Il primo incontro pubblico tra Sethu e i bnkr44 era stato sul palco del Festival di Sanremo 2023, quando il primo, in gara con il brano Cause perse, decise di coinvolgere la band nella serata delle cover.
Insieme diedero vita a una personale rivisitazione di Charlie fa surf dei Baustelle, portando in scena tutta la carica del punk-rock.
Ora l’artista savonese e la band si ritrovano per una nuova, inedita collaborazione: il brano si intitola sottosopra ed è una delle bonus tracks incluse nella nuova edizione di tutti i colori del buio, il primo album di Sethu pubblicato in digitale alcuni mesi fa, in arrivo il 1 novembre anche in una specialissima edizione in vinile zootropico.
“croci è un pezzo che parla di quanto sia difficile andare avanti nonostante una relazione sia finita. Finire una storia spesso equivale quasi a “seppellire” tutti i ricordi che hai con una persona, da qui nasce proprio l’idea del titolo.
Ho scritto il pezzo con mio fratello gemello Jiz in studio e fin dalle primissime demo Sally sembrava essere la persona perfetta da coinvolgere su questo brano. Penso che la sua cifra stilistica, l’incisività emotiva e la sinergia che si è creata siano un gran valore aggiunto al pezzo, sono molto contento di questa collaborazione.”
Realizzato insieme a Sally Cruz, una tra le più promettenti artiste emergenti della scena urban, crociè un nuovo brano inedito di Sethu, pubblicato a quasi due mesi dall’uscita del primo album, tutti i colori del buio (ne abbiamo parlato qui).
Un’ulteriore sfumatura del buio interiore che l’artista savonese ha condiviso anche nel disco, pubblicato lo scorso 17 maggio.
Il nuovo singolo, prodotto da Jiz – già produttore del primo album del gemello – racconta la difficoltà nel seppellire i ricordi di una storia d’amore giunta al termine, tra attacchi di panico e momenti di smarrimento.
La tematica della salute mentale è uno degli argomenti centrali di tutta la recente produzione artistica di Sethu, che si è espresso apertamente sul proprio percorso di terapia e sull’importanza di prendersi cura tanto del proprio benessere fisico quanto mentale, come ribadito anche durante la sua partecipazione all’evento finale del Milano Pride: “Avevo dieci anni quando sono andato in terapia per la prima volta. Mi sentivo un alieno, diverso e incompreso dal mondo che mi circondava a causa del buio che avevo dentro. Ho capito così l’importanza della condivisione, del prendersi cura di sé e di quelle ferite che non sono visibili agli occhi. Ho imparato a conoscere le tante sfumature del mio buio e che non esiste alcuna causa persa, se non quella che abbandoni. […] Per chiunque si trovi in un momento di difficoltà, non c’è vergogna nel chiedere aiuto. I pregiudizi spesso ci fanno pensare che non c’è qualcuno qua fuori pronto a tenderci una mano. Dimostriamo il contrario”.
Un nuovo brano, atipicamente estivo, segna il ritorno sulle scene de Il Triangolo, Per fare peggio.
Un nuovo omaggio a una generazione, quella in bilico tra il fare le ore piccole e l’aprire un mutuo.
Il pogo ad un concerto in un centro sociale, una vacanza al mare e l’acquisto di una casa possono essere tutte delle tappe di un unico viaggio alla ricerca del proprio vento?
Tra la citazione di una vecchia canzone punk italiana e un ritornello pop che non ti si scolla di dosso, il nuovo singolo de Il Triangolo è la confessione della paura nascosta di tradire se stessi.
Il racconto di tutte quelle cose che da piccoli ci si promette di non fare, ma che la vira da adulti ci costringe ad affrontare.
“Giurami, che rimarremo sempre giovani” cantavano Il Triangolo, ovvero Marco Ulcigrai (chitarra, voce) e Thomas Paganini (basso, voce) nel loro esordio del 2012, “Tutte Le Canzoni”, album realizzato in seguito alla vittoria dell’edizione 2011 di VA sul palco – concorso musicale per artisti emergenti – che segnerà l’inizio della collaborazione con Ghost Records.
Erano davvero tutte le canzoni che avevano scritto sino ad allora: dieci piccoli inni a una giovinezza che si vuole liberare dalle costrizioni del proprio tempo e ritrova nel passato un luogo d’amore antico e ormai perso. E così, “tutti cantano Battisti”, comprano i dischi in vinile e sognano letti di rose in tempi di spine. Nel maggio del 2014 vede la luce il secondo album “Un’America”, arricchendo la linea cantautorale del lavoro precedente con suoni e arrangiamenti più sporchi e decisi, grazie a nuove influenze e nuove ricerche sonore.l punti di partenza sono ancora il beat e il cantautorato, ma in una veste più rock, dove i fuzz delle chitarre, le batterie sature e il basso distorto si prendono la scena.
Non solo due album, ma anche un’attività live intensa, con quasi 200 concerti in tutta Italia, condividendo la scena con alcuni tra i migliori artisti italiani attuali e calcando palcoscenici importanti tra cui, due volte, quello Mi Ami Festival. A cinque anni di distanza, Marco e Thomas sono tornati con un nuovo album, “Faccio un cinema”, uscito ad inizio 2020.
Di esperienze, in mezzo, ce ne sono state tante: Marco è entrato in pianta stabile nella formazione live dei Ministri, con cui suona dal 2015. Con la rock band milanese ha collezionato date in tutta Italia e in Europa, esibendosi su palcoscenici prestigiosi, come quello del Primo maggio a Roma, quello del Primo Maggio di Taranto o quello dello Sziget a Budapest.
Dopo il successo con i Ministri, Marco è stato scelto da Vasco Brondi per seguirlo nelle date delle Luci della Centrale Elettrica per il tour di “Terra“, che lo ha portato nuovamente a Roma sul palco del Primo Maggio ed in TV, ospite di “Quelli che il calcio”.
BITS-RECE: La Sad, “Odio La Sad”. La vita in punk-rock
BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
Dopo anni di overdose hip-hop e trap, declinati in tutte le possibili varianti possibili, l’exploit mainstream de La Sad – in grandissima parte merito dell’esperienza sanremese – è arrivato roboante come un fulmine a ciel sereno.
A memoria, era più o meno dai tempi di Domani smetto degli Articolo 31 – anno 2002 – che un progetto italiano anche solo vagamente orientato al punk non si guadagnasse l’attenzione del grande pubblico.
In effetti, la prima sensazione che si prova ascoltando le tracce di Odio La Sad, il nuovo album del trio formato da Theø, Plant e Fiks, è quella di un leggero spaesamento: sembra di essere riportati indietro nel tempo, ai primi anni ’00, quando era il punk-rock a farla da padrone tra i giovanissimi. Blink 182, Avril Lavigne, Sum 41, i riferimenti della memoria corrono a quei nomi, che per molti sono oggi sinonimo dei tempi felici dell’adolescenza.
Anche la loro estetica, fatta di chiome fluo, borchie, outfit neri in similpelle, attingendo a quell’immaginario emo così spiccato, appare oggi lontana, fuori moda, decisamente diversa da quello su cui oggi investe il mercato discografico.
E l’impressione è che l’intento dei nostri sia esattamente questo: arrivare di traverso, da dove nessuno guarda.
Partiamo col dire che Odio La Sad è un album centratissimo. Un disco coerente, compatto, solido, che pone al centro un messaggio forte e chiaro. Un messaggio che non chiede troppe interpretazioni o troppi giri di parole per essere compreso. Si parla di emarginazione, di dolore, di quel senso di smarrimento e di solitudine che almeno una volta nella vita prende tutti, ma che si può trasformare in una voragine tenebrosa se non si ha la forza e la capacità di guardare altrove, e si finisce per caderci dentro.
La Sad dà voce a chi ha sempre pensato di non averla, a chi nella vita si è sempre sentito un vinto, un perdente, e – peggio – è sempre stato convinto di non aver diritto a una possibilità.
Non c’è alcun obiettivo di rivalsa incattivita, di vendetta o di dimostrare qualcosa; è il gesto di chi si libera di tutto l’odio che sente dentro, di chi non permette al passato di uccidere il futuro. Nasce anche da questo intento il titolo del disco e dell’omonima traccia di apertura.
nei brani di Odio La Sad si parla di odio subìto, di amori tossici, di mancanza di fiducia, di ansie e di insicurezze, di dipendenze, persino di suicidio giovanile, come in Autodistruttivo, il brano portato coraggiosamente su palco di Sanremo.
La Sad canta per gli “stropicciati”, per i tutti i diversi, per chi non ha ancora trovato una strada o l’ha magari persa, per chi si chiede se abbia senso tutto sommato restare a bordo, fino alla fine di questo viaggio nel mondo.
Tra i momenti più emozionanti dell’album c’è sicuramente Maledetta vita, una dichiarazione d’amore al mondo cantata insieme ai Pinguini tattici nucleari. Un brano di una bellezza limpida come la luce che arriva dopo un lungo buio.
Funziona molto bene il duetto con Rose Villain in Non lo sai e poi c’è l’indovinata accoppiata con Rettore, una che punk non lo è forse mai stata musicalmente, ma nell’anima sì, sempre. Rivoluzionaria, disturbatrice, innovatrice, insieme a lei La Sad rivisitano un pezzo iconico e ironico come Lamette.
A chiudere il disco è Fuck The WRLD: vengono tirate in ballo l’anarchia, la libertà, la lotta alla società e alla classe politica, ma si fa davvero fatica a cogliere in questo brano l’autentica spinta eversiva che il punk per natura dovrebbe avere. Ed è proprio qui, dove il gruppo sempre voler alzare un po’ di più l’obiettivo, che si intravede il limite.
Perché, non dimentichiamolo, stiamo pur sempre parlando di punk-rock, che è cosa ben diversa dal punk.
E non sarebbe male se il prossimo passo del progetto La Sad si giocasse proprio su questo terreno. Passata la voglio di ribellione di gioventù, sarà tempo di crescere.
Lo hanno ricordato anche loro, i Tre allegri ragazzi morti mancavano da Milano da qualche anno. Eppure per il live del 16 aprile il loro pubblico meneghino non ha mancato di rispondere alla chiamata a raccolta all’Alcatraz. C’era chi li seguiva dal ’94, ed è cresciuto con loro, e chi invece li ha conosciuti in corso d’opera. Tutti però si sono subito calati nello perfetto spirito che contraddistingue i live della band di Pordenone, in uno show di due ore che pur soffermandosi molto sui pezzi dell’ultimo album, Sindacato dei sogni, non ha ovviamente tralasciato di guardare al passato. Rock minimale, indie, reggae, punk, fino alla psichedelia, c’è stato spazio per tutto quello che la band ha offerto durante oltre 20 anni di carriera, compresi i riferimenti alla tanto cara cumbia.
Indossando la maschera d’ordinanza e con Davide Toffolo perfetto regista della serata, i tre hanno regalato un concerto potente ed euforico in pieno stile TARM.
La psichedelica C’era un ragazzo che come me non assomigliava a nessuno è stata accompagnata dal sax di Andrea Poltroneri, mentre Il mondo prima, classicone del repertorio, si è guadagnato il maggior boato del concerto. A chiudere, La tatuata bella, rigorosamemte intonata a cappella dall’intero parterre.
Menzione d’onore ai tre artisti che hanno avuto l’onore di aprire la serata, Deiby, Cristina Erhan e Fabrizio Lavoro, vincitori dello speciale Talent TARM lanciato dalla band per dar vita a una “cosmogonia” dei Tre alleri ragazzi morti.
Mica male per tre musicisti “quasi adatti”. E la storia continua.
“Da quando ho visto il muro di Berlino dal vivo e le immagini della sua caduta, ho sempre pensato che sarebbe stato bello esserci quella notte del 9 novembre 1989. Non so bene perché, ma alla fine Fabio Copeta ha fatto in modo che quella sera ci fosse una mia canzone”. E così, le immagini ormai entrate nella storia della caduta del muro di Berlino si accompagnano alle note acustiche di Berlino, il nuovo singolo di George Herald estratto dell’EP Per tutto ciò che vale.
Cantautore dall’attitudine punk ma prestato al folk (“Sono George Herald e scrivo canzoni folk” è la semplice formula con cui si presenta sulla sua pagine Facebook), George inizia a fare musica per “colpa” di suo fratello, che gli ha lasciato in camera le chitarre dei tempi in cui da adolescente militava nella punk band Macachi Trauma Center. Un inverno di qualche anno fa, preso dalla noia e dal freddo, George ha preso in mano quella acustica e ha iniziato a scrivere canzoni.
Si chiamerà PUNK il secondo atteso disco di inediti del cantautore romano Gazzelle, in uscita il 30 novembre.
Questa la tracklist: 1. Smpp 2. Punk 3. Sopra 4. Tutta la vita 5. Sbatti 6. Non c’è niente 7. OMG 8. Scintille 9. Coprimi le spalle
Il disco, prodotto da Federico Nardelli, è stato anticipato dai singoli Tutta la vita e Sopra.
Dopo il grande successo dei live nei due club più importanti d’Italia (all’Atlantico Live di Roma e al Fabrique di Milano) prodotti da Vivo Concerti a marzo 2018 e andate interamente sold out settimane prima degli show, Gazzelle è pronto a tornare sul palco nel 2019 con due date esclusive nei palazzetti più importanti d’Italia: venerdì 1 marzo 2019 al Mediolanum Forum di Milano e domenica 3 marzo 2019 a Roma, al PalaLottomatica.
Biglietti disponibili su Ticketone.it e in tutte le rivendite autorizzate.
Era il 1998. Io andavo alle medie e i Prozac + irrompevano sugli schermi di Mtv con il punk-rock “stupefacente” di Acido Acida, singolo portante dell’omonimo album che arrivò a vendere quasi 200 mila copie. Per festeggiare il ventennale dalla pubblicazione, il 25 maggio quel disco torna in due nuove versioni: CD digipack con bonus tracks e LP in vinile da 180gr.
Nella versione CD digipack, oltre all’album originale rimasterizzato, anche 5 bonus tracks: Sognare, presente solo nell’edizione LP picture disc del 1998, la cover di What Do I Get dei Buzzcocks pubblicata solo come b side del singolo Baby, e le versioni inglesi di Acida, Ics, GM e Colla, finora presenti solo nella versione internazionale del terzo album della band, 3.
La band celebrerà i 20 anni di Acido Acida anche con 2 concerti, il 26 maggio a Milano al MiAmi, e il 31 agosto all’Home Festival a Treviso.
CD Prato Piove Ho Raccontato Che Colla Ringraziati Ics Acida Baby GM Quore Piango Quando Mi Guardo Fenomeno Betty Tossica
Bonus tracks:
Sognare (per la prima volta su CD) What Do I Get? (B side del CD singolo Baby) Acida (English Version) X (English Version) GM (English Version) Glue (English Version)
LP
Lato A: Prato Piove Ho Raccontato Che Colla Ringraziati Ics Acida
Lato B: Baby GM Quore Piango Quando Mi Guardo Fenomeno Betty Tossica
“Questa musica non contiene groove di batteria preconfezionati e strumenti virtuali.” È scritto proprio così nella pagina dei crediti dell’album. Un monito come quello – oggi sempre di più frequente – delle confezioni di alimenti per avvertire della possibile presenza di glutine, olio di palma o frutta con guscio. Per i Decibel l’equivalente dell’olio di palma è l’omologazione, l’appiattimento, il luogo comune, tutti termini attorno ai quali girerà gran parte di questa intervista, rilasciata in occasione dell’uscita di Noblesse Oblige, il loro terzo album. Il nucleo del gruppo nacque esattamente quarant’anni fa tra i banchi del liceo Berchet di Milano e si fece portatore del punk e della new wave in Italia. Nei pochi anni di attività, anche una partecipazione a Sanremo, con Contessa, sufficiente a lasciare traccia nel grande pubblico. Dopo un lungo periodo di attività separate, lo scorso anno Enrico Ruggeri, Silvio Capeccia e Fulvio Muzio si sono ritrovati a Londra e lì ha preso corpo l’idea di far risorgere il gruppo. Niente nostalgia però, solo musica, con lo stesso orgoglio di essere una band di nicchia. Ecco allora il nuovo album: 11 inediti e due cover nell’edizione standard e un’edizione limitata e numerata con altri tre brani, vinili e memorabilia vari. Perché il rock di oggi è come la musica classica, parola di Ruggeri.
A distanza di quarant’anni, che ambiente musicale vi ritrovate intorno? Enrico: Non vorrei dire lo stesso, ma quasi. Quarant’anni fa, quando i Decibel pubblicavano l’album Punk, gli Homo Sapiens vincevano Sanremo con Bella da morire. Due anni dopo i Decibel andavano a Sanremo con Contessa e si trovavano di fianco Toto Cutugno, Pupo e i Collage. Erano i tempi dei capelli cotonati, le camicie con lo sbuffo, le voci in falsetto, e noi eravamo come marziani. Prendevamo ispirazione dai viaggi a Londra, ogni volta tornavamo con una giacca diversa, un paio di occhiali, i capelli ossigenati: era facile fare i diversi. A noi oggi tornare sembrava più difficile, con Internet tutto viaggia velocissimo, ma l’impressione è la stessa di allora. Se accendi la radio senti sempre lo stesso pezzo, i groove, i pad. Siamo ancora mosche bianche, e questo ci riempie di orgoglio. Come è maturata l’idea di tornare alla musica? Silvio: In questi anni non ci siamo mai persi di vista, anche perché l’esperienza della band non si è chiusa per nostra volontà, ma per cause tra discografici. Ultimamente abbiamo suonato spesso insieme in eventi privati e poi ci siamo trovati a Londra in occasione delle celebrazioni per i quarant’anni di Kimono My House degli Sparks e abbiamo pensato a qualcosa di più di qualche singolo concerto. E: Quest’anno poi io festeggio 60 anni, sono 40 anni dal primo album dei Decibel, 30 da Quello che le donne non dicono e Si può dare di più. Tante ricorrenze che valeva la pena festeggiare. Di sicuro, sapevo che volevo evitare come la peste il disco di duetti, poi ho pensato ai Decibel: Silvio e Fulvio mi hanno passato dei pezzi e abbiamo iniziato a lavorarci, ma nell’ottica di fare qualcosa per pochi intimi. Un giorno li ho fatti sentire in macchina ad Andrea Rosi, presidente della Sony, ma prima di tutto amico: al terzo pezzo ha stoppato e ha detto “Nicchia un cazzo! Se non andate avanti vi ammazzo!”. Da lì tutto ha preso contorni sempre più grandi. S: Nessuna idea di fare un’operazione discografica comunque, altrimenti avremmo potuto ripiegare su un album di cover. Fulvio: Alla base di tutto, c’è un’identità di gusti e di intenti che abbiamo ritrovato intatta. Ritrovarvi in studio insieme com’è stato? F: Molto divertente, perché non avevamo l’ansia dell’operazione commerciale, mentre oggi fare un giro negli studi di registrazione vuol dire spesso assistere a una veglia funebre. E: In studio abbiamo suonato davvero, senza computer. Le nuove tracce sono nate nell’ultimo periodo o avevate cose già pronte? F: C’erano già nuclei di ispirazione originaria, parti di brani precedenti che abbiamo ripreso e amalgamato. Molti dei nuovi pezzi sono nati proprio da fusioni di strofe e ritornelli di canzoni diverse, come si faceva una volta del resto, e ci sono tracce arrivate di recente, come Triste storia di un cantante. S: Il fatto però che canzoni mie si amalgamassero bene con quelle di Fulvio non era per nulla scontato ed è sintomo di quell’unità di gusti di cui si parlava prima. My My Generation ha un riferimento piuttosto chiaro al brano degli Who. Loro cantavano la voglia di esprimersi, voi come vedete la vostra generazione? E: Gli Who parlavano della loro generazione, quella di cinquant’anni fa, che non aveva riferimenti a cinquant’anni prima. Noi oggi facciamo rock come si faceva in quel periodo, con la differenza che oggi il rock è la nuova musica classica, un genere di nicchia, ma sono in pochi ad ascoltarlo. Ed è per questo che fin dall’inizio ho chiesto a Sony di trattare questo album come un progetto di musica classica a tutti gli effetti: ecco allora la limited edition, il tour nei teatri a prezzi alti. In questo rientra anche il titolo dell’album. Premesso che avete voluto evitare l’album di duetti, non c’era nessun ospite che avreste voluto avere nel disco? E: Volendo sognare, ti direi Elvis Costello, John Cale o Jean-Jacques Burnel. S: In un tuo disco ha suonato Andy Mackay dei Roxy Music, vero?
E: Ecco, potrebbe essere un’idea per il futuro… Tra gli italiani, l’unico che avrebbe avuto motivi artistici per entrare nell’album sarebbe stato Faust’O (pseudonimo di Fausto Rossi, ndr). Soprattutto sotto Natale i cantanti passano il tempo a visitarsi in studio uno con l’altro, magari detestandosi, e nei loro pezzi si sente una disperata ricerca di attenzione da parte delle radio e del pubblico. Non si salva nemmeno la scena indipendente? E: Non siamo informatissimi, ma l’impressione generale è che in giro manchino le grandi canzoni. Lou Reed ha fatto anche album pieni di rumore, ma prima aveva scritto Perfect Day. Se chiedevi a Picasso di disegnarti una Madonna, la faceva bellissima, poi ha inventato il Cubismo. Si può anche scegliere di fare i matti, gli indie, ma prima bisogna dimostrare di saper scrivere belle canzoni. C’è stato un momento o un fattore che ha portato all’appiattimento della musica di oggi? E: La crisi discografica. Negli anni ’80 c’era più pazienza, le case discografiche ti mettevano sotto contratto per cinque album e tu avevi il tempo di crescere. Se guardiamo i grandi, quelli venuti fuori quarant’anni fa, è tutta gente che non ha sfondato al primo album. Oggi non sarebbe possibile, serve arrivare al successo subito. Il Fabrizio De Andrè del 2021 esiste, ma ha già smesso di suonare perché Linus non gli passava il pezzo in radio. Gli artisti capaci di scrivere le grandi canzoni ci sono, ma quelle canzoni non andrebbero in radio. In tutto questo, i talent non sono che una conseguenza, un patto scellerato tra le case discografiche e la televisione, ma tra Battiato, De Gregori, Vasco Rossi, Dalla, Paolo Conte quanti vincerebbero un talent? Forse Gianni Morandi. Quindi è cambiato il gusto del pubblico? S: E’ un loop: alla gente piace un genere perché può ascoltare solo quello. Noi vogliamo portare qualcosa di nuovo. Forse siamo più all’avanguardia oggi di quanto non lo fossimo quarant’anni fa. Viviamo davvero nella società dell’apparire? E: Ne parliamo in molte canzoni dell’album, da La bella e la bestia a Fashion. Oggi la gente crede di poter decidere, ma non ha capito che ormai viviamo sotto la dittatura delle televisione. Tutto è indotto dall’esterno, anche nella politica. Lo dicevamo già in Lavaggio del cervello, un brano che ha precorso i tempi, proprio come in Superstar parlavamo del rapporto malato tra l’artista e i fan pochi anni prima che Chapman uccidesse Lennon. Oggi c’è qualcuno con le potenzialità di essere aggiunto all’elenco dei grandi nomi che fate in My My Generation? S: Se avessimo potuto aggiungere una strofa avremmo inserito altri nomi, ma sempre di quel periodo e di quelle latitudini. E: Oggi mancano i grandi progetti, le grandi linee musicali: una volta mettevi su una canzone e capivi subito di chi era, oggi è impossibile. Forse oggi solo i Red Hot Chili Peppers hanno ancora questa capacità di distinguersi, soprattutto per il basso. Quel cervello sulla copertina che significato ha? E: E’ un appello… S: Eravamo incerti se mettere il cervello o l’orecchio, e abbiamo optato per entrambi, due cose che oggi mancano. E poi ci sono rimandi ad altri altre band, come i Kraftwek. E: L’idea è un po’ anche quella di incuriosire chi in un futuro lontano, fatto di umanità bionica, guarderà il disco e davanti a un cranio sezionato scoprirà che dentro c’era spazio per un cervello. Per il tour cosa avete preparato? S: Semplicemente saliamo sul palco e suoniamo, con strumenti veri. Niente maxi-schermi, niente effetti speciali, niente esplosioni. Ovviamente senza computer, neanche nascosti, ed è raro, lo ribadiamo. E: Anche nell’indie. E io non volerò sul pubblico!
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato date al concetto di ribellione? F: Nel nostro lavoro è la scelta di aver fatto una musica diversa, senza l’uso delle tecnologia e senza aver chiamato i soliti produttori. E: Il nemico di oggi è il luogo comune: non ci vedrete spaccare le vetrine, quello lo fanno i giovani, noi ci ribelliamo in un altro modo. Ma davvero il luogo comune un tempo non era così imperante come oggi? E: Almeno ce n’erano tanti! Quando eravamo ragazzi noi in giro c’erano i fricchettoni, quelli che ascoltavano gli Inti-Illimani, chi ascoltava il rock, e poi la musica era molto più connotata politicamente. F: Le forme di conformismo appartenevano ai genitori, oggi è tutto molto omologato. Queste le prossime date confermate del tour: 17 marzo a Castelleone – Cr (Teatro del Viale); 18 marzo a Pomezia – Rm (Club Duepuntozero); 25 marzo a Perugia (Teatro Morlacchi); 28 marzoa Torino (Club Le Roi); 29 marzo a Asti (Teatro Palco 19); 8 aprilea Genova (Teatro della Tosse); 10 aprile a Milano (Teatro della Luna); 26 aprile a Bologna (Teatro Il Celebrazioni); 18 maggio a Bergamo (Teatro Creberg); 19 maggio a Nova Gorica (Casinò Perla).
Ok, adesso è proprio vero: i Decibel sono tornati sul serio! Il 10 marzo arriva Noblesse Oblige (i dettagli qui), il nuovo album, e ad aprirne il corso è My My Generation. A giudicare da quello che si sente, tre ragazzi punk non hanno perso lo smalto e hanno tanta, tanta voglia di far saltare tutto per aria! Inoltre, partirà il 17 marzoil nuovo tour. Queste le date confermate:
17 marzo a Castelleone – Cr (Teatro del Viale) 18 marzo a Pomezia – Rm (Club Duepuntozero) 25 marzo a Perugia (Teatro Morlacchi) 28 marzo a Torino (Club Le Roi) 29 marzo a Asti (Teatro Palco 19) 8 aprile a Genova (Teatro della Tosse) 10 aprile a Milano (Teatro della Luna) 26 aprile a Bologna (Teatro Il Celebrazioni) 18 maggio a Bergamo (Teatro Creberg) 19 maggio a Nova Gorica (Casinò Perla).