BITS-RECE: Rizzo, “Mi hai visto piangere in un club”. Confessioni sul dancefloor

BITS-RECE: Rizzo, “Mi hai visto piangere in un club”. Confessioni sul dancefloor

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

No, il titolo che ho scelto di dare a questa recensione non è casuale. Confessioni sul dancefloor, ovvero Confessions on a dancefloor, ovvero il titolo di un glorioso album di Madonna. Per la precisione, il disco in cui la regina del pop mondiale – l’unica e vera – celebrava la dance culture e il potere salvifico e catartico della musica sulla pista da ballo.

Con il suo primo EP, Rizzo fa più o meno la stessa cosa: raccoglie otto brani composti negli ultimi 3 anni e ci infila dentro frammenti gioiosi e dolori di vita, esperienze, confessioni, confidenze.

Neanche troppo idealmente, questo progetto nasce come la colonna sonora per accompagnare un flusso di coscienza lasciato fluire tra i laser e le luci stroboscopiche di una pista da ballo, trasformata in un vero e proprio confessionale.

Mi hai visto piangere in un club è il diario personale dell’artista, l’occasione per condividere pensieri intimi, episodi dolorosi e gioie senza freni, declinando il tutto in un ventaglio di sonorità che vanno dalla ballad, all’urban, alla techno.

Come a voler fornire una sorta di legenda con le “istruzioni per l’ascolto”, ogni brano è accompagnato dall’indicazione sul mood che lo caratterizza: si inizia così dal “piangi” di X1MILLY, sicuramente il momento emotivamente più difficile dell’EP, per passare subito dopo al “balla” di CASSA FORTE. Interessante poi il passaggio dal “piangi e balla” di SCIVOLANDO al “balla e piangi” di BONJOUR ADIEU: se il primo, un ritmo tropicale ballato sotto un cielo nuvoloso, è un brano che racconta di una rinascita, il secondo è invece notevolmente più leggero e solare, ma vede al centro una storia di rimorsi su ciò che il passato avrebbe potuto riservare.

Tra i pezzi più interessanti vi è sicuramente FUORITEMPO (categoria “balla”), la cui produzione è affidata a Okgiorgio: un brano sul senso di inadeguatezza di chi capisce di muoversi a un ritmo costantemente diverso da quello del contesto.

Per l’ultima traccia, AMORE – titolo stilizzato in <MOR3 – l’indicazione è “balla tantissimo”, ed effettivamente è difficile stare fermi sotto alla carica di bpm techno da cui si viene travolti.

E allora, in alto i cuori, in alto le mani: nella gioia e nel dolore, la pista del club saprà sempre come accogliervi.

BITS-RECE: Mazzariello, “Antisommossa”. À la guerre comme à la vie

BITS-RECE: Mazzariello, “Antisommossa”. À la guerre comme à la vie

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.

“À la guerre comme à la guerre”, recita un celebre adagio. Ovvero, prendi le cose per quel che sono. E se proprio devi andare in guerra, preparati a combattere, perché altro non potrai aspettarti.

Sia che la guerra sia reale, all’esterno, sia che tu la senta dentro.

Lo sappiamo bene, essere giovani, trovarsi a crescere, non è mai stato un gioco; e non lo è a maggior ragione in questi tempi, fatti di un futuro che si può declinare solo al condizionale. Inquietudini, paure, ossessioni, aspettative. Se questo scenario non è una guerra, come lo si può chiamare?

Sarà forse anche per questo che nel suo nuovo EP, Mazzariello ha usato un lessico lessico da combattimento, a cominciare dal titolo del disco, Antisommossa. Che di per sé è l’atteggiamento di chi lo scontro cerca di evitarlo, ma che sembra piuttosto nascondere un senso di rassegnazione verso qualcosa che non si può cambiare. In ogni caso, un termine plumbeo, “pesante”, come il mood generale del disco.

A confermarlo arrivano poi titoli come Atti estremi in luogo pubblico, Blindati, Bombe carta, infilati uno dopo l’altro nelle prime tre tracce.

In 6 brani, e in poco meno di 20 minuti, nelle canzoni di Antisommossa si fanno strada amori, frenesie, abbandoni, mancanze: un ritratto stropicciato di una generazione che cerca il proprio posto, che non sa stare ferma ma che non sa neanche dove andare.

Lo stile gira attorno a un elettro rock bello carico, un funky pop allegrotto e influenze indie, che non mancano mai, specie quando il mood si veste di tinte uggiose.

E allora, “À la guerre comme à la guerre”, dicevamo. Forse, sarebbe meglio dire “À la guerre comme à la vie”. Ma anche vicersa.

BITS-RECE: Jeson, “Solo un uomo”. Fuoco e introspezione

BITS-RECE: Jeson, “Solo un uomo”. Fuoco e introspezione

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Ci sono due parole chiave che ben si adattano a sintetizzare le tracce di Solo un uomo, il nuovo EP di Jeson.

La prima è fuoco, che vuol dire passione, ispirazione, energia. La passione per la musica, l’energia che essa richiede, ma anche l’energia e la potenza che traspirano dai pezzi del disco. Un urban “meticcio” e muscolare, ibridato di r’n’b, elettronica, ma anche di gospel e di soul. Un pastiche di stili frutto del un sodalizio artistico con il producer MDM, che si è occupato della realizzazione di tutte le tracce.

La seconda parola è introspezione, che è la prospettiva da cui Jeson ci permette di entrare nel suo universo, la lente da indossare per poter decifrare i brani. Solo un uomo è la lettura di un mondo interiore, uno sguardo profondo alla ricerca di chi si è veramente e di cosa si stia cercando.

Fuoco e introspezione. Non come poli in opposizione, ma come due sfere che si intersecano e si mantengono in equilibrio. Come nella titletrack, uno dei due inediti dell’EP: un brano che riesce a coniugare vigore e apertura musicale con una riflessione matura sul proprio essere.

Colpisce poi la preghiera laica di Halleluja, tesa, tormentata.

Sul finale, con Se penso a me e Il mio posto l’atmosfera si fa musicalmente più intimista grazie a un’impronta più spiccatamente soul, ma non per questo viene meno il fuoco delle intenzioni: anzi, sono forse proprio questi i due brani che “bruciano” maggiormente di desiderio di scrivere, di raccontarsi, di trovare un proprio posto.

Ci aveva visto benissimo Marco Mengoni, che ha voluto coinvolgere direttamente Jeson in Lasciami indietro: in questo ragazzo c’è una promessa accesa sul futuro.
Forse c’è un po’ di lavoro da fare per marcare l’identità (a tratti, la voce mostra richiami un po’ troppo “blancheggianti”, e questa è davvero l’unica sbavatura del progetto), ma il fuoco di Jeson può e deve divampare.

#MUSICANUOVA: Ainé – “Pareti – Agosto”

#MUSICANUOVA: Ainé – “Pareti – Agosto”

 

La mia testa non ha più pareti, non ha più barriere né confini. Riesco a vedere, riesco a sentire ogni profumo, chiudo gli occhi e mi godo la salita. Sono in cammino verso chissà dove, spengo la mente, i pensieri e accendo la pancia e le sensazioni. Questa volta ho detto no, non permetterò a niente e a nessuno di rovinare il mio viaggio. Te lo prometto. Questa volta vengo prima io. Me lo prometto.
Stavolta dico di no. Ho spento la tua voce nella testa e ho ritrovato la mia.
Con ogni pezzo che raccolgo risalgo, e i sorrisi adesso hanno un altro sapore, perché la fatica della salita è miele. Mi chiedo ancora chi sono, ma da oggi rinasco da solo
”.

Con queste parole Ainé descrive Pareti – Agostoil suo nuovo singolo, seconda anticipazione dell’EP BUIO in uscita il 19 aprile dopo Scappare – Giugno

In ogni canzone del nuovo progetto discografico, Ainé, uno dei più importanti esponenti del nu soul italiano, descrive le emozioni derivate, mese dopo mese, da una separazione importante.

In Pareti – Agosto si racconta la voglia di cercare un percorso libero e autonomo, districandosi dai fili che ci legano a qualcosa che oramai non esiste più. 

BITS-RECE: Done, “Popcorn”. Ti porto al club

BITS-RECE: Done, “Popcorn”. Ti porto al club

 

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Si può dire che sia cresciuto a pane hip-hop, ma per il suo nuovo progetto Done ha scelto di sperimentare qualche nuovo sapore. O almeno, ha mischiato i gusti dell’hip-hop con le spezie della house music e del new jack swing.

Ascoltando infatti i cinque inediti di Popcorn – questo il titolo dell’EP – sembra chiaro che il ragazzo aveva una gran voglia di ritmo e per trovarlo ha guardato Oltreoceano.

I riferimenti sono quelli dell’America degli anni’80, brulicante di club e di dj, da cui partivano i suoni che avrebbero riempito le classifiche di tutto il mondo: un melting pot sonoro che faceva convivere hip-hop, r’n’b, funky e house sotto l’egida della libertà e della voglia di evadere.

Proprio come nelle croccanti tracce di Popcorn.

L’apertura con Scandalous imprime subito una luccicante impronta house, e nella testa iniziano a vorticare le luci della mirrorball; Denim Blu affetta il ritmo secondo i tipici stilemi del new jack swing (avete presente i successi di Janet Jackson tra anni ’80 e ’90?), Cielo rosso ha un sapore di hip-hop old school, mentre sul finale la carica dei bpm di Joan Mirò si riprende la pista.

Completano l’EP i dub mix di Scandalous e Denim Blu, per chi avesse ancora voglia di fermarsi un po’ sotto le luci stroboscopiche, fino all’alba.

Come in un club di tanti anni fa.

Martin Gore, un ritorno… da primate. Arriva l’EP “The Third Chimpanzee”

Esce il 29 gennaio su Mute [PIAS] The Third Chimpanzee, il nuovo EP di Martin Gore.

Il progetto del cantautore inglese, nonché membro fondatore dei Depeche Mode, arriva a 5 anni dall’acclamato album strumentale MG.
Ad anticiparne la pubblicazione è il singolo Mandrill, esempio di “feroce di musica elettronica”: come gli altri quattro brani dell’EP, è caratterizzato dalla tipica atmosfera sonora di Martin Gore.

“Il primo brano che registrai, aveva un sound che non era umano,” afferma Martin. “Sembrava quasi derivasse da un primate. Decisi di chiamarlo Howler come la scimmia. Dopodiché, quando arrivò il momento di dare un nome all’EP, ricordai di aver letto ‘The Rise and Fall of the Third Chimpanzee’. Aveva senso chiamarlo così, dato che l’EP era per un terzo prodotto da scimpanzé.”

The Third Chimpanzee è già disponibile ora per il pre-ordine su CD, su vinile celeste 12” in edizione limitata (che include una stampa artistica) e in digitale. L’artwork è a cura di Pockets Warhol.

Questa la tracklist di The Third Chimpanzee:

1. Howler
2. Mandrill
3. Capuchin
4. Vervet
5. Howler’s End

“IL CIELO NON È UN LIMITE”, parola di MYSS KETA

A TUTTI I PILOTI ALL’ASCOLTO
CHE BRAMANO IL CIELO
QUELLO CHE APPARE COME UN LIMITE
DISPIEGA INVECE L’INFINITO
SIAMO ATOMI


Un’introduzione che è un vero manifesto, un invito alle menti più aperte e visionarie per gettare il cuore oltre l’ostacolo, per ricominciare a sognare e creare nuovi immaginari, e costruire nuove utopie. Si apre così IL CIELO NON È UN LIMITE, nuovissimo EP di M¥SS KETA, concepito e realizzato nei mesi travagliati dell’epidemia.
Anticipato dai singoli GIOVANNA HARDCORE e DUE, il nuovo progetto raccoglie sette tracce nuove di zecca prodotte da RIVA, con interventi di Populous e Unusual Magic.

Con l’elemento aria al centro di tutto – contraltare dell’acqua di CARPACCIO GHIACCIATO, l’iconico EP del 2017 – IL CIELO NON È UN LIMITE nasce da un’immagine: un aereo nel cielo, solitario e libero, forte e indomato. Un cielo a prima vista limitato, incorniciato, ma nel quale si spalancano illimitati spazi interiori, cieli interiori metafora di una perenne tensione a conquistare l’impossibile.
Il cielo non ha limite. Il cielo non è un limite.

Ogni traccia dell’EP è stata accompagnata da visual visionari che ci catapultano nell’immaginario di M¥SS.

È prima di tutto M¥SS KETA che non si dà limiti, sperimentando suoni sferzanti come le folate ad alta quota, quasi glaciali, con deviazioni a volte repentine come i cambi di direzione di un jet. M¥SS canta in inglese, in tedesco, in greco antico, per dare voce ai pensieri interiori di molteplici doppelganger.
L’estatica ed eretica GIOVANNA HARDCORE, reincarnazione in chiave Mad Max della pulzella d’Orleans, evoca un incantesimo ancestrale ripetuto come un mantra, su un beat minimal spezzato da accelerazioni jungle.
La mistress felina di GMBH è un beat deep house alla moda di Chicago.
La moderna dea DIANA, in compagnia di Priestess, si ritrova a capo di una Magna Grecia futurista dalle atmosfere morbide e sognanti, disegnate dal maestro Populous.
La rider post apocalittica che sfreccia fra le vie dell’inferno in RIDER BITCH, sfogo electroclash ispirato al videogioco Wipeout 2097, una traccia che vede la co-produzione di Unusual Magic e il cameo di Lilly Meraviglia.
Ma quello raccontato da M¥SS è anche un mondo che ha portato all’estremo l’ossessione per l’immagine sintetica, in cui le funzioni di Photoshop diventano ordini, come in PHOTOSHOCK, tra richiami house anni ’90 e synth-wave anni’80.
Un mondo compromesso dalla saturazione post-capitalista che esplode in DUE, delirio electropop disegnato sul beat di Two Times di Ann Lee.

L’uscita dell’EP è stata preceduta da una speciale performance all’ultimo pian della Torre Galfa di Milano, nel punto più alto in cui la metropoli che ha visto la nascita di M¥SS incontra il cielo.

I “ricordi” di Alessandro Ragazzo


Cosa sarebbe la nostra vita senza i ricordi? Cosa saremmo noi senza i nostri ricordi? Saremmo probabilmente qualcosa di molto diverso, o forse non esisteremmo proprio.
Perché ciò che siamo oggi è il risultato di quello che siamo stati, la somma delle esperienze vissute e delle lezioni imparate, a volte non senza dolore, ma non importa.
Eppure spesso non ce ne accorgiamo, e lasciamo ai ricordi solo lo spazio della nostalgia.

Proprio ai ricordi è dedicato il nuovo EP di Alessandro Ragazzo.
Il titolo è Ricordi?, con il punto di domanda alla fine, proprio come capita spesso di dire quando con la memoria facciamo qualche passo indietro.

Attraverso cinque brani dalle sonorità acustiche ed elettroniche, il cantautore veneziano va alla riscoperta del valore dei ricordi nella sua vita come filtro per interpretare la realtà nei suoi dettagli: gioia, rabbia, amore, inquietudine e speranza. Nel grande mare dei ricordi c’è spazio per ogni sentimento, per una notte persa, per un maggio arrivato all’improvviso, per patatine mangiate dal sacchetto.
Sarà anche malinconia, ma è soprattutto vita.

“Alièn”, un cortometraggio visionario per il nuovo progetto di Francesca Monte


Un minifilm di oltre 16 minuti accompagna la musica di Alièn, il nuovo progetto musicale di Francesca Monte.

Cinque tracce dalle sonorità elettroniche, distorte, ipnotiche per un progetto che mira a unire musica e arte visiva.
Alièn è un concept EP interamente scritto e composto da Francesca Monte, che lo descrive come una “nuova visione della realtà concentrata su suoni di una materia presente e futura, un nuovo punto di vista di un mondo dato per scontato che ha perso le proprie radici”.

Le immagini del cortometraggio, diretto da Paolo Hanzo, valorizzano il territorio campano e la città di Londra, che fanno da cornice perfetta al sound etereo di Alièn.

BITS-CHAT: Distinguersi per riconoscersi. Quattro chiacchiere con… Arashi

Partire dalla provincia verso la grande metropoli per raggiungere un sogno, quello della musica.
Partire dalla provincia verso la grande metropoli per scoprire se stessi, conoscersi davvero forse per la prima volta, e nel frattempo affrontare l’ignoto, sperimentare la paura e imparare a farsi strada con la propria voce.

Quella di Arashi è una storia comune a tanti giovani artisti, ma dalle sue parole assume soprattutto i contorni di un vero processo di formazione personale, oltre che artistico. Originario di Alessandria, Riccardo Schiara – questo il suo vero nome – è arrivato a Milano nel 2015, iniziando da subito a prendere contatto con l’ambiente musicale della città. Dopo le prime produzioni all’insegna dell’elettronica, lo scorso gennaio ha pubblicato Spiagge adriatiche, un EP con cui si è avvicinato alle sonorità dell’r’n’b e del soul.

Sempre con un obiettivo in testa: imparare a riconoscersi in mezzo a tutto il resto.


Le spiagge adriatiche sono un luogo dell’anima?
Sono ciò che ci rappresenta e ci identifica. Se ripenso al passato, ma anche alla nostalgia per qualcosa che deve ancora essere, mi ritornano in mente le immagini di quei luoghi che ho frequentato da piccolo con la mia famiglia, e che per me sono simbolo di pace, sicurezza, libertà, forse perché sulla spiaggia lo spazio si dilata. L’intenzione che avevo con i brani dell’EP era proprio quella di comunicare questo senso di tranquillità, serenità.

Personalmente, ho trovato il mood dell’EP molto variegato, con momenti di libertà e di gioia che lasciano il posto alla malinconia. Che definizione daresti dal mood di Spiagge adriatiche?
Fin dall’inizio ho immaginato l’EP come un percorso: si parte da Incubo, la traccia più spensierata, surreale e più ingenua, è la visione di un ragazzo che non si è ancora confrontato con la vita; Angeli invece è lo sgretolarsi della realtà sognante e idilliaca. Tutto l’EP è il risultato delle esperienze che ho fatto fino ad oggi.

L’EP ha solo quattro tracce, una scelta precisa?
Ho scritto tanto, ma ho preferito includere solo queste, sono quelle che al momento mi rappresentano di più. Continuo comunque sempre a scrivere e qualcosa farò anche con gli altri pezzi.

Nessuno dei pezzi arriva ai classici 3 minuti.
Non è stato un calcolo, semplicemente in ogni traccia il messaggio è concentrato in quel minutaggio e mi sembrava di snaturare la scrittura se avessi allungato. Oggi i 3 minuti canonici non sono più una regola, c’è molta libertà, si può scrivere una canzone di 2 minuti o una di 10 senza problemi.

Dall’elettronica di Sud America e Fiori rossi ai suoni di Spiagge adriatiche sembra esserci un po’ di distanza. Cos’è cambiato in questi anni?
Quando ho cominciato a fare musica ero molto piccolo, mi sentivo inesperto, ero un novellino di 19 anni appena arrivato a Milano. Ho iniziato a guardarmi un po’ intorno e a sperimentare: mi sono subito trovato molto bene con Marcello Grilli, che ha prodotto i miei primi pezzi, Sud America, Fiori rossi e Parka. Avevo un’urgenza di scrittura diversa, sono cresciuto, e con me sono cambiati anche i suoni dei miei pezzi. Milano mi ha dato la possibilità di confrontarmi a fondo con l’ambiente musicale, e questo mi ha permesso di far crescere il mio progetto, dall’elettronica sono passato agli strumenti veri. Per Spiagge adriatiche mi sono affidato a Marco Maiole, con cui ho sentito da subito una grande intesa, mi sono innamorato del suono della sua chitarra. Cerco sempre di ascoltare molto le persone chi mi stanno intorno, e questo sicuramente ha portato a migliorarmi, anche se non penso di essermi allontanato molto dal pop.

Senti molto l’influenza di Milano?
Ho imparato ad apprezzarla negli ultimi due anni. Sono molto timido, non mi piace raccontare tanto di me stesso, e Milano mi dava l’impressione di una città in cui contava soprattutto l’apparire. Venivo dalla provincia e ho fatto fatica a trovare un posto che potessi davvero sentire come casa, poi l’ho conosciuta meglio, ho interagito con altri musicisti e ho iniziato a cogliere le tante opportunità offerte ai giovani artisti e le tante occasioni per mettersi alla prova. È stato un percorso difficile, ma oggi posso dire di sentirmi finalmente rappresentato da Milano.

A Milano hai conosciuto anche Mahmood.
Sì, io e Ale siamo amici da un sacco di tempo. Insieme a Camilla Magli, un’altra musicista che fa parte del nostro giro di frequentazioni, ci troviamo spesso a scrivere e a parlare di musica. Non abbiamo però mai davvero pensato a una collaborazione, l’idea di lavorare insieme ci sembrerebbe strana. Sarebbe come pensare di dover lavorare insieme al tuo migliore amico.

In Manifesto dici “Non lasciarmi solo”. Che rapporto hai con la solitudine?
Nella canzone mi sono immaginato un dialogo con me stesso. Sto bene da solo, amo ritagliarmi i miei spazi, e quando devo scrivere mi distraggo se ho altre persone attorno. Stare da solo è quasi una necessità a volte, anche se non sono un eremita.

Sogni qualche collaborazione in futuro?
Penso a nomi fuori dall’Italia nell’ambito del funk e dell’elettronica, per esempio Toro y Moi o Róisín Murphy, che mi piace molto per il mood delle sue produzioni elettroniche.

Cosa significa crescere?
Oggi, a 25 anni, crescere vuol dire soprattutto crearmi un’ideologia che mi rappresenti e sia coerente con la mia personalità; formarmi e riconoscermi per ciò che sono, senza ambizioni estranee e senza farmi influenzare dall’esterno. Non è sempre facile capire cosa vogliamo davvero e cosa invece ci viene imposto: l’obiettivo più difficile è proprio quello di riconoscersi in mezzo a tutto il resto.

Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di “ribellione”?
Non definirsi in base a ciò che è sempre stato, perché non è vero che ciò che è sempre stato è necessariamente giusto. Siamo in un periodo storico in cui vediamo entrare in crisi valori che sono sempre stati alla base della nostra cultura: ribellarsi significa andare al di là di ogni definizione.