Max Pezzali porta gli 883 a San Siro: nessun rimpianto, solo festa e karaoke


Dici Max Pezzali e pensi 883. Dici 883 e pensi agli anni ‘90.
Perché che Max Pezzali – e quindi gli 883 – abbia marchiato musicalmente gli anni ’90 italiani è fuori di dubbio. Basti pensare che è uno di quei casi in cui non è necessario essere “fan” per conoscere gran parte della sua discografia: le sue canzoni sono parte del patrimonio collettivo, sono orgogliosamente e intenzionalmente nazionalpopolari, nate per appartenere a tutti, dal più burbero dei metallari al più ribelle dei “rappofili”, passando per i puristi dell’indie (che negli anni ’90 non sapevamo neanche cosa fosse). In quelle storie di serate in discoteca, goffi approcci amorosi, sogni che scavalcano l’oceano ci siamo trovati tutti almeno una volta.

Il successo di Max Pezzali – e quindi degli 883 – è bello perché è pulito, onesto, è un successo che ha giocato sempre e soltanto con la musica e mai con le chiacchiere, gli scandaletti o le manie da star. Pezzali è riuscito a diventare l’icona di un’epoca senza mai trasformarsi in un personaggio e nessuno si arrabbierà se confesso bonariamente che l’ho sempre trovato il cantante con la peggior presenza scenica della storia. Sul palco sembrava sempre esserci finito per sbaglio, mentre cantava alzava le braccia e sembrava voler dire “e io che ne so?”. È sempre stata la musica a parlare per lui.

Le due serate-evento di “San Siro canta Max” – inizialmente programmate per il 2020, poi rimandate al 2021 e infine al 2022 – sono arrivate come il giusto riconoscimento di 30 anni di una carriera fortunatissima. E se per qualcuno dovevano avere solo il sapore dell’amarcord, nei fatti sono state un’esondazione di festa. Raramente in un concerto ho respirato lo stesso clima di entusiasmo, con 60.000 persone felici di essere lì e pronte far andare le gambe e la voce per due ore e mezza praticamente ininterrotte.
La partenza, alle 21.00 puntualissime, è di quelle che lasciano il segno, con La lunga estate caldissima, Sei un mito e Gli anni servite subito una dopo l’altra. E si fa presto a capire il perché del titolo dato allo show, “San Siro canta Max”: si sarebbe potuto chiamare anche “San Siro urla Max”, e avrebbe ugualmente rispettato le aspettative. Lo spirito dell’evento non è solo sul palco, ma è soprattutto in quello che succede nel prato e sulle tribune, un boato pieno, che non si fa attendere e non si risparmia. Il Meazza come un gigantesco karaoke in cui non servono i microfoni.
Uno dopo l’altro arrivano poi gli altri successi, in scaletta ci sono tutti. Per Hanno ucciso l’uomo ragno un’ovazione accoglie Mauro Repetto, l’altra metà degli 883, che a un certo punto della storia si era fatto da parte un po’ inspiegabilmente: è la reunion che in tanti aspettavano e che non poteva trovare occasione migliore, proprio negli stessi giorni in cui è stato annunciato il divorzio artistico di Pezzali dai due storici produttori, Claudio Cecchetto e Pier Paolo Peroni. E che quella di Repetto non si sia solo una comparsata sembra fin troppo evidente, è lo stesso Max a parlare di “nuove idee” su cui lavorare. D’altra parte, la scritta sui maxischermi parla chiaro, MAX 3.0 si legge a caratteri cubitali in vari momenti della serata.
Altro giro, altra reunion. Questa volta tocca a Paola e Chiara, che proprio con gli 883 hanno iniziato la carriera in veste di coriste nell’album “Nord Sud Ovest Est”: “Non voglio prendermi il merito di aver portato loro fortuna, ma di certo non gli ho portato sfiga!” scherza Max prima di annunciare le sorelle Iezzi sul palco dopo quasi 10 anni dalla fine del progetto in coppia. E anche qui la testa di molti inizia a fantasticare di un loro ritorno, forse per il prossimo Sanremo, chissà.

La scaletta scivola via veloce, l’adrenalina invece resta altissima. Difficile dare un nome all’emozione che si prova: la nostalgia dei ricordi è in perfetto equilibrio con l’euforia del momento.
Pezzali non si perde in troppe parole e sembra sinceramente stupito di quello che sta vivendo. Il finale è affidato alla tripletta d’oro di Con un deca, Il grande incubo e La dura legge del gol, prima di lasciare spazio ai (veri) bis di Come mai e Gli anni, questa volta in versione acustica e con tutti i protagonisti insieme sul palco. A chiudere tutto è Grazie mille, fin troppo facile.

Alle 23.30 esatte le luci di San Siro si spengono, ma la storia di Max Pezzali/883 è destinata a continuare.

Tanto per cominciare, per novembre sono fissati due live nei palazzetti a Milano e Roma, poi altri appuntamenti da marzo 2023. In mezzo c’è un intervallo che sembra fatto apposta per far rotta verso l’Ariston di Sanremo. Vedremo…
In ogni caso, di anni da scrivere ce ne saranno altri, possiamo scommetterci.

Foto di Luca Marenda.
Qui la gallery completa.

Non è una musica per giovani. Quattro chiacchiere con… Davide Ferrario


Probabilmente più di una volta avete sentito suonare la sua chitarra e magari nella playlist delle vostre canzoni preferite ce n’è più di una a cui ha fornito il suo contributo, anche se il suo nome potrebbe non suonarvi familiare: per molti Davide Ferrario è infatti una presenza “invisibile”, anche se il suo portfolio è di quelli che ti fanno sgranare gli occhi e cadere la mascella.
Originario di Monselice, nella provincia padovana, ma trasferitosi presto a Milano per avvicinarsi al grande giro della musica, negli anni Ferrario ha messo la sua arte al servizio di grandi nomi come Franco Battiato, Max Pezzali, Gianna Nannini.
Del 2011 è il primo album pubblicato a suo nome, F, un episodio destinato a restare a lungo isolato per lasciare spazio alle numerose collaborazioni con i colleghi. Fino a quando, otto anni dopo, gli torna la voglia di mettere la faccia e la firma su un nuovo lavoro, questa volta in veste di producer.
Ad aprile 2019 esce così Lullabies, un EP di due tracce inedite e due remix pubblicato per l’etichetta americana Manjumasi, che porta Ferrario, abituato a frequentare soprattutto i territori della canzone d’autore e del pop, tra i beat della deep house.

Dal primo album, F, sono passati otto anni, e adesso scegli di ripresentarti con un progetto piuttosto distante da dalla musica che sei abituato a fare. Perché?

Ho sempre ascoltato questa musica, l’elettronica è parte integrante del mio background. Dopo il primo album non avevo più voglia di scrivere, o, meglio, non avevo più voglia di fare musica “cantata”: non mi sentivo ispirato e dopo l’uscita dell’album non c’era stata la risposta che mi aspettavo, non era successo nulla. E poi, superati i 35 anni, non mi sembrava il caso di rimettermi a giocare a fare il cantautore. Avevo anche pensato di non fare più niente di mio e per un certo periodo ci sono riuscito con un certo successo (ride, ndr). L’anno scorso a settembre mi è capitato di avere un periodo libero e mi sono messo a giocare con i suoni in studio: da lì sono venute fuori queste prime due tracce, ma non avrei mai pensato che potessero suscitare l’interesse d qualcuno che volesse pubblicarle. Conoscevo già la Manjumasi di San Francisco e molte delle cose che ascoltavo erano prodotte da loro, così semplicemente ho inviato una mail proponendo le due tracce, e hanno accettato di pubblicarle.

Davvero pensi che 35 anni siano tanti per fare il cantautore? Mi sembra che in Italia sia ancora abbastanza radicata l’idea del cantautore come una persona impegnata e possibilmente molto più in là con gli anni…
Può essere, ma al di là dell’idea che può avere il pubblico quello che intendevo dire è che iniziare a fare il cantautore a 35 anni è tardi, e io ne ho compiuti 38. Poi per fare il cantautore devi avere delle cose da dire, e non è detto che io le abbia, o almeno non sono raccontabili e preferisco tenermele per me (ride di nuovo, ndr). Per il grande pubblico sono un emergente, il primo album ha avuto vita brevissima e non è diventato popolare e chi mi segue mi conosce perché suono con il suo cantante preferito. Senza contare che la nuova scena cantautorale non mi rappresenta, se mi presentassi come cantautore sarei molto diverso da quello che si ascolta oggi e mi troverei fuori dal coro a fare qualcosa che verrebbe percepito come datato. Con la house è diverso: mi sento più a mio agio, è un prodotto di nicchia e mi rivedo nella figura del producer chiuso nella sua stanzetta a comporre con i suoni.

Visto che ti sei trovato in entrambe le vesti, quale pensi che sia quindi la sostanziale differenza tra un musicista e un producer di musica elettronica?
I producer, soprattutto quelli medio-piccoli, non ragionano per album, ma per singole tracce: ti trovi a comporre nel tuo studio e dopo vari tentativi ti esce qualcosa di carino, che può funzionare, e decidi di pubblicarlo per poi continuare a fare le tue cose. Ma non sono canzoni, sono espressioni sonore di qualcosa che ti arriva al momento. Sono altre logiche rispetto a quelle con cui lavora un cantante o un musicista. Un producer fa molti più tentativi a vuoto prima di pubblicare qualcosa che abbia successo, per un musicista è diverso, anche se la storia è piena di casi di grandi artisti che hanno fatto brutti album.

Quindi queste due tracce sono l’inizio di un progetto più ampio?
Ho già scritto altro e sicuramente usciranno nuove tracce. Nei live propongo già altre cose, anche perché non potrei far girare un intero live solo su due tracce…

In cosa si differenzia il processo di composizione di un brano suonato e cantato rispetto a una traccia house o elettronica?
Una canzone parte da una semplice composizione alla chitarra o al pianoforte: metti giù le note, poi ci sarà qualcuno, o tu stesso, che farà l’arrangiamento, qualcuno che si occuperà del missaggio, qualcuno che si occuperà del master e così via, ma se il punto di partenza è buono la canzone sta in piedi anche con poco. L’elettronica invece si basa per la gran parte su suoni, la parte compositiva è meno importante di quella sonora. Pensa a uno come Skryllex: se gli togli il suono non resta quasi nulla. Il tempo che un cantautore impiega a cercare la rima o la parola giusta, un producer lo impiega a girare le manopole fisiche o digitali dei suoi strumenti per cercare esattamente il suono che ha in testa. Ed è questa la forma mentis in cui mi trovo in questo momento, ho in mente delle atmosfere e delle sensazioni da ricreare.

La scelta dei titoli delle tracce è quindi legata al tipo di sensazione che vuoi comunicare?
No, quelli sono i nomi con cui archivio i file, ma non hanno niente a che fare con la musica. Jewel Ice l’ho scelto perché in quel periodo stavo lavorando a qualcosa che aveva a che fare con il ghiaccio e quel nome mi era sembrato evocativo, ma per me quella traccia vuole richiamare i ricordi, il sole pomeridiano che filtra dalle finestre al pomeriggio, qualcosa che è quasi all’opposto del ghiaccio. Model invece l’ho salvato così perché era il template del programma che avevo utilizzato per realizzarla e con cui volevo realizzare tutto il progetto: era il modello.

Anche il titolo dell’EP l’hai scelto così?
No, per quello c’è una ragione: richiama la sensazione di morbidezza e di calore delle tracce, il suono del pianoforte.

Quali sono le influenze a cui ti sei ispirato per queste due tracce?
Sono tante, soprattutto in Jewel Ice sono confluite idee diverse. Se si ascolta bene, forse c’è anche un mezzo plagio di Pyramid Song dei Radiohead, ma ci sta, fa parte del gioco. Se qualcosa mi piace non mi faccio problemi a utilizzarlo. Più in generale, nell’ultimo periodo ho ascoltato molto Jon Hopkins, musica ambient, colonne sonore, Nils Frahm, Hans Zimmer, che mi piace molto. Non mi sono invece mai avvicinato molto alla techno perché ho sempre bisogno di avere un’armonia alla base, che nella techno manca.

Continuerai a portare comunque avanti anche l’attività da musicista?
Certo, perché dovrei lasciarla? L’elettronica è un divertimento, ma non so cosa ne sarà fra due anni di questa esperienza.

Dopo tutte le esperienze che hai fatto nella musica c’è ancora un sogno irrealizzato?
Il sogno della vita è dedicarmi alle colonne sonore. Un producer olandese, Junkie XL, ha detto che la figata di fare colonne sonore è che puoi andare avanti finché vuoi, non devi apparire e essere bello per forza, puoi farlo anche a 90 anni. Anche perché prima o poi arriverà un ragazzo di 20 anni più bravo che prenderà il mio posto alla chitarra, non posso andare avanti ancora per tanto!

Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di “ribellione”?
Darti delle definizioni universali è difficile, rischio di dire qualche sciocchezza, per cui faccio prima a spiegarti cosa è stata la ribellione per me: la mia famiglia non mi ha mai supportato nell’intenzione di fare il musicista, anzi mi ha anche ostacolato, anche se i miei genitori direbbero di no se glielo chiedessi, ma devo perdonarli. Credo che questo abbia generato in me una sensazione di rivalsa e una forza che mi ha fatto andare avanti anche nei momenti più difficili. Per fortuna la ribellione esiste!

E come avrebbero voluto vederti in famiglia?
Ho studiato Informatica all’Università, il mio futuro era già abbastanza scritto.

Svolta deep house per Davide Ferrario: il 15 aprile l’EP “Lullabies”


Dalle corde delle chitarre e dalle tastiere ai beat della console. Può essere descritta così la svolta musicale di Davide Ferrario, musicista e produttore da anni attivo sulle scene con alcuni tra i più importanti del panorama nazionale, da Gianna Nannini a Franco Battiato e Max Pezzali.
Il prossimo 15 aprile uscirà infatti l’EP Lullabies (già in pre-order), il suo primo progetto solista, improntato sui suoni della deep house.
Il progetto esce per etichetta di San Francisco Manjumasi, che nel 2018 si è interessata ai lavori di Ferrario, colpita in particolare dalla cura e dall’originalità delle sue produzioni.
Il sound ipnotico e melodico tipico della house incontrano così lo stile di un artista sempre attento alla ricerca di nuovi suoni e immaginari.

“Da anni i miei ascolti sono prevalentemente elettronici ma non avevo mai avuto il coraggio di cimentarmi per davvero in questo genere. Quando ho iniziato a scrivere questo tipo di musica non avevo la minima idea di che fine avrebbe fatto. Di certo non mi aspettavo che nel giro di pochi mesi avrebbe visto la luce come progetto discografico. Quindi ho seguito il mio istinto, sono andato a ruota libera e ciò che è avvenuto, inconsapevolmente, è una sintesi di molte delle cose che mi sono sempre piaciute”.

Questa la tracklist:
Model
Jewel Ice
Model (Bengal Remix)
Jewel Ice (Nitin Remix)

https://www.beatport.com/release/lullabies/2551417

“La mia è musica pop”. Cristina D’Avena torna con Duets Forever, e aspetta ancora Jovanotti

Quando l’anno scorso Cristina D’Avena ha deciso di pubblicare un intero album con le sue sigle più famose cantate insieme ad alcuni grandi nomi della musica italiana, forse non tutti avrebbero scommesso sugli esiti commerciali dell’operazione.
Ma a 12 mesi di distanza lo possiamo dire: Duets non è stato solo un progetto geniale, ma anche un indiscusso successo discografico. Non solo l’album si è guadagnato la certificazione platinata, ma Cristina D’Avena è anche risultata essere l’artista femminile con il più alto piazzamento nella classifica di fine anno per il 2017.
Un risultato così non poteva che spingere Cristina a concedere il bis, per la gioia di un pubblico composto per buona parte da chi bambino lo era almeno una decina di anni fa.
Ecco allora che venerdì 23 novembre arriva Duets Forever – Tutti cantano Cristina: altre 16 sigle diventate ormai parte della tradizione italiana riarrangiate e reinterpretate insieme ad altrettanti protagonisti della nostra scena musicale, da Patty Pravo a Elisa, Fabrizio Moro, Carmen Consoli, The kolors, Nek, Max Pezzali,Lo Stato Sociale Alessandra Amoroso, Elodie, Dolcenera, Il Volo, Malika Ayane, Le Vibrazioni, Federica Carta e Shade.

Come per il progetto precedente, anche stavolta Cristina ha contattato personalmente ogni singolo artista che era intenzionata a coinvolgere: “Sono tutti colleghi che stimo e ho voluto chiamarli uno ad uno per sentire personalmente la loro reazione e capire se avessero davvero voglia di partecipare. Alcuni erano impegnati in tour o stavano lavorando a nuovi dischi e non hanno potuto esserci, pazienza. L’unico dispiacere che ho è non essere riuscita nemmeno stavolta a contattare Jovanotti: ci ho provato in tutti i modi, gli ho mandato messaggi velati e espliciti, gli ho registrato degli audio, gli ho scritto mail, ho fatto addirittura dei video, ma non ha mai risposto e non capisco perché. Forse non ha avuto tempo? O i miei segnali non gli sono mai arrivati? Se non era interessato poteva dirmelo tranquillamente”.
Ma per un Jovanotti che non c’è, ci sono altri 16 protagonisti che si sono messi a disposizione, e gli aneddoti non mancano. Su Patty Pravo: “l’ho contattata tramite il suo assistente, che non era molto convinto che lei avrebbe accettato di cantare i Puffi. ‘Io provo a chiederglielo, ma non so’, mi ha detto. Invece dopo due ore mi ha richiamata entusiasta dell’idea. L’unica paura che aveva era quella di dover fare anche la voce di Gargamella, ma quando l’ho rassicurata che l’avrebbe fatta Fabio De Luigi è andato tutto liscio”.
Su Elisa: “Appena le ho comunicato per telefono l’intenzione di coinvolgerla si è messa subito a gridare ‘Memole” Memole! Memolina! Memolina! Voglio fare Memolina perché io sono Memolina!!’, ed era chiaro che quella sigla era prenotata per lei. Si è completamente calata nel personaggio”.
Su Lo Stato Sociale: “Mi hanno detto subito ‘Noi vogliamo fare Denver, perché vogliamo bene a Denver’. E non hanno solo ricantato il pezzo, ma lo hanno completamente riarrangiato”.
Federica Carta invece non conosceva Papà Gambalunga: “Gliel’ho proposta perché ha un bellissimo testo. Lei era intimorita, in studio aveva paura di sbagliare, di non ricordare esattamente tutte le note, ma l’ho rassicurata ed è stata dolcissima”. 

L’orgoglio che Cristina esprime parlando di questo nuovo lavoro è incontenibile: “Questo disco è gioia pura. Con Duets e Duets Forever sono riuscita a coinvolgere 32 artisti, e non sono pochi! All’inizio nessuno avrebbe mai immaginato che si potesse arrivare a realizzare un secondo album di duetti. Penso che insieme a Warner abbiamo fatto un bel lavoro, un disco di musica pop a tutti gli effetti: i giornalisti sono sempre stati molto buoni con me, ma per molto tempo la mia è stata considerata ‘musichina’, musica di serie B. Dopo Duets è un po’ cambiata la considerazione che il pubblico aveva di me, molti pregiudizi sono caduti. Queste sono canzoni nuove, non avrei mai fatto un disco tanto per farlo: ho voluto rimettere mano al mio repertorio e dargli una veste nuova, perché la gente da me vuole sentire le novità. Ogni brano è stato riarrangiato pensando all’ospite che lo avrebbe cantato con me”.  
Guardando al futuro però, Cristina mette le mani avanti: “Un Duest Tris? Mah, iniziamo a vedere come va questo, poi ci penseremo, anche se credo che quando una cosa va bene ci si debba saper fermare per lasciare al pubblico ancora un po’ di appetito”.
Anche sull’ipotesi di un evento televisivo non mancano le riserve: “Se si dovesse fare, bisognerebbe pensare a una serata davvero bellissima, che coinvolga tutti gli ospiti, ma sono tanti, ognuno con i propri impegni. E non potrei nemmeno utilizzare le immagini dei cartoni, perché la questione dei diritti è complessa”.

A una “principessa e fatina rock” come Cristina la capacità di sognare però non manca, e allora perché non provare a immaginare di affidare una delle sue sigle ad alcune delle icone leggendarie della musica italiana e internazionale? “Tra gli stranieri mi piacerebbe coinvolgere Chris Martin e David Guetta. A Mina darei Prendi il mondo e vai, che tra l’altro è stata scritta da suo figlio Massimiliano; a Ligabue farei cantare Una grande città, mentre per Tiziano Ferro penserei a un brano della serie di Licia. La gente ancora oggi mi chiede com’è andata a finire la storia con Mirko e tutti mi parlano sempre delle fettine panate! Andrà a finire che ci farò una canzone. Anzi, la faccio scrivere a Jovanotti!”.

Ma dopo tutti questi anni, Cristina come si spiega il suo successo? “Penso che la ragione stia in una frase che mi ha detto Maurizio Costanzo. ‘tu hai successo perché sei sempre rimasta fedele a te stessa’. E in effetti è così, non ho mai voluto sperimentare, per poi tornare indietro, e non ho mai avuto ripensamenti”.

Nek, Max, Renga: un’inedita unione artistica sui palchi italiani dal 20 gennaio

NEK-MAX-RENGA_foto di Luisa Carcavale
Eravamo quattro amici al bar.
Anzi no, in questo caso è meglio dire eravamo tre amici in studio. Già, perché di questo si tratta, tre amici – che poi sono anche colleghi – che si ritrovano in studio e davanti a una nuova canzone decidono di dare vita a un inedito terzetto, o meglio, una fusione artistica da portare sui palchi italiani.
I tre amici (e colleghi) in questione sono Nek, Max Pezzali e Francesco Renga, tre campioni della musica italiana con tre lunghe e fortunatissime carriere. Tre artisti diversi, ognuno con la propria storia e il proprio pubblico, che dal prossimo 20 gennaio daranno vita a una nuovissima esperienza live insieme, destinata – almeno per ora – a chiudersi dopo la fine del giro di concerti.

Tutto è partito – si diceva – in studio, quando Max Pezzali ha convocato Nek e Renga proponendo una collaborazione per un nuovo brano, Duri da battere, singolo inedito pubblicato a sorpresa l’11 settembre (e che sarà incluso nel prossimo album di Pezzali in arrivo in autunno per festeggiare i 25 anni di carriera). “Mi ha sempre affascinato la forza di volontà dell’essere umano, che è riuscito a superare le proprie debolezze naturali e le avversità dell’habitat per poter sopravvivere, sempre e comunque. – racconta Pezzali – Nei grandi processi evolutivi come nelle difficoltà di tutti i giorni, nella vita di relazione come nello sport: essere “duri da battere” non significa essere invincibili, ma avere il coraggio e la determinazione di buttare il cuore oltre l’ostacolo. O almeno di provarci”.
Nel video si susseguono le immagini di figure potenti di ogni tempo e ogni ambito, dai dinosauri a Bebe Vio, passando per i simboli della lotta del ’68 all’approvazione del matrimonio omosessuale: “Insieme al testo, nel montaggio del video abbiamo voluto inserire immagini di eroi, rimarcando il concetto che se non lotti per i tuoi sogni non li realizzerai mai”.

Nessuna strategia alle spalle del progetto, nessun calcolo di mercato, solo la voglia di fare qualcosa insieme. Poi l’idea è diventata sempre più ingombrante, e da una sessione di registrazione in studio si è passati alla costruzione di un intero tour.
Sul palco i tre artisti si muoveranno come una persona sola, tutti presenti in scena per l’intero show, con un’unica band, proponendo i successi (ma non solo) delle loro storie discografiche.
Pezzali, che di questo progetto è un po’ il padrino, è sicuro: “Ormai penso che il pubblico sia stanco della solita tournée progettata dopo l’uscita di un album, con la scaletta del concerto costruita attorno alle nuove canzoni. Servono nuovi stimoli, sia a chi sta sul palco sia al pubblico”. Certo nella storia della musica italiana non mancano esperienze simili (si veda la storica avventura del trio Javanotti – Eros Ramazzotti -Pino Daniele, o più recentemente il fortunato progetto di Niccolò Fabi, Max Gazzè e Daniele Silvestri), ma la buona riuscita è sempre un’incognita, dal momento che l’esperienza insegna anche che l’unione artistica non corrisponde a una matematica somma di pubblico.
Nek, Pezzali e Renga al momento si dicono fiduciosi: “Abbiamo messo la palla in movimento, adesso tutto è possibile”. Anche un album quindi? Su questa ipotesi i tre sembrano nicchiare, un po’ per reale incertezza e un po’ forse per scaramanzia, così come non lasciano cadere nel vuoto l’idea di una partecipazione a Sanremo in qualsiasi veste. D’altronde, calendario alla mano, il tour avrà dei buchi proprio nei giorni del festival: presenza in veste di ospiti, concorrenti o addirittura co-conduttori? Chissà.
NEK-MAX-RENGA_locandina tour_M
I biglietti dei concerti saranno in vendita dalle 16 di mercoledì 13 settembre su TicketOne e dalle 16 del 18 settembre negli abituali punti vendita.

20 gennaio – Unipol Arena di Bologna
22 gennaio – Brixia Forum di Brescia
25 gennaio – RDS Stadium di Genova
26 gennaio – Pala Alpi Tour di Torino
29 gennaio – Adriatic Arena di Pesaro
31 gennaio – Pala Sele di Eboli (SA)
3 febbraio – Pal’Art Hotel di Acireale (CT)
12 febbraio – Pala Bam di Mantova
16 febbraio – Arena Spettacoli Padova Fiere di Padova
20 febbraio – Nelson Mandela Forum di Firenze

Ancora nessuna traccia degli appuntamenti di Milano e Roma, e qui è Ferdinando Salzano di F&P a prendere la parola: “Stiamo a vedere come andrà la prevendita, poi decideremo cosa fare, e non è detto che non ci siano sorprese”.