#MUSICANUOVA: Santamarea, “Splendere”

#MUSICANUOVA: Santamarea, “Splendere”

Dopo Acqua Bagnami, scelta da Etro come colonna sonora della sua sfilata alla Milano Fashion Week SS 2024, i Santamarea tornano con Splendere.

Il nuovo singolo della band palermitana, liberamente ispirato ai versi di un libro di poeti arabi di Sicilia dell’anno Mille, trovato per caso in una piccola libreria tra i vicoli del centro di Palermo, trasporta tra antri scuri e improvvisi cieli luminosi.

Al centro vi è la storia di una separazione e il dolore che ne consegue, così forte da non far distinguere tra il proprio sangue e le proprie lacrime. Eppure, tra voci stregate e paure, appare possibile trovare una voce splendida che genera una metamorfosi, vere e proprie ali, per riuscire a volare sopra le cose e vederle dall’alto come mille luci.

Una voce ed una chitarra, nude, intime e velatamente minacciose conducono l’ascoltatore tra piene e vuoti e infine in alto, fino a vedere le cose da lontano tra cori, percussioni spezzate, sintetizzatori e chitarre.

Non vedi,

la lacrima dei miei occhi ha la stessa sostanza del mio sangue

In ogni sole è inscritto il suo tramonto, ma tu adesso guarda le mie gambe,

Come tremano, come tremano, sembrano rami…

Ed il mio cuore, dardi infuocati,

trafitto di luce trafitto di luce, strafatto di luce

Io e te non siamo mai tanto cambiati,

ma le tue ciglia adesso sembrano lame, non le posso guardare

Le tue labbra, perle infuocate, non le posso toccare

E la mia testa è una casa stregata piena di voci,

Piena di voci, piena di voci

Splendide, voglio le ali per non lasciarmi mai spegnere

Lampi stanotte guardate il mio cuore, dardi infuocati

trafitto di luce, trafitto di luce, strafatto di luce

Splendida.

Come una corrente tenue prendo quota sopra le paure
Ed in alto in mezzo a mille luci vedo finalmente la mia voce

Voce, 

la mia voce,

voce…

Splendida, voglio le ali per non lasciarmi mai spegnere

Lampi, stanotte guardate il mio cuore

Dardi infuocati, trafitto di luce, trafitto di luce, strafatto di luce 

E la mia testa, casa stregata, piena di voci, piena di voci, piena di voci

Ed il mio cuore, dardi infuocati, trafitto di luce, trafitto di luce, strafatto di luce

E la mia testa, piena di voci, piena di voci
Piena di voci, piena di voci, piena di voci
Piena di voci, piena di voci, piena di voci

Piena di voci, piena di voci

BITS-RECE: James Jonathan Clancy, “Sprecato”. Pastorale per animi inquieti

BITS-RECE: James Jonathan Clancy, “Sprecato”. Pastorale per animi inquieti

 

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.


Se è vero che un disco non andrebbe giudicato dalla copertina, nel caso di questo album un’eccezione penso sia più che lecita. Se non per giudicarlo prima di averlo ascoltato, almeno per farsi istantaneamente un’idea dello stato d’animo che lo permea.

Soprattutto se – come in questo caso – è il frutto di un intenso scambio di idee, di collaborazioni e di reciproche contaminazioni tra l’artista che l’ha realizzata e il cantautore che firma il disco. Il primo è il disegnatore bolognese Michelangelo Setola, il secondo è il cantautore italo-canadese James Jonathan Clancy. L’album invece si intitola emblematicamente Sprecato, ed è il primo lavoro da solista di Clancy, dopo le esperienze con His Clancyness, A Classic Education, Settlefish e Brutal Birthday.

Tornando alla copertina, ciò che colpisce subito lo sguardo è un’idea profonda di inquietudine e alienazione, uno stato d’animo di tensione fosca, “tempestosa”.

Ed è esattamente questo che traspare – limpido e oscuro – dalle tracce del disco.

Folk, psichedelia, synth-pop, darkwave, ambient, i riferimenti presenti nell’album sono tantissimi, intrecciati tra loro in una vibrazione costante.
I suoni sono ora profondissimi ora eterei, ora armoniosi ora dissonanti.

Clancy spazia tra minimalismo e magniloquenza, tra visioni ariose e oniriche e cadute vertiginose, e con la voce dipinge atmosfere immaginifiche.

Sprecato è un disco che si vede, quasi si tocca, è fatto di tinte ombrose, caliginose, plumbee. Castle Night apre all’insegna di un’intimità tipicamente notturna, A Workship Deal è una nerissima sinfonia post-punk che esplode in un finale ruvido e dissonante, Had It All è una disperazione senza possibilità di ritorno cullata su un arpeggio, mentre Out And Alive cresce e si cosparge di un’aura quasi liturgica.

Tra drums, chitarre e synth, molto interessanti le coloriture create dai sax.

Sprecato suona come quelle giornate di passaggio tra estate e autunno, o tra inverno e primavera, quando la quiete viene travolta da una cavalcata nera e minacciosa di cumulonembi. Quelle giornate in cui gelide e improvvise raffiche di vento scompigliano la natura e agitano i pensieri.

Quelle giornate che preannunciano un cambiamento.

Registrato tra Bologna e Londra, Sprecato è stato realizzato grazie a Suner, progetto di Arci Emilia-Romagna sostenuto dalla Regione Emilia-Romagna nell’ambito della Legge 2 sulla musica.

#MUSICANUOVA: M.E.R.L.O.T., “Piccole cose”

“Bramiamo grandi cose, sogniamo di diventare i numeri uno a qualunque costo togliendo importanza alle cose piccole che, sto imparando ultimamente, sono proprio gli scrigni della felicità. Ho voluto dedicare questa canzone a loro.”

M.E.R.L.O.T ritorna su tutte le piattaforme digitali con Piccole cose, il nuovo singolo distribuito da Ada Music Italy.

A cosa diamo davvero importanza?
Quante cose rimangono nonostante tutto?
Appezziamo come dovremmo ciò che abbiamo?
Domande che attanagliano l’anima da sempre, che prima o poi bussano alla porta dei pensieri, quando ormai sembra essere troppo tardi. Questa è l’epoca delle “Piccole Cose”, anche se tutto pare convincerci, oggigiorno, che serva farne di grandi per cambiare il mondo, sottovalutando il benessere che deriva dai gesti all’apparenza “trascurabili”.

“Ho fatto un casino
Ti ho pianto un casino
Ho scritto due parole mi son perso nel vino
Mi sono fatto forza ti ho stretta tra i denti
Nel fiore dei miei danni che sono più di 20
E allora le solite storie, le storie, le solite storie
Urlate a squarciagola quando non hai più voce
Ma ora se ti va resta mia per metà
Erano grandi sogni, sogni grandi
Ma piccole cose”

Il brano, scritto dallo stesso artista e da Daniele Coro, racconta, attraverso gli stati d’animo provati sia nel corso che nella fine di una relazione, quanto sia difficile assistere al cambiamento di quei legami che prima erano parte integrante della nostra vita. I rimpianti, così, ci ancorano al passato e ci sbattono in faccia l’ennesima occasione persa per essere felici.

Un singolo letteralmente “ricamato a mano” dallo stesso M.E.R.L.O.T, che ha curato l’intero progetto dilettandosi nell’arte del cucito. Una nuova passione dalla quale è nata la copertina di “Piccole Cose”, riconfermando così la sua identità artistica e dimostrandosi versatile non solo nella sua musica.

#MUSICANUOVA: Michelangelo Vood, “Scemo”

«Scemo è una canzone che prova a non prendersi troppo sul serio, giocando sull’allontanamento di una presenza tossica dalla propria vita. “Ma mi credi scemo?” è una frase che avrò detto mille volte e che mi andava di urlare in una canzone»

Michelangelo Vood pubblica Scemo, il terzo singolo che anticipa l’album di esordio in uscita a maggio.

Il brano racconta la fine tumultuosa di un rapporto, col ritornello che esplode in una “dedica” poco lusinghiera per la controparte, colpevole di cercare a tutti i costi un contatto decisamente poco gradito.

Una dedica a quella persona di cui vorremmo liberarci per sempre, un vecchio amore che ritorna, un vicino di casa antipatico, un amico che ci ha deluso profondamente, un capo troppo esigente.

Dietro l’atmosfera apparentemente leggera del brano, il cantautore prova a esplorare tematiche complesse, come l’accettazione della solitudine, le pressioni derivanti dalla paura del giudizio altrui e l’istinto di sopravvivenza in una metropoli mangia-sogni.

Vood ha una vocazione naturale nel far vibrare il suo vissuto sulle stesse note di chi lo circonda, condividendo frammenti di una vita eccezionalmente ordinaria: è un cultore delle piccole cose quotidiane e sta costruendo la propria carriera da cantautore tra i live club e gli studi di registrazione di Milano, città in cui ha iniziato anche l’insegnamento di italiano e storia in alcune scuole superiori locali.

Il brano – realizzato con il sostegno del MiC e di SIAE nell’ambito del programma “Per Chi Crea” – è stata prodotta da Giordano Colombo e si arricchisce delle chitarre di Nicolò Carnesi e dai synth di Donato Di Trapani (già musicista per Colapesce Dimartino, Paolo Nutini).

Non mi scuserò
Per le cose fatte in due
In questa città
Che brucerò  
Che brucerò vedrai
È troppo tardi ormai
Tutti i miei sogni son morti già

Ma mi credi scemo
Se vuoi te lo spiego
Dillo a chi vuoi
Ai preti o all’FBI
Ma per chi mi hai preso scemo
porta sta faccia da scemo lontano da qua

Non do peso a foto e like
Dormo male lo stesso
Ma tu di me cosa ne sai
Ti prendi tutto ciò che vuoi 
L’ha detto pure Freud
Tutti i miei sogni son morti già

Ma mi credi scemo
Se vuoi te lo spiego
Dillo a chi vuoi
Ai preti o all’FBI
Ma per chi mi hai preso scemo
Porta sta faccia da scemo lontano da qua (x2)

Ascolta bene 
Questa è l’ultima volta che te lo dico
Che poi è inutile che mandi
100 messaggi su whatsapp
Hai scritto a chiunque
in DM, Messenger
Addirittura una mail
Ma tutto a posto
Ma pensi che so scemo
Questo è l’ultimo messaggio che ti mando perché poi ti blocco
Mo avast

Ma mi credi scemo
Se vuoi te lo rispiego
Dillo a chi vuoi
Ai preti o all’FBI
Ma per chi mi hai preso scemo
porta sta faccia da scemo lontano da qua

Scemo scemo scemo scemo scemo (x2)

Porta sta faccia da scemo lontano da qua (x2)

#MUSICANUOVA: Filippo Zucchetti, “Cielo elettrico”

Cielo elettrico, come tutte le mie canzoni, nasce per una necessità espressiva. L’idea poi di trasmettere qualche emozione con questo brano è senza dubbio la gioia più grande. Mi ha molto emozionato scriverlo, realizzarlo e interpretarlo e, per quanto mi riguarda, questo è già un successo. Scrivere canzoni per me è un atto speciale, unico, intimo, quasi sacro. Ogni parola che utilizzo nei miei testi possiede un peso specifico. Il testo assieme alla melodia devono raggiungere un equilibrio tramite il giusto bilanciamento delle parole. Finché questo equilibrio non è raggiunto la canzone rimane incompiuta”

Cielo Elettrico è il nuovo singolo di Filippo Zucchetti.

Un delirio di istanti, ricordi, persone, scene e immagini. È una cavalcata poderosa che attraversa pezzi di vita.  Una struttura narrativa a “blocchi” ognuno dei quali possiede un’atmosfera differente in cui si entra e si esce fino a ritrovarsi nel momento esatto in cui c’è lo stesso Cielo (elettrico) e tutta la nostra fragilità.

#MUSICANUOVA: Cucina Sonora e N.A.I.P, “Basta Poco”

Basta Poco è il nuovo singolo di Cucina Sonora e N.A.I.P: un brano minimalista composto da due note, pochi suoni e poche parole.

Il brano nasconde dietro una considerazione apparentemente semplice una riflessione più profonda, sottolineando il senso di frustrazione e di fallimento di chi non riesce a fare una cosa per la quale serve un minimo sforzo o poco impegno, per la quale basta poco.

Le liriche di N.A.I.P., ispirate dai testi di Elio, Colapesce e Franco Battiato, vengono completate da una strumentale vicina al mondo di Mr. Oizo e Jacques, minimale nelle melodie e nelle armonie ma potente nella cura dei suoni e nella follia, rendendo così il nuovo brano un tormentone da fischiettare in qualsiasi luogo e contesto. Basta poco, a tutti gli effetti.

Cucina Sonora è un pianista e producer: nel suo mondo non c’è differenza tra analogico e digitale, classico ed elettronico come dimostra il suo album “Evasione” (2017) il cui singolo estratto è stato remixato da Francesco Farfa su Toys for Kids. Dopo un tour di oltre 60 date in italia e all’estero, firma con la label INRI e pubblica (2022) l’album “Notte”.

Basta poco
Per saltare
Basta poco
Per salutare
Basta poco
Per girare
La testa, un video, un familiare
Basta poco
Per annuire
Basta poco
Per ri-annuire
Basta poco
Per piacere
Senza dire per piacere
E basta
Basta poco
Per non saltare
Basta poco
Per non salutare
Basta poco
Per non girare
La testa, un video, un familiare
Basta poco
Per non annuire
Basta poco
Per non ri-annuire
Basta poco
Per non piacere
Allora dico
E basta
Vivi vivi per davvero
Non vivi non vivi per davvero
Guarda questo cielo
L’hai guardato il cielo o no?
L’hai non guardato il cielo o no?
Non l’hai non guardato il cielo o no?
Non l’hai non guardato il non cielo o no?
E basta.
E basta.

BITS-RECE: Amalfitano, “Tienimi la mano, Diva!” Se Dioniso s’innamora

BITS-RECE: Amalfitano, “Tienimi la mano, Diva!” Se Dioniso s’innamora

 

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Se appena appena avete qualche familiarità con la cultura classica, vi sarà capitato di sentir parlare della dualità fra apollineo e dionisiaco, due elementi complementari alla base della natura dell’Uomo: due spiriti contrapposti, rivali, ma necessari l’uno all’altro per mantenere un equilibrio vitale.

Da una parte l’apollineo, la sfera razionale, luminosa, ordinata, ubbidiente; dall’altra il dionisiaco, lo spirito folle, ombroso, disordinato e ribelle. Due forze ataviche in costante lotta.

Ad apollineo e dionisiaco Nietzsche ha dedicato alcune delle sue pagine più celebri: secondo il filosofo tedesco, nella fase aurea della tragedia greca – massima espressione della cultura classica – si poteva riconoscere il trionfo del dionisiaco, che soccombendo progressivamente all’apollineo avrebbe portato alla corruzione del dramma.

Il dionisiaco è la forza dell’amore che arriva, devasta, fulmina, brucia, rende assetati; è la bellezza che acceca e quasi spaventa. E non c’è dubbio che ci sia stato proprio lo spirito dionisiaco ad animare l’ispirazione di Amalfitano per il suo nuovo album.

Il lavoro si intitola Tienimi la mano, Diva!, proprio come recita il primo verso della prima traccia, che è stata anche il primo singolo presentato al pubblico, Fosforo: un incipit epico, altisonante, spirituale, una dichiarazione d’intenti fin troppo chiara.
Se Omero – sempre per restare nel classico – invocava la Musa perché gli infondesse l’ispirazione per cantare le mitiche imprese degli eroi, Amalfitano sembra chiamare la sua dea perché corra a soccorrerlo, a sostenerlo, a tenergli la mano appunto, perché a lui “ballo lo sguardo”, proprio a causa di un amore che lo ha folgorato, un amore che brucia come il fosforo.

Ma nonostante tutto, potremo mai fare a meno di amare? Potremo mai rinunciare alla bellezza, alla sua forza disarmante? Ovviamente no.

Ed è proprio sui temi dell’amore e della bellezza che si concentra il cantautore romano nel suo secondo album: lo fa impregnando gli otto brani di rock e di blues, marchiando ogni canzone con il suo canto viscerale, stropicciato e sincero.

L’apertura con Fosforo è fulminante: sicuramente, uno dei migliori brani italiani usciti negli ultimi anni. Un pezzo incandescente, costruito su un climax che sembra tendere alle stelle. La collaborazione con Francesco Bianconi, che dell’album è anche produttore insieme a Ivan A. Rossi, calza alla perfezione: è la manifestazione al quadrato del dionisiaco.

Al posto di cimbali e crotali, tradizionali strumenti del corteo dionisiaco, di brano in brano Amalfitano conduce la sua danza pagana tra chitarre e archi: ogni pezzo è un concentrato di tensione, furore, erotismo, sarcasmo.

Tenerezza, ancora con Bianconi, ha il sapore intimo e agrodolce di una caramella che si scioglie lenta; E… ancora tu! ha il tocco di una carezza urticante; Cafona suona stralunata come una composizione di dallaniana memoria, mentre Battisti riecheggia nelle note di Lisbona.

Ma fino alla fine il disco non risparmia sorprese, quando Faccia di caffè, forse l’episodio dal tocco più felpato, si carica di pathos e si spalanca in una trionfale conclusione che guarda all’universo imaginifico dei Pink Floyd.

Tienici la mano, Diva, qui si canta d’amore.

#MUSICANUOVA: centomilacarie, “notte vodka”

“Qualche estate fa tornando da una serata con gli amici ho sentito l’improvviso bisogno di urlare fino a sfondarmi la gola, tirando fuori tutto il marciume nel quale mi sentivo immerso. Quella stessa notte, come dentro a un freestyle, mi sono attaccato al piano su cui erano appoggiati i bicchieri ormai vuoti.

Avevo 17 anni, era tutto magico e possibile, ed è nata questa canzone.”

notte vodka è un urlo lacerante che diventa lo strumento per canalizzare una profonda vulnerabilità, provata al suo estremo da un giovanissimo centomilacarie rincasato dopo una notte passata con gli amici, in una sessione solitaria con il suo pianoforte.

E’ un’esperienza condivisa di emozioni universali, un flusso di coscienza che attraverso il graffio della voce e la sequenza di immagini evocate dal testo risuona in chiunque abbia vissuto un momento in cui si è sentito perso.

Dopo essere stato voce coprotagonista insieme a Salmo del singolo di Mace Non mi riconosco, centomilacarie si conferma tra le penne capaci di trovare nuove parole, nuove atmosfere e chiavi di lettura per raccontare un disagio emotivo generazionale, un’angoscia che trova così il suo esorcismo.

#MUSICANUOVA: Kimera, “Artico”

Artico vuole raccontare ed esplorare il luogo dove abitano emozioni e sentimenti che si sono congelati perché non possono essere rivelati ad un’altra persona . Un po’ come una condanna, l’Artico traccia una linea dritta, un muro che divide due vite che non potranno mai esistere “insieme”.

Inseguire una chimera significa perseguire sogni irrealizzabili, ma per Kimera è una spinta che guida la sua musica. Una musica creata per rompere l’illusione del sogno, per poter abbracciare la paura e la bellezza che si può trovare solo nei luoghi inaspettati della mente.

L’amore al tempo del liceo nel nuovo singolo di Mercvrio

L’amore ai tempi del liceo è quel condimento sui ricordi della vita di ognuno di noi: il primo innamoramento, i primi sentimenti, i primi momenti insieme.

Ricambiato o no, ognuno di noi ha vissuto quel momento ed è proprio la malinconia e il romanticismo di quegli istanti il cuore  del nuovo singolo di Mercvrio, che lascia i suoi ricordi in Liceali.

Mercvrio è il progetto musicale da solista di Davide Attili, un normale essere di forma umanoide cresciuto cantando e suonando in gruppi hard rock, metal e free jazz pop indogiapponese nei locali della capitale.

Nato a Roma il 19/9/1991, che se lo si legge al contrario è ancora  19/9/1991, alle ore 19:09, il che accende di mistero questa faccenda del 19 se consideriamo quanto segue: il numero di verso e di capitolo nel Corano in cui un angelo annuncia a Maria la nascita di Gesù è 19:19. Coincidenze? Forse. Il fatto che abbia scelto come nome d’arte il termine romano con cui si indicava proprio la divinità “messaggera” degli dei è ancora una coincidenza? Forse si, forse no, ma ad essere sincero in realtà si. Ma tutte queste coincidenze sommate insieme non  fanno forse una prova? Ma una prova di cosa? Tutto rimane ancora avvolto nel mistero.