Rap, rock e malinconia: il “1969” secondo Achille Lauro


Facendo un giro veloce per il web e la carta stampata, accanto al nome di Achille Lauro si troveranno molto probabilmente le definizioni di rapper o trapper. Ad ascoltare il suo ultimo album però, a cominciare da quella Rolls Royce che tanto scalpore ha suscitato a Sanremo, verrebbe da dire che ci troviamo piuttosto davanti a un rocker amante di certe sonorità vintage.
La definizione più calzante alla sua arte la dà però direttamente lui: “Sono sempre stato un outsider per ogni etichetta che mi è stata data e per ogni genere che ho affrontato”. Outsder nel rap, outsider nella trap, outsider nel rock, outsider nella musica. E, probabilmente, anche outsider anche nello stile di vita.
Chi ha seguito la carriera di Lauro dagli esordi non ha potuto non rendersi conto che ogni suo lavoro è nato infatti all’insegna di una trasformazione, un’evoluzione, un cambiamento verso direzioni talvolta inaspettate e spiazzanti: dalla trap degli inizi alle contaminazioni samba ed elettroniche del precedente lavoro Pour l’amour, pubblicato solo lo scorso anno, per l’artista romano è ora tempo di approdare a una nuova soluzione sonora, quella del rock, sviluppata nell’album che rischia di essere per lui quello della consacrazione verso il grande pubblico, 1969, prodotto da Fabrizio Ferraguzzo e dal fido Boss Doms.

“E’ stato l’anno dell’allunaggio, l’anno del primo cuore artificiale, l’anno di Woodstock, e più in generale questo titolo vuole essere un omaggio a un periodo musicale che ci ha dato un’importante eredità viva ancora ancora oggi”. Il groove “grasso” e rockeggiante di Rolls Royce era già un più che evidente manifesto di quello che sarebbe l’album, ma ora che il disco ha visto la luce si colgono tutte le sfumature di questo nuovo percorso: “Sono già al lavoro su altri due album molto diversi, ma questa nuova veste vorrei portarla avanti e svilupparla fino in fondo: sono al posto giusto nel momento giusto. Per me ogni album è come un nuovo ristorante in cui si possono assaporare gusti diversi: questa volta ho scelto di innovare andando a ripescare i suoni del passato, soprattutto dagli anni ’60 e ’70. Ho guardato a icone immortali, che appartengono a tutti, come Elvis, James Dean, Jimi Hendrix, Marilyn, e le ho messe in copertina”.

“Nonostante mi piaccia cambiare continuamente, il filo comune di tutti i miei album sono l’anima e la scrittura che ci metto, e questo è un elemento che anche i fan della prima ora sanno riconoscere”, afferma Lauro. Diametralmente opposta al mood scanzonato di Rolls Royce o della titletrack c’è la malinconia del nuovo singolo C’est la vie, messa al secondo posto anche nel disco, o del brano posto in chiusura, Scusa: “Non so se dovrei dirlo, ma dopo aver inciso 1969, la canzone, mi sentivo come Rino Gaetano. Ci sono due macro-sensazioni che animano tutto l’album, la leggerezza e la malinconia. L’esperienza costruisce la vita di una persona, e nel mio caso ci sono dei vuoti interiori che vengono a galla, una malinconia personale che ho voluto affrontare. Penso che questo album sia per me anche il disco della responsabilità: sono diventato artigiano del mio successo e sento di avere delle responsabilità anche verso la mia famiglia”.
Se i versi dei brani restano scanditi dalle barre del rap, Lauro sa trovare soluzioni personali per scardinare con ironia sorniona gli stereotipi del genere: e così non si contano i riferimenti al lusso delle Cadillac e delle Rolls Royce, delle Ferrari Black, delle Cabrio, di Hollywood, affiancati da una pioggia di francesismi disseminati praticamente in ogni brano con lucido disordine, passando per le autocitazioni (“Ave Maria Nino D’Angelo / ti compro Castel Sant’Angelo” di Zucchero, che recupera BVLGARI).
Spazio anche per un omaggio alla Città Eterna con Roma: “Ho voluto fare un featuring con Simon P, un amico che non ha avuto la fortuna di trasformare la musica in un lavoro, ma che è un bravissimo autore”), mentre Coez presta la voce in Je t’aime.

Un’ultima considerazione va alle polemiche sui presunti riferimenti alla droga contenuti in Rolls Royce: “Sono sempre stato per la libertà di espressione e credo che un artista non debba essere preso come capro espiatorio per quello che va male nella società. L’arte e l’educazione sono due cose diverse. Le polemiche sulla canzone mi hanno procurato dispiacere perché dopo il primo ascolto dei brani avevamo ricevuto dei feedback positivi dalla stampa e siamo partiti motivati per il Festival. Quando ho voluto essere esplicito su certe tematiche lo sono stato senza troppi problemi: chi ha visto nel brano dei riferimenti alla droga probabilmente non ha mai vissuto davvero il problema, perché non è una questione che si può affrontare con superficialità”.

Il 7 giugno parte il Welcome Rolls Royce Tour, che porterà Lauro in giro per la penisola fino a otobre: “Il tour deve essere uno specchio dell’album. Sarà un grande show”.

“Que te enamores”: il remix di “Per un milione” porta i Boomdabash a Cuba


Forti del successo sanremese, i Boomdabash hanno rilasciato su tutte le principali piattaforme digitali Que Te Enamores, speciale versione remix di Per un Milione.
La nuova versione del brano vede i featuring di due artisti della nuova scena cubana, Cupido & Portusclan El Tigre.

Que Te Enamores è una fresca esplosione di energia in perfetto stile Boomdabash. Il brano – dichiara la band – nasce dall’incontro con Cupido e Portusclan El Tigre due giovani artisti cubani di grande talento che ci hanno contattato spontaneamente. Non li conoscevamo ma appena abbiamo sentito la bozza del provino siamo rimasti da subito colpiti e abbiamo deciso di lavorare insieme a quest’inedita versione remix.  Il brano si è sposato benissimo con la lingua spagnola risultando perfetta evoluzione di “Per un milione” nelle sue mille sfaccettature con delle sonorità più latine  che rimandano al reggaeton”.

Nel frattempo la sua versione originale di Per un milione continua la sua marcia trionfale in classifica, dopo essere già stato certificato disco di platino e aver raccolto milioni di stream, mentre il videoclip del brano su Vevo ha già superato oltre 33 milioni di views.

La band presto sarà pronta a stupire live con l’attesissimo “Boomdabash & Friends”, il concerto – evento che si terrà all’Alcatraz di Milano il prossimo 9 maggio con numerosissimi ospiti ed amici. Uno show che si preannuncia epico in tutti i sensi, un concerto che prevedrà un set up di palco unico e completamente rinnovato pieno di luci colori ed effetti scenografici ad hoc per la speciale occasione.

Benny Benassi firma il remix di “Soldi” di Mahmood

Dall’r’n’b – anzi, dal moroccan pop” – alla dance il passo è breve.
E così un’autorità del dancefloor come Benny Benassi rimette mano a Soldi di Mahmood, brano vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo e da settimane ai vertici delle classifiche di vendita e di streaming.
Il risultato è un’immersione di beat ed elettronica.

Boomdabash: dopo Sanremo, un pieno di views e streaming. A maggio il concerto-evento a Milano


Dopo aver lfatto ballare la platea dell’Ariston il successo dei Boomdabash non intende fermarsi.
Il brano Per un milione presentato alla 69 ° edizione del Festival di Sanremo ha infatti raggiunto oltre 2 milioni di stream solo su Spotify e il video ha già raggiunto oltre 2 milioni e mezzo di views su Vevo.

Dall’8 febbraio è inoltre disponibile in fisico e digitale Barracuda Predator Edition, riedizione dell’ultimo album, prodotto per la maggior parte insieme ai beatmaker multiplatino Takagi e Ketra.

La band dopo la grande partecipazione al Festival di Sanremo sarà pronta a stupire live con l’attesissimo Boomdabash & Friends, il concerto – evento che si terrà all’Alcatraz di Milano il prossimo 9 maggio con numerosissimi ospiti.
Un evento live con il quale i Boomdabash festeggeranno i primi 15 anni di carriera e che vedrà alternarsi sul palco i migliori protagonisti della musica italiana, amici e colleghi che hanno condiviso con i Boomdabash i successi degli ultimi anni.

“Siamo molto felici di celebrare i nostri primi 15 anni di carriera – dichiara la band- abbiamo deciso di mettere in piedi in live più epico di tutti questi anni. Un regalo per tutti i supporters della band, da sempre parte integrante del percorso di Boomdabash. Ci sarà Boomdabash sul palco dell’Alcatraz di Milano e ci saranno tanti, ma tanti ospiti, con i quali abbiamo avuto l’onore ed il piacere di lavorare, scrivendo con loro alcune delle hit più ascoltate di sempre. Il 9 Maggio festeggeremo un traguardo importante, 15 lunghi anni di musica. Un’avventura fatta di sacrifici ma tante soddisfazioni. Per la prima volta i fan di Boomdabash assisteranno ad un live con una line up di altissimo livello, per uno spettacolo che difficilmente potranno dimenticare e che sicuramente lascerà un segno indelebile”.

Sanremo ribalta le previsioni e dà l’ennesimo schiaffo a Loredana


Non il superfavorito Ultimo, e nemmeno Il Volo. Non Irama, non Cristicchi e nemmeno l’impegnato Silvestri, ma Mahmood. L’outsider arrivato a Sanremo non per scelta di Baglioni, ma di diritto per aver vinto Sanremo Giovani lo scorso dicembre ha sbaragliato la concorrenza e ribaltato ogni pronostico, aggiudicandosi la vittoria della sessantanovesima edizione del Festival con Soldi.
Solo fino a un paio di giorni fa ci avrebbero scommesso in pochissimi, e invece l’impossibile è accaduto.
Quella di Mahmood è stata un’ascesa lunga e tutta in sordina: persino ancora dopo il duetto con Gue Pequeno di venerdì sera (quasi) nessuno aveva capito la reale portata del brano: un pezzo r’n’b con tanto di inserti orientaleggianti e alcuni versi in arabo, interpretato da un ragazzo di origini italo-egiziane che fa rimare ramadan con champagne. Una vittoria politica secondo alcuni, che ci vedono un segnale di ribellione verso la deriva razzista e xenofoba presa negli ultimi mesi dal Governo: difficile dire se sia stata davvero questa la spinta che ha permesso a Soldi di scalare la classifica, ma di certo si può dire che Mahmood non partisse favorito. Ancora semisconosciuto al grande pubblico, nonostante avesse già calcato il palco dell’Ariston nel 2016 tra le Nuove proposte, nonostante faccia musica già da qualche anno e nonostante ci sia la sua firma su alcuni dei successi degli ultimi mesi. Eppure è successo. Battuto Ultimo, che conferma così la regola secondo chi entra papa esce cardinale (e stando ai racconti dalla sala stampa pare non averla presa benissimo…), e battuti i tre ragazzoni del Volo, che in una seconda vittoria forse un po’ ci speravano.
Quest’anno invece il voto delle giurie del Festival ha dato spazio al “nuovo”, sotto tutti i punti di vista: o meglio, a far vincere Mahmood è stato soprattutto il voto delle due giurie presenti a Sanremo – la giuria d’onore e la giuria dei giornalisti – , perché al televoto Soldi ha raccolto poco più del 14% di preferenze.

Il più grande dispiacere di questo epilogo festivaliero è stato però il quarto posto di Loredana Bertè, che a questo festival teneva in maniera particolare – ha detto che sarebbe stata la sua ultima partecipazione – e lo aveva portato avanti egregiamente, conquistandosi un’ondata di amore dal pubblico. Il pezzo c’era, lei pure. Almeno il podio sembrava finalmente assicurato, e invece ci è arrivata a un soffio, ironia del destino. E dispiace che i giornalisti non le abbiano assegnato neanche il Premio della Critica, intitolato a sua sorella Mia Martini: un riconoscimento che lei voleva conquistare e che si sarebbe meritata, non fosse altro come segno di riscatto per tutte le delusioni che il Festival le ha riservato negli anni. E invece niente, Sanremo non si è smentito neanche stavolta e ha rifilato a Loredana l’ennesimo schiaffo. Dispiace proprio tanto. Per la cronaca, il Premio della Critica lo ha vinto Daniele Silvestri. L’unica consolazione è stata la rivolta della platea dell’Ariston all’annuncio del suo quarto posto: il Leone e la Palma non ci sono, ma l’amore della gente sì, quello c’è tutto, e speriamo che Loredana cambi idea e decida di tornare al Festival nei prossimi anni.

Si potrà invece dire soddisfatto Achille Lauro, che torna a casa dopo essersi guadagnato un’onorevolissima nona posizione: probabilmente non ha mai pensato di poter vincere, ma di certo è stato tra quelli che da questa partecipazione ci hanno guadagnato di più in termini di visibilità, oltre al fatto di aver offerto una bellissima performance e aver portato un po’ di allucinata follia sul palco di Sanremo. Stesso discorso per gli Zen Circus di Appino, che nella classifica finale si sono fermati un po’ più giù, ma pazienza: così tanto indie al Festival non si era mai sentito.
Una parola infine per Arisa: nella sua ultima esibizione era in evidente difficoltà, forse per una febbre che l’ha debilitata e le ha provocato qualche défaillance vocale. Con uno sforzo enorme è arrivata fino alla fine, sciogliendosi poi tra le lacrime: la delusione si sarà fatta sentire, ma Arisa ha dato una lezione di grande professionalità.

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Cala quindi il sipario sulla sessantanovesima edizione del Festival di Sanremo, una delle più noiose a mia memoria: una conduzione piatta, che non ha messo in giusto rilievo i talenti schierati sul palco; serate interminabili, con le esibizioni degli artisti che a lungo andare si perdevano tra la stanchezza del pubblico e le lunghissime ospitate. Baglioni pare si sia già reso conto che 24 canzoni sono troppe: se mai l’anno prossimo toccherà ancora a lui, ha dichiarato che le porterà a 20. Infine, musicalmente parlando, su 24 brani in gara, non è ancora ben chiaro quanti ne sopravviveranno nella memoria del pubblico anche dopo il ciclone del Festival: la sensazione è di aver ascoltato tante potenzialità male espresse con pochi momenti di vero stupore.

E poi, una volta per tutte, basta con gli ospiti italiani sul palco del festival. Perché è troppo comodo snobbare la gara di Sanremo e poi prestarsi alla ben più comoda marchetta di un quarto d’ora e ciao. Baglioni non ha voluto gli stranieri (ah, i tempi di Madonna ed Elton John!!) e ha privilegiato gli ospiti italiani: forse il motivo è puramente economico, forse è una ruffianata per acchiappare qualche spettatore in più. Sta di fatto che se sei italiano non vai al festival da superospite, sia che tu “super” lo sia davvero, sia che tu sia solo l’ultimo idolo del teenager. Se sei un artista italiano, e dici di amare tanto Sanremo (oh, ce ne fosse uno che dica di essere andato lì solo per promozione!), fai il favore di metterti in gara con i tuoi colleghi, ti fai una settimana di iper-sbattimento e rischi anche di finire ultimo nella classifica. Ma almeno ne esci pulito e un po’ più onesto.
Non succederà mai, ma chissà: dopotutto, la vittoria di Mahmood ci dice che tutto può succedere, e allora io anche in questo cambiamento un po’ ci spero.

Bye bye Sanremo.

Sanremo in due righe. Il giudizio sulle 24 canzoni nella prima serata

Non so di chi sia stata l’idea, ma partire rifilando ai telespettatori 24 canzoni tutte in una volta non è stata proprio un’ideona.
Il risultato è stato farci arrivare alla fine della prima puntata stremati e con la voglia di dire già “basta”, complice anche una conduzione portata avanti senza troppo brio e con le idee un po’ latitanti.

La sessantanovesima edizione del Festival di Sanremo è partita senza troppe sorprese e qualche sbadiglio: a un primo impatto, le canzoni non sembrano brillare particolarmente, lasciando un po’ di amaro in bocca per la sensazione di qualche occasione sprecata.
Ecco un giudizio-flash dei 24 brani in gara.

Francesco Renga, Aspetto che torni
: una ballatona ona ona, melodicona ona ona, nel più classico stile “renghiano”, ma purtroppo non uno dei momenti migliori. Poco brio, tanta enfasi e forse un tantino di emozione di troppo per aver dovuto rompere il ghiaccio della kermesse.

Nino D’Angelo e Livio Cori, Un’altra luce: se l’intento era quello di unire novità e tradizione, l’operazione è riuscita a metà. Un brano che vuole essere troppe cose insieme, con il risultato di suonare un po’ troppo disomogeneo e – quel che è peggio – già dimenticato.

Nek, Mi farò trovare pronto: tra rock ed elettronica, Nek torna al festival in gran forma. La canzone ha un’anima smagliante e buona possibilità di avere vita propria anche oltre il periodo sanremese. Vedremo cosa saprà fare nelle prossime sere.

The Zen Circus, L’amore è una dittatura: la canzone entra di diritto nella categoria “disturbatori”, non fosse altro per l’impossibilità di cogliere le parole pronunciate da Appino. Il gruppo comunque non si smentisce, portando sul palco un pezzo rock circense che più indie di così non si può, e che sul finale prende una bella piega. E anche l’aspetto scenografico fa al sua bella parte.

Il Volo, Musica che resta: che dire? Qui la retorica e i cliché la fanno assolutamente da padroni. Il tempo sembra essersi fermato al 2015 con Grande amore, ma forse anche a qualche decennio fa. Ma d’altronde non ci si poteva aspettare molto di diverso, visto che Il Volo sono esattamente questo… Bravi, ma mandateli all’estero, grazie.

Loredana Bertè, Cosa ti aspetti da me: erano anni che Loredana aspettava di fare ritorno al festival in piena forma. Quest’anno sembra esserci riuscita: la canzone ha il pathos giusto e Loredana ci ha messo dentro tutta se stessa.

Daniele Silvestri, Argento vivo: qui si osa, con la musica e con il testo. Non so quanto il pubblico sanremese accoglierà il pezzo, ma Silvestri e Rancore fanno sul serio. Il primo vero schiaffo di questo festival arriva da loro.

Federica Carta e Shade, Senza farlo apposta: lei fa pop, lui fa rap, il resto è una canzone senza infamia e senza lode. La passeranno in radio e la si canticchierà un po’, poi si passerò ad altro.

Ultimo, I tuoi particolari: nel perfetto stile della tradizione festivaliera, un pezzo che brilla di melodia pop e rock d’autore. Potrebbe venir fuori meglio nel corso delle serate.

Paola Turci, L’ultimo ostacolo: voce un po’ più roca del solito, non male, ma abbiamo visto Paola più grintosa in altre occasioni. Non male comunque la canzone, che non tradisce le aspettative.

Motta, Dov’è l’Italia: sicuramente il pezzo più politico di quest’anno. Lui è a fuoco, ma il tutto ha bisogno di almeno un secondo ascolto. Benino.

Boomdabash, Per un milione: i Boomdabash fanno i Boomdabash, anche sul palco dell’Ariston. La canzone non farà colpo sul pubblico del festival, ma piacerà ai fan del gruppo, che la balleranno in riva al mare quest’estate.

Patty Pravo e Briga, Un po’ come la vita: non passerà alla storia, né la canzone né l’accoppiata. Il brano non c’è, la voce neppure. Non si è capito nulla, né del testo né del perché abbiano deciso di partecipare. Peccato.

Simone Cristicchi, Abbi cura di me: a farla da padrone qui è la poesia, in un crescendo musicale che riesce a fare colpo. Dopo anni lontano dagli schermi, Cristicchi torna al festival e potrebbe riservare sorprese nella classifica finale.

Achille Lauro, Rolls Royce: ovvero come spettinare l’Ariston. Messo da parte (momentaneamente?) il rap e i suoi connessi, Lauro scaraventa sul festival un pezzo rock tamarrone e baldanzoso, ma senza scandali. Con il Festival non c’entra nulla, ma in un cast così eterogeneo ci sta.

Arisa, Mi sento bene: Arisa ha una voce “antica”, di quelle precise e vibrate che si ascoltavano tanti anni fa. In questa canzone la mette al servizio di un brano che alterna momenti di lirismo a un ritornello iper-pop. E meno male che si balla un po’.

Negrita, I ragazzi stanno bene: se i ragazzi stanno bene, anche i Negrita li ritroviamo in forma. La canzone è perfettamente nelle loro corde, anche se rischia di perdersi un po’ nel marasma dei 24 brani in gara. Un onesto momento di rock.

Ghemon, Rose viola: qui la parola d’ordine è incomprensione. Va riascoltato, perché al primo impatto si è proprio perso.

Einar, Parole nuove: il tutto un po’ tiepido. Si poteva azzardare qualcosina di meglio, invece si resta nei confini della confort zone di un pop da “talent show”. E di nuovo c’è proprio pochino.

Ex Otago, Solo una canzone: si giocano il festival come una grande vetrina, come è giusto che sia per un gruppo in giro già da un po’ ma ancora in cerca della grande conferma. Lo fanno con un brano dall’interessante apertura melodica.

Anna Tatangelo, Le nostre anime di notte: forse avevo capito male, ma mi sembrava che Anna Tatangelo avesse in serbo una specie di svolta. Invece…. invece no. E ho detto tutto. Next, please.

Irama, La ragazza con il cuore di latta: un po’ pop, un po’ rap, un po’ gospel, forse un tentativo di fare un salto un po’ più in là. Quanto possa funzionare oltre al festival però non saprei.

Enrico Nigiotti, Nonno Hollywood: una dedica sincera, sulle note di un rock che si appoggia tanto all’orchestra. Purtroppo un po’ privo di mordente, e sicuramente vittima dell’orario infelice dell’esibizione. Da riascoltare.

Mahmood, Soldi: un altro bel momento di evasione, questa volta in direzione dell’urban. Mahmood si sta ritagliando il suo spazio sulla scena italiana e con questa canzone prosegue sulla linea stilistica tracciata finora.

Quanto ne sai su Sanremo? Dal 4 al 10 febbraio arriva Sanremo Story Contest


In quali anni il festival di Sanremo è stato condotto da Fabio Fazio?
Quale avvenimento ha scosso il festival nel 1967?
Chi arrivò al secondo posto nell’edizione del 2015?
In che anno Domenico Modugno ha cantato Nel blu dipinto di blu sul palcoscenico del Casinò?
Quante edizioni sono state presentate da Pippo Baudo?

Domande di questo tipo nutriranno il Sanremo Story Contest, concorso tematico del campionato nazionale Cervellone Champions Quiz dedicato al festival della canzone italiana che si svolgerà dal 4 al 10 febbraio nei locali d’intrattenimento che aderiscono all’iniziativa in tutta Italia, alla vigilia della 69esima edizione al via al Teatro Ariston il 5 febbraio.

Sanremo Story Contest invita le squadre in gara a confrontarsi su curiosità, aneddoti e protagonisti del festival di Sanremo dalle prime edizioni ai giorni nostri, un’occasione per divertirsi
in un clima di sana competizione e per mirare a vincere il montepremi di 15.000 euro.
Ogni manche conta 15 domande multimediali interattive, inclusi quiz testuali, giochi fotografici, test basati su file audio e video. Le squadre coinvolte, grazie a una pratica pulsantiera wireless di ultima generazione, potranno rispondere a ciascuna domanda in pochi secondi, visualizzando subito il risultato e l’aggiornamento del punteggio. I punteggi ottenuti da ciascuna squadra  saranno valevoli per la classifica nazionale del Cervellone Champions Quiz, campionato che nella sola scorsa edizione ha visto la partecipazione di 140 squadre da tutta Italia.
La sfida finale del campionato Cervellone Champions Quiz, riservata alle squadre che hanno accumulato più punti durante l’anno, si terrà a Civitavecchia a bordo della nave Cruise Roma della Grimaldi Lines.
In occasione di questo evento verranno elette le 10 squadre vincitrici del torneo alle quali saranno assegnati i premi in palio: buoni sconto Mediaworld, Unieuro e Carrefour, biglietti per la nave e altro ancora.

I contest tematici dedicati a sport, cinema, cartoni animati, serie-tv e spettacolo, tra cui Sanremo Story, fanno parte della piattaforma esclusiva e crossmediale WiContest, ideata da Planet Multimedia Srl, leader nel settore dell’edutainment e dell’enterteinment. Sfruttando al massimo la creatività e gli strumenti multimediali, l’azienda realizza i progetti culturali e di intrattenimento per unire le persone che hanno passioni e interessi comuni, dalle grandi imprese ai piccoli gruppi di amici. WiContest dà l’opportunità ai propri player di partecipare ai contest di vaste tematiche
disponibili all’interno della piattaforma o creati ad hoc. Migliaia di persone possono interagire in tempo reale durante le sfide online tramite App e in eventi live.

Ecco una selezione di locali che hanno aderito all’iniziativa in diverse città italiane:
Bologna (4 feb) – America Graffiti di Castel Maggiore (Pio la torre 11)
Roma – (4 feb) – Angeli Rock (Ostiense 193 b/c)
Rimini – (4 feb) – Bounty (Via La Strada 6)
Frosinone – (5 feb) – Off Side (Via Gaeta, 32)
Foggia – (6 feb) – Batik Risto-Pub (Via Immacolata 19)
Firenze – (6 feb) – Trinker Haus (Via Aretina 133/135)
Milano – (5 feb) – La Birreria Italiana (Piazzale Antonio Cantore, 4)
Milano – (9 feb) – Voiture Cafè – Pioltello (Via Pordenone 1)
Genova – (8 feb) – Trattoria Paradiso (Via Guglielmo Oberdan 4r)
Padova – (8 feb) – America Graffiti (Via Udine 8)
Alessandria – (4 feb) – Open Space (Spalto Marengo | Centro Commerciale Pacto)
Alessandria – (5 feb) – iBar (Corso Crimea)
Torino – (7 feb) – Mucca Pazza (Via traforo di Pino Torinese)
Forlì – (6 feb) – Time Pub (Viale Italia 12)

Il regolamento e la lista completa dei locali aderenti è consultabile su www.wicontest.com
Per informazioni: info@wicontest.com

Io sono Mia: al cinema il bio-pic dedicato a Mia Martini

Febbraio 1989, Sanremo: Mia Martini si prepara a tornare sulle scena dopo sei anni di esilio. Un allontanamento volontario, ma nei fatti provocato dalle sempre più pressanti maldicenze sul suo conto. “Mia Martini porta sfortuna”, si diceva ormai da tempo nell’ambiente dello spettacolo, al punto che molti altri artisti si rifiutavano di avere a che fare con lei, i suoi dischi non vendevano più e gli impresari non la ingaggiavano più nelle trasmissioni televisive. Addirittura facevano fatica a pronunciare il suo nome. Tutto per alcune sfortunate coincidenze e la voglia di qualcuno di vendicarsi di un’artista dal carattere forse non proprio semplice (“L’unica cosa su cui sono sempre stata d’accordo”).

“E’ stata una vera e propria violenza compiuta su una persona, su una donna, e forse all’epoca tutti quanti non abbiamo fatto abbastanza per fermare questa calunnia. Questo è il mio modo di chiederle scusa”. Sono le parole di Riccardo Donna, il regista di Io sono Mia, il bio-pic dedicato alla storia di Mimì prodotto dalla Eliseo di Luca Barbareschi in collaborazione con Rai Fiction. La pellicola verrà proiettata in quasi 300 sale cinematografiche italiane solo nelle giornate del 14, 15 e 16 gennaio, per approdare sugli schermi di Rai 1 prossimamente.
Dopo il successo dello scorso anno con la minifiction Fabrizio De André principe libero, la Rai torna così a dare spazio alla vita di un’altro grande nome della musica italiana.
Il film parte proprio da quel festival dell’89, quando ancora nessuno sapeva che per Mia Martini non si sarebbe trattato solo di un grandioso ritorno in scena, ma che in quell’occasione la musica italiana avrebbe anche ricevuto in regalo la preziosissima interpretazione di Almeno tu nell’universo.
Mimì quell’anno non vinse il Festival, e non lo vinse in nessuna delle altre sue partecipazioni, ma quello che è stata in capace di lasciare sul palco va oltre ogni vittoria.

“Per convincere gli organizzatori a far partecipare Mimì quell’anno al Festival, una persona, di cui non posso fare il nome, dovette firmare un contratto come garante per tutto che di spiacevole sarebbe potuto succedere: durante l’esibizione si sarebbe dovuta sedere in prima fila all’Ariston, così se fosse crollato il teatro ci sarebbe rimasta sotto anche lei”: a raccontare l’aneddoto è Loredana Bertè, sorella di Mia, probabilmente colei che più di ogni altro la conosce e la può raccontare, e che per questo film è stata coinvolta in veste di consulente. La persona di cui parla Loredana pare sia Renato Zero, anche se sulla veridicità dell’evento non c’è molta chiarezza, dal momento che Adriano Aragozzini, organizzatore della manifestazione nell’89, ha chiaramente smentito l’intera vicenda in una recente intervista al Fatto quotidiano.
Comunque siano andate le cose, è certo che per Mimì si trattò di un autentico riscatto, che la riportò al grande pubblico dopo che per anni si era accontentata di cantare alle sagre di paese.

A dare corpo, voce e (tanta) anima a Mia Martini è Serena Rossi, che regala un’interpretazione che non si fatica troppo a definire eccezionale: “Ho letto molto su di lei, ho guardato molte sue interviste e ho ascoltato tanto la sua musica, come continuo a fare ancora adesso. Fin dal primo giorno di riprese sapevo che non avrei dovuto cercare di imitarla per non rischiare di scimmiottarla. Ero sicura che da tutte le persone coinvolte nel lavoro avrei ricevuto tantissimo amore, e così è stato. Io non posso che ringraziare e ritenermi fortunata per l’opportunità che mi è stata offerta”.
Pur lontana dall’imitazione, l’attrice riporta con impressionante fedeltà e intensità le espressioni di Mimì, i gesti viscerali delle sue mani e i movimenti delle sue labbra durante le esibizioni, fino a far rivivere la luce tragica che i suoi occhi emanavano.
Sfruttando l’espediente di un’intervista rilasciata a poche ore dall’esibizione sanremese a Sandra, una giornalista arrivata in realtà per incontrare Ray Charles, nel film Mia Martini ripercorre la sua vita, dalle interpretazioni dei brani di Ella Fitzgerald davanti allo specchio della cameretta, al travagliato rapporto con il padre, fino alla delicata operazione alle corde vocali. E poi l’incontro con il manager Alberigo Crocetta e quelli con Califano e Lauzi, che scriveranno per lei pagine importantissime della sua discografia, il rapporto con la sorella Loredana, interpretata da Dajana Roncione, e la storia d’amore con Andrea, un fotografo, personaggio dietro al quale non è difficile riconoscere Ivano Fossati.
E’ ancora Loredana a spiegare: “Ci sono due persone che hanno espressamente richiesto di non essere nominate in questo film, Ivano Fossati e Renato Zero”. Quest’ultimo viene portato sullo schermo nella figura di Anthony, un eccentrico amico conosciuto per caso fuori da un locale.

Alla fine, dopo aver ripercorso tra i suoi ricordi buona parte della sua vita, viene quasi spontaneo anche a noi porci la stessa domanda che Sandra rivolge a Mia: “Come sei riuscita a sopportare tutto questo?”
E nella risposta di Mimì non potremo che ritrovarci tutti d’accordo.

BITS-CHAT: Crescere non è una fatica. Quattro chiacchiere con… Alessandro Casillo

Toccare il successo, fermarsi, crescere, e ripartire. Ancora qui, ancora da qui.
Si potrebbero descrivere con questi pochi flash gli ultimi tre anni di Alessandro Casillo: nel 2011 il pubblico lo conosce a Io canto, il programma di Canale 5 dedicato ai giovani talenti, mentre l’anno dopo è già sul palco di Sanremo, dove conquista il primo piazzamento tra le Nuove proposte con È vero (che ci sei).
Negli anni successivi seguono live, due album e tutto il turbinio che il musicbiz inevitabilmente comporta. Fino a quando Alessandro decide che è il momento di tirare il freno, almeno per un po’, perché fuori c’è la vita che chiama.
Lo scorso giugno Alessandro è tornato con un nuovo singolo, ma soprattutto con una nuova maturità. Eccolo, Ancora qui.
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Ancora qui
è il titolo del tuo ultimo singolo, ma è anche molto di più. Quando e perché hai capito che era il momento giusto per tornare sulle scene?

L’ho capito nel momento in cui ho ascoltato per la prima volta questo brano scritto da Emiliano Bassi, autore anche di È vero (che ci sei). Sin dalla mia vittoria a Sanremo, siamo sempre rimasti in contatto e quando lui mi ha proposto questa canzone devo dire che ho subito pensato “ma questo sono io!” perché rappresentava al meglio il momento che stavo vivendo. Così ho sentito subito il bisogno di doverlo condividere con il mio pubblico e di tornare.

In questi anni di lontananza dai riflettori cos’è successo?
Sono cresciuto, ho concluso gli studi, cercato un lavoro e mi sono reso indipendente dalla mia famiglia. Sono impegnato dalla mattina presto al pomeriggio tardi e mi dedico alla musica di notte o nei giorni di pausa, ma sono contento così perché faccio comunque tutto quello che mi piace e soprattutto non peso sulla mia famiglia.

I primi versi della canzone recitano “Ora ti ricordo chi sono, ero insieme a quelli che dicevano andremo lontano”: tu, oggi, quanta strada pensi di aver fatto rispetto al ragazzo che tre anni fa ha deciso di prendersi una pausa?
Quando ho vinto il Festival di Sanremo, avevo solo 16 anni e ora che ne ho 22 sono cambiate tante cose. Mi sono allontanato ad esempio dalle persone che mi cercavano solo perché andavo in televisione o facevo concerti e ora mi circondo solo di chi tiene davvero a me e mi ha sempre sostenuto, anche durante questi anni di lontananza dal mondo della musica.

Quando hai scelto di fermarti eri consapevole dei “rischi” a cui andavi incontro? Non hai avuto paura che quando saresti tornato il pubblico potesse essersi un po’ dimenticato di chi eri?
Ho sempre avuto un bel rapporto con i miei fan, ma in effetti non aspettavo mi stessero così vicino anche in questo lungo periodo di pausa. Ormai escono ogni giorno nuovi artisti dai talent o da Youtube ed è purtroppo facile finire nel dimenticatoio. Fortunatamente, ripeto, ho un pubblico molto affezionato che continua ancora oggi a scrivermi e a farsi sentire presente attraverso i miei social.

Ti è costata fatica prendere questa decisione o hai capito che per te era la cosa più giusta in quel momento?
No, non mi è costato nulla perché questa pausa è stata molto salutare. Ho imparato a impegnarmi e a lavorare sodo, ancora di più di quanto avessi fatto prima e mi sono assunto delle responsabilità da persona adulta. Questo significa crescere, e crescere non è mai una fatica. A dire il vero sono fiero della vita che sto conducendo e delle scelte che ho fatto.
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Spesso i talent vengono ancora accusati di creare illusioni per i giovani che vi partecipano: per quella che è stata la tua esperienza, cosa ti senti di rispondere?
Per come ho sempre vissuto io le mie esperienze, non mi sono mai illuso, anzi proprio per questo, dopo un periodo di grande successo e consapevole del fatto che un giorno tutto questo potesse finire, ho pensato al cosiddetto piano B, iniziando a lavorare per un’azienda di caldaie. Mi sono diplomato e mi sono cercato un lavoro per poter aver sempre qualcos’altro su cui contare nel caso le cose fossero andate male. Ho sempre vissuto pensando che tutto ciò stavo facendo fosse un punto di partenza per una nuova sfida piuttosto che un punto d’arrivo.

Questo nuovo singolo anticipa un nuovo album?
Sicuramente anticipa un singolo nuovo che uscirà a breve e un disco, che sto scrivendo, ma su cui non posso dare ancora notizie precise.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Posso considerarmi un po’ ribelle io stesso visto che ho fatto una scelta un po’ controcorrente rispetto a quella di molti miei coetanei che, al posto di lavorare sodo e assumersi le proprie responsabilità, non hanno trovato ancora la loro strada. Quindi direi che essere ribelli oggi voglia dire andare controcorrente e fare delle scelte diverse da quelle che magari gli altri si aspettano da te.

Settant’anni da spirito Pravo

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No, non chiamatela “la ragazza del Piper”, perché lei nel locale romano che le ha dato notorietà ci ha messo piede sì e no un paio di volte in tutta la carriera. E non chiamatela neppure “bambola”, epiteto troppo abusato e banale per contenere un’indole come la sua.
Patty Pravo non si può definire, perché ogni definizione finirebbe col circoscrivere, e quindi inevitabilmente ridurre, una tra le più imponenti personalità artistiche che la musica italiana abbia mai conosciuto. Il suo camaleontismo, la chioma sempre platinatissima, la sua r “annoiata”, quasi evanescente sono ormai patrimonio della storia dello spettacolo, così come quel nome d’arte rubato alle dannate di Dante. E poi la leggendaria notte in giro per Roma sulla 500 con Jimi Hendrix, l’amicizia con Sinatra, le frequentazioni con Fontana e Schifano, la passione solitaria per i deserti, i matrimoni.

Fuggita presto dall’ambiente borghesissimo di Venezia in cui era nata (pare che a casa sua fosse ospite abituale il patriarca Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII) e a cui sarebbe probabilmente stata destinata, ma non priva di una formazione musicale accademica, nel corso di una carriera di oltre mezzo secolo, Nicoletta Strambelli è stata diva intoccabile, volto e corpo anticonformista, interprete sofisticata e sorprendentemente ironica, angelo del rock, ovviamente supericona dell’immaginario gay.fb_img_1462552997903
Seriamente allergica alle convenzioni, ha vissuto senza risparmiarsi gli eccessi e la spensieratezza degli anni ’60 e ’70, mentre la sua voglia di sperimentazione l’ha portata – tra gli anni ’80 e i 2000 – a soddisfare gusti esotici e a compiere scelte inaspettate, rischiando anche di allontanarsi dal grande pubblico, che se qualche volta non l’ha compresa fino in fondo ha però sempre trovato l’occasione di riavvicinarsi: dalla canzone d’autore delle grandi firme (Fossati e Vasco su tutti) e dei nomi dell’ultima generazione (tra gli altri, Ermal Meta, Zibba, Rachele Bastreghi), passando per le potenzialità dell’elettronica, fino alla musica tradizionale cinese di un album come Ideogrammi. Patty Pravo ha azzardato in tutto, spesso cogliendo nel segno, qualche volta mancando il bersaglio, ma anche oggi che compie settant’anni resta circondata da un’aura di fascino inspiegabile e impossibile da replicare: difficilissimo cogliere la linea di demarcazione tra il personaggio e la persona, capire fin dove certi suoi atteggiamenti siano voluti o restino frutto del caso, distinguere la provocazione costruita ad arte dal carattere innato.
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L’esordio nel 1966 con Ragazzo Triste, cover di un pezzo di Sonny Bono e Cher, ha già del paradossale: mentre la Rai censura un verso della canzone, Radio Vaticana la trasmette come primo pezzo pop della sua programmazione. Negli anni seguenti arriveranno Se perdo te, La bambola (successo mondiale da milioni di copie), e poi Pazza idea, Pensiero stupendo (scandaloso manifesto degli anni ’70 firmato fa Fossati), E dimmi che non vuoi morire (diamante d’autore, opera di Vasco Rossi, Gaetano Curreri e Roberto Ferri), fino al successo di Cieli immensi, solo per segnare alcune tappe principali di una discografia sterminata ed eterogenea.
Ma per comprendere la portata di un personaggio così bisogna andare oltre i grandi successi, scendere tra le pieghe degli album meno conosciuti e meno fortunati, dove si nascondono sorprendenti perle di avanguardia stilistica.

Pur con il beneficio del gusto personale, ecco quindi cinque momenti delle carriera di Patty Pravo che forse non tutti ricordano, ma che spiegano meglio delle parole l’immensità del suo personaggio.

Per un bambola: look futuristico, vagamente alieno e orientale, con il vestito in maglia di metallo di Versace, Patty scende le scale di Sanremo nel 1984 con un brano atipico che le fa vincere il Premio della critica.

Contatto: singolo del 1987 non incluso in nessun album, nonostante le sue atmosfere ipnotiche, ha avuto un successo decisamente al di sotto delle aspettative.

La viaggiatrice – Bisanzio: con il suo impianto imponente e orchestrale, per ammissione della stessa Patty è uno dei brani che non hanno raggiunto la visibilità che avrebbero meritato.



Treno di panna: autentico capolavoro nascosto nell’album Notti, guai e libertà e firmato anche da Loredana Bertè, rappresenta una superba prova di interpretazione.


L’immenso
: è il 2002 e Patty Pravo torna a Sanremo con una canzone oscura, magnetica e decisamente lontana dagli stereotipi del festival, dove infatti non raccoglie particolari consensi. L’entrata in scena delle esibizioni è un’epifania divina, ma lei stupisce tutti appiccicando il chewingum sul microfono appena prima di iniziare a cantare.