BITS-CHAT: Canzoni, storytelling e uncinetto. Quattro chiacchiere con… Prim

BITS-CHAT: Canzoni, storytelling e uncinetto. Quattro chiacchiere con… Prim

All’anagrafe è registrata come Irene Pignatti, ma ha scelto di firmare le sue canzoni come Prim, portando nella musica tutto il mondo che le sta attorno.
Classe 1999, ha iniziato a scrivere canzoni in inglese all’età di 14 anni, prendendo come riferimento gli artisti internazionali, prima fra tutti i Beatles.
Con il tempo, partendo dai dintorni di Modena, sua città natale, il “pop triste” di Prim ha iniziato a farsi sentire sempre più in là, e pur giovanissima la cantautrice può tra le sue esperienze può vantare anche una partecipazione allo SXSW, importante festival musicale e cinematografico che dal 1987 si tiene ogni anno ad Austin, in Texas.

Per lei è arrivato ora il tempo di pubblicare un nuovo EP, DIY Crochet, anticipato negli scorsi mesi da alcuni singoli.
Il titolo nel nuovo progetto è piuttosto eloquente e suona come un manifesto: da una parte, il concetto del farcela da soli (“do it yourself”), dall’altra il riferimento all’uncinetto (in inglese crochet), sua grande passione, simbolo anche di artigianalità e creatività, anche nella musica.

Riprendendo la metafora dell’uncinetto e dei tessuti, che torna anche sulla cover del nuovo EP, se dovessi abbinare ogni traccia del disco a un tessuto colorato, quale tessuto e quale colore sceglieresti?
Ognuna delle tracce del mio EP è un lungo filo di cotone, che si intreccia con il resto diventando un prodotto finito. Ogni brano ha un colore e il colore è lo stesso usato per le rispettive copertine dei brani: “Dormire in macchina” giallo, “Mhh mmm” rosso, “Amore infedele” bianco, “Luglio” grigio.

Il titolo dell’EP, DIY Crochet, racchiude due concetti oggi centrali, quello del “farcela da soli” e quello della creatività handmade, che oggi sembra messo a dura prova dell’intelligenza artificiale. Da musicista, hai paura che l’AI possa uccidere la creatività e appiattire l’arte?
No, non ho questa paura. L’emotività non può essere sostituita dall’intelligenza artificiale, e senza l’emotività e l’empatia la musica non esisterebbe. Sicuramente l’AI è avanti nel creare brani da zero, dal punto di vista del sonoro e delle topline, ma non credo che sarà mai in grado di scrivere un brano in maniera unica e personale.

A differenza del precedente EP, incentrato sulla tua famiglia, in questo racconti le storie degli altri, il mondo che ti circonda. Da cantautrice, trovi più semplice raccontare te stessa o il mondo esterno?
Dipende. Il primo EP è nato in maniera spontanea e concreta. Avevo bisogno di esprimermi su quelle tematiche e ci sono riuscita facilmente. Se dovessi scrivere invece una canzone più introspettiva o legata all’amore e al rapporto di coppia, farei veramente tanta fatica, perché mi sembra di mettermi a confronto con tutti gli altri artisti che scrivono di questo tema. Non so se ha senso, ma mi sembra di perdere concretezza.
Per la scrittura del nuovo EP mi sono presa molto più tempo: parla di storie di altri, perché è tutto storytelling. Con lo storytelling si può andare ovunque e per questo ti si aprono migliaia di porte, ed è poi complicato decidere quale scegliere.


Vivere in macchina affronta alcuni temi cruciali per la tua generazione (il costo della vita in un grande grande città come Milano, la difficoltà nel trovare stabilità), intrecciandoli con la tua sensazione di essere sempre inadeguata. Qual è la tua personale soluzione per non vivere “una vita di plastica”?
Non credo ci sia una soluzione, in realtà il brano è scritto in chiave ironica seguendo le lamentele di un’amica che non ha alcun problema economico ma si lamenta della sua situazione, appunto, economica, essendo una fuorisede a Milano.

Luglio continua ancora essere per te un mese grigio e interminabile, come canti nel brano omonimo?
Sì luglio è sempre un mese grigio e interminabile, quasi paragonabile a febbraio, altro mese interminabile, anche se dura meno degli altri. Ho sempre passato le giornate di luglio a fare il conto alla rovescia, sperando che finisse il più presto possibile.


Chi sono i tuoi principali riferimenti musicali?
I The 1975 sicuramente, ma dal punto di vista del suono mi sto riferendo soprattutto ad artisti internazionali che fanno bedroom pop e dream pop come i Men I Trust, Clairo, Mac De Marco, Her’s.

Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
La ribellione per me è prendersi il tempo di fare le cose con le proprie mani, in un mondo che va sempre più veloce. È scegliere il proprio processo creativo in maniera indipendente.

E se in questa estate povera di tormentoni la soluzione fosse Sandra Mondaini?

E se in questa estate povera di tormentoni la soluzione fosse Sandra Mondaini?

Ce lo ripetiamo ormi da anni, e anche l’estate 2025 sembra non fare eccezione: non ci sono più i tormentoni di una volta! Anzi, non ci sono proprio più i tormentoni!
Da un numero imprecisato di estati, anche quando un brano riesce a dominare le classifiche vacanziere, manca quel successo capace di entrare nelle sinapsi di tutti, anche di chi di solito la musica non la cerca ma la subisce, e di restarvici appiccicato per mesi.
Ma dell’estinzione del tormentone si sono già occupati in parecchi, e non è certo questa la sede per affrontare l’annosa questione. Il punto su cui vorrei soffermarmi ora è un altro.

Se infatti da una parte mancano i veri bangerz da ombrellone, non significa che tra le uscite discografiche non vi siano comunque delle piccole chicche da scoprire o riscoprire.
Una di queste riporta in auge un nome del tutto inaspettato: Sandra Mondaini.

Ebbene sì, la celebre e indimenticabile showgirl nella sua lunga carriera è stata anche cantante e tra i suoi successi ce n’è uno che proprio quest’anno ha rifatto un capolino. Anzi, un doppio capolino!

Stiamo parlando di Cerco un uomo, sigla di apertura dello spettacolo televisivo Noi… no! del 1977, condotto in coppia con Raimondo Vianello. Un brano che già all’epoca non mancò di suscitare stupore tra il pubblico, dato il suo testo sensuale.

Il singolo rivive ora in una versione house firmata da Paolo Martini & Stefano Ranieri, figure di spicco della scena house italiana, unite da una profonda passione, rispetto per la cultura pop e una visione artistica condivisa: “Questo remix è nato da un dialogo artistico spontaneo: un omaggio alla storia italiana che fonde le nostre esperienze e prospettive musicali”, hanno dichiarato i due producer.


Una release che rappresenta un autentico ponte tra generazioni e stili. E che questo brano susciti un certo fascino ancora oggi lo testimonia anche il fatto che proprio Cerco un uomo sia stato scelto da Ditonellapiaga come lato A del 45 giri digitale in cui reinterpreta due brani del passato: “Ho deciso di fare uscire un 45 giri (digitale), come si faceva una volta. Cerco un uomo, il lato A, è una canzone che mi ossessiona da tempo e da anni avevo voglia di farne una mia versione. […] una chicca ingiustamente dimenticata che ho sempre trovato ultra moderna per l’epoca”.

La traccia scelta per “lato B” è invece Febbre d’amore, “una scoperta recente, un brano scritto da Rosario Bella e Cheope nel 1984 e cantato da Marcella Bella. Sensuale, estivo, fresco”.

Insomma, ormai lo sappiamo: il passato è sempre un luogo in cui andare a cercare le novità.

Ditonellapiaga

BITS-RECE: GIMA “JOMO”. Una stanza (per ballare) tutta per sé

BITS-RECE: GIMA “JOMO”. Una stanza (per ballare) tutta per sé

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

“I keep dancing on my own” cantava – ormai un po’ di anni fa – Robyn, in quello che è diventato una vero e proprio manifesto alla solitudine da dancefloor. Ma certo Robyn non è stata la prima né l’ultima a contribuire alla narrazione della pista da ballo come luogo intimi, introspettivo, talvolta addirittura spazio per riversare le proprie lacrime.

Perché lo sappiamo bene, anche quando siamo immersi nella folla, anche quando ci troviamo in un luogo gremito, anche quando l’aria l’aria investita dei bpm lanciato dal DJ in console, capita di sentirsi soli, estraniati da tutta la vita che ci si muove attorno. A volte è una situazione che provoca disagio, a volte è davvero un’esigenza.
Desiderare sparire, godere di quel momento solo per noi, respirarlo fino all’ultimo palpito di sudore provocato da un ballo che è molto di più di una semplice occasione di evasione, ma diventa un’esigenza di sopravvivenza.

Ed è un po’ questo il messaggio che emerge dalle cinque tracce di JOMO, il primo EP di GIMA, uno dei nomi emergenti più promettenti della scena club italiana. Che il producer fosse promotore di questa filosofia lo si era già capito dai brani che hanno anticipato la release (Come si fa?, Bugatti), e ancora prima nel singolo Tempesta.
Usare l’elettronica per ritagliarsi uno spazio tutto per sé, non assecondare la corrente, ma risalirla per creare una narrazione personale.

Il titolo è l’acronimo di “joy of missing out” (la gioia dell’essere tagliati fuori), chiaro contraltare della FOMO, di cui oggi siamo troppo spesso schiavi, ovvero la paura di restare tagliati fuori, di non essere abbastanza connessi con l’esterno, di perderci l’essenziale.

Sotto ai suoi potenti muri di bpm, il producer avellinese costruisce un racconto diverso, all’insegna della volontà di stare al passo seguendo però sentieri meno frequentati: “Avevo bisogno di scappare dalla frenesia di Milano, la città in cui vivo da un po’ di tempo, per scrivere un EP che raccogliesse quel senso di smania urbana ma la rendesse intima”, racconta GIMA. “L’artwork e la creatività raccontano questo. Mi sono concentrato sulla mia assenza, sulla mia JOMO, lasciando che l’artista che c’è in me si rifugiasse nell’unico luogo – seppur metaforico – in cui sono davvero presente: la musica”.

E allora balliamo, selvaggiamente, forsennatamente, seguendo però solo il ritmo della nostra essenza.

BITS-RECE: Keyra, “Femmena”. Orgoglio urban made in Campania

BITS-RECE: Keyra, “Femmena”. Orgoglio urban made in Campania

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit

Questo è quello che definirei un esordio promettente, e fossi in voi mi segnerei il nome di Keyra perché è facile che ne risentirete parlare.

Classe ’98, nata a Salerno, all’anagrafe Annapaola Giannattasio, arriva alla pubblicazione del suo primo EP dopo aver pubblicato una manciata di singoli con cui ha definito il proprio stile: un urban verace ambientato per le strade della sua città, con testi che rispecchiano i sogni e gli sfoghi di chi sta vivendo i proprio anni Venti.

Il titolo dell’EP – Femmena – è già una dichiarazione di orgoglio e di personalità, mentre le sei tracce che lo compongono raccontano il mondo agrodolce di una ragazza alle prese con relazioni sbagliate, rimorsi, storie da riparare, desiderio di dichiarare l’amore per sé stessa e volontà di affermare la propria indipendenza come donna. Anzi, come un femmena.

A prendersi maggiormente l’attenzione sono Femmena, personale rilettura del celeberrimo brano di Totò, Piccirè (“Non sono più una bambina, ma una donna. Il messaggio è: lasciami, lasciami cadere, che tanto mi so rialzare da sola”) e Tabi (“è il mio inno da Amazzone degli anni Venti”).

C’è parecchio potenziale inespresso, e questo mi fa sperare che Keyra ci darà belle soddisfazioni. Diamole il tempo.

BITS-RECE: ETHAN, “METAMORFOSI (VOL.1)”. Queerness dionisiaca

BITS-RECE: ETHAN, “METAMORFOSI (VOL.1)”. Queerness dionisiaca

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit

Nell’antica Grecia, Dioniso era il dio dell’eccesso, il dio dell’ebbrezza, della follia, della possessione, dell’estasi mistica. Il suo corteo orgiastico, popolato da satiri caprini e baccanti invasate, era portatore di disordine e inquietudine nel mondo civilizzato delle poleis. Dioniso il dio legato all’aspetto selvaggio e ferino dell’uomo, era il dio dell’istinto animale, opposto al più rassicurante equilibrio apollineo.

Per questo Dioniso era guardato con timore e sospetto, perché la sua presenza richiamava tutto ciò che non si poteva governare, che usciva dalle regole, che si allontanava dalla norma, ma anche tutto ciò che arrivava da lontana, soprattutto dalle misteriose e malviste terre orientali.

Se oggi prendesse vita un moderno corteo dionisiaco, molto probabilmente si muoverebbe al suono ipnotico di un’elettronica acida e contaminata di suggestioni esotiche, naturalmente all’insegna della queerness

Tutti elementi che ritornano nelle sonorità e nell’estetica di METAMORFOSI (VOL. 1), il nuovo EP dell’italo-brasiliano ETHAN.

Cinque tracce che fanno incontrare il mondo del clubbing con l’r’n’b, il baile funk di matrice carioca, fino a catturare echi mediorientali. Un manifesto queer sensuale, fluido ed eterogeneo, frutto di un percorso di ricerca e sperimentazione dell’artista, che va alla riscoperta delle proprie origine anche nella lingua, alternando liriche in italiano e in portoghese.

METAMORFOSI (VOL. 1) è la risposta a un mondo che spesso ci vuole statici, omogenei, omologati: una danza tra il passato e il futuro, un viaggio che fonde la sperimentazione elettronica con il pop più tangibile. Ogni traccia è un esperimento, un dialogo tra quello che siamo e quello che potremmo diventare. Non siamo più vincolati a una forma predefinita, ma liberi di fluttuare tra suoni, emozioni e idee, pur mantenendo intatto il nostro nucleo”, dichiara ETHAN.

Un diretto rimando al mondo classico è quello del titolo, metamorfosi, termine che allude alla trasformazione e al cambiamento: “In ogni cambiamento c’è una liberazione e la musica è la nostra via per farla emergere. La metamorfosi è il cammino verso una versione più autentica di noi stessi, un flusso che non segue regole, ma che crea nuove possibilità. È il coraggio di spingersi oltre, di esplorare l’inconosciuto e di rinascere”.

Esotiche ed eterogenee anche lo collaborazioni: il cantante carioca MC GW, il produttore multiplatino brasiliano DJ 2F e la performer italo-persiana NAVA.

BITS-RECE: Kimera, “I fiori del male”. Poesia nel cuore della notte

BITS-RECE: Kimera, “I fiori del male”. Poesia nel cuore della notte

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Siamo Uomini, animali sociali, ce lo hanno insegnato i Greci: siamo nati per stare in gruppo, vivere in società, creare relazioni, instaurare rapporti civili. E questo lo facciamo principalmente durante il giorno, nelle ore di luce, quando indossiamo la nostra maschera migliore per uscire di casa e affrontare il mondo fuori.

E poi c’è la notte. L’altra faccia della medaglia, la faccia buia, misteriosa, segreta. Che la notte abbia da sempre esercitato su di noi un fascino potentissimo non è certo un mistero. Artisti, scrittori, filosofi, poeti ce lo hanno raccontato. È di notte che ci guardiamo in faccia per ciò che siamo veramente; di notte siamo disposti ad accettare ciò che siamo e ciò che vogliamo; di notte lasciamo cadere le difese e affrontiamo demoni, desideri, fragilità. Per cui sì, siamo animali sociali, ma siamo anche animali notturni.

Un racconto poetico e profondo della notte, dei suoi labirinti di emozioni, delle sue vertigini e dei suoi vortici, lo troviamo nelle tracce di I fiori del male, nuovo progetto del cantautore Kimera.

In un tessuto elettronico che si divide tra synth-pop e darkwave, Kimera costruisce un cantautorato notturno dai toni freddi, in cui prendono vita episodi di passione e fragilità, intimità e smarrimento.
Un cantautorato che si apre alle ultime luci del crepuscolo per liberare pensieri, preghiere, suppliche, in una corsa a perdifiato lungo chiaroscuri stupendi e spaventosi, con la Luna come unica, ideale testimone, ferma e muta nel cielo.

Le cinque tracce dell’EP sono istantanee di un racconto di vita, a partire da Artico, in cui la dolcezza del canto fa da perfetto contraltare all’amarezza di un amore solo sognato; partendo dal riferimento baudelairiano, I fiori del male, traccia che dà il titolo all’EP, esprime al massimo il senso di smarrimento e solitudine, mentre Quando le discoteche chiudono è forse il pezzo che meglio riassume lo spirito di tutto il progetto.

Chiude Hyperlove, l’ultimo abbaglio notturno, l’ultima scheggia di ghiaccio: “Il silenzio fa un rumore così forte da sentire anche quaggiù”.

È l’ultimo segreto svelato al termine di una corsa disperata, mentre all’orizzonte si intravedono le prime luci di un nuovo giorno. E tutto sembra diverso.
“Tra la nebbia resta solo una certezza / il nostro è un hyperlove”.

BITS-RECE: Rizzo, “Mi hai visto piangere in un club”. Confessioni sul dancefloor

BITS-RECE: Rizzo, “Mi hai visto piangere in un club”. Confessioni sul dancefloor

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

No, il titolo che ho scelto di dare a questa recensione non è casuale. Confessioni sul dancefloor, ovvero Confessions on a dancefloor, ovvero il titolo di un glorioso album di Madonna. Per la precisione, il disco in cui la regina del pop mondiale – l’unica e vera – celebrava la dance culture e il potere salvifico e catartico della musica sulla pista da ballo.

Con il suo primo EP, Rizzo fa più o meno la stessa cosa: raccoglie otto brani composti negli ultimi 3 anni e ci infila dentro frammenti gioiosi e dolori di vita, esperienze, confessioni, confidenze.

Neanche troppo idealmente, questo progetto nasce come la colonna sonora per accompagnare un flusso di coscienza lasciato fluire tra i laser e le luci stroboscopiche di una pista da ballo, trasformata in un vero e proprio confessionale.

Mi hai visto piangere in un club è il diario personale dell’artista, l’occasione per condividere pensieri intimi, episodi dolorosi e gioie senza freni, declinando il tutto in un ventaglio di sonorità che vanno dalla ballad, all’urban, alla techno.

Come a voler fornire una sorta di legenda con le “istruzioni per l’ascolto”, ogni brano è accompagnato dall’indicazione sul mood che lo caratterizza: si inizia così dal “piangi” di X1MILLY, sicuramente il momento emotivamente più difficile dell’EP, per passare subito dopo al “balla” di CASSA FORTE. Interessante poi il passaggio dal “piangi e balla” di SCIVOLANDO al “balla e piangi” di BONJOUR ADIEU: se il primo, un ritmo tropicale ballato sotto un cielo nuvoloso, è un brano che racconta di una rinascita, il secondo è invece notevolmente più leggero e solare, ma vede al centro una storia di rimorsi su ciò che il passato avrebbe potuto riservare.

Tra i pezzi più interessanti vi è sicuramente FUORITEMPO (categoria “balla”), la cui produzione è affidata a Okgiorgio: un brano sul senso di inadeguatezza di chi capisce di muoversi a un ritmo costantemente diverso da quello del contesto.

Per l’ultima traccia, AMORE – titolo stilizzato in <MOR3 – l’indicazione è “balla tantissimo”, ed effettivamente è difficile stare fermi sotto alla carica di bpm techno da cui si viene travolti.

E allora, in alto i cuori, in alto le mani: nella gioia e nel dolore, la pista del club saprà sempre come accogliervi.

BITS-RECE: Mazzariello, “Antisommossa”. À la guerre comme à la vie

BITS-RECE: Mazzariello, “Antisommossa”. À la guerre comme à la vie

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.

“À la guerre comme à la guerre”, recita un celebre adagio. Ovvero, prendi le cose per quel che sono. E se proprio devi andare in guerra, preparati a combattere, perché altro non potrai aspettarti.

Sia che la guerra sia reale, all’esterno, sia che tu la senta dentro.

Lo sappiamo bene, essere giovani, trovarsi a crescere, non è mai stato un gioco; e non lo è a maggior ragione in questi tempi, fatti di un futuro che si può declinare solo al condizionale. Inquietudini, paure, ossessioni, aspettative. Se questo scenario non è una guerra, come lo si può chiamare?

Sarà forse anche per questo che nel suo nuovo EP, Mazzariello ha usato un lessico lessico da combattimento, a cominciare dal titolo del disco, Antisommossa. Che di per sé è l’atteggiamento di chi lo scontro cerca di evitarlo, ma che sembra piuttosto nascondere un senso di rassegnazione verso qualcosa che non si può cambiare. In ogni caso, un termine plumbeo, “pesante”, come il mood generale del disco.

A confermarlo arrivano poi titoli come Atti estremi in luogo pubblico, Blindati, Bombe carta, infilati uno dopo l’altro nelle prime tre tracce.

In 6 brani, e in poco meno di 20 minuti, nelle canzoni di Antisommossa si fanno strada amori, frenesie, abbandoni, mancanze: un ritratto stropicciato di una generazione che cerca il proprio posto, che non sa stare ferma ma che non sa neanche dove andare.

Lo stile gira attorno a un elettro rock bello carico, un funky pop allegrotto e influenze indie, che non mancano mai, specie quando il mood si veste di tinte uggiose.

E allora, “À la guerre comme à la guerre”, dicevamo. Forse, sarebbe meglio dire “À la guerre comme à la vie”. Ma anche vicersa.

BITS-RECE: Jeson, “Solo un uomo”. Fuoco e introspezione

BITS-RECE: Jeson, “Solo un uomo”. Fuoco e introspezione

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Ci sono due parole chiave che ben si adattano a sintetizzare le tracce di Solo un uomo, il nuovo EP di Jeson.

La prima è fuoco, che vuol dire passione, ispirazione, energia. La passione per la musica, l’energia che essa richiede, ma anche l’energia e la potenza che traspirano dai pezzi del disco. Un urban “meticcio” e muscolare, ibridato di r’n’b, elettronica, ma anche di gospel e di soul. Un pastiche di stili frutto del un sodalizio artistico con il producer MDM, che si è occupato della realizzazione di tutte le tracce.

La seconda parola è introspezione, che è la prospettiva da cui Jeson ci permette di entrare nel suo universo, la lente da indossare per poter decifrare i brani. Solo un uomo è la lettura di un mondo interiore, uno sguardo profondo alla ricerca di chi si è veramente e di cosa si stia cercando.

Fuoco e introspezione. Non come poli in opposizione, ma come due sfere che si intersecano e si mantengono in equilibrio. Come nella titletrack, uno dei due inediti dell’EP: un brano che riesce a coniugare vigore e apertura musicale con una riflessione matura sul proprio essere.

Colpisce poi la preghiera laica di Halleluja, tesa, tormentata.

Sul finale, con Se penso a me e Il mio posto l’atmosfera si fa musicalmente più intimista grazie a un’impronta più spiccatamente soul, ma non per questo viene meno il fuoco delle intenzioni: anzi, sono forse proprio questi i due brani che “bruciano” maggiormente di desiderio di scrivere, di raccontarsi, di trovare un proprio posto.

Ci aveva visto benissimo Marco Mengoni, che ha voluto coinvolgere direttamente Jeson in Lasciami indietro: in questo ragazzo c’è una promessa accesa sul futuro.
Forse c’è un po’ di lavoro da fare per marcare l’identità (a tratti, la voce mostra richiami un po’ troppo “blancheggianti”, e questa è davvero l’unica sbavatura del progetto), ma il fuoco di Jeson può e deve divampare.

#MUSICANUOVA: Ainé – “Pareti – Agosto”

#MUSICANUOVA: Ainé – “Pareti – Agosto”

 

La mia testa non ha più pareti, non ha più barriere né confini. Riesco a vedere, riesco a sentire ogni profumo, chiudo gli occhi e mi godo la salita. Sono in cammino verso chissà dove, spengo la mente, i pensieri e accendo la pancia e le sensazioni. Questa volta ho detto no, non permetterò a niente e a nessuno di rovinare il mio viaggio. Te lo prometto. Questa volta vengo prima io. Me lo prometto.
Stavolta dico di no. Ho spento la tua voce nella testa e ho ritrovato la mia.
Con ogni pezzo che raccolgo risalgo, e i sorrisi adesso hanno un altro sapore, perché la fatica della salita è miele. Mi chiedo ancora chi sono, ma da oggi rinasco da solo
”.

Con queste parole Ainé descrive Pareti – Agostoil suo nuovo singolo, seconda anticipazione dell’EP BUIO in uscita il 19 aprile dopo Scappare – Giugno

In ogni canzone del nuovo progetto discografico, Ainé, uno dei più importanti esponenti del nu soul italiano, descrive le emozioni derivate, mese dopo mese, da una separazione importante.

In Pareti – Agosto si racconta la voglia di cercare un percorso libero e autonomo, districandosi dai fili che ci legano a qualcosa che oramai non esiste più.