebel Heart Tour, scegliendo non solo di non annullare gli eventi, ma organizzando dopo il primo live anche un aftershow in Place de la République, durante il quale ha eseguito di fronte al pubblico accorso Like A Prayer, Ghosttown e Imagine.

“Wake Up”, “svegliamoci”, è l’esortazione di Madonna, mentre sullo schermo appaiono le stime delle vittime morte ogni anno in America sotto i colpi delle armi da fuoco.
La chiusura è invece affidata a poche, chiarissime parole: “No One Is Safe. Gun Control. Now”.

Madame X ci riconsegna Madonna


Madonna
è tornata. Questa volta lo possiamo dire a gran voce, finalmente. E non è tornata solo perché ha pubblicato un nuovo album – il quattordicesimo di inediti -, ma perché consegna un lavoro degno di portare il suo nome in copertina.
Erano più di dieci anni che la Signora sembrava aver perso il vero interesse per la musica, la passione e la curiosità che l’avevano portata a diventare la più grande popstar della storia: se il pop oggi si muove in un certo modo è anche per le indicazioni dettate da lei, questo lo sappiamo. Sul palco è sempre rimasta inarrivabile, eppure da almeno un decennio i suoi lavori sembravano aver perso lo smalto autentico, quello che le aveva permesso di conquistare il mondo fino a Confessions On A Dancefloor, l’ultimo album davvero “da Madonna”. Almeno fino a oggi.
Perché con Madame X – questo il titolo della nuova opera – Madonna sembra essersi di nuovo ricordata chi era: l’artista capace di giocare con il pop e di metterselo in tasca, di piegarlo al suo piacere, anche a costo di azzardare un po’. Anzi, soprattutto con il gusto di azzardare.

Dopo gli ultimi anni in cui l’ostentazione della forma fisica e la voglia di scandalizzare a ogni costo avevano preso il sopravvento sulla musica, Madonna sembra essere tornata a divertirsi con i suoni, mescolando stili e influenze e offrendo una visione inedita del pop. E per questa ennesima reincarnazione la via seguita è stata quella dei suoni del mondo.
Per dirla tutta, molti dei brani che hanno anticipato l’arrivo dell’album non facevano ben sperare: Medellín, scelto addirittura per aprire le porte a tutto il nuovo progetto, altro non è che un reggaeton molto patinato e della collaborazione con la superstar latina Maluma nessuno sentiva francamente la mancanza; così come non si sentiva la mancanza del mood reggaeggiante di Future, soprattutto se messo a confronto con la produzione dei No Doubt, che sulle interpolazioni tra reggae, rock e pop ci hanno costruito la carriera. Ma anche la tanto decantata I Rise non ha il giusto mordente per lasciare il segno. Solo Dark Ballet offriva spunti interessanti: vera e propria suite pop in mid-tempo con inserti operistici che si aprono nel bridge alla contaminazione tra sintetizzatori e Čajkovskij, opera di quel geniaccio dell’elettronica di Mirwais, producer francese che aveva già fatto la fortuna dell’elettro-country di Music.


Superata la soglia delle anticipazioni, ecco però che Madame X rivela tutta la sua ricchezza: un tributo alla cultura latina in diverse declinazioni, senza tralasciare altre influenze etniche e gustosità elettroniche. Come quelle di God Control, altro pastiche sonoro firmato da Mirwais, nel quale convivono, in oltre 6 minuti, pop, gospel e disco music. O Batuka, vibrante di cori e di percussioni africane di Capo Verde, per passare subito dopo alle malinconiche seduzioni del fado portoghese in Killers Who Are Partying, in cui confluiscono anche segmenti urban di hip-hop.
Si cospargono invece di polveri orientali le corde pizzicate di Extreme Occident, mentre la cover di Faz Gostoso, realizzata insieme ad Anitta, torna in area latina per esplodere in festose tonalità carioca. Il reggaeton torna a farsi sentire più prepotentemente, sempre con Maluma, in Bitch I’m Loca (con tanto di autocitazione nel titolo rivisitata e corretta) e lo splendore dei primi anni ’90 si affaccia in I Don’t Search I’m Find, sempre grazie alla mano di Mirwais.
Appena prima della chiusura con I Rise, l’intensa e ispirata ballad Looking For Mercy è un altro momento di grazia.

Curiosamente, resta confinata tra le bonus track della versione in doppio CD Ciao Bella, che avrebbe forse meritato un po’ di visibilità in più.

Se la cultura latina è entrata nella discografia di Madonna già dagli anni ’80 (impossibile non ricordare Who’s That Girl e ancora di più La Isla Bonita), mai come adesso la Signora ci aveva preso familiarità e se ne era impossessata, grazie soprattutto al lungo soggiorno a Lisbona per seguire il figlio nella squadra di calcio.
Come la misteriosa e inafferrabile Madame X del titolo, ispirato al nomignolo dato a Madonna da Martha Graham, per il quattordicesimo album della carriera la Ciccone ha trovato un altro modo per reinventarsi, e lo ha fatto percorrendo le strade musicali del mondo e riunendole sotto l’egida del pop. Canta in inglese, in spagnolo e in portoghese, allunga i brani ben oltre la durata consentita dalle radio e per la prima volta dopo anni sembra non avere più paura di sbagliare mira.

Madonna si è trasformata in Madame X, e Madame X ci ha riportato Madonna. Finalmente.

“Medellin” video premiere: ecco come partecipare all’evento di MTV


Madonna
 presenterà in première mondiale il video di Medellín durante un esclusivo evento organizzato da MTV e trasmesso in contemporanea mondiale: MTV Presents Madonna Live & Exclusive: Medellín Video World Premiere.
In Italia l’evento sarà in onda in diretta mercoledì 24 aprile alle 22:00 in simulcast su MTV, canale Sky 130, e su MTV Music, canale Sky 704.

Madonna raggiungerà il DJ inglese Trevor Nelson e i suoi fan in un’esclusiva location londinese, mentre Maluma interverrà live da Miami.
Madonna, inoltre, risponderà anche alle domande che arriveranno via satellite dal conduttore MTV Sway Calloway e dai fan presenti a New York, oltre a quelle provenienti dagli eventi ospitati da MTV a Milano (condotto da Tommaso Zorzi, star di MTV #Riccanza) e San Paolo(con il conduttore brasiliano Hugo Gloss).

I fan di Madonna possono avere l’opportunità di far parte del pubblico a Londra, New York, Milano e San Paolo.
Per farlo occorre 
rispondere a una precisa domanda: “Where is Madame X going next?” dando libero sfogo alla creatività. La risposta dovrà essere inviata all’indirizzo madamex@madonna.com entro le 00:59 del 21 aprile (23:59 BST April 20th).
Tutte le informazioni sono disponibili sul sito 
Madonna.com.

Lo speciale di 30 minuti sarà in diretta in contemporanea sulle piattaforme digitali e sui canali lineari di MTV in quasi 180 paesi.

Madonna celebra la cultura latina in “Madame X”


Uscirà il 14 giugno Madame X, il quattordicesimo album di inediti di Madonna.
Il disco, di cui si chiacchierava molto già da alcuni mesi sui social, arriva a quattro anni da Rebel Heart ed è stato anticipato dal singolo Medellín, in collaborazione con Maluma.

Mercoledì 24 aprile, alle ore 22:00 (ora Italiana), Madonna presenterà in esclusiva la premiere mondiale del video del nuovo singolo durante l’evento di MTV MTV Presents Madonna Live & Exclusive: Medellín Video World Premiere”.
Durante la serata in diretta da Londra, la superstar incontrerà il dj inglese Trevor Nelson e i suoi fan per parlare delle influenze presenti nel nuovo album e delle forze creative dietro la sua trascendente carriera.
Madonna risponderà inoltre alle domande che le verranno fatte via satellite da Sway Calloway e dai fan in diretta da New York, con ulteriori ospiti e eventi di MTV da Milano e San Paolo.

Per Madonna vivere a Lisbona, in Portogallo, negli ultimi anni ha influenzato creativamente il lavoro dietro la realizzazione di Madame X. L’album, infatti, sarà una collezione di 15 tracce che celebrano la lunga relazione di Madonna con la musica e la cultura latina.
Cantate in portoghese, spagnolo e inglese, oltre al nuovo singolo nell’album troveranno posto l’inno I Rise, la dancehall giamaicana Future in collaborazione con Quavo e co-prodotta con Diplo, e l’innovativa Dark Ballet, prodotta da Mirwais.
Registrato per 18 mesi tra Portogallo, Londra, New York e Los Angeles, il nuovo album vede Madonna tornare a collaborare con il produttore Mirwais, oltre ad altri nomi come Mike Dean e Diplo.

“Il mio disco è nato a Lisbona. Ho trovato lì la mia tribù e un magico mondo di incredibili musicisti che hanno rafforzato la mia convinzione che la musica di tutto il mondo sia veramente connessa e che sia l’anima dell’universo”.

Madame X sarà disponibile in più versioni con tre copertine diverse: una versione standard, una versione deluxe digital con due bonus track, una versione deluxe international con tre bonus track non ancora annunciate, un doppio vinile, una musicassetta e un box set con all’interno i due cd deluxe, un 7” picture disc, una musicassetta, un poster e dei tatuaggi.

Questa la tracklist:
Medellín (featuring Maluma)
Dark Ballet
God Control
Future (featuring Quavo)
Batuka
Killers Who Are Parying
Crave (featuring Swae Lee)
Crazy
Come Alive
Extreme Occident (deluxe edition)
Faz Gostoso (featuring Anitta)
Bitch I’m Loca (featuring Maluma)
I Don’t Search I Find 
Looking For Mercy (deluxe edition)
I Rise

Billie Eilish è il presente, non il futuro


Quella di Billie Eilish poteva essere una ordinaria storia adolescenziale fatta di odio contro il mondo, broncio d’ordinanza, outfit rigororamente nero ingioiellato di borchie, poesie deprimenti scarabocchiate su un quadernetto e ore passate nella solitudine della cameretta a tapparelle abbassate e qualche disco metal sparato ad lato volume.
Invece nel caso di questa diciasettenne californiana le cose sono andate un (bel) po’ diversamente, al punto che oggi al suo nome molti, anzi moltissimi, affidano il destino del pop.

Se Billie Eilish sta facendo parlare di sé la stampa e il pubblico di mezzo mondo già da alcuni anni non è evidentemente solo per un colpo di fortuna, ma qualche merito ci deve pur essere. E in effetti la nostra Billie è una che con la musica ha iniziato familiarizzarci presto, molto presto, anche perché una certa attitudine per l’arte in casa sua c’è sempre stata.
Ora succede che, dopo un primo assaggio con l’EP Don’t Smile At Me, la ragazza dà alle stampe il suo primo album, WHEN WE ALL FALL ASPLEEP, WHERE DO WE GO?, anticipato da un hype che non si sentiva nell’aria da non so quanto tempo. Certamente quell’aura darkeggiante e quell’immagine squisitamente inquietante con cui è solita presentarsi hanno contribuito a stuzzicare l’appetito, ma adesso che l’album è arrivato cosa si può davvero dire di questo nuovo fenomeno del pop?

All’epoca ero troppo piccolo per ricordarlo, ma più di una persona mi ha raccontato come sul finire degli anni ’80 fioccassero le giovani popstar lanciate come presunte “nuove Madonna”: bastava che una fosse un po’ più discinta o esuberante delle altre e puntuale arrivava il confronto con la Ciccone, che all’epoca rappresentava davvero la rivoluzione del pop. Tra le ultime a essere etichettate da stampa e pubblico come “nuove Madonna” non si può non ricordare Lady Gaga (stiamo quindi parlando degli anni 2000), ma prima di lei ne sono passate a decine, quasi tutte miseramente dimenticate dopo qualche singolo. E poi ci sono state le “nuove Whitney”, le “nuove “Mariah”, le “nuove Tina”, addirittura in qualche caso si è già parlato anche di “nuova Adele”.
Nel caso di Billie Eilish il paragone con qualcun’altra è (fortunatamente per lei) difficile da fare, perché in effetti il suo stile non assomiglia davvero a niente che si sia sentito in giro: sì, siamo nell’area del pop, ma il suo non è esattamente alt-pop, né elettropop, né dance pop, né indiepop. È piuttosto un ibrido di influenze che prendono prestiti anche dal cantautorato, dal rock, dalla trap e persino da qualche ascolto di jazz.
Ecco che allora per lei si parla di “futuro del pop”. Personalmente, e forse meno romanticamente, sono più propenso a contestualizzare il mondo sonoro di Billie Eilish ai giorni nostri, nel nostro presente, come una nuova, moderna e freschissima manifestazione di una generazione abituata a mescolare le carte sulla tavola e rompere i confini d’identità.

WHEN WE ALL FALL ASPLEEP, WHERE DO WE GO? è giustamente un disco di cui vale la pena parlare, è spiazzante, affascinante, “obliquo” nel suo non prendere mai direzioni precise. Lo pervade un’inquietudine sincera e scomoda: è un disco figlio di questi tempi, frutto della creatività visionaria di una ragazza (e di suo fratello maggiore Finneas O’Connell) che – se non si perderà per strada – avrà seriamente la possibilità di scrivere il suo nome nella storia del pop e sarà davvero il “futuro”. Ma di questo ne parleremo quando ci arriveremo.

Per ora concentriamoci sul presente e su questo dirompente album d’esordio.
Tutto ci si poteva aspettare, tranne che un disco così venisse aperto da una risata spontanea e solare come quella che risuona in !!!!!!!, giusto in tempo però per lasciare spazio a ben altre atmosfere in pezzi come bad guy e xanny, che ammaliano con i loro incantesimi di elettronica perversa e sinistra, e poi ancora in quello che è probabilmente il pezzo-sovrano del disco, you should see me in a crown. È in momenti come questi che l’animo nero di Billie ci si palesa in tutta la sua forza meravigliosa, tra spire oscure di sintetizzatori, beat ipnotici e giochi al vocoder. Ed è abbastanza evidente che sono questi gli elementi attorno a cui la Eilish preferisce far girare la sue storie di fantasmi e inquietudini: ce lo dicono, per esempio anche my strange addiction e bury a friend.
Ma sarebbe un errore credere di aver così inquadrato tutto il personaggio: basta ascoltare wish you were gay o l’accompagnamento all’ukulele di 8. Se poi ci portiamo verso la fine dell’album incontriamo un trittico di brani improntati al minimalismo degli arrangiamenti: listen before i go poggia su un accompagnamento dilatatissimo ed etereo, i love you viene imbastito con chitarra, pianoforte e pochissimo altro e la conclusiva goodbye è incentrata sui riverberi sintetici della voce.

Eccolo il mondo di Billie Eilish, eccolo qui il nuovo pop: oscuro, sotterraneo, contorto. Caderci dentro potrebbe essere bellissimo, e non serve aspettare il futuro. Billie Eilish è arrivata, ed è qui per stupirci adesso.