#MUSICANUOVA: Tamino, “Willow”

#MUSICANUOVA: Tamino, “Willow”

In attesa del nuovo album Every Dawn’s a Mountain in arrivo il prossimo 21 marzoTamino condivide il singolo Willow.

“Il paradosso del salice è che quando muore e perde tutti i suoi rami pendenti, il tronco riesce a vedere il sole”, spiega Tamino. “In altre parole, il suo cuore prende una nuova vita. L’albero non piange più e trova finalmente conforto nel bagliore del sole”. 

Prodotto da Tamino e PJ Maertens, suo collaboratore di lunga data, con la co-produzione di Eric Heigle (Arcade Fire, Dawn Richard) e Alessandro Buccellati (Arlo Parks, SZA), e la produzione aggiuntiva di Chris Messina (Bon Iver, Big Red Machine), Zach Hanson (Bon Iver, Sylvan Esso) e Jo Francken, il nuovo disco si preannuncia incentrato sui temi della perdita, dello spostamento, della separazione e dell’abbandono, lasciando però spazio all’arrivo della luce di un nuovo giorno, e proprio in canzoni come Willow si può trovare il senso di liberazione, rinnovamento e ricostruzione.

Tracklist:
My Heroine
Babylon
Every Dawn’s a Mountain
Sanpaku
Sanctuary
Raven
Willow
Elegy
Dissolve
Amsterdam

Tamino ha scritto Every Dawn’s a Mountain a New York, dove ora vive.
Per farlo, ha utilizzato uno strumento tipico medio-orientale, l’oud: “L’oud arabo, che suono ormai da diversi anni, è di nuovo uno strumento importante e un pilastro sonoro fondamentale per l’album. Appare in quasi tutte le canzoni, a volte come strumento principale, soprattutto in Sanpaku. I brani Raven, My Heroine e Dissolve sono stati tutti scritti su di esso e hanno lo strumento al centro, con il resto degli arrangiamenti costruiti intorno alla spina dorsale del mio suono di oud e della voce.”

Banco del Mutuo Soccorso: il nuovo album è “Storie invisibili”

Banco del Mutuo Soccorso: il nuovo album è “Storie invisibili”

Anticipato dal singolo Il mietitore, esce Storie Invisibili, il nuovo album del Banco del Mutuo Soccorso, in Italia e sul mercato internazionale (etichetta The Saifam Group).

Il nuovo album è l’ideale completamento di una trilogia dedicata all’esistenza umana iniziata con Transiberiana (2019) e proseguita con Orlando: le forme dell’amore (2022): un concept album con 12 storie individuali di personaggi comuni, donne e uomini reali fotografati in momenti delle loro vite, nelle loro vicende personali, o all’interno di periodi storici del genere umano, attraverso le quali poter parlare di tutti noi, spesso alludendo ai grandi temi dei nostri tempi.

L’idea di realizzare la trilogia è nata nel 2015, un anno molto duro per il Banco, con la scomparsa di Francesco Di Giacomo e Rodolfo Maltese, e l’emorragia cerebrale che colpisce Vittorio Nocenzi.

Ma la storia del gruppo è destinata a rinnovarsi e a ripartire, con la voglia di progettare qualcosa di mai fatto prima: un racconto molto più ampio del solito, tre album collegati uno all’altro in modo da formare un quadro unico.

Racconta Vittorio Nocenzi: “Sento che la gente chiede di nuovo idee, sentimenti, prospettive a misura d’uomo … Viviamo in un mondo sempre più complicato, dove però dobbiamo trovare un posto anche per la parte più importante della nostra vita, i nostri ideali.

La poesia e la musica possono (preferirei dire devono) anche condannare quello che non si condivide! Sicuramente questo non cambierà la realtà delle cose, ma può far circolare un’idea diversa da quelle programmate e diffuse dal sistema globale… E io posso, con il mio lavoro, dare un contributo per spingere gli altri ad usare maggiore lucidità, o magari convincerli a vedere le dinamiche del nostro tempo ‘fuori dal coro’, perché ho sempre creduto nella necessità di punti di osservazione diversi fra loro, per cercare di avvicinarci alla verità delle cose. Ed allora ecco la voglia di progettare, come musicista, qualcosa che non avevo mai fatto prima: un racconto molto più ampio del solito, addirittura una trilogia, un quadro ispirativo unico ma articolato in tre parti ben distinte ed allo stesso tempo fortemente connesse fra loro”.

Storie invisibili è stato ideato dal leader e fondatore del Banco Vittorio Nocenzi, che firma musiche e testi, insieme a Michelangelo Nocenzi e Paolo Logli rispettivamente (così come per i due precedenti album).

Storie invisibili” è disponibile nelle seguenti versioni: CD Digipack e Vinile giallo trasparente, entrambe in limited edition in 1000 copie di ogni formato, numerate e autografate da Vittorio Nocenzi, con libretto di 32 pagine il CD Digipack e di 16 pagine il vinile, contenente tutti i testi e commenti sull’album in italiano e in inglese. Sul mercato internazionale le due versioni escono in edizione standard con lo stesso libretto; in digital edition su tutti i portali digitali.

Per Jovanotti è tempo di ripartire: esce il nuovo album “Il corpo umano”

Per Jovanotti è tempo di ripartire: esce il nuovo album “Il corpo umano”

Nella carriera di un musicista ci sono ritorni che sono “più ritorni” di altri. Vuoi per un cambio di stile, o perché è sgorgata una nuova vena creativa, oppure per un evento personale che ha coinvolto l’artista. Insomma, non è vero che tutti i dischi sono uguali e che ogni comeback ha lo stesso peso dei precedenti.

Lo sa bene Jovanotti, che si prepara a dare al pubblico il suo sedicesimo album in studio.

Un lavoro che arriva a tre anni dal precedente Il disco del Sole, ma che soprattutto arriva dopo il grave incidente in bicicletta che ha visto Lorenzo Cherubini protagonista suo malgrado a Santo Domingo nel 2023, e che gli ha comportato non solo la rottura di bacino e clavicola, ma anche un’infezione batterica che gli “mangiucchiato” parte del femore. Quindi la riabilitazione per riacquistare la motilità delle gambe.

Un lungo e difficile periodo di fermo forzato, durante il quale ha letto moltissimo, da Gilgamesh ai poemi omerici, e che non gli ha impedito di tenere in movimento la mente e di iniziare a pensare. Proprio da lì, da quello stato di immobilità, è partita la scintilla da cui è nato il nuovo album, in uscita il 31 gennaio e il cui titolo non è certo casuale, Il corpo umano (volume 1).

L’occasione per presentarlo in anteprima arriva una sera piovosa di fine gennaio al Teatro Gaber di Milano: per Lorenzo è il primo, vero ritorno in scena davanti al suo pubblico.

Nonostante tutto, lo spirito del “ragazzo fortunato” è lo stesso di sempre, la sua innata vitalità è forse ancora più corroborata di un tempo: si muove senza sosta sul palco, salta, fatica a tenere ferme le gambe, non perde occasione per ballare, inizia a parlare ed è un fiume in piena, al punto che occorre impostargli un timer per le rispondere alle domande.

“Il titolo è nato prima delle canzoni, sono entrato in studio a realizzare i pezzi quando ho avuto il titolo e subito dopo l’idea della copertina dell’album. In pratica ho iniziato a costruire questo “edificio” partendo dal tetto.
Il mio album si chiama Il corpo umano non solo perché è stato il mio personale campo di
indagine e di battaglia dell’ultimo anno e mezzo, ma soprattutto perché il mio viaggio mi ha
aperto panorami nuovi rispetto a questo argomento inesauribile.
Normalmente sentiamo di avere un corpo quando il corpo si rompe o si ammala, così come ci accorgiamo dell’aria quando ci viene a mancare, così come scopriamo che esiste il tempo quando alle cose che iniziano si affiancano quelle che finiscono e noi ci stiamo in mezzo.


Si tratta quindi, per me, di iniziare o proseguire con nuova consapevolezza un lavoro sul “sentire” il corpo, l’aria, la luce, le cose che iniziano, quelle che finiscono, il respiro, i cambiamenti in atto, il dolore, il piacere, la guarigione, l’amore, gli altri, la natura, l’epoca, la cura, le emozioni, le idee, il flusso dei pensieri. Diventare, continuare a diventare è impegno e sfida, fino all’ultimo attimo, a bordo di un corpo fragile e infinito, mutevole e unico, come la vita stessa.”

L’inguaribile ottimismo di Lorenzo lo porta a sdrammatizzare anche sulla scelta della copertina, che riprende l’Allegro chirurgo, un vecchio gioco probabilmente sconosciuto alla Gen z.

All’interno dell’album trovano posto 15 tracce, che accolgono le diverse anime di Jovanotti, da quella romantica a quella più scanzonata, e che sono il frutto di un lavoro realizzato con tre diversi produttori, ciascuno scelto per la propria identità: c’è Dardust, che firma i primi due singoli Montecristo e Fuorionda, ma anche la titletrack, una sorta di sirtaki che evolve in un mood dionisiaco,; c’è Michele Canova, il deus ex machina di innumerevoli successi italiani degli ultimi decenni; e c’è Federico Nardelli, che porta la sua visione più indie.

Tutti i pezzi del disco saranno accompagnati su Youtube da speciali visual girati alla Galleria Borghese di Roma, realizzate in un pomeriggio di chiusura settimanale avendo cura – sottolinea Lorenzo – di non sfiorare nessuna delle opere e impiegare luci di scena collaudate e approvate dalla soprintendenza.

E mentre Il corpo umano sta per arrivare tra le mani dei fan, Jovanotti sta già scaldando i motori per il Palajova, il nuovo tour in partenza a marzo: uno spettacolo che punta a superare  il tradizionale
concerto. Le parole chiave nella progettazione sono state motown e street band, Prince and the revolution, romanticismo psichedelico. Non si tratta solo di musica, ma di un viaggio multisensoriale, una grande festa che unisce energia, emozioni e condivisione.

“Il concept dello spettacolo parte dall’idea di fioritura, e nasce da alcune esperienze che ho vissuto mentre pensavo al mio ritorno in scena. Tra tutte mi piace pensare ad una parola scritta da Etty Hillesum in una pagina dei suoi diari nei giorni più tragici della sua breve esistenza. Questa parola ha continuato per giorni a risuonare in me: “FIORIRE!”

La magia inizierà già al momento dell’ingresso: i palazzetti si trasformeranno in spazi unici, pensati per riflettere la visione che ha saputo rivoluzionare il mondo dei concerti.

Colori, simboli e dettagli che raccontano il suo universo accoglieranno il pubblico, creando un’atmosfera che è già di per sé un’esperienza. Ogni show sarà un incontro tra creatività e innovazione, dove la tecnologia non è solo un supporto, ma amplifica le emozioni, rendendo ogni attimo irripetibile.
Tutto sarà all’insegna della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente.

I biglietti sono disponibili su Ticketone. Tanti gli appuntamenti già sold out.

 

 

“Love 679”. Il primo album dei Dov’è Liana tra amore, dancefloor e rivoluzione

“Love 679”. Il primo album dei Dov’è Liana tra amore, dancefloor e rivoluzione

Sono francesi, ma per la loro musica devono tantissimo all’Italia.

A cominciare dal nome con cui questi tre amici hanno scelto di farsi conoscere con il loro progetto, Dov’è Liana. Leggenda vuole che abbiano scelto di chiamarsi così dopo una vacanza trascorsa a Palermo, città che li ha stregati umanamente e musicalmente, perché – dicono – “a Palermo la musica è fatta per ballare”. E proprio a Palermo, alla Taverna Azzurra, pare abbiano conosciuto una ragazza di nome Liana, che li ha folgorati come un fulmine per poi scomparire come una Chimera. Da allora non l’hanno più incontrata, ma hanno voluto fissare quel momento nella memoria.

Il loro primo singolo, Perché piangi Palermo?, pubblicato nel 2020 e considerato ormai un classico dal popolo della club culture, era un dichiarato omaggio alla città siciliana ed è stato il primo passo di un percorso che li ha portati oggi a essere uno dei nomi più promettenti della dance europea.
I loro concerti sono per il pubblico sinonimo di festa e di condivisione, momenti per celebrare l’unione, l’amicizia, l’amore, l’accettazione, un’occasione per lasciare fuori dalla porta pregiudizi e ostilità: “Fare concerti è come fare l’amore, qualcosa da fare ovunque”, dichiarano con quel misto di candore e sarcasmo con cui pronunciano ogni parola.
Non è un caso comunque che quando ripensano al loro miglior concerto in Italia il ricordo vada al primo live in Santeria a  Milano, dove ci fu una vera e propria invasione sul palco da parte dei fan: quello era per loro il clima esatto che volevano creare.

Da quando hanno iniziato a fare musica hanno scelto di nascondere i loro volti dietro occhiali da sole e coloratissimi foulard, un outfit diventato ormai il loro iconico marchio di fabbrica, ma anche una precisa volontà di andare contro gli stereotipi.

Per i Dov’è Liana fare dischi, salire sul palco e mettersi dietro alla consolle significa prima di tutto ricreare quel clima di festa e di gioia che avevano sperimentato anni fa a Palermo, ed è esattamente con questo spirito che dopo essersi fatti conoscere con diversi singoli, arrivano alla pubblicazione del loro primo album, in uscita il prossimo 11 ottobre.

Il titolo è già emblematico, Love 679, un vero e proprio manifesto d’amore: per coglierne il significato bisogna pronunciarlo in inglese (“love six seven nine”). Il fatto che manchi il numero 8 non è casuale, dal momento che la pronuncia di eight richiama quella della parola hate, “odio”. Quindi 679 come un codice dell’amore, da cui è messo al bando l’odio. Un sorta di Peace & Love 2.0.

“Con questo album vogliamo creare la colonna della nostra generazione, per fare tutti insieme la rivoluzione”. Una rivoluzione in gran parte cantata in italiano, e che fa rima con festa, amore e inclusione.

Nelle tracce dell’album ci sono tutti gli elementi che in questi anni hanno fatto conoscere questi tre ragazzi d’Oltrealpe: c’è la house, ovviamente, che con i suoi bassi potenti e i synth luccicanti è il vero motore della loro musica; c’è il rock’n’roll, che brucia per esempio nel singolo Tutte le donne, una delle anticipazioni dell’album; e poi c’è il funky, forse la musica che più di tutte si addice al clima di festa che il gruppo intende ricreare. Non poteva poi mancare il french touch, con tutta la sua elettronica e i vocoder.

Ma, naturalmente, c’è spazio anche per rendere omaggio alla musica italiana, come in Postcards from Universe, un brano che si rifà direttamente alle ballate romantiche del cantautorato nostrano.
E parlando di musica italiana, tra le proprie fonti di ispirazione il gruppo cita prima di tutto Andrea Laszlo De Simone, poi Adriano Celentano, Giorgio Poi, Cosmo, Pop X e, in particolare per la scrittura, Rino Gaetano.

A conti fatti, forse è stato un bene che Liana sia apparsa e scomparsa nella vita di questi tre amici, lasciando in loro il ricordo poetico, e un po’ idealizzato, di un momento irripetibile, che loro cercano di tenere in vita sulla pista da ballo.

Non è semplicemente dance: dietro a quei synth, dietro a quella cassa in 4 e a quelle parole un po’ naïf si nasconde una nuova forma di romanticismo.

In contemporanea all’uscita dell’album, il trio partirà in tour, con una prima tappa speciale al Cabaret Sauvage l’11 ottobre 2024, per poi girare tra le principali città Europee, in apertura a L’Imperatrice, e in Italia con il 679 Winter Tour.

I biglietti sono disponibili online qui.

22 novembre 2024 @ Base – Milano 

23 novembre 2024 @ Black Zone – Firenze 

29 novembre 2024 @ Link – Bologna

30 novembre 2024 @ Cieloterra – Roma

07 dicembre 2024 @ Progresja – Varsavia, Polonia (in apertura a L’Imperatrice)

08 dicembre 2024 @ Columbiahalle – Berlino, Germania (in apertura a L’Imperatrice)

09 dicembre 2024 @ Roxy – Praga, Repubblica Ceca (in apertura a L’Imperatrice)

11 dicembre 2024 @ Konzerthouse – Vienna, Austria (in apertura a L’Imperatrice)

12 dicembre 2024 @ X Fra – Zurigo, Svizzera (in apertura a L’Imperatrice)

13 dicembre 2024 @ Thonex – Ginevra, Svizzera (in apertura a L’Imperatrice)

20 dicembre 2024 @ Hiroshima Mon Amour – Torino

21 dicembre 2024 @ Zō – Catania

 

#MUSICANUOVA: Sethu feat. bnkr44, “sottosopra”

#MUSICANUOVA: Sethu feat. bnkr44, “sottosopra”

Il primo incontro pubblico tra Sethu e i bnkr44 era stato sul palco del Festival di Sanremo 2023, quando il primo, in gara con il brano Cause perse, decise di coinvolgere la band nella serata delle cover.

Insieme diedero vita a una personale rivisitazione di Charlie fa surf dei Baustelle, portando in scena tutta la carica del punk-rock.

Ora l’artista savonese e la band si ritrovano per una nuova, inedita collaborazione: il brano si intitola sottosopra ed è una delle bonus tracks incluse nella nuova edizione di tutti i colori del buio, il primo album di Sethu pubblicato in digitale alcuni mesi fa, in arrivo il 1 novembre anche in una specialissima edizione in vinile zootropico.

BITS-RECE: Lady Gaga, “Harlequin”. Elogio della follia

BITS-RECE: Lady Gaga, “Harlequin”. Elogio della follia

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.

Partiamo da un presupposto: se Lady Gaga non fosse stata coinvolta in Joker-Folie à Deux, molto probabilmente questo disco non avrebbe mai visto la luce.
Annunciato praticamente a sorpresa con solo qualche giorno di anticipo sull’uscita, Harlequin è da subito stato presentato dalla stessa Gaga come un “album di accompagnamento” all’arrivo nelle sale del film che la vede protagonista insieme a Joaquin Phoenix, pellicola in cui a lei spetta vestire i panni di Harley Quinn.

E che si tratti di un progetto speciale, e non di un vero e proprio capitolo della discografia di Mother Monster, ce lo dice anche il fatto che per indicare questo album è stata utilizzata la sigla “LG6.5”, in riferimento al fatto che il vero nuovo, attesissimo progetto, per ora noto solo come “LG7”, arriverà più avanti.

Sintetizzando, potremmo affermare che Harlequin è una sorta di capriccio che Gaga ha voluto togliersi, forte di una vena creativa che mai come in questo periodo sembra inesauribile. Un vezzo artistico, che ci ricorda che lei può permettersi di spaziare dalle hit da classifica agli standard jazz con una naturalezza e una disinvoltura eccezionali.
E infatti, con il pretesto di questo nuovo lavoro, Gaga ha potuto rituffarsi per la terza volta nel mondo del jazz, dopo i due album pubblicati insieme a Tony Bennett, e dopo aver concluso da pochi mesi la residency a Las Vegas con le serie di concerti “Jazz & Piano”.
Insomma, se il pop è il genere che ha dato a Gaga la grande notorietà, il jazz sembra essere la sua vera comfort zone, il rifugio sicuro in cui tornare.

Con l’obiettivo di esplorare fino in fondo l’anima di Harley Quinn, portandone in evidenza più sfumature possibili, con Harlequin – titolo che gioca tra il nome del personaggio e quello della celebre maschera bergamasca –  Lady Gaga riprende alcuni grandi classici del repertorio jazz e soul come Good Morning, Oh, When the SaintsWorld on a String, That’s Entertainment, Smile, That’s Life, e la sensazione è che mai come in questo caso lo faccia in piena libertà, scegliendo le chiavi di lettura e le intenzioni senza timore di andare fuori strada o di allontanarsi troppo da quello che il pubblico potrebbe aspettarsi o gradire.

Celandosi dietro alla maschera folle e ai panni di Harley Quinn, Stefani Germanotta ci costringe a legittimare ogni sua scelta e brano dopo brano ci svela un’anima complessa, in cui ogni sentimento è come uno scampolo di un diverso colore.
Qui la questione non è se una traccia sia più bella o più riuscita dell’altra, o se ogni pezzo fosse davvero necessario all’interno del disco. Piuttosto, quello che Gaga-Quinn sembra volerci chiedere è se le canzoni che canta ci stanno davvero raccontando qualcosa e se nelle parole di questa o di quella canzone riusciamo a cogliere un significato che era sempre rimasto sotto la superficie. Perché è questo ciò che lei vuole fare, e questo è il vero obiettivo di Harleiquin, indagare ciò che si nasconde sotto la maschera, non avere paura di cercare a fondo nell’anima, anche a costo di scontrarsi con la follia.

Harlequin in fondo è un progetto “storto”, folle per il mercato, ma lucido nella sua costruzione; un disco anche ostico, che però solo Lady Gaga, oggi, tra i grandi nomi del mainstream potrebbe permettersi di realizzare.

Se per i precedenti Cheek to Cheek e Love for Sale Gaga poteva godere della presenza dell’amico Tony, che in qualche modo giustificava la sua scelta di aver realizzato un album jazz, qui la partita se la gioca da sola. E proprio per questo sceglie di andare fino in fondo, proponendo anche due pezzi inediti.

Il primo, Folie à Deux, è un numero sciantoso che sembra uscire da una notte nella Ville Lumière. Il secondo, Happy Mistake, è una di quelle meraviglie che Gaga sa tirare fuori dalla penna e sa interpretare come nessuna. Dentro c’è il dramma, la follia, il dolore, l’ossimoro delle lacrime che fanno sciogliere il trucco, mentre sul viso spunta un sorriso.

 

 

 

 

The Cure: il 1 novembre esce il nuovo album “Songs of a Lost World”. Fuori il primo singolo

The Cure: il 1 novembre esce il nuovo album “Songs of a Lost World”. Fuori il primo singolo

È attesa per il prossimo 1 novembre l’uscita di Songs of a Lost World, il nuovo album di inediti di The Cure, il primo in 16 anni.

Alcuni brani tratti dal disco sono stati cantati live per la prima volta durante il tour, “Shows of a Lost World”, comprensivo di 90 date in 33 Paesi e che ha totalizzato oltre 1 milione e 300 mila spettatori.

Il primo singolo, Alone, è stato il brano di apertura in ciascuno show ed è disponibile su tutte le piattaforme digitali da ora.

Sul primo singolo il frontman Robert Smith ha dichiarato: “È il brano che ha sbloccato il disco; non appena abbiamo registrato quel pezzo ho capito che doveva essere la canzone d’apertura e ho sentito che l’intero disco veniva messo a fuoco. Per un po’ di tempo ho cercato di trovare la giusta frase d’apertura per la giusta canzone che facesse da apripista al progetto, lavorando sul concetto di ‘essere soli’, sempre con la sensazione assillante di sapere già quale dovesse essere la frase d’apertura… appena abbiamo finito di registrare mi sono ricordato della poesia ‘Dregs’ del poeta inglese Ernest Dowson… e quello è stato il momento in cui ho capito che la canzone – e l’album – erano diventati qualcosa di concreto”.

Il resto della tracklist sarà svelata nelle prossime settimane sui profili social e sul sito ufficiale della band.

Il nuovo album è stato scritto e arrangiato da Robert Smith, prodotto e mixato da Robert Smith & Paul Corkett e cantato dai The Cure (Robert Smith: Voce / chitarra/ basso / tastiere, Simon Gallup: basso, Jason Cooper: batteria / percussioni, Roger O’Donnell: tastiera, Reeves Gabrels: chitarra).

Il disco è stato registrato ai Rockfield Studios a Wales.

Robert Smith ha creato il concept e Andy Vella, fedele collaboratore dei Cure, si è occupato del design e della parte visiva. La cover ritrae una scultura del 1975 di Janes Pirnat, “Bagatelle”.

Songs of a Lost World è disponibile per il pre-order in formato fisico e uscirà in Italia nei seguenti formati: CD, LP, CD + Blu-Ray.
In esclusiva sullo store di Universal Music Italia saranno disponibili il Doppio LP nero masterizzato in half-speed e la musicassetta.
Per Feltrinelli sarà disponibile in esclusiva un LP color marmo.
Per chi pre-ordina i prodotti standard tramite Discoteca Laziale, invece, sarà disponibile in esclusiva un poster dedicato.

SETHU, in arrivo il vinile zootropico dell’album “tutti i colori del buio”

SETHU, in arrivo il vinile zootropico dell’album “tutti i colori del buio”

Sethu annuncia l’uscita della versione fisica in edizione limitata del suo primo album tutti i colori del buio (Carosello Records) in vinile, nei negozi ed e-commerce da venerdì 1 novembre e già disponibile in pre-order a questo link.


Sethu è uno tra i primissimi artisti italiani a realizzare un vinile zootropico: un vinile di qualità premium, unico nel suo genere, che grazie al movimento circolare del giradischi vede la grafica in superficie prendere vita come una piccola opera cinematografica.

Il vinile è impreziosito da una tracklist esclusiva: oltre alle 11 tracce della versione originale, la versione fisica dell’album conterrà anche il singolo croci con Sally Cruz, la nuova collaborazione con i bnkr44 in sottosopra e l’inedito orochimaru, resterà un’esclusiva del vinile.
Inoltre, il vinile include uno dei 14 poster originali ispirati ai brani del disco.


L’artista savonese ha pubblicato in digitale tutti i colori del buio lo scorso 17 maggio, raccontando e condividendo tutte le sfumature di un periodo molto complesso, seguente alla sua partecipazione al Festival di Sanremo nel 2023, in cui si è trovato diviso tra luci e ombre, soddisfazioni e disfatte, profondo buio e nuova luce.

Tutte le tracce dell’album – a sola eccezione di troppo stanchi e delle bonus track croci, sottosopra e orochimaru, sono state realizzate da Sethu e dal suo gemello Jiz nell’arco di pochi mesi, tra settembre e lo scorso febbraio, dopo aver preso la scelta di tornare in terapia e darsi l’opportunità di tornare a stare bene.


TRACKLIST

Lato A

1. questa è la fine
2. per noia
3. sottosopra feat. bnkr44
4. i ragazzi perduti
5. croci feat. Sally Cruz
6. vandalizzami il cuore
7. ossa rotte

Lato B
8. troppo stanchi
9. problemi
10. sottopressione (non mi avranno mai)
11. orochimaru
12. napalm
13. triste vederti felice
14. tutti i colori del buio (outro)

“143”, perché l’ultimo album di Katy Perry non funziona?

“143”, perché l’ultimo album di Katy Perry non funziona?

Nel momento in cui scrivo, 143, ultima fatica discografica di Katy Perry, non ha ancora fatto la sua comparsa nelle classifiche, ma le previsioni del debutto sono tutt’altro che rosee.

Diciamocelo però, un po’ lo sapevamo: o Katy tirava fuori l’album del millennio, capace di risollevarle la carriera, oppure il destino del disco era già segnato ancora prima della sua pubblicazione. Colpa, purtroppo, dei due precedenti album, Witness (2017) e Smile (2020), non esattamente campioni di vendite, che hanno appannato l’aura di invincibilità di cui la Perry si era circondata nei primi anni ’10, ai tempi di Teenage Dream (2010) e Prism (2013). Due album fortissimi, che le hanno fatto guadagnare record su record. Basti ricordare che grazie ai singoli estratti da Teenage Dream, Katy Perry è stata l’unica artista – al pari di Michael Jackson – ad aver piazzato 5 canzoni dello stesso album al vertice della classifica americana. E poi sono arrivati, Roar e Dark Horses, estratti da Prism, entrambi certificati diamante negli USA.

Insomma, fino a una decina di anni fa Katy Perry sembrava l’incarnazione terrena del pop, l’artista capace di mettere d’accordo tutti. Se Madonna iniziava a perdere appeal sul pubblico più giovane, Britney e Christina erano in una fase calante della carriera, Lady Gaga destabilizzava con i look eccessivi e le scelte musicali non sempre digeribilissime (vedi alla voce Artpop), Katy era tutto ciò che al pop si poteva chiedere: canzoni super catchy e immagine rassicurante.

Poi, dicevo, è arrivato Witness, e quel magico mondo fatto di colori pastello e suoni zuccherati ha perso il suo mordente. Peggio ancora è andata a Smile, tre anni più tardi. Si potrebbe star qui ad analizzare il perché di quella débâcle, ma sarebbe un esercizio inutile. Accontentiamoci di sapere che è andata così.

Lo scorso luglio, a distanza di 4 anni, Katy torna è tornata, e ovviamente la notizia del suo comeback ha fatto tremare i muri e nutrito le aspettative. Aspettative che si sono però afflosciate come un sufflè malriuscito non appena è stato pubblicato il singolo della nuova era discografica, Woman’s World. Una canzone mediocre e facilona, che oggi troverebbe forse la sua giusta collocazione nel disco di qualche emergente. Invece è stato il brano di punta per il lancio del nuovo progetto. Catastrofe…
Troppo scontato, troppo semplice, troppo sfacciatamente ruffiano; e non è bastato neanche il messaggio femminista, davvero troppo annacquato per il mercato discografico del 2024.

La scelta di pubblicare in fretta e furia un secondo singolo (Lifetimes) e poi un terzo (I’m His, He is Mine) in poco più di un mese è stata la famosa pezza che ha fatto più danni del buco.
Troppo evidente la necessità di correre ai ripari, ma niente da fare, i due brani sono passati praticamente inosservati.

Restava da sperare che il resto fosse migliore.

Ora che l’album è uscito, possiamo tirare le somme, e capire perché poteva essere – e probabilmente sarà – un altro flop.

Molto semplicemente, 143 è un disco anonimo e superficiale. Un album che sembra essere rimasto fermo al 2013: forse per non correre rischi, Katy Perry ha scelto di riproporre le stessa ricetta che l’ha portata alla gloria. Peccato che siano passati più di 10 anni da allora, e che le cose siano cambiate un po’.
Prima di tutto, ci si augura che il pubblico che seguiva Katy anni fa sia cresciuto insieme a lei, e oggi si aspetti qualcosa di più maturo. E poi in questi anni il mondo del pop è stato rivoluzionato: solo per restare nell’universo femminile, sono arrivate creature come Billie Eilish e Taylor Swift (che nel 2013 esisteva già, ma era pressochè “confinata” al country) che ci hanno mostrato che si può essere pop e mainstream senza puntare tutto sulla semplicità. Non che loro siano state innovative in questo, ma sicuramente hanno abituato il pubblico di oggi a un ascolto diverso.

Presentato come un disco celebrativo dell’amore fin dal titolo – 143 sarebbe una forma in codice di “I love you”, sai che roba… – il settimo lavoro di Katy Perry si rivela essere una raccolta di pezzi buoni per ballare una sera, può essere la colonna sonora di un pigiama party, ma non è, oggi, quello che ci si aspetta da un nome del suo calibro.

I suoni pescano a pienissime mani dalla dance degli anni ’90 (I’m His, He’s Mine contiene anche un sample di Gypsy Woman, successo house del 1991), e questo poteva essere un buonissimo fil rouge. Ma oltre c’è ben poco di scoprire.

La sensazione è Katy Perry si sia fatta contagiare dalla sindrome di Peter Pan, e sia rimasta incagliata in una sorta di eterna giovinezza, convinta che dare ai fan un nuovo carico di canzoni-confetto sarebbe bastato ad accendere il loro entusiasmo come in passato. Ma così non è stato.

Quello che è mancato è stato prima di tutto la voglia di cambiare, evolversi, far vedere di essere altro rispetto a quello che tutti già conoscevano; e poi è mancato il coraggio di alzare la famosa asticella.

Intendiamoci, non tutto quello che è in 143 è da cestinare: Crush per esempio è un buon pezzo, ed è uno dei pochi che si fanno ricordare (anche qui c’è stata una ripresa dal passato, da My Heart Goes Boom). Così come non sono male Nirvana e Wonder. Ma tre pezzi passabili non sono abbastanza a fare un buon disco.

Infine, una considerazione a margine: tra le critiche mosse all’album vi sono state anche quelle di chi ha biasimato la scelta della Perry di lavorare con Dr. Luke, figura assai controversa nel musicbiz per via della vicenda processuale che lo ha visto coinvolto dopo le accuse mosse da Kesha.
Senza entrare nel merito della questione, sono abbastanza sicuro che il tallone d’Achille del disco abbia ben poco a che spartire con la condotta morale di Dr.Luke.

143 è un disco mediocre, punto e basta.

St. Vincent, a novembre la versione in spagnolo di “All Born Screaming”

St. Vincent, a novembre la versione in spagnolo di “All Born Screaming”

Con una mossa tanto inedita quanto inaspettata, St. Vincent annuncia l’uscita di Todos Nacen Gritando, la versione in lingua spagnola dell’ultimo album All Born Screaming, pubblicato lo scorso aprile.

La nuova versione dell’album uscirà il 15 novembre tramite Total Pleasure Records in collaborazione con Virgin Music Group.


St. Vincent spiega l’ispirazione di Todos Nacen Gritando e come è stato raggiunto l’equilibrio tra l’accuratezza della traduzione e l’intensità della performance, con il prezioso aiuto di Alan Del Rio Ortiz:

“Le origini di Todos Nacen Gritando risalgono ad alcuni degli spettacoli più memorabili che abbia mai fatto, in Messico, in Sud America e recentemente al Primavera di Barcelona nel 2023. Anche se separati dal tempo e dalla geografia, e attraverso una gamma di ambienti e luoghi diversi, queste folle erano unite nella loro passione, cantando ogni parola di ogni canzone in perfetto inglese. È stato davvero stimolante. Alla fine mi sono chiesta: “Se loro possono cantare in una seconda o terza lingua, perché io non posso andare incontro a loro? Così ho arruolato il mio migliore amico e collaboratore Alan Del Rio Ortiz per lavorare alla traduzione di questi testi, modificando qua e là per motivi melodici, facendo ogni sforzo per rimanere fedeli alla canzone in questione senza sacrificare l’accuratezza. Dopo aver riscritto e cantato nuovamente ogni traccia vocale dell’album, il risultato è Todos Nacen Gritando, un lavoro d’amore e un tributo alle persone che lo hanno ispirato”.

L’uscita dell’album è preceduta da Hombre Roto, versione in lingua spagnola di Broken Man, già scelto come brano per anticipare l’uscita di All Born Screaming.