Buone news per i rettoriani all’ascolto.
Dal 20 luglio sarà infatti disponibile un’edizione speciale di Incantesimi notturni, l’album pubblicato da Rettore nel 1994, al cui interno trova spazio anche la ballad Di notte specialmente, presentata quell’anno al Festival di Sanremo.
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Tale progetto, allora uscito solo in CD e musicassetta, verrà pubblicato il prossimo in vinyl edition e in 3 versioni: vinile nero, vinile colorato (blu trasparente), in arrivo il 20 luglio, e picture disc, in uscita poche settimane dopo.
Tutte le edizioni saranno a tiratura limitata e numerate sul retro copertina.
L’album sarà acquistabile sul sito www.zamusica.com e nei negozi che lo richiederanno.
Dall’r’n’b – anzi, dal moroccan pop” – alla dance il passo è breve.
E così un’autorità del dancefloor come Benny Benassi rimette mano a Soldi di Mahmood, brano vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo e da settimane ai vertici delle classifiche di vendita e di streaming.
Il risultato è un’immersione di beat ed elettronica.
Dopo aver lfatto ballare la platea dell’Ariston il successo dei Boomdabash non intende fermarsi.
Il brano Per un milione presentato alla 69 ° edizione del Festival di Sanremo ha infatti raggiunto oltre 2 milioni di stream solo su Spotify e il video ha già raggiunto oltre 2 milioni e mezzo di views su Vevo.
Dall’8 febbraio è inoltre disponibile in fisico e digitale Barracuda Predator Edition, riedizione dell’ultimo album, prodotto per la maggior parte insieme ai beatmaker multiplatino Takagi e Ketra.
La band dopo la grande partecipazione al Festival di Sanremo sarà pronta a stupire live con l’attesissimo Boomdabash & Friends, il concerto – evento che si terrà all’Alcatraz di Milano il prossimo 9 maggio con numerosissimi ospiti.
Un evento live con il quale i Boomdabash festeggeranno i primi 15 anni di carriera e che vedrà alternarsi sul palco i migliori protagonisti della musica italiana, amici e colleghi che hanno condiviso con i Boomdabash i successi degli ultimi anni.
“Siamo molto felici di celebrare i nostri primi 15 anni di carriera – dichiara la band- abbiamo deciso di mettere in piedi in live più epico di tutti questi anni. Un regalo per tutti i supporters della band, da sempre parte integrante del percorso di Boomdabash. Ci sarà Boomdabash sul palco dell’Alcatraz di Milano e ci saranno tanti, ma tanti ospiti, con i quali abbiamo avuto l’onore ed il piacere di lavorare, scrivendo con loro alcune delle hit più ascoltate di sempre. Il 9 Maggio festeggeremo un traguardo importante, 15 lunghi anni di musica. Un’avventura fatta di sacrifici ma tante soddisfazioni. Per la prima volta i fan di Boomdabash assisteranno ad un live con una line up di altissimo livello, per uno spettacolo che difficilmente potranno dimenticare e che sicuramente lascerà un segno indelebile”.
Non il superfavorito Ultimo, e nemmeno Il Volo. Non Irama, non Cristicchi e nemmeno l’impegnato Silvestri, ma Mahmood. L’outsider arrivato a Sanremo non per scelta di Baglioni, ma di diritto per aver vinto Sanremo Giovani lo scorso dicembre ha sbaragliato la concorrenza e ribaltato ogni pronostico, aggiudicandosi la vittoria della sessantanovesima edizione del Festival con Soldi.
Solo fino a un paio di giorni fa ci avrebbero scommesso in pochissimi, e invece l’impossibile è accaduto.
Quella di Mahmood è stata un’ascesa lunga e tutta in sordina: persino ancora dopo il duetto con Gue Pequeno di venerdì sera (quasi) nessuno aveva capito la reale portata del brano: un pezzo r’n’b con tanto di inserti orientaleggianti e alcuni versi in arabo, interpretato da un ragazzo di origini italo-egiziane che fa rimare ramadan con champagne. Una vittoria politica secondo alcuni, che ci vedono un segnale di ribellione verso la deriva razzista e xenofoba presa negli ultimi mesi dal Governo: difficile dire se sia stata davvero questa la spinta che ha permesso a Soldi di scalare la classifica, ma di certo si può dire che Mahmood non partisse favorito. Ancora semisconosciuto al grande pubblico, nonostante avesse già calcato il palco dell’Ariston nel 2016 tra le Nuove proposte, nonostante faccia musica già da qualche anno e nonostante ci sia la sua firma su alcuni dei successi degli ultimi mesi. Eppure è successo. Battuto Ultimo, che conferma così la regola secondo chi entra papa esce cardinale (e stando ai racconti dalla sala stampa pare non averla presa benissimo…), e battuti i tre ragazzoni del Volo, che in una seconda vittoria forse un po’ ci speravano.
Quest’anno invece il voto delle giurie del Festival ha dato spazio al “nuovo”, sotto tutti i punti di vista: o meglio, a far vincere Mahmood è stato soprattutto il voto delle due giurie presenti a Sanremo – la giuria d’onore e la giuria dei giornalisti – , perché al televoto Soldi ha raccolto poco più del 14% di preferenze.
Il più grande dispiacere di questo epilogo festivaliero è stato però il quarto posto di Loredana Bertè, che a questo festival teneva in maniera particolare – ha detto che sarebbe stata la sua ultima partecipazione – e lo aveva portato avanti egregiamente, conquistandosi un’ondata di amore dal pubblico. Il pezzo c’era, lei pure. Almeno il podio sembrava finalmente assicurato, e invece ci è arrivata a un soffio, ironia del destino. E dispiace che i giornalisti non le abbiano assegnato neanche il Premio della Critica, intitolato a sua sorella Mia Martini: un riconoscimento che lei voleva conquistare e che si sarebbe meritata, non fosse altro come segno di riscatto per tutte le delusioni che il Festival le ha riservato negli anni. E invece niente, Sanremo non si è smentito neanche stavolta e ha rifilato a Loredana l’ennesimo schiaffo. Dispiace proprio tanto. Per la cronaca, il Premio della Critica lo ha vinto Daniele Silvestri. L’unica consolazione è stata la rivolta della platea dell’Ariston all’annuncio del suo quarto posto: il Leone e la Palma non ci sono, ma l’amore della gente sì, quello c’è tutto, e speriamo che Loredana cambi idea e decida di tornare al Festival nei prossimi anni.
Si potrà invece dire soddisfatto Achille Lauro, che torna a casa dopo essersi guadagnato un’onorevolissima nona posizione: probabilmente non ha mai pensato di poter vincere, ma di certo è stato tra quelli che da questa partecipazione ci hanno guadagnato di più in termini di visibilità, oltre al fatto di aver offerto una bellissima performance e aver portato un po’ di allucinata follia sul palco di Sanremo. Stesso discorso per gli Zen Circus di Appino, che nella classifica finale si sono fermati un po’ più giù, ma pazienza: così tanto indie al Festival non si era mai sentito.
Una parola infine per Arisa: nella sua ultima esibizione era in evidente difficoltà, forse per una febbre che l’ha debilitata e le ha provocato qualche défaillance vocale. Con uno sforzo enorme è arrivata fino alla fine, sciogliendosi poi tra le lacrime: la delusione si sarà fatta sentire, ma Arisa ha dato una lezione di grande professionalità.
Cala quindi il sipario sulla sessantanovesima edizione del Festival di Sanremo, una delle più noiose a mia memoria: una conduzione piatta, che non ha messo in giusto rilievo i talenti schierati sul palco; serate interminabili, con le esibizioni degli artisti che a lungo andare si perdevano tra la stanchezza del pubblico e le lunghissime ospitate. Baglioni pare si sia già reso conto che 24 canzoni sono troppe: se mai l’anno prossimo toccherà ancora a lui, ha dichiarato che le porterà a 20. Infine, musicalmente parlando, su 24 brani in gara, non è ancora ben chiaro quanti ne sopravviveranno nella memoria del pubblico anche dopo il ciclone del Festival: la sensazione è di aver ascoltato tante potenzialità male espresse con pochi momenti di vero stupore.
E poi, una volta per tutte, basta con gli ospiti italiani sul palco del festival. Perché è troppo comodo snobbare la gara di Sanremo e poi prestarsi alla ben più comoda marchetta di un quarto d’ora e ciao. Baglioni non ha voluto gli stranieri (ah, i tempi di Madonna ed Elton John!!) e ha privilegiato gli ospiti italiani: forse il motivo è puramente economico, forse è una ruffianata per acchiappare qualche spettatore in più. Sta di fatto che se sei italiano non vai al festival da superospite, sia che tu “super” lo sia davvero, sia che tu sia solo l’ultimo idolo del teenager. Se sei un artista italiano, e dici di amare tanto Sanremo (oh, ce ne fosse uno che dica di essere andato lì solo per promozione!), fai il favore di metterti in gara con i tuoi colleghi, ti fai una settimana di iper-sbattimento e rischi anche di finire ultimo nella classifica. Ma almeno ne esci pulito e un po’ più onesto.
Non succederà mai, ma chissà: dopotutto, la vittoria di Mahmood ci dice che tutto può succedere, e allora io anche in questo cambiamento un po’ ci spero.
Si intitola semplicemente Lucio!, con un punto esclamativo, quasi come quando si vuole attirare l’attenzione di un amico che si incontra per caso e che non si rivede da tempo. Sono passati sei anni da quando Lucio Dalla non c’è più, morto improvvisamente in Svizzera una mattina di inizio marzo, solo pochi giorni dopo l’ultima partecipazione a Sanremo. Solo oggi, nell’anno in Lucio avrebbe festeggiato i 75 anni, Ron, che di Dalla è stato collega, collaboratore e che è tra i pochissimi a potersi dire veramente suo amico, è riuscito a rendergli omaggio con un album: “Quando ti capita un dolore così, vuoi solo startene per i fatti tuoi, tranquillo. Quando lui è morto non ho sentito il bisogno di far sapere che c’ero stato, come invece hanno fatto molti altri”. Ed è per questo che Lucio! arriva adesso: dentro, 12 brani, 11 rivisitazioni di successi di Dalla e l’inedito Almeno pensami, portata in gara da Ron all’ultimo Festival di Sanremo e vincitore del Premio della critica “Mia Martini”. Un brano riscoperto grazie alla collaborazione degli eredi di Dalla e proposto a Ron da Claudio Baglioni, direttore artistico del festival: “La canzone doveva far parte di un album che Lucio stava realizzando, ma che non ha fatto in tempo a finire, e di Almeno pensami esisteva già un demo: io non ho modificato niente del testo e della musica, l’ho solo fatto mio, cercando di non perdere quella trasparenza da bambino che apparteneva a Lucio”. Con lo stesso criterio Ron ha rimesso mano agli altri 11 brani del disco: solo tre di queste canzoni portano la sua firma (Piazza grande, Attenti al lupo e Chissà se lo sai), perché l’intento del progetto non era quello di fare un disco a metà, ma un tributo in cui Dalla fosse al centro: le registrazioni sono avvenute in presa diretta con il solo utilizzo, oltre alla voce e alla chitarra di Ron, della batteria, del basso e del pianoforte. Un lavoro speciale è stato invece riservato a Come è profondo il mare, l’unico brano del disco cantato da Lucio, di cui Ron ne aveva già curato l’arrangiamento originale. Recentemente si è ritrovato a riascoltare la traccia vocale del nastro, che gli ha dato l’idea per una nuova veste strumentale più sporca e distorta.
Con il solo grande rammarico di non aver incluso nel disco Le rondini, Ron resta speranzoso sulla possibilità di trovare altri inediti: “Lucio era abbastanza disordinato, lasciava pezzi in giro, per cui non è escluso che da qualche parte ci siano ancora canzoni non ancora incise”.
Il disco è dedicato a Michele Mondella, storico collaboratore di Dalla, scomparso alcune settimane fa.
Ron presenterà del vivo il suo omaggio a Lucio Dalla in due concerti speciali in programma per il 6 maggio al Teatro Dal Verme di Milano e il 7 maggio all’Auditorium Parco della Musica a Roma: due serate interamente dedicate alle canzoni dell’artista bolognese, in uno spettacolo teatrale arricchito anche da contributi inediti. Poi in estate le altre date.
Vita, amore, pace, speranza. Non si contano le volte che Amara usa queste parole nei testi delle sue nuove canzoni. Così come non si contano le volte in cui queste stesse parole ritornano nel corso del nostro incontro, mentre la ascolto parlare del suo secondo album, intitolato proprio Pace. Erika Mineo, in arte Amara, si era già messa in luce molto bene nel 2015, quando si era presentata sul palco di Sanremo tra le nuove proposte con Credo: non ha vinto, ma ricordo che in quell’occasione molti manifestarono entusiasmo per quella ragazza capace di scrivere e cantare con così tanta consapevolezza cose che sentiva e viveva davvero. La stessa sensazione che si sente oggi tra le righe dei nuovi brani, che tra elettronica e atmosfere sinfoniche arrivano a toccare temi universali, scritti e cantati con una limpidezza che fa davvero meraviglia. Non è quindi un caso se Fiorella Mannoia quest’anno è tornata a Sanremo dopo trent’anni portando un brano – quel tanto osannato Che sia benedetta – scritto proprio da Amara. Pace: è più una ricerca o uno stato d’animo? Per me è soprattutto pace interiore, quello che cerco da sempre e che forse finalmente adesso ho raggiunto: stare bene con se stessi vuol dire stare bene con il mondo, se l’uomo è in guerra con se stesso è in guerra con il mondo. “Siamo noi la vita, siamo noi la pace” canto nel brano, e intendo proprio questo, riscoprire il senso della vita, perché il vero miracolo siamo noi e noi siamo ciò che sentiamo. La nostra mente in teoria dovrebbe essere l’arma più importante dell’uomo, il nostro miglior amico, ma diventa il nostro peggior nemico se non siamo in pace con noi stessi. Come è nata la collaborazione con Paolo Vallesi? Non credo al caso, ogni incontro ha un significato: io e Paolo ci siamo conosciuti l’anno scorso a Prato in occasione di una manifestazione di beneficenza. Si è subito creata una sinergia, ci siamo osservati e ci siamo presi: nella sua carriera ha portato nella musica messaggi bellissimi, basta pensare a La forza della vita o Le persone inutili. Abbiamo passato una notte intera a parlare di musica e abbiamo deciso di fare questa esperienza insieme, così è nato il pezzo. L’abbiamo presentato a Sanremo, ma purtroppo non è stato ammesso alla gara: il fatto che Carlo Conti l’abbia voluto comunque sul palco per il suo messaggio mi rende orgogliosa, anche perché quest’anno per me Sanremo ha avuto un valore importantissimo. L’album arriva dopo un viaggio che hai fatto in Africa. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza? E secondo te il disco sarebbe stato così senza quel viaggio? Impossibile dirlo, perché il viaggio c’è stato e diversamente non so cosa sarebbe successo alla mia musica. Di sicuro, in me è accaduto un cambiamento: ho ritrovato un contatto con me stessa che non avevo più, un contatto primordiale, con la parte animale che difficilmente riusciamo a sentire. Stare con quelle persone mi ha fatto vedere la relazione reale con il tutto, il rispetto per la Madre Terra. Di questo parlo in La terra è il pane, “nessuno schiavo, nessun è padrone, siamo tutti figli di questa terra, frutti di questa terra”. La terra ci permette di essere vita, ci ossigena, ci nutre, ci ama, ci dà energia. Ai nostri occhi la realtà dell’Africa appare povera, ma io l’ho vista ricca, di valori, odori, colori, non abuso, uso, rispetto: quelle persone vivono la vera condizione del rapporto umano, abitano il pianeta nel modo più semplice. Fanno quello che hanno sempre fatto, bevono l’acqua del fiume, e sono del tutto ignari di ciò che accade fuori, non sanno i danni che stiamo arrecando al clima, e in questo sono schiavi, si ammalano perché noi facciamo loro del male attraverso i nostri comportamenti sbagliati verso l’ambiente, subiscono la nostra arroganza. Terribile pensare che loro non sappiano nulla… Per loro conta solo l’essenza e non guardano l’apparire. Hanno un rapporto bellissimo con la natura: sanno prevedere la pioggia, ascoltano la natura, la respirano. Tutti dovrebbero andare in Africa per rendersi conto di cosa significa, per riscoprire la parte nascosta. Scorrendo i titoli dei brani, si trovano parole come grazie, pace, pane, bellezza, fantasia, filastrocca, amore. Dove trovi tutta questa positività? Vivo l’attualità e la società come la vivono tutti, e non voglio fare della mia vita una dottrina. Ognuno ha un suo punto di vista, una verità interiore da ricercare per dare un senso alla vita e comprenderla. Ogni cosa che viviamo è un insegnamento per arrivare a una totalità: la cura per non cadere nelle brutture è staccarsi da tutto quello che crea interferenza, ed è per questo che a volte decido di isolarmi, quasi in una sorta di eremitaggio. Sento il bisogno di staccare il collegamento dalla TV, dai social e cerco il contatto con la parte reale, la natura, che ti inonda con la sua frequenza perfetta a 432 Hz. In questo modo posso tornare alla bellezza, perché la natura è una grande maestra e ti fa capire quanto sia importante rispettare il tempo di ogni cosa. La natura ha un caos interiore, che è anche il suo ordine. Se guardo la televisione o leggo i giornali si parla di crisi, morte, disordine, e questo porta paura, porta a essere vittime di quello che c’è fuori, perché siamo tutti in relazione con il mondo che ci circonda. Ecco perché non possiamo permetterlo e dobbiamo staccarci dalle interferenze. In questo la musica ti aiuta? Scrivere una canzone vuol dire lavorare con la magia, perché crei una cosa che non c’è visivamente. Quando suoni magari ti rifai a qualcosa che è scritto su un foglio, ma quando scrivi fermi il momento cosmico: se mi arriva una frase la devo scrivere, altrimenti la perdo, perché di fatto non esiste. Quando sono a casa, nei miei silenzi, nella mia dimensione, mi siedo e cerco quel suono che accenda il “tasto on” nella mia mente e mi faccia riportare sulla carta quella frequenza magica. E’ un po’ come con le persone, cerco sempre di andare in profondità, di vedere oltre che guardare. Anche Che sia benedetta sembra inserirsi perfettamente nel contesto dell’album. Oggi tutto va così veloce, e allo stesso tempo così lentamente, che sembra che a 30 anni non si possa avere la consapevolezza del valore della vita, ma a 30 anni si è adulti e io oggi mi sento donna, anche se non ho un figlio. Da quando ho iniziato a vivere la vita con questa sensibilità non posso che benedire questo dono. La vita è davvero perfetta, ce lo insegnala natura, una grande maestra: vedere un albero che aspetta la stagione giusta per manifestare i suoi colori e i suoi odori o una madre che mette al mondo una vita è un grande miracolo. E’ l’essere umano che la rende imperfetta. Pensi che oggi la musica svolge un compito diverso rispetto al passato per la società? Non saprei. Oggi, a noi che viviamo il nostro presente, appare tutto uguale, ma penso che anche in passato fosse così: del passato è rimasto quello che doveva restare, il resto se n’è andato, e anche in futuro sarà così.
Per rivisitare C’è tempo di Fossati hai chiamato Simona Molinari; come ti sei trovata in questa collaborazione? Io e Simona siamo due massimi opposti, anche vocalmente, ma questa è la prova che le diversità possono coesistere, e la ringrazio tanto per il suo contributo. E’ un’amica e un’artista che stimo molto. Reputo questa canzone una vera opera, un pezzo importante che ho voluto omaggiare per due motivi: mi ha insegnato prima di tutto a non avere paura del tempo e che ogni cosa accade se si ha la pazienza di attenderla, e poi mi ha trasmesso un senso di responsabilità, perché per me quella canzone è stata motivo e forza di vita, per cui mi fa sperare che le mie canzoni possano fare altrettanto per altri. Di chi è la voce che si sente in Filastrocca d’amore? Di Gaia, la nipotina di un mio caro amico. Ha letto questa filastrocca con la spontaneità tipica dei bambini. Parla dell’educazione del cuore, e quando mi sono trovata davanti il testo mi sono chiesta quale fosse il modo migliore per raccontarlo. Fin dall’inizio sentivo che doveva intitolarsi Filastrocca d’amore e ho pensato che non c’è maestro di vita più grande di un bambino. Le parole “se appoggi la mano all’altezza del cuore, tra il battito e il flusso ci trovi l’amore” pronunciate con quella cantilena hanno una forza incredibile. Quando ho detto al mio produttore che volevo inserirla nel disco mi ha risposto che stavamo facendo una follia, ma alla fine l’ho tenuta così, senza musica, registrata da Whatsapp. Ascoltando Quando incontri la bellezza mi è venuto in mente il brano di un altro cantautore, Fabio Cinti, che in E lei sparò dice “la bellezza, si sa, ti tocca e poi se ne va”. Tu pensi che la bellezza si possa fermare? La bellezza si può vedere, contemplare, anche vivere, ma non si può prendere. Quando nella canzone dico “l’amore è nel sorriso quando incontri la bellezza” intendo proprio questo, qualcosa che si può solo ammirare. Nel disco hai inserito Un altro sole, che Loredana Errore aveva già cantato nel suo ultimo album, Luce infinita. Perché hai scelto di riproporla? Ci sono canzoni a cui sono legata in modo diverso: tutte sono importanti, ma alcune sono come fotografie, passaggi di vita forti. Le canzoni sono un po’ i miei selfie, che non amo fare sui social. Un altro sole mi ha spinto verso la pace: quando vivi una vita che non ti appartiene, ti trovi in uno stato di inutilità e l’unica cosa che puoi fare è aspettare che torni il sole e ritrovare la pace. Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione? La ribellione è crescita, rivoluzione interiore. Dobbiamo prima di tutto ribellarci a noi stessi, siamo noi i nostri più grandi nemici.
Non c’è spazio più adatto delle pagine virtuali di BitsRebel per scrivere di Ermal Meta, che con il brano Vietato morire ci ricorda la necessità di disobbedire e di ribellarci alla violenza. La sua canzone è un inno alla vita e alla ricerca della felicità, e sta piacendo molto. Ermal ha vinto la serata dedicata alle cover del Festival di Sanremo, con un’emozionante interpretazione di Amara terra mia di Domenico Modugno. Sommerso di complimenti da ogni parte, immaginiamo cosa si è scatenato sui social. Bene, ho pensato, adesso non mi chiederanno più “Ermal chi?”. Invece poi ho cambiato idea: visto che lo chiedono in tanti, vuol dire che molte persone l’hanno notato, che la sua musica è arrivata (Simona Ventura e la ‘pancia’ della gente insegnano). Non che fosse mai stato un problema spiegare chi fosse e cosa avesse fatto, anzi. L’ho considerato bravissimo fin dagli inizi e – per un certo periodo – sottovalutato, quindi ne ho parlato sempre volentieri. E poi, se c’è un senso profondo in questo lavoro io lo trovo nel proporre quello che sento di bello e nel cercare di farlo conoscere: io e gli amici di BitsRebel, che così gentilmente mi ospitano in questo spazio, abbiamo l’opportunità di vivere la musica quotidianamente, e possiamo assicurarvi che di cose belle e persone interessanti ce ne sono. Come Ermal Meta, che adesso sta su un palcoscenico importante, forse il più importante. Vi assicuro che questa platea il ragazzo con il fiore all’occhiello che ci ricorda di ribellarci, se l’è sudata.
Grazie a Sanremo, dicevo, in tanti mi chiedono “Bravo, ma chi è?”. Rispondo qui: • La fame di Camilla era una band conosciuta, che ha calcato palchi importanti (Heineken Jammin’ Festival, per dire), ma non così famosa – eravamo dalla parte dell’indie pop. Potrei aggiungere purtroppo, ma comunque il succo è che quando nominavo Ermal Meta quasi nessuno sapeva che fosse il cantante del gruppo, e autore principale delle canzoni. • La Fame di Camilla ha partecipato a un Festival: 2010, con Buio e luce. Per Ermal era il secondo Sanremo, dopo quello come chitarrista degli Ameba 4. • “Ermal chi?” è continuato anche quando si è affermato come autore. Ha scritto canzoni per Marco Mengoni, Patty Pravo, Chiara Galiazzo, Elodie, Lorenzo Fragola, Francesco Renga – e qua mi fermo. Vi assicuro che queste canzoni le conoscete. Negli ultimi due anni le sue canzoni hanno guadagnato 6 dischi di platino e 4 d’oro… Visto che lo conoscete? • Ermal ha scritto le canzoni che hanno vinto The Voice (per Alice Paba) e Amici (per Sergio Sylvestre). • L’anno scorso ha partecipato al Festival di Sanremo, con Odio le favole. Arrivando terzo tra le Nuove Proposte, pubblicando l’album Umano, facendo un tour. Mettetevi in ginocchio sui ceci: è arrivato terzo tra le Nuove Proposte a Sanremo 2016, e oggi chiedete “Chi è?”. Si scherza, ma questo vuoto di memoria non sarà più concesso: si è ‘carneadi’ una volta sola nella vita, dai. • Ermal Meta è al suo quarto Festival e finalmente è entrato di nome oltre che di fatto nella categoria dei Campioni. • Il suo nuovo album si intitola Vietato morire, come la canzone che ha presentato al Festival. La perla è Piccola anima, che canta in duetto con Elisa. • I suoi fan sono I lupi di Ermal. Ah, visto che mi è stato chiesto: sì, il nome è suo, è quello vero (è nato in Albania). Ecco chi è Ermal Meta. Per il resto, andatelo ad ascoltare: potreste scoprire che quelle che scrivete in giro, su Facebook, sui diari, qualcuno anche nei tatuaggi, sono frasi sue che senza fatica sono diventate nostre. Foto: Luis Condrò
E via, anche la quarta serata è andata. Scorrono velocissimi come sempre i giorni di Sanremo e ormai, arrivati al secondo ascolto, tutta l’attenzione più che sulle canzoni è sul piazzamento che avranno nella classifica finale di stasera. Intanto il primo verdetto è arrivato con la proclamazione di Lele a vincitore delle Nuove Proposte, e molti dicono che se lo aspettavano. Io sinceramente no, anche se è indiscutibile che il ragazzo partiva un passo avanti avendo dalla sua una dose di notorietà arrivata dalla partecipazione ad Amici.
Detto ciò, passiamo alla gara dei Campioni.
Questa volta la mannaia è caduta su Ron, Giusy Ferreri, Al Bano e Gigi D’Alessio: esito in buonissima parte prevedibile e direi anche condivisibile. Tra i restanti 16, sembra ormai definirsi chiara una cinquina destinata a occupare i piani alti della classifica finale, vale a dire Gabbani, Mannoia, Meta, Turci e Bravi, non necessariamente in quest’ordine. Perché se è vero che alla vigilia del Festival gli elogi erano solo per Fiorella Mannoia ed Ermal Meta, nel corso delle serate è piombato il ciclone Gabbani a scompigliare le carte, facendosi largo a suon di gomitate e balletti. La Mannoia ha sì un gran pezzo, ma – come già avevo avuto modo di osservare – troppo in linea con i suoi standard, e questo potrebbe rivelarsi un freno. Su Meta non si può francamente dire nulla, se non riconoscere il talento di un cantautore che finalmente si sta prendendo il giusto riconoscimento.
Ci sono poi alcune canzoni partite in sordina ma che di ascolto in ascolto si sono fatte forza, come Il diario degli errori di Michele Bravi, tenerissimo nell’affrontare con la sua giovane età le pesanti parole di quel testo (ah, se ascoltate la canzone chiudendo gli occhi potreste simpaticamente risentire Noemi…), e soprattutto Ora esisti solo tu di Bianca Atzei. E qui devo fare mea culpa, perché verso di lei ero pieno di pregiudizi, come molti altri del resto: sì, è vero, la Atzei non ha mai piazzato un successo in classifica, non vende, non viene passata in radio (eccezion fatta per RTL), forse è davvero raccomandata e probabilmente la sua collocazione tra i Campioni è frutto più di diplomazia altrui che non di un vero pedigree, ma la sua canzone ha un giro melodico assassino che ti si pianta in testa. Tutto il resto, a questo punto, non mi interessa, e le sue lacrime durante l’ultima esibizione mi sono sembrate sincere. Chiamatemi anche stupido, ma io la salvo.
Sensazionale poi Paola Turci, che sta facendo di questa partecipazione al Festival una vera e propria occasione di rilancio tra il grande pubblico. Tra gli altri, pienamente promossi Samuel ed Elodie, che ieri sera si è riscattata dopo un esordio un po’ spento. Non vincerà, perché la canzone non è abbastanza forte, ma se saprà muovere bene i prossimi passi penso potrà fare belle cose e si scrollerà dalle spalle l’ombra di Emma.