“La mia è musica pop”. Cristina D’Avena torna con Duets Forever, e aspetta ancora Jovanotti

Quando l’anno scorso Cristina D’Avena ha deciso di pubblicare un intero album con le sue sigle più famose cantate insieme ad alcuni grandi nomi della musica italiana, forse non tutti avrebbero scommesso sugli esiti commerciali dell’operazione.
Ma a 12 mesi di distanza lo possiamo dire: Duets non è stato solo un progetto geniale, ma anche un indiscusso successo discografico. Non solo l’album si è guadagnato la certificazione platinata, ma Cristina D’Avena è anche risultata essere l’artista femminile con il più alto piazzamento nella classifica di fine anno per il 2017.
Un risultato così non poteva che spingere Cristina a concedere il bis, per la gioia di un pubblico composto per buona parte da chi bambino lo era almeno una decina di anni fa.
Ecco allora che venerdì 23 novembre arriva Duets Forever – Tutti cantano Cristina: altre 16 sigle diventate ormai parte della tradizione italiana riarrangiate e reinterpretate insieme ad altrettanti protagonisti della nostra scena musicale, da Patty Pravo a Elisa, Fabrizio Moro, Carmen Consoli, The kolors, Nek, Max Pezzali,Lo Stato Sociale Alessandra Amoroso, Elodie, Dolcenera, Il Volo, Malika Ayane, Le Vibrazioni, Federica Carta e Shade.

Come per il progetto precedente, anche stavolta Cristina ha contattato personalmente ogni singolo artista che era intenzionata a coinvolgere: “Sono tutti colleghi che stimo e ho voluto chiamarli uno ad uno per sentire personalmente la loro reazione e capire se avessero davvero voglia di partecipare. Alcuni erano impegnati in tour o stavano lavorando a nuovi dischi e non hanno potuto esserci, pazienza. L’unico dispiacere che ho è non essere riuscita nemmeno stavolta a contattare Jovanotti: ci ho provato in tutti i modi, gli ho mandato messaggi velati e espliciti, gli ho registrato degli audio, gli ho scritto mail, ho fatto addirittura dei video, ma non ha mai risposto e non capisco perché. Forse non ha avuto tempo? O i miei segnali non gli sono mai arrivati? Se non era interessato poteva dirmelo tranquillamente”.
Ma per un Jovanotti che non c’è, ci sono altri 16 protagonisti che si sono messi a disposizione, e gli aneddoti non mancano. Su Patty Pravo: “l’ho contattata tramite il suo assistente, che non era molto convinto che lei avrebbe accettato di cantare i Puffi. ‘Io provo a chiederglielo, ma non so’, mi ha detto. Invece dopo due ore mi ha richiamata entusiasta dell’idea. L’unica paura che aveva era quella di dover fare anche la voce di Gargamella, ma quando l’ho rassicurata che l’avrebbe fatta Fabio De Luigi è andato tutto liscio”.
Su Elisa: “Appena le ho comunicato per telefono l’intenzione di coinvolgerla si è messa subito a gridare ‘Memole” Memole! Memolina! Memolina! Voglio fare Memolina perché io sono Memolina!!’, ed era chiaro che quella sigla era prenotata per lei. Si è completamente calata nel personaggio”.
Su Lo Stato Sociale: “Mi hanno detto subito ‘Noi vogliamo fare Denver, perché vogliamo bene a Denver’. E non hanno solo ricantato il pezzo, ma lo hanno completamente riarrangiato”.
Federica Carta invece non conosceva Papà Gambalunga: “Gliel’ho proposta perché ha un bellissimo testo. Lei era intimorita, in studio aveva paura di sbagliare, di non ricordare esattamente tutte le note, ma l’ho rassicurata ed è stata dolcissima”. 

L’orgoglio che Cristina esprime parlando di questo nuovo lavoro è incontenibile: “Questo disco è gioia pura. Con Duets e Duets Forever sono riuscita a coinvolgere 32 artisti, e non sono pochi! All’inizio nessuno avrebbe mai immaginato che si potesse arrivare a realizzare un secondo album di duetti. Penso che insieme a Warner abbiamo fatto un bel lavoro, un disco di musica pop a tutti gli effetti: i giornalisti sono sempre stati molto buoni con me, ma per molto tempo la mia è stata considerata ‘musichina’, musica di serie B. Dopo Duets è un po’ cambiata la considerazione che il pubblico aveva di me, molti pregiudizi sono caduti. Queste sono canzoni nuove, non avrei mai fatto un disco tanto per farlo: ho voluto rimettere mano al mio repertorio e dargli una veste nuova, perché la gente da me vuole sentire le novità. Ogni brano è stato riarrangiato pensando all’ospite che lo avrebbe cantato con me”.  
Guardando al futuro però, Cristina mette le mani avanti: “Un Duest Tris? Mah, iniziamo a vedere come va questo, poi ci penseremo, anche se credo che quando una cosa va bene ci si debba saper fermare per lasciare al pubblico ancora un po’ di appetito”.
Anche sull’ipotesi di un evento televisivo non mancano le riserve: “Se si dovesse fare, bisognerebbe pensare a una serata davvero bellissima, che coinvolga tutti gli ospiti, ma sono tanti, ognuno con i propri impegni. E non potrei nemmeno utilizzare le immagini dei cartoni, perché la questione dei diritti è complessa”.

A una “principessa e fatina rock” come Cristina la capacità di sognare però non manca, e allora perché non provare a immaginare di affidare una delle sue sigle ad alcune delle icone leggendarie della musica italiana e internazionale? “Tra gli stranieri mi piacerebbe coinvolgere Chris Martin e David Guetta. A Mina darei Prendi il mondo e vai, che tra l’altro è stata scritta da suo figlio Massimiliano; a Ligabue farei cantare Una grande città, mentre per Tiziano Ferro penserei a un brano della serie di Licia. La gente ancora oggi mi chiede com’è andata a finire la storia con Mirko e tutti mi parlano sempre delle fettine panate! Andrà a finire che ci farò una canzone. Anzi, la faccio scrivere a Jovanotti!”.

Ma dopo tutti questi anni, Cristina come si spiega il suo successo? “Penso che la ragione stia in una frase che mi ha detto Maurizio Costanzo. ‘tu hai successo perché sei sempre rimasta fedele a te stessa’. E in effetti è così, non ho mai voluto sperimentare, per poi tornare indietro, e non ho mai avuto ripensamenti”.

“Che ansia cantare Whitney!”. Da Madonna a Mengoni, Giorgia rivela il suo ‘cuore pop’

Giorgia torna fan per Pop Heart.
Dopo averci pensato per anni, il 16 novembre l’artista romana pubblica infatti il suo primo album di cover, con una tracklist dettata dalle scelte dell’istinto e del cuore: “Non ho voluto seguire un genere particolare e non c’è un ordine di tempo. Per me essere pop significa prima di tutto essere parte di un universo condiviso, e queste canzoni sono ormai tutte nella memoria della gente. Sono canzoni conosciute da tutti e sono quelle con cui sono cresciuta io: le ho scelte da ascoltatrice, mettendo al primo posto la voce, l’interpretazione. Ne avevo proposte più di 100, poi man mano la lista si è sfoltita. Da tempo nei miei live inserisco anche qualche cover, ma per questo album ho voluto eseguire anche pezzi che magari il pubblico non si aspetta da me”.
E in effetti tra i 15 pezzi che vanno a comporre Pop Heart si spazia molto: da Jovanotti a Zucchero a Vasco Rossi, e poi Tiziano Ferro, Carmen Consoli, Mango, gli Eurythmics, Madonna e l’immancabile Whitney Houston: “Di tutto il suo repertorio ho scelto proprio I Will Always Love You perché è uno dei suoi pezzi più conosciuti. Forse non è il suo brano che amo di più, ma è il manifesto della sua carriera, tutti lo conoscono. Mi ricordo quando lo ascoltavo con il lettore CD portatile e l’ho amato così tanto che ancora oggi potrei riconoscere le diverse esibizioni live solo ascoltando le variazioni  che Whitney fa sulle note. E’ un brano molto difficile, che mi ha dato un po’ di problemi: sono andata in ansia, mi sudavano le mani, non riuscivo più a cantarlo, e intanto il mio produttore, Michele Canova, era lì che aspettava. Poi ho fatto pace con la responsabilità, e l’ho cantato. Ho cercato di rispettare il più possibile la melodia e alla fine prendo fiato in un punto in cui lei non lo prendeva, ma pazienza, lei è Whitney Houston”.

La tracklist dell’album comprende classici italiani e internazionali degli anni ’70 e ’80 e successi più recenti, saltando quasi del tutto gli anni ’90: “In quel periodo lavoravo molto, ero già passata ‘dall’altra parte’, il mio ascolto era contaminato dall’attenzione per gli arrangiamenti, mentre negli anni ’80 ero semplicemente un’ascoltatrice”.
Per ogni brano c’è un aneddoto o un ricordo: “Donna Summer è stata molto trasgressiva per l’epoca e so che quando è venuta in Italia ha avuto parole bellissime per me. La mia versione di I Feel Love è stata curata da Benny Benassi, che ho scoperto essere un mio ammiratore. Con Zucchero l’approccio è stato particolare, perché non ha neanche voluto sentire la cover, mi ha scritto solo un messaggio in cui mi ha detto ‘mi fido’. Per una come me, educata a scuola dalle suore, Dune mosse rappresentava un manifesto molto libertino con i suoi ‘grembi nudi lambi’, e poi ci ha suonato Miles Davis, non potevo non rifarla”.
Tra i successi degli ultimi anni, oltre al singolo Le tasche piene di sassi (“Lorenzo ha scritto un pezzo personale, ma quelle parole esprimono un dolore universale”), ci sono Il conforto, Gli ostacoli del cuore e L’essenziale: “Più di una volta io e Tiziano siamo andati vicini a fare un duetto, ma non ci siamo mai riusciti: quando l’ho contattato e gli ho proposto Il conforto, lui era dall’altra parte del mondo ma ha accettato subito. La versione con Carmen era già bellissima, noi l’abbiamo rivisitata in chiave black, con sonorità che piacciono a entrambi. Per Gli ostacoli del cuore è stato matematico coinvolgere Elisa, che ha fatto la parte di Ligabue: mi piace molto che le nostre due voci si confondano e non si capisca chi tra le due sta cantando. L’essenziale è una canzone che avrei voluto scrivere io, e fin dalla prima volta che l’ho sentita a Sanremo ho capito che avrebbe vinto. E’ una canzone che mi fa pensare che nella vita non c’è matematica, la vita non ti avvisa quando le cose stanno per succedere, e per questo è importante capire quali sono le cose davvero essenziali. Con Marco c’è poi un rapporto speciale, perché lui ha più volte dichiarato di essere cresciuto ascoltando me, ma la distanza tra il fan e l’artista si è completamente azzerata già da quando abbiamo collaborato insieme a Come neve. Abbiamo due voci simili, molto alte, e quando gli ho comunicato che avevo ricantato L’essenziale gli ho detto che il risultato era ‘io che sembro te, che sembri me, che sembro te’. Ci abbiamo scherzato su, e lui mi ha risposto ‘sì, io sembro te, ma con molto più collagene’. Che simpatico!”.

La lista degli esclusivi è inevitabilmente lunga, e fra questi c’è James Taylor, che forse in molti si sarebbero aspettati di trovare (“Avevamo già cantato insieme a Sanremo l’anno scorso, e poi in questo disco ho voluto mettere cose che il pubblico non si aspettava”), ma anche Laura Pausini è rimasta fuori (“Avevo provato in Assenza di te, ma non mi veniva bene, non mi convinceva”).

Con le cover Giorgia ha imparato a familiarizzare fin dall’inizio della sua carriera, quando il padre le ha fatto conoscere i grandi interpreti della black music con le canzoni registrate sulle musicassette (è noto che il nome della cantante è stato ispirato da Georgia On My Mind di Ray Charles) e l’ha introdotta nel mondo del piano bar: “In casa potevo ascoltare solo artisti neri, vivevo un razzismo la contrario. Tra i bianchi ascoltavo solo Tom Jones, perché mio padre pensava che fosse nero”, scherza Giorgia.
Con il tempo il suo repertorio si è fatto via via sempre più eclettico e tra le sue interpretazioni sono entrati pezzi di Jimi Hendrix, Diane Reeves, Etta James, “e facevo anche una discutibile versione di Foxy Lady. Quando studiavo canto avrei voluto provare a cimentarmi nella lirica, ma il mio maestro mi ha detto che non avevo il ‘fisico’ adatto e una cassa toracica abbastanza grande (scherzando con le mani indica un seno prosperoso, ndr), così ci siamo concentrati sul pop. Per molti anni ho cantato mantenendo un’impostazione rigida, di cui a un certo punto mi sono liberata, arrivando forse all’eccesso opposto. Oggi riesco a mediare: ho capito che non è tanto importante l’intonazione, ma la respirazione, perché è attraverso il respiro che passano le emozioni. La mente incide molto sulla voce: se si canta pensando troppo si canta male. Quello che deve arrivare al pubblico non ha un nome. L’allenamento è comunque importante, soprattutto quando devi fare un concerto, e anche se sono allenata più di concerti a settimana non riesco a farli. Ormai c’ho ‘na certa…“.


Guardando attentamente la copertina di Pop Heart, con quel cuore realizzato dall’artista romano Marco Bettini in un gioco grafico-semantico tra “art” e “heart”, si nota l’indicazione di un promettente “Vol. 1”: “Se il disco andrà bene, nessuno mi impedisce di fare un Volume due. Magari un Black Heart o un Classic Heart, spaziando tra i generi”.

Mentre per il tour c’è ancora tempo, perché partirà ad aprile (ma le prevendite sono già aperte), il 23 novembre Giorgia sarà protagonista di un evento benefico a favore dei bambini con disabilità organizzato dall’Associazione “Per Milano” in collaborazione con la Caritas Ambrosiana e che si svolgerà all’interno del Duomo di Milano: “Penso sia la prima la volta che il pop entra in Duomo, e finchè non sarò davvero lì non ci credo davvero. Sarò accompagnata dalla Roma Sinfonietta e il maestro Valeriano Chiaravalle si sta occupando degli arrangiamenti dei brani, che per l’occasione avranno una veste più sinfonica. Ci saranno E poi, Di sole e d’azzurro, Come saprei, Gocce di memoria, Credo, ma anche brani dal nuovo album come Le tasche piene di sassi, Anima. Interpreterò anche l’Ave Maria di Schubert, che sto studiando nella versione di Andrea Bocelli, e penso che farò anche (You Make Me Feel Like) A Natural Woman“.

Leonesse: il 5 novembre esce il primo album live di Emanuele Dabbono

La Claque Live foto by Luigi Cerati
Si intitola Leonesse il primo album live di Emanuele Dabbono, registrato in occasione del concerto a La Claque di Genova (Teatro della Tosse) lo scorso 21 aprile e in uscita il 5 novembre.

Il disco, prodotto da Emanuele Dabbono e Raffaele Abbate, arriva a 10 anni dalla partecipazione di Emanuele a X Factor e dopo la fortuna collaborazione con Tiziano Ferro, per cui Emanuele ha scritto brani come Incanto e Il conforto, che Giorgia ha scelto di inserire nel nuovo album Pop Heart. Il disco contiene 14 brani brani live tra i più significativi della sua carriera, riarrangiati da sonorità acustiche al rock elettrico.

“Dopo 20 anni di concerti era venuto il momento di celebrare quello che per me è’ l’essenza del fare il musicista: l’incontro con gli altri. Ho sempre amato la possibilità di far entrare la gente attivamente nella dinamica e riuscita del concerto, tanto quanto i musicisti al mio fianco. E per parlare di musicisti, questa volta (a partire già dal precedente Totem), ho trovato umanità straordinarie, prima che virtuosi”.

Leonesse sarà presentato in anteprima il 3 novembre live a La Claque di Genova, proprio dove è stato registrato, con tutta la band al completo: Marco Cravero alla chitarra elettrica e classica, Fabrizio Barale alla lap steel e 12 corde, Michele Aloisi al basso, Fabio Biale al violino e ai cucchiai, Giuseppe Galgani alla chitarra elettrica, Gianka Gilardi alla batteria e percussioni e Matteo Garbarini alla chitarra elettrica.

Prevendita aperta sul sito ufficiale de Il Teatro della Tosse.

In attesa dell’uscita del disco, è già disponibile il video dell’esibizione live di Ci troveranno qui, il brano inedito che Emanuele Dabbono aveva presentato alla finale della prima edizione di X Factor.
Regia di Serena Merega.

Leonesse Copertina
Tracklist:
1. Piano
2. Le onde
3. E tu non ti ricordi
4. Capo di buona speranza
5. Siberia
6. Scritto sulla pelle
7. Treno per il sud
8. Pacifico
9. Le cose che sbaglio
10. Mio padre
11. Alla fine
12. Mostar
13. Corpi
14. Ci troveranno qui

Tiziano Ferro ed Ed Sheeran firmano un brano per Andrea Bocelli

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“HO SCRITTO UNA CANZONE CON ED SHEERAN!
Un sogno!
Ho realizzato un sogno.
Scrivere una canzone insieme ad Ed Sheeran e farlo per l’immenso Andrea Bocelli è stata un’esperienza che ha rinnovato e rinvigorito il mio amore per la musica.
I sogni si realizzano, non smettete mai di sognare.”

Così Tiziano Ferro ha dato l’annuncio sulla sua pagina Facebook: Amo soltanto te, brano destinato al nuovo album di Andrea Bocelli , in uscita il 26 ottobre, porta infatti a firma dell’artista di Latina e di Ed Sheeran.

Per il tenore toscano e il cantautore inglese si tratta di un nuovo incontro, dopo il duetto nella Symphony Version di Perfect dello scorso anno.

Emanuele Dabbono: il 21 aprile dal vivo a Genova per il primo album live

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A distanza di 6 mesi dall’uscita dell’ultimo album Totem, Emanuele Dabbono sarà a La Claque di Genova prossimo il 21 aprile (ore 21:30) per un concerto in una speciale dimensione live, in occasione dei 10 anni dal suo primo EP Ci troveranno qui, che lo ha fatto conoscere al grande pubblico grazie alla partecipazione alla prima edizione di X Factor.

Una festa, una data unica con una scaletta studiata per attraversare 10 anni in musica e una band di 7 elementi ad accompagnare Emanuele Dabbono sul palco de La Claque di Genova. Il concerto sarà interamente registrato al fine di realizzare un album in versione live, il primo per Emanuele, che ha scelto proprio la sua Genova per racchiudere in un disco dal vivo i brani più significativi che lo hanno accompagnato in questi anni.
L’idea nasce insieme a Raffaele Abbate di Orange Home Records, già sound engineer di Totem, con il desiderio di riportare le atmosfere ricercate ed acustiche in tutto il repertorio di Emanuele Dabbono.

“Se penso a quando ho iniziato, io volevo scrivere canzoni che significassero qualcosa per me. Tutt’ora è così. Qualcuna ha finito per significare per molte più persone. Ma è dal vivo che ho sempre pensato di esprimermi meglio. Tra l’improvvisazione e lo scambio con la gente, le vibrazioni e l’emozione. Perché è alla gente che appartengono i testi e le note che scriviamo. Volevo scattare una fotografia del momento in cui le idee si fanno vive nelle voci altrui”.

La location de La Claque, per l’occasione, si trasformerà in un vero e proprio racconto attraverso foto, video e contenuti esclusivi che il pubblico troverà al suo arrivo.

Sul palco con Emanuele. Michele Aloisi, Fabrizio Barale (Ivano Fossati), Fabio Biale, Marco Cravero (Francesco De Gregori), Giuseppe Galgani, Matteo Garbarini e Gianka Gilardi.

La prevendita dei biglietti è attiva su www.teatrodellatosse.it
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Stavo pensando a te: Fabri Fibra, Tiziano Ferro e la genialata di fine anno

In un panorama hip hop italiano ormai da tempo succube delle lusinghe dei riflettori e del glam dello showbiz, quella di Fabri Fibra resta una delle voci più lucide, coerenti e restie alle smanie di protagonismo. Mai una parola detta a vanvera, mai una presenza di troppo, mai una provocazione lanciata a vuoto “tanto per”.
Ma anche Fabrizio Tarducci sa che nel grande carrozzone discografico il marketing ha la sua importanza. Come chiudere quindi in bellezza e con intelligente astuzia un anno già memorabile grazie al successo di Fenomeno?
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Beh, la risposta ha un nome e un cognome, e arriva dai piani più alti del pop melodico: Tiziano Ferro.  

Non solo infatti l’album del rapper ha avuto recentemente nuova vita con una Masterchef Edition arricchita da un secondo disco di inediti, ma adesso arriva uno di quei duetti che se non fossero reali avrebbero tutta l’apparenza dell’impossibile.
Ebbene sì, Fabri Fibra e Tiziano Ferro si sono dati a un featuring sulle note di Stavo pensando a te.
Il brano, già estratto come singolo di Fenomeno e certificato platino nella sua versione originale, è stato presentato in anteprima nella nuova veste durante la puntata di Che tempo che fa domenica 17 dicembre, per poi arrivare negli store digitali a partire dalla mezzanotte successiva.
Inutile dire che un duetto del genere va ben oltre il discorso prettamente musicale, per quanto non sia secondario il fatto che l’accoppiata funziona molto bene, e si apre a numerose considerazioni e letture differenti, da chi ci vede un’ironica collisione tra pop e rap fino a più impegnative – ma forse non troppo errate – interpretazioni di abbattimento delle barriere omofobe, elemento tutt’altro che scontato, soprattutto se in ballo ci sono due artisti come questi: se infatti dell’omosessualità di Ferro tutto si è detto, forse si ricorderà anche che negli anni Fabri Fibra è stato in più occasioni accusato di omofobia per i contenuti dei suoi testi.
Quella di Stavo pensando a te arriva quindi come un’operazione astuta e inaspettata, almeno fino ad oggi, che non poteva prendere forma se non sotto il segno di un reciproco rispetto artistico e di una profonda intelligenza.

BITS-CHAT: Un treno in viaggio tra l’Irlanda e la "solitaritudine". Quattro chiacchiere con… Emanuele Dabbono

BITS-CHAT: Un treno in viaggio tra l’Irlanda e la “solitaritudine”. Quattro chiacchiere con… Emanuele Dabbono

Emanuele Dabbono - Totem3La storia dell’ultimo album di Emanuele Dabbono è iniziata nel 1997, esattamente vent’anni fa, e ha trovato la perfetta conclusione in soli tre giorni di registrazione in una chiesa sconsacrata di Arenzano, in Liguria.
È così che ha finalmente visto la luce Totem, un album nudo e acustico, dal forte sapore irish. Un fotografia nitida del suo autore, stampata idealmente su carta ruvida e artigianale.
In mezzo, tra il concepimento e la nascita del disco, tanti altri scatti: la morte del padre, un viaggio in Irlanda, la partecipazione alla prima edizione di X Factor, la paternità e da ultima la collaborazione con Tiziano Ferro, per il quale Dabbono ha firmato alcuni degli ultimi successi (tra gli altri, Incanto e Il conforto), come unico autore sotto contratto in esclusiva.
Dabbono, figlio del cantautorato americano e fedele al suo spirito indipendente e libero, non ha ceduto alle lusinghe di chi avrebbe voluto sporcare il progetto di Totem con l’elettronica per avvicinarlo al pubblico, ma lo lasciato così lo aveva immaginato sin dall’inizio, incontaminato, senza neanche un vero e proprio singolo da consegnare alle radio.
Perché tanto lui il suo successo lo ha già raggiunto, e ha trovato la sua dimensione ideale nella solitudine. Anzi, nella “solitaritudine“.
Perché Totem?
Nella cultura degli indiani d’America il totem è un simbolo sacro. Veniva messo all’ingresso dei villaggi e ogni disegno rappresentava qualcosa di importante per gli abitanti: la famiglia, gli affetti, i legami. Questo disco è il mio totem, perché dentro ci ho messo tutto quello che conta per me: ascoltarlo è un po’ come entrare nel mio villaggio, andateci piano, state maneggiando il mio cuore. È il disco che ho cercato a lungo, ma che ho anche tenuto nascosto.
È anche un disco che ha avuto una gestazione piuttosto lunga.
Il primo pezzo, Piano, è di vent’anni fa, anche se quasi non me ne rendo conto. Negli altri brani si sentono molto le influenze irlandesi perché per un periodo ho effettivamente vissuto in Irlanda dopo la morte di mio padre. Avevo bisogno di staccare da tutto, liberare la testa, e l’Irlanda mi è sembrato il posto adatto per questa sorta di “espiazione”: una volta arrivato, è successo che sono entrato in contatto con la musica di quei luoghi e anziché fermarmi una settimana sono rimasto qualche mese. La musica irlandese mi ha influenzato molto, sono entrato in sintonia con quell’ambiente, mi è piaciuto il contatto che si instaura con la gente girando per i locali. Tornato in Italia mi sentivo molto meglio, ma ho voluto tenere nascosta a lungo la consapevolezza che avevo acquisito, quasi come se fosse qualcosa di privato. È stato Tiziano (Ferro, ndr) a farmi capire che invece la mia forza stava proprio in quelle atmosfere, nelle tenerezza e nella dolcezza che riuscivo a tirar fuori con quella musica, non dovevo per forza fare rock. Da qui ho preso il coraggio per dar forma a questo album.
Questi suoni non sono esattamente quello che ci si aspetterebbe di sentire oggi da un cantautore…
Totem è un disco folle, e ne sono perfettamente consapevole: non c’è reggaeton, non c’è il featuring con qualche rapper, non c’è elettronica. Qualche major sarebbe anche stata disponibile a pubblicare il disco, ma avrei dovuto modificare un po’ il progetto, e non ho voluto. Quello che è venuto fuori è una fotografia nitidissima di me, in HD. Sono già contento che questo disco possa finalmente uscire: poterlo pubblicare è come ricevere il sesto disco di platino.
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A proposito di Piano, ho letto che è in qualche modo legata a John Denver.
L’ho scritta nel ’97, dopo la sua morte. L’idea però non era quella di fare un pezzo dedicato a lui, ma piuttosto riflettevo sul fatto che quelli che noi immaginiamo invincibili e destinati all’eternità se ne vanno. È stata una delle prime canzoni che ho scritto.
Gli altri pezzi quando sono nati?
Sono più recenti, dall’Irlanda in poi, diciamo dal 2006 ad oggi. L’ultima arrivata è Siberia, che ho scritto alcuni mesi fa. Anche in questo senso Totem è un disco fuori dalle regole: c’è un pezzo del ’97 e poi uno stacco di quasi dieci anni.

Che cos’è il “treno per il sud” che dà il titolo a un altro dei brani?
È un ritorno a casa, un ritorno indietro. Non so bene perché, ma il sud mi ha sempre dato l’idea di casa più del nord, forse perché il nord viene di solito associato a temperature fredde. Il viaggio per il sud mi dà anche l’idea di una discesa in profondità, un viaggio interiore.
Che valore ha il viaggio nella tua vita?
Il vero viaggio è nelle persone. Forse è un pensiero che altri hanno già espresso, ma sono pronto a confermarlo. Negli anni ho incontrato persone bellissime, spesso in maniera fortuita. Ti racconto un aneddoto: tempo fa ho trovato un sito web in cui si poteva ordinare un libro per bambini personalizzandolo in base al nome. Mia figlia si chiama Claudia, e per ogni lettera del suo nome gli autori hanno costruito la storia di una bambina che va alla ricerca di creature misteriose. Come dedica, hanno scritto: “Cara Claudia questo è un viaggio tra le meravigliose creature che incontrerai nella vita. Queste sono soltanto le prime”. Ecco, questa è una bellissima definizione di viaggio, un’esperienza tra le persone prima che tra i luoghi. Ovviamente, non trascuro nemmeno il viaggio vero, quello geografico, perché mio padre non ha avuto la possibilità di girare molto e io lo sto facendo anche per lui. Mi capita di sognare alcuni luoghi in cui non sono ancora stato, come l’Islanda o il Sud Africa.
La sensazione che si prova ascoltando questo disco è quella di un uomo in pace con se stesso. Cosa ti dà pace?
È difficile dire cosa mi dà davvero pace, dovrei pensarci un po’, però posso dirti cosa mi fa stare bene: riconoscermi negli altri, nella musica, nei film, nei libri. Hai presente quando hai la sensazione che qualcosa sia stato detto o cantato apposta per te? Quando ascolti una canzone e ti sembra che sia stata fatta solo pensando a te? Ecco, ho imparato che se a me quel momento procura un’emozione mentre non trasmette nulla a un’altra persona è perché in quel momento ci sono anch’io, sono parte anch’io di quell’emozione. E poi mi fa stare bene vedere il mondo: vorrei far imparare alle mie bambine a non aver paura, soprattutto in un momento delicato come quello che stiamo vivendo, con gli attentati all’ordine del giorno. Tutto è incontrollabile, crudele, ma il mondo è così bello che vale la pena rischiare. Pensiamo di avere sempre tempo per recuperare qualcosa che non abbiamo ancora fatto, ma non è così.
Secondo te il mondo di oggi lascia spazio alla gentilezza?
Se fosse una canzone, la gentilezza sarebbe sicuramente fuori dai primi duecento posti di iTunes. Però proprio perché è rara, quando la incontri brilla e la riconosci, ti migliora la giornata. Non è un fatto di educazione, ma è una scelta, un modo per entrare in empatia con gli altri senza giudicarli subito.
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Sulla copertina dell’album ti si vede da solo in un deserto e in Irene canti “sarà la solitudine a riportarci tutti a casa”. Che rapporto hai con la solitudine?
Nella lingua italiana la parola solitudine rimanda a qualcosa di negativo, di cupo, fa pensare a una persona ripiegata su se stessa. Io vorrei coniare un termine nuovo e preferisco parlare di “solitaritudine”, che invece è una figata! Sono un Capricorno, e ogni tanto ho bisogno dei miei momenti solitari, in cui sembra che non stia facendo niente. Un po’ come chi si isola per fumare è impegnato e si sta prendendo un piccolo spazio per sé. Io le mie sigarette invisibili me le fumo scrivendo o leggendo, o quando vado nel mio studio a lavorare, quasi come un artigiano. Sono da solo con le cose che amo: non sto lavorando, sto “privilegiando”, per usare il verbo in un significato nuovo. Questa è la “solitaritudine”. Ci riporta tutti a casa perché ci fa incontrare con noi stessi ed è l’unica occasione in cui possiamo fermarci a pensare a cosa abbiamo sbagliato e come avremmo potuto fare meglio.
Definisci Totem “una fotografia in HD di te stesso”: quindi i dischi precedenti non erano a fuoco?
Ho sempre messo tantissimo di me in tutto quello che ho fatto, ma non sempre il risultato era a fuoco, perché non sempre sono riuscito a tirar fuori il meglio. Non penso dipendesse da me o dalle scelte musicali che ho fatto, ma semplicemente dovevo capire qual era il mio modo migliore di esprimermi. Come dicevo prima, è stato Tiziano a farmi capire che per emozionare non dovevo per forza strafare o sfoderare tutte le ottave della mia ugola: il culto dell’acuto è tipicamente italiano, ma l’emozione arriva anche se canti a mezza voce. È una consapevolezza a cui sono arrivato dopo molto tempo.

Con Tiziano Ferro la collaborazione continuerà?
Non posso dire molto. Ho da poco rinnovato il mio contratto con lui per altri tre anni e stiamo lavorando a tanti bei progetti.
Di solito concludo le interviste chiedendo di darmi una definizione di ribellione, ma a questa domanda avevi già risposto in un’intervista precedente. Ti chiedo allora di scegliere una di queste parole e di spiegarmi che significato ha per te: ambizione, resistenza, silenzio, indipendenza, successo.
Vorrei darti la mia definizione di successo, che non ha niente a che vedere i numeri, i riconoscimenti o il consenso. Questa è una forma moderna di successo, ma per me il successo è la realizzazione di un’idea, piccola o grande. Il successo è la felicità che ti arriva da quel risultato. È il sogno di diventare padre, ritrovarti tra le mani tua figlia appena nata e pensare “questo è un incanto”. Poi prendere il telefono e trasformare quel momento in una canzone, Incanto, appunto. Il successo è la chiusura di un cerchio, e in questo senso nella mia vita non ho avuto sempre il successo che speravo: ho commesso errori, ho iniziato cose che non ho portato a termine, come l’Università, però credo che quando riesci a concludere la parabola del cerchio puoi anche trovare il consenso degli altri, ed è lì che la mia idea di successo si incontra con l’altra, quando non hai nessun tipo di smania. Ma prima di tutto, è qualcosa che devi fare per te, perché troverai sempre chi non sarà d’accordo o non saprà apprezzare. E se non sai parare il colpo è dura, la sensibilità è un’arma a triplo taglio.

BITS-RECE: Tiziano Ferro,Il mestiere della vita. Vivi, ama, balla

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Da qualche tempo la musica di Tiziano Ferro aveva preso una strada che mi lasciava non poche perplessità: dopo i primi album ridondanti di influenze r’n’b e soul, il ragazzone di Latina si era sempre più lasciato andare a ballatone melense, spesso tendenti a umori in minore. Grande sfoggio vocale, non c’è che dire, e grandissimo apprezzamento da parte del pubblico, ma a me mancavano i tempi Xverso e Stop! Dimentica, quando Tiziano sapeva mostrare cosa significa prendere dei generi stranieri e portarli nella musica italiana senza cadere in banalità e provincialismi.

E se devo essere sincero, anche quando è uscito Potremmo ritornare, il singolo che ha anticipato il nuovo album, mi ero già immaginato un nuovo capitolo discografico fatto lacrime, downtempo e struggimenti del cuore. Che per un po’ può anche andare bene, perché Ferro le ballate e i lenti li sa fare con tutti i crismi, ma dalla sua musica io voglio sentire più mordente. Cerco, insomma, un po’ meno zucchero filato e un po’ più di croccantezza.
Fortunatamente, Il mestiere della vita, questo il titolo del disco, è stata in questo – se mai fosse possibile – una rivelazione, fin dall’intro di Epic: un album che finalmente tira fuori i denti e ricomincia a mordere con i suoi ritmi decisi, molto diversi da brano a brano, a tratti taglienti; ecco ritornare in primo piano il sound d’Oltreoceano, recuperato senza l’inutile pretesa di adattarlo alla melodia e al bel canto italiano. In questo Tiziano Ferro è sempre stato coraggioso, o meglio un innovatore, non ha cercato di mettere a tutti i costi lo spirito italiano dove non poteva starci, e si è adattato lui (e i suoi produttori, Canova su tutti) all’anima di quei suoni creandosi un ambiente musicale personale.
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In Il mestiere della vita il ragazzo spazia con invidiabile disinvoltura tra r’n’b, soul, hip hop e pop, fino alle lande dell’elettronica e, come in passato ha dimostrato di saper fare, ci unisce l’immensa componente umana dei testi, che ti fa venire il brividino per quelle due o tre parole messe in fila nel punto giusto; Tiziano la vita la sa guardare in faccia e sa raccontarla con trasparenza e sensibilità pura, e quando non è lui a scrivere i testi, sa scegliersi con acume gli autori giusti (vedi, per esempio, alla voce Emanuele Dabbono, che non a caso Tiziano ha legato a sé con contratto in esclusiva).
Questo suo sesto capitolo discografico è quindi in un certo senso un ritorno alle origini, a quelle atmosfere internazionali che ce lo avevano fatto conoscere giovanissimo, ma è anche un disco che sa stupire, soprattutto se si ascolta il duetto con Carmen Consoli in Il conforto, forse il brano più atipico in cui la cantantessa si sia cimentata. O, ancora, è un disco che fa strabuzzare gli occhi quando si scopre che dentro ci è finito anche My Steelo, in duetto con Tormento: chi non è proprio teenager forse ricorderà che costui è stato una delle due colonne portanti dei Sottotono, uno dei primi progetti di area rap italiani tra anni ’90 e primi ’00, e forse si ricorderà anche che prima di esordire con la sua musica il buon Tiziano era stato ingaggiato come corista proprio in un tour dei Sottotono. Scambio di favori? Boh. A me piace più vederlo come un ritorno alle origini.

Melodia, tanta melodia quindi, e soprattutto piena libertà data ai ritmi, declinati sotto una gran varietà di luci, e una presenza nei giusti termini di momenti “sentimentaloni”.
Assurto ormai a tutti gli effetti al rango di “grandissimo” del nostro patrimonio musicale, con questo disco Tiziano fa vedere come si possa fare un album di electro-r’n’b che oltre a far muovere i piedi riesce anche a spiegare come si maneggia questo complicato arnese chiamato vita. O almeno ne offre un lucido punto di vista.

BITS-CHAT: Una fotografia con Tiziano. Quattro chiacchiere con… Emanuele Dabbono

BITS-CHAT: Una fotografia con Tiziano. Quattro chiacchiere con… Emanuele Dabbono

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Con la musica ha iniziato ad averci a che fare molto prima, ma probabilmente la maggior parte di noi ha conosciuto Emanuele Dabbono nel 2008, quando ha partecipato alla prima edizione italiana di X Factor, quella di Giusy Ferreri per capirci, classificandosi terzo.
Poi in televisione lo abbiamo visto pochissimo, anche se lui la musica non l’ha mai lasciata. Da allora di cose ne sono successe tante: cinque album, due libri e una nuova esperienza, quella di autore, arrivata dall’invito di una persona molto speciale, che di nome fa Tiziano e di cognome Ferro.
Un sodalizio iniziato nel 2013 con un brano scritto per Michele Bravi, e proseguito con un contratto in esclusiva che ha portato a Incanto, fino a Valore assoluto, Il conforto e Lento/Veloce, tre brani di Il mestiere della vita, ultimo album dell’artista di Latina.
Un percorso incredibile insomma.

Quello che manca adesso è solo una cosa, una piccolissima cosa: una fotografia, che però va meritata.
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Partiamo dall’inizio: come nasce la collaborazione con Tiziano Ferro?

È una storia abbastanza singolare, forse è la prima volta che la racconto: io e Tiziano ci conosciamo dal 1998, quando abbiamo partecipato entrambi al concorso dell’Accademia di Sanremo, che avrebbe poi portato al palco dell’Ariston tra le Nuove proposte del Festival. Siamo arrivati in finale, ma nessuno dei due è stato selezionato: siamo però stati contattati da Alberto Salerno (produttore discografico e marito di Mara Maionchi, ndr) e da quel momento abbiamo preso strade diverse. È capitato poi di incontrarci di nuovo qualche volta, come nel 2008, quando io arrivai in finale nella prima edizione di X Factor e presentai il mio inedito, Ci troveranno qui, mentre lui aveva scritto con Roberto Casalino l’inedito di Giusy Ferreri, Non ti scordar mai di me. Era già una superstar, io invece continuavo la mia gavetta nell’indie rock. Mi fece un sacco di complimenti e mi disse che non mi avrebbe perso di vista: al momento non ci ho dato troppo peso, mi sembrava una di quelle frasi di circostanza che si dicono, invece nel 2013 mi ha contattato per dirmi che gli avrebbe fatto piacere se avessi scritto un brano per Michele Bravi (vincitore della settima edizione di X Factor, ndr), perché gli piaceva la tenerezza che mettevo nella scrittura. Da lì è nata Non aver paura mai, e da quel momento lui ha deciso di mettermi sotto contratto come autore. Lo conosco da quasi vent’anni, e mi fa quasi sorridere pensare che non ho nemmeno una foto insieme a lui: non l’ho mai considerato come “vip”, ma ho sempre ammirato la sua dimensione umana. Credo sia anche per questo che mi apprezza e mi fa piacere che quando mi cita non mi definisce un suo autore, ma un suo amico.
Una storia davvero singolare, e molto bella!
Mi sembra un po’ una storia romanzesca di una volta, quando l’interprete aveva il suo autore di riferimento: un po’ come Vasco Rossi con Gaetano Curreri, io vorrei essere la sua firma. Se mai un giorno faremo una foto insieme, mi piace pensare che sarà lui a chiedermela, e allora vorrà dire che me la sono proprio meritata.
Di fatto, Tiziano Ferro è stata quindi la prima persona per cui hai scritto un brano.
Esatto: dopo il brano per Michele Bravi, Incanto è stata la seconda canzone che gli ho mandato ed è il mio primo vero successo, un po’ inaspettato tra l’altro, perché è un brano in tre quarti dalle atmosfere irlandesi. Il primo giorno di programmazione, su RTL dissero “Ecco il nuovo singolo di Tiziano Ferro, a metà strada tra i Tazenda e i Modena City Ramblers”, e in quel momento ho subito pensato che lo avrebbero tolto il giorno dopo dalla programmazione, invece il pubblico l’ha scelto e lo ha amato.
I tre brani che hai scritto per Il mestiere della vita sono stati composti pensandoli già per Tiziano?
Essendo il mio editore, devo fargli leggere tutto quello che scrivo: ogni volta che mi sembra di aver scritto qualcosa di buono glielo mando sperando che gli piaccia, ma finora non ho mai scritto pensando al destino della canzone, perché la strada che prende un brano è imprevedibile. Io so solo che devo fare del mio meglio, devo cercare qualcosa che abbia il germe della bellezza, che possa essere cantato in uno stadio e duri alle mode e al passare del tempo. La bellezza è l’unico diktat che ci siamo imposti, con la libertà di spaziare dal pop al rock, al soul al jazz. Dobbiamo schiacciare play e sentire noi per primi il brivido.

So che Il conforto non era stata pensata come un duetto.
È stato Tiziano a trasformarla: quando quest’estate ho sentito la versione finale del brano, in duetto con Carmen Consoli, è stata un’emozione indefinibile. Carmen è la prima artista femminile che canta qualcosa scritto da me: sono partito decisamente dall’alto!
Come nasce di solito un tuo brano? Da cosa parti quando scrivi?
Negli ultimi tre anni ho modificato drasticamente il mio modo di lavorare: sono un amanuense, scrivo tantissime canzoni, tutte catalogate in maniera forse un po’ maniacale, e oggi sono a quota 1571 brani. Una mole impressione, ma solo di una trentina vado davvero fiero. Da Capricorno, mi serve una “palestra enorme” per raggiungere un risultato minimo che mi soddisfi. Se agli altri bastano due o tre tentativi, a me ne servono almeno trenta. Scrivo da quando avevo 12 anni e mi piace mantenere la componente ludica: non ho orari o schemi prefissati, mi piace variare ogni volta, partendo dalle parole oppure da un giro di accordi di chitarra o basso, oppure usando Pro Tools, lo stimolo arriva sempre inaspettato. In genere, mi piace comunque avere un titolo da cui partire, come un chiodo a cui poter appendere un quadro.
Il conforto si chiude con troppo, troppo, troppo amore. Ma quand’è che l’amore diventa”troppo”?
L’amore è un’arma a doppio taglio, ci fa sentire migliori e in armonia con tutto ciò che ci circonda, ma è anche capace di toglierci il fiato e di farci sentire mancanti in qualcosa. Esiste un amore totalizzante e un amore destabilizzante, che diventa possesso, gelosia. Il conforto è anche una canzone sul coraggio di ammettere che una storia è finita, prendere in mano il proprio cuore significa prendere le distanze da una situazione che ci ha fatto soffrire.

A proposito del tuo lavoro, tu parli di “compito vitale” e il titolo del tuo ultimo libro è Musica per lottatori: come inquadri oggi la figura del cantautore all’interno della società?
Lottiamo sempre, fin dai primi istanti di vita, si viene al mondo tirando fuori i muscoli. Nel libro, la musica di cui parlo non è fatta di note, ma di parole. Penso che oggi il potere della musica non sia legato solo alle note, agli accordi, alla leggerezza o alla drammaticità che quelle note possono suscitare: oggi le canzoni devono trovare forza nelle parole, devono essere riscoperti i testi, perché se c’è una cosa che abbiamo ereditato dalla tradizione musicale e culturale italiana è proprio il bagaglio dei nostri cantautori, che sceglievano come spendere le proprie parole. Fossati ha detto che il futuro sarà di quella persona che un giorno userà una parola che nessuno ha ancora usato e la farà suonare come una cosa semplice per tutti. Credo molto nel potere curativo delle parole, unite alla musica possono fare del bene.
Negli ultimi anni hai suonato spesso all’estero, soprattutto in America, e hai anche inciso due album in inglese, Vonnegut, Andromeda & the tube heart geography e Songs For Claudia: mai avuta la voglia di tentare la strada fuori dall’Italia?
No, l’ho sognato, ma non ci ho mai davvero pensato. Sono abbastanza conscio dei miei limiti: suonare all’estero mi ha aiutato ad approcciarmi in maniera diversa alla scrittura e al pubblico e soprattutto mi ha fatto aprire la mente eliminando i paletti tra i generi, proprio come fa Tiziano, che passa dallo swing all’r’n’b al soul. Dovremmo imparare a farlo di più qui in Italia, perché spesso anche dai nostri grandi nomi arrivano tentativi un po’ provinciali di approcciarsi a generi diversi, si fatica ad uscire dal seminato. Per me suonare a Central Park o ad Harlem è servito soprattutto come esperienza personale, che ripeterei se ne capitasse l’occasione, ma senza cercare qualcosa di più.

In futuro su cosa vorresti concentrarti?
Sulla carriera da autore, senza per questo interrompere il lavoro da cantautore: come autore però sto provando un senso di libertà che prima raramente avevo vissuto. E poi veder arrivare nella vita delle persone qualcosa che hai scritto tu è una soddisfazione immensa: fa impressione sentire il pubblico di San Siro cantare qualcosa nato in una stanzina.
A questo punto, ho una curiosità da togliermi: che effetto fa sapere che il pubblico spesso non sa chi sia l’autore di un brano ma attribuisce le parole del testo solo all’interprete?
Io sono la persona sbagliata per rispondere, dovresti chiederlo a quegli autori che non vengono mai nominati dai loro interpreti. Posso dire di essere un privilegiato, perché Tiziano non perde occasione di fare il mio nome, addirittura lo ha fatto a Sanremo, roba che quando capita caschi dal divano. Mi sento totalmente appagato per quello che faccio.
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Per chi ti piacerebbe scrivere?
Purtroppo quelli per cui vorrei scrivere lo sanno fare benissimo da soli! (ride, ndr) Se dovessi pensare a una collaborazione, mi piacerebbe moltissimo lavorare con Niccolò Fabi, persona che stimo molto, e Francesco Gazze, il fratello di Max e autore dei suoi testi. Mentre dormi è una delle canzoni più belle scritte negli ultimi anni, che non ha nulla da invidiare a Il cielo in una stanza.

Hai già fatto programmi con i Terrarossa, la tua band?
L’anno prossimo dovremmo tornare con un nuovo album, abbiamo già scelto le canzoni e mi piacerebbe che fosse un disco acustico: ho un sacco di influenze che arrivano da quel mondo, Damien Rice, Counting Crows, ho suonato per le strade in Irlanda e mi piacerebbe far sentire un po’ di quell’esperienza, lontano dai featuring e dai tentativi di avvicinarmi alle radio. Vorrei fare un disco onesto, un piccolo gioiellino, magari registrato tra la sala e la cucina con i microfoni aperti.
Cosa ti resta oggi di X Factor?
Un’esperienza che mi ha dato popolarità e la possibilità di far diventare lavoro una passione, ma anche un’esperienza violenta, lontana dal mio modo di essere e di vivere la musica, perché mi sono dovuto confrontare con le cover ed è stato un po’ limitante. Essendo la prima edizione, non sapevo bene cosa mi aspettava e dopo la prima puntata volevo venir via, invece sono arrivato in finale. Considerando tutto, oggi non so se lo rifarei.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
La ribellione più grande oggi è essere se stessi: può sembrare una frase fatta, ma il più grande anticonformista è chi non guarda tanto fuori per vedere come sono o cosa chiedono gli altri, ma scava molto di più dentro se stesso. In tutti gli ambienti, musica compresa, si resta incanalati in parecchi schemi, e solo quando si va alla ricerca della propria essenza si fanno cose veramente originali, vale a dire uguali a ciò che si è. E essere uguali a se stessi è il più grande atto di “fanculo” che si può gridare al mondo.

#MUSICANUOVA: Fausto Leali feat. Mina, A chi mi dice

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Questa è proprio una sorpresa!
Per anticipare il nuovo progetto discografico, Fausto Leali torna 
con A chi mi dice, il brano portato al successo dai Blue e adattato in italiano da Tiziano Ferro, e lo fa interpretandolo in duetto con… Mina!
Il brano, anticipa il nuovo album Non solo Leali in uscita il prossimo 21 ottobre.

Il nuovo progetto discografico contiene dieci brani interpretati da Leali insieme ad alcuni grandi cantautori e interpreti della canzone italiana e non solo: oltre a Mina ci sono Renzo Arbore, Claudio Baglioni, Alex Britti, Clementino, Francesco De Gregori, Tony Hadley, Massimo Ranieri, Enrico Ruggeri e Umberto Tozzi.