Max Pezzali porta gli 883 a San Siro: nessun rimpianto, solo festa e karaoke


Dici Max Pezzali e pensi 883. Dici 883 e pensi agli anni ‘90.
Perché che Max Pezzali – e quindi gli 883 – abbia marchiato musicalmente gli anni ’90 italiani è fuori di dubbio. Basti pensare che è uno di quei casi in cui non è necessario essere “fan” per conoscere gran parte della sua discografia: le sue canzoni sono parte del patrimonio collettivo, sono orgogliosamente e intenzionalmente nazionalpopolari, nate per appartenere a tutti, dal più burbero dei metallari al più ribelle dei “rappofili”, passando per i puristi dell’indie (che negli anni ’90 non sapevamo neanche cosa fosse). In quelle storie di serate in discoteca, goffi approcci amorosi, sogni che scavalcano l’oceano ci siamo trovati tutti almeno una volta.

Il successo di Max Pezzali – e quindi degli 883 – è bello perché è pulito, onesto, è un successo che ha giocato sempre e soltanto con la musica e mai con le chiacchiere, gli scandaletti o le manie da star. Pezzali è riuscito a diventare l’icona di un’epoca senza mai trasformarsi in un personaggio e nessuno si arrabbierà se confesso bonariamente che l’ho sempre trovato il cantante con la peggior presenza scenica della storia. Sul palco sembrava sempre esserci finito per sbaglio, mentre cantava alzava le braccia e sembrava voler dire “e io che ne so?”. È sempre stata la musica a parlare per lui.

Le due serate-evento di “San Siro canta Max” – inizialmente programmate per il 2020, poi rimandate al 2021 e infine al 2022 – sono arrivate come il giusto riconoscimento di 30 anni di una carriera fortunatissima. E se per qualcuno dovevano avere solo il sapore dell’amarcord, nei fatti sono state un’esondazione di festa. Raramente in un concerto ho respirato lo stesso clima di entusiasmo, con 60.000 persone felici di essere lì e pronte far andare le gambe e la voce per due ore e mezza praticamente ininterrotte.
La partenza, alle 21.00 puntualissime, è di quelle che lasciano il segno, con La lunga estate caldissima, Sei un mito e Gli anni servite subito una dopo l’altra. E si fa presto a capire il perché del titolo dato allo show, “San Siro canta Max”: si sarebbe potuto chiamare anche “San Siro urla Max”, e avrebbe ugualmente rispettato le aspettative. Lo spirito dell’evento non è solo sul palco, ma è soprattutto in quello che succede nel prato e sulle tribune, un boato pieno, che non si fa attendere e non si risparmia. Il Meazza come un gigantesco karaoke in cui non servono i microfoni.
Uno dopo l’altro arrivano poi gli altri successi, in scaletta ci sono tutti. Per Hanno ucciso l’uomo ragno un’ovazione accoglie Mauro Repetto, l’altra metà degli 883, che a un certo punto della storia si era fatto da parte un po’ inspiegabilmente: è la reunion che in tanti aspettavano e che non poteva trovare occasione migliore, proprio negli stessi giorni in cui è stato annunciato il divorzio artistico di Pezzali dai due storici produttori, Claudio Cecchetto e Pier Paolo Peroni. E che quella di Repetto non si sia solo una comparsata sembra fin troppo evidente, è lo stesso Max a parlare di “nuove idee” su cui lavorare. D’altra parte, la scritta sui maxischermi parla chiaro, MAX 3.0 si legge a caratteri cubitali in vari momenti della serata.
Altro giro, altra reunion. Questa volta tocca a Paola e Chiara, che proprio con gli 883 hanno iniziato la carriera in veste di coriste nell’album “Nord Sud Ovest Est”: “Non voglio prendermi il merito di aver portato loro fortuna, ma di certo non gli ho portato sfiga!” scherza Max prima di annunciare le sorelle Iezzi sul palco dopo quasi 10 anni dalla fine del progetto in coppia. E anche qui la testa di molti inizia a fantasticare di un loro ritorno, forse per il prossimo Sanremo, chissà.

La scaletta scivola via veloce, l’adrenalina invece resta altissima. Difficile dare un nome all’emozione che si prova: la nostalgia dei ricordi è in perfetto equilibrio con l’euforia del momento.
Pezzali non si perde in troppe parole e sembra sinceramente stupito di quello che sta vivendo. Il finale è affidato alla tripletta d’oro di Con un deca, Il grande incubo e La dura legge del gol, prima di lasciare spazio ai (veri) bis di Come mai e Gli anni, questa volta in versione acustica e con tutti i protagonisti insieme sul palco. A chiudere tutto è Grazie mille, fin troppo facile.

Alle 23.30 esatte le luci di San Siro si spengono, ma la storia di Max Pezzali/883 è destinata a continuare.

Tanto per cominciare, per novembre sono fissati due live nei palazzetti a Milano e Roma, poi altri appuntamenti da marzo 2023. In mezzo c’è un intervallo che sembra fatto apposta per far rotta verso l’Ariston di Sanremo. Vedremo…
In ogni caso, di anni da scrivere ce ne saranno altri, possiamo scommetterci.

Foto di Luca Marenda.
Qui la gallery completa.

E Ligabue è sempre lui. Cronaca e immagini da San Siro


San Siro è vuoto o San Siro è pieno?

Parafrasando il titolo di uno dei suoi vecchi brani, questa era forse la domanda che in molti si sono fatti ieri prima di arrivare allo stadio Meazza per la tappa milanese dello Start tour di Ligabue: dopotutto, nei giorni scorsi le voci di stadi “mezzi vuoti” – e sto citando – si sono rincorse a rimbalzo sul web con tanto di testimonianze fotografiche degli stadi di Bari a Firenze, tanto che il diretto interessato si è sentito in dovere di ammettere che sì, i numeri non sono esattamente quelli delle previsioni. Fatto sta che, per rispondere alla domanda iniziale, San Siro era pieno, decisamente pieno, dal prato alle tribune. Forse non proprio fino all’ultimo seggiolino, ma pieno, col oltre 56 mila presenti.
Su quelle che sono poi le ragioni del mancato obiettivo di questo tour – e si parla solo in termini di pubblico – io non lo so onestamente dire e ognuno dice la sua: “Ligabue è un artista che rischia e si rinnova”, “No, Ligabue è sempre uguale a se stesso”, e come sempre tutto è vero e tutto è discutibile. Sicuramente, chi di dovere farà le sue dovute riflessioni e calibrerà le mosse future.
Veniamo però al dunque. Il live a Milano coincideva per Luciano con una ricorrenza importante, visto che esattamente 22 anni fa, cioè il 28 giugno 1997, Ligabue metteva piede per la prima volta sul palco di San Siro: “Di quella sera non ricordo molto, ero troppo giovane e avevo troppe cose in testa, ma mi hanno detto che San Siro è stato ribaltato. Stasera tocca a voi fare il bis”, ha detto Luciano al suo pubblico, in uno dei pochi interventi con cui spezza la successione delle canzoni. E il suo pubblico ha risposto in boato, come ha fatto per l’intera serata.
L’impianto dello Start Tour è di quelli imponenti, da numeri uno insomma, con megaschermi da svariati metri quadri di ampiezza e due passerelle e un livello di decibel che non ha scherza, ma anche se Luciano non ha mai avuto l’atteggiamento borioso della star, lì sopra sembra trovarsi a proprio agio: compare in scena con il passo calmo che lo contraddistingue e attacca subito Polvere di stelle. Da lì procede filato con una scaletta che in quasi una trentina di brani condensa una carriera che l’anno prossimo taglierà il traguardo del trentesimo anniversario: i pezzi forti ci sono tutti, da Si viene e si va a Balliamo sul mondo, Bambolina e barracuda, ovviamente Certe notti, Tra palco e realtà, Urlando contro il cieloNon è tempo per noi diventa anche l’occasione per lanciare dagli schermi un messaggio sui rischi dei danni che l’uomo sta provocando al pianeta. Due i medley: il primo raggruppa pezzi acustici con chitarra e voce e comprende anche la doverosa Una vita da mediano, il secondo pezzi da “club rock”, decisamente più pestati. Buona la quota di pezzi dell’ultimo album, tra cui spiccano la già citata Polvere di stelle, la “antemica” Ancora noiLuci d’America, nata già per essere intonata a gran voce dalla folla dello stadio, Mai dire mai e Certe donne brillano.

Parafrasando un’altra canzone, si può dire che sul palco Ligabue “fa il suo dovere”, e lo fa bene: da (quasi) trent’anni a questa parte, chi lo conosce sa che il Liga è uno di quelli che non usano effetti speciali da spettacolone pop, non introduce cambi d’abito, non spettacolarizza lo show oltre il necessario. Anche su un palco dalle dimensioni mastodontiche illuminato a giorno, il centro della scena resta lui con la sua band e le sue canzoni. D’altronde il rock&roll questo chiede, nulla di più, e così è stato anche stavolta. Una formula essenziale e collaudata, che sembra funzionare ancora, nonostante la prima volta sia stata più di 20 anni fa.
Sono passati anni, sono passati dischi, sono passati tanti concerti in ogni tipo di location immaginabile, dai club agli aeroporti, ma Ligabue è sempre lui. Sempre lì, “sulla sua strada”.
E penso che basti.

La gallery della serata è visibile a questo link.
Foto di Luca Marenda.

29 volte in 29 anni: Vasco racconta la sua prima volta a San Siro


Era il 1990 quando Vasco Rossi ha suonato per la prima volta allo stadio Meazza di Milano.
Da allora sono passati 29 anni e fra poche settimane il “komandante” tornerà sul palco di San Siro per 6 appuntamenti live del VASCONONSTOP LIVE 2019, portando così a quota 29 anche le sue esibizioni allo stadio milanese.

Subito dopo sarà la volta della Fiera di Cagliari, dove Vasco è atteso il 18 e 19 giugno.

La cronistoria di Vasco a San Siro:
10 luglio 1990 – Fronte del Palco

7 luglio 1995 – Rock sotto l’assedio
8 luglio 1995 – Rock sotto l’assedio

15 giugno 1996 – Nessun Pericolo per Te Tour

4 luglio 2003 – Vasco @ San Siro
5 luglio 2003 – Vasco @ San Siro
8 luglio 2003 – Vasco @ San Siro

12 giugno 2004 – Buoni o Cattivi Tour ‘04
13 giugno 2004 – Buoni o Cattivi tour ‘04

21 giugno 2007 – Vasco Live 2007
22 giugno 2007 – Vasco Live  2007

6 giugno 2008 – Vasco ‘08 Live in Concert
7 giugno 2008 – Vasco ‘08 Live in Concert

16 giugno 2011 – Vasco Live Kom ‘011
17 giugno 2011 – Vasco Live Kom ‘011
21 giugno 2011 – Vasco Live Kom ‘011
22 giugno 2011 – Vasco Live Kom ‘011

4 luglio 2014 – Vasco Live Kom ‘014
5 luglio 2014 – Vasco Live Kom ‘014
9 luglio 2014 – Vasco Live Kom ‘014
10 luglio 2014 – Vasco Live Kom ‘014

17 giugno 2015 – Live Kom ‘015
18 giugno 2015 – Live Kom ‘015

1 giugno 2019 – VASCONONSTOP LIVE 2019
2 giugno 2019 – VASCONONSTOP LIVE 2019
6 giugno 2019 – VASCONONSTOP LIVE 2019
7 giugno 2019 – VASCONONSTOP LIVE 2019
11 giugno 2019- VASCONONSTOP LIVE 2019
12 giugno 2019 – VASCONONSTOP LIVE 2019

Cesare Cremonini: il live di San Siro diventa uno speciale in TV e in radio

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Nelle scorse settimane Cesare Cremonini ha tagliato un importante traguardo per la sua carriera portando per la prima volta la sua musica negli stadi di Milano, Roma e Bologna.
Ora la data del 20 giugno allo stadio San Siro di Milano, che ha visto la partecipazione di 55mila persone, diventa uno speciale televisivo: Cesare Cremonini: una notte a San Siro andrà infatti in onda il prossimo 17 luglio su Rai2 in prima serata e in simulcast su Rai Radio2.

A questo link è possibile vedere le immagini della serata (foto di Luca Marenda).

9 giugno 2017: Davide Van De Sfroos apre le porte di San Siro

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E’ sicuramente la grande sfida dell’estate live 2017: venerdì 9 giugno Davide Van De Sfroos sarà in concerto allo Stadio San Siro di Milano.

“Dopo aver fatto un po’ di tutto, come il Genesio, qualcosa mancava e si è sentita l’esigenza di concretizzarlo questo sogno e di credere nell’urlo dei sostenitori di quest’avventura. Per uno che non ha mai giocato a calcio neppure all’oratorio, entrare in campo a San Siro è come andare sulla luna”, anche se invece del pallone tirerà le sue canzoni, non in porta, ma verso quel pubblico che nel tempo ha dimostrato di palleggiare molto bene e senza il quale “non sarebbe possibile nessuna partita”. “Quando ti vedremo a San Siro?”, quante volte si è sentita riecheggiare questa domanda. Beh, adesso la risposta c’è: venerdì 9 giugno 2017 alle ore 20.30.”
Le prevendite dei biglietti sono aperte  su Vivaticket a questo link.
 

BITS-CHAT: Una fotografia con Tiziano. Quattro chiacchiere con… Emanuele Dabbono

BITS-CHAT: Una fotografia con Tiziano. Quattro chiacchiere con… Emanuele Dabbono

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Con la musica ha iniziato ad averci a che fare molto prima, ma probabilmente la maggior parte di noi ha conosciuto Emanuele Dabbono nel 2008, quando ha partecipato alla prima edizione italiana di X Factor, quella di Giusy Ferreri per capirci, classificandosi terzo.
Poi in televisione lo abbiamo visto pochissimo, anche se lui la musica non l’ha mai lasciata. Da allora di cose ne sono successe tante: cinque album, due libri e una nuova esperienza, quella di autore, arrivata dall’invito di una persona molto speciale, che di nome fa Tiziano e di cognome Ferro.
Un sodalizio iniziato nel 2013 con un brano scritto per Michele Bravi, e proseguito con un contratto in esclusiva che ha portato a Incanto, fino a Valore assoluto, Il conforto e Lento/Veloce, tre brani di Il mestiere della vita, ultimo album dell’artista di Latina.
Un percorso incredibile insomma.

Quello che manca adesso è solo una cosa, una piccolissima cosa: una fotografia, che però va meritata.
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Partiamo dall’inizio: come nasce la collaborazione con Tiziano Ferro?

È una storia abbastanza singolare, forse è la prima volta che la racconto: io e Tiziano ci conosciamo dal 1998, quando abbiamo partecipato entrambi al concorso dell’Accademia di Sanremo, che avrebbe poi portato al palco dell’Ariston tra le Nuove proposte del Festival. Siamo arrivati in finale, ma nessuno dei due è stato selezionato: siamo però stati contattati da Alberto Salerno (produttore discografico e marito di Mara Maionchi, ndr) e da quel momento abbiamo preso strade diverse. È capitato poi di incontrarci di nuovo qualche volta, come nel 2008, quando io arrivai in finale nella prima edizione di X Factor e presentai il mio inedito, Ci troveranno qui, mentre lui aveva scritto con Roberto Casalino l’inedito di Giusy Ferreri, Non ti scordar mai di me. Era già una superstar, io invece continuavo la mia gavetta nell’indie rock. Mi fece un sacco di complimenti e mi disse che non mi avrebbe perso di vista: al momento non ci ho dato troppo peso, mi sembrava una di quelle frasi di circostanza che si dicono, invece nel 2013 mi ha contattato per dirmi che gli avrebbe fatto piacere se avessi scritto un brano per Michele Bravi (vincitore della settima edizione di X Factor, ndr), perché gli piaceva la tenerezza che mettevo nella scrittura. Da lì è nata Non aver paura mai, e da quel momento lui ha deciso di mettermi sotto contratto come autore. Lo conosco da quasi vent’anni, e mi fa quasi sorridere pensare che non ho nemmeno una foto insieme a lui: non l’ho mai considerato come “vip”, ma ho sempre ammirato la sua dimensione umana. Credo sia anche per questo che mi apprezza e mi fa piacere che quando mi cita non mi definisce un suo autore, ma un suo amico.
Una storia davvero singolare, e molto bella!
Mi sembra un po’ una storia romanzesca di una volta, quando l’interprete aveva il suo autore di riferimento: un po’ come Vasco Rossi con Gaetano Curreri, io vorrei essere la sua firma. Se mai un giorno faremo una foto insieme, mi piace pensare che sarà lui a chiedermela, e allora vorrà dire che me la sono proprio meritata.
Di fatto, Tiziano Ferro è stata quindi la prima persona per cui hai scritto un brano.
Esatto: dopo il brano per Michele Bravi, Incanto è stata la seconda canzone che gli ho mandato ed è il mio primo vero successo, un po’ inaspettato tra l’altro, perché è un brano in tre quarti dalle atmosfere irlandesi. Il primo giorno di programmazione, su RTL dissero “Ecco il nuovo singolo di Tiziano Ferro, a metà strada tra i Tazenda e i Modena City Ramblers”, e in quel momento ho subito pensato che lo avrebbero tolto il giorno dopo dalla programmazione, invece il pubblico l’ha scelto e lo ha amato.
I tre brani che hai scritto per Il mestiere della vita sono stati composti pensandoli già per Tiziano?
Essendo il mio editore, devo fargli leggere tutto quello che scrivo: ogni volta che mi sembra di aver scritto qualcosa di buono glielo mando sperando che gli piaccia, ma finora non ho mai scritto pensando al destino della canzone, perché la strada che prende un brano è imprevedibile. Io so solo che devo fare del mio meglio, devo cercare qualcosa che abbia il germe della bellezza, che possa essere cantato in uno stadio e duri alle mode e al passare del tempo. La bellezza è l’unico diktat che ci siamo imposti, con la libertà di spaziare dal pop al rock, al soul al jazz. Dobbiamo schiacciare play e sentire noi per primi il brivido.

So che Il conforto non era stata pensata come un duetto.
È stato Tiziano a trasformarla: quando quest’estate ho sentito la versione finale del brano, in duetto con Carmen Consoli, è stata un’emozione indefinibile. Carmen è la prima artista femminile che canta qualcosa scritto da me: sono partito decisamente dall’alto!
Come nasce di solito un tuo brano? Da cosa parti quando scrivi?
Negli ultimi tre anni ho modificato drasticamente il mio modo di lavorare: sono un amanuense, scrivo tantissime canzoni, tutte catalogate in maniera forse un po’ maniacale, e oggi sono a quota 1571 brani. Una mole impressione, ma solo di una trentina vado davvero fiero. Da Capricorno, mi serve una “palestra enorme” per raggiungere un risultato minimo che mi soddisfi. Se agli altri bastano due o tre tentativi, a me ne servono almeno trenta. Scrivo da quando avevo 12 anni e mi piace mantenere la componente ludica: non ho orari o schemi prefissati, mi piace variare ogni volta, partendo dalle parole oppure da un giro di accordi di chitarra o basso, oppure usando Pro Tools, lo stimolo arriva sempre inaspettato. In genere, mi piace comunque avere un titolo da cui partire, come un chiodo a cui poter appendere un quadro.
Il conforto si chiude con troppo, troppo, troppo amore. Ma quand’è che l’amore diventa”troppo”?
L’amore è un’arma a doppio taglio, ci fa sentire migliori e in armonia con tutto ciò che ci circonda, ma è anche capace di toglierci il fiato e di farci sentire mancanti in qualcosa. Esiste un amore totalizzante e un amore destabilizzante, che diventa possesso, gelosia. Il conforto è anche una canzone sul coraggio di ammettere che una storia è finita, prendere in mano il proprio cuore significa prendere le distanze da una situazione che ci ha fatto soffrire.

A proposito del tuo lavoro, tu parli di “compito vitale” e il titolo del tuo ultimo libro è Musica per lottatori: come inquadri oggi la figura del cantautore all’interno della società?
Lottiamo sempre, fin dai primi istanti di vita, si viene al mondo tirando fuori i muscoli. Nel libro, la musica di cui parlo non è fatta di note, ma di parole. Penso che oggi il potere della musica non sia legato solo alle note, agli accordi, alla leggerezza o alla drammaticità che quelle note possono suscitare: oggi le canzoni devono trovare forza nelle parole, devono essere riscoperti i testi, perché se c’è una cosa che abbiamo ereditato dalla tradizione musicale e culturale italiana è proprio il bagaglio dei nostri cantautori, che sceglievano come spendere le proprie parole. Fossati ha detto che il futuro sarà di quella persona che un giorno userà una parola che nessuno ha ancora usato e la farà suonare come una cosa semplice per tutti. Credo molto nel potere curativo delle parole, unite alla musica possono fare del bene.
Negli ultimi anni hai suonato spesso all’estero, soprattutto in America, e hai anche inciso due album in inglese, Vonnegut, Andromeda & the tube heart geography e Songs For Claudia: mai avuta la voglia di tentare la strada fuori dall’Italia?
No, l’ho sognato, ma non ci ho mai davvero pensato. Sono abbastanza conscio dei miei limiti: suonare all’estero mi ha aiutato ad approcciarmi in maniera diversa alla scrittura e al pubblico e soprattutto mi ha fatto aprire la mente eliminando i paletti tra i generi, proprio come fa Tiziano, che passa dallo swing all’r’n’b al soul. Dovremmo imparare a farlo di più qui in Italia, perché spesso anche dai nostri grandi nomi arrivano tentativi un po’ provinciali di approcciarsi a generi diversi, si fatica ad uscire dal seminato. Per me suonare a Central Park o ad Harlem è servito soprattutto come esperienza personale, che ripeterei se ne capitasse l’occasione, ma senza cercare qualcosa di più.

In futuro su cosa vorresti concentrarti?
Sulla carriera da autore, senza per questo interrompere il lavoro da cantautore: come autore però sto provando un senso di libertà che prima raramente avevo vissuto. E poi veder arrivare nella vita delle persone qualcosa che hai scritto tu è una soddisfazione immensa: fa impressione sentire il pubblico di San Siro cantare qualcosa nato in una stanzina.
A questo punto, ho una curiosità da togliermi: che effetto fa sapere che il pubblico spesso non sa chi sia l’autore di un brano ma attribuisce le parole del testo solo all’interprete?
Io sono la persona sbagliata per rispondere, dovresti chiederlo a quegli autori che non vengono mai nominati dai loro interpreti. Posso dire di essere un privilegiato, perché Tiziano non perde occasione di fare il mio nome, addirittura lo ha fatto a Sanremo, roba che quando capita caschi dal divano. Mi sento totalmente appagato per quello che faccio.
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Per chi ti piacerebbe scrivere?
Purtroppo quelli per cui vorrei scrivere lo sanno fare benissimo da soli! (ride, ndr) Se dovessi pensare a una collaborazione, mi piacerebbe moltissimo lavorare con Niccolò Fabi, persona che stimo molto, e Francesco Gazze, il fratello di Max e autore dei suoi testi. Mentre dormi è una delle canzoni più belle scritte negli ultimi anni, che non ha nulla da invidiare a Il cielo in una stanza.

Hai già fatto programmi con i Terrarossa, la tua band?
L’anno prossimo dovremmo tornare con un nuovo album, abbiamo già scelto le canzoni e mi piacerebbe che fosse un disco acustico: ho un sacco di influenze che arrivano da quel mondo, Damien Rice, Counting Crows, ho suonato per le strade in Irlanda e mi piacerebbe far sentire un po’ di quell’esperienza, lontano dai featuring e dai tentativi di avvicinarmi alle radio. Vorrei fare un disco onesto, un piccolo gioiellino, magari registrato tra la sala e la cucina con i microfoni aperti.
Cosa ti resta oggi di X Factor?
Un’esperienza che mi ha dato popolarità e la possibilità di far diventare lavoro una passione, ma anche un’esperienza violenta, lontana dal mio modo di essere e di vivere la musica, perché mi sono dovuto confrontare con le cover ed è stato un po’ limitante. Essendo la prima edizione, non sapevo bene cosa mi aspettava e dopo la prima puntata volevo venir via, invece sono arrivato in finale. Considerando tutto, oggi non so se lo rifarei.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
La ribellione più grande oggi è essere se stessi: può sembrare una frase fatta, ma il più grande anticonformista è chi non guarda tanto fuori per vedere come sono o cosa chiedono gli altri, ma scava molto di più dentro se stesso. In tutti gli ambienti, musica compresa, si resta incanalati in parecchi schemi, e solo quando si va alla ricerca della propria essenza si fanno cose veramente originali, vale a dire uguali a ciò che si è. E essere uguali a se stessi è il più grande atto di “fanculo” che si può gridare al mondo.

BITS-REPORT: Rihanna, Anti World Tour, Milano. Il diluvio, il freddo e la delusione

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di Manuel Cicuzza 

Il tornado Rihanna è passato sull’Italia portandosi via l’entusiasmo dei fan più accaniti e un mucchio di perplessità e dubbi.
La diva delle Barbados è arrivata allo Stadio San Siro di Milano mercoledì 13 luglio per la seconda data del suo Anti World Tour nel nostro paese: un tour molto chiacchierato sin dall’inizio, complici stadi semivuoti in giro per il mondo e le lamentele dei più.

Sono arrivato a San Siro molto sfiduciato, complice anche un acquazzone che si è abbattuto nel pomeriggio sulla città e che si è protratto fino a sera, contribuendo a smorzare ulteriormente gli animi. A scaldare il pubblico infreddolito ci pensa prima il dj Mustard e poi Big Sean.

Rihanna si presenta sul palco con un’ora di ritardo, intonando Stay singolo tratto dall’album Unapologetic del 2012. Il concerto prosegue con numerosi successi e una buona parte dei brani di Anti, l’ultimo album, pubblicato pochi mesi fa.
Le perplessità non tardano ad arrivare: canzoni tagliate in mini mashup, cambi d’abito con il palco lasciato vuoto e quattro ballerini venuti fuori per così poco tempo da non essermi neanche accorto di loro.
Lo show continua ma non si accende, non parte come dovrebbe e Rihanna passa la metà del tempo con il microfono diretto verso il pubblico nei punti alti delle canzoni. L’amara sorpresa arriva alla fine quando si gira verso i musicisti indicando il numero due con le dita e un’occhiata che non lascia spazio all’immaginazione: dalla scaletta vengono eliminate le ultime canzoni FourFiveSeconds e Kiss It Better e Rihanna saluta tutti sulle note di Love On The Brain, sparendo via.

Il pubblico è sconcertato, così tanto da aspettarsi un ritorno della diva per un’ulteriore canzone, ma niente.
Tutte le mie peggiori previsioni si sono realizzate dopo un’ora e un quarto del concerto pop più scarso che abbia mai visto in vita mia.

Raramente mi sono trovato a bocciare completamente uno spettacolo di un’artista che seguo con costanza e che aspetto da anni, ma qui c’è davvero poco da salvare.
Lei bellissima, a tratti incerta e a tratti coinvolta, persino spaventata.

Rihanna ha provato a fare il salto di qualità con questo album e questo tour, ma è difficile grattarsi via l’immagine da ragazzaccia del pop, trasformandosi improvvisamente in un prodotto minimal e di nicchia.
Il pubblico non ha gradito e forse lei se ne è un po’ accorta.

Alla prossima volta Riri. Forse.