BITS-RECE: Carla Bruni, French Touch. Una prova di coraggio

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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La carriera di cantante di Carla Bruni è iniziata tra qualche stupore di popolo nel 2002 con Quelqu’un M’a Dit, album che in Italia sarebbe arrivato l’anno seguente e che all’epoca fece incetta di giudizi clamorosi da parte di critica e pubblico.
Sorprendentemente, si scoprì che l’ex supermodel aveva fatto un disco che non aveva l’aria di un pretesto per battere cassa, ma offriva spunti interessanti nel suo allure cantautorale sfacciatamente naïf e francese.
Al primo album ne sono seguiti negli anni altri tre, tutti accolti con sempre meno entusiasmo, al punto che si dava ormai per certo che la signora Bruni, ora in Sarkozy, avesse appeso chitarra e microfono al chiodo.
E invece non solo torna adesso con il quinto disco in studio, ma per far capire che per lei la musica è una faccenda seria ha deciso di coinvolgere nel progetto un gigante come David Foster (se non sapete chi è, googlatelo e capirete).
Il titolo dell’album è alquanto emblematico, French Touch: in discografia, l’espressione si usa convenzionalmente per indicare una branca della house molto amata dagli artisti d’oltralpe, che ne hanno fatto un vero e proprio sottogenere.
Qui invece, il tocco francese in questione rimanda a un’atmosfera minimalista, intimista e molto ben pettinata, che è stata un po’ la chiave di lettura di tutti i lavori dell’ex première dame. Bene, sotto lo sguardo di Foster, la Bruni il suo french touch l’ha messo addosso a 11 cover (a dispetto del titolo del disco, tutte in inglese) che spaziano tra pop, jazz, country, synthpop e – udite udite – rock. Ora, non siamo davanti a un album rivoluzionario, però questo disco ha il grande potere di stupire, proprio nei suoi toni sommessi, composti e curatissimi.

Carla Bruni
Photo: Mathieu Zazzo

L’anticipazione di Enjoy The Silence, capovolta e riletta splendidamente, ne aveva dato un ottimo assaggiato, così come la reinterpretazione di Miss You dei Rolling Stones, e adesso ascoltando l’intero album si resta di stucco di fronte a The Winner Takes It All degli ABBA, Perfect Day di Lou Reed, e soprattutto Highway To Hell, magicamente trasformata in una sorta di standard ai confini del blues.
Nella tracklist fa poi capolino Crazy, eseguita addirittura insieme al suo interprete originale, Willie Nelson, autentico monumento del country statunitense.
A lungo andare, l’umore dell’album tende a girare su se stesso, e dal punto di vista vocale la Bruni non si allontana mai troppo dai suoi sussurri increspati, però non le si può non riconoscere un certo coraggio nell’essersi messa a confronto di pietre miliari così distanti fra loro e così distanti dall’immagine che siamo abituati ad avere di lei.
Se mai qualcuno ne dubitasse ancora, questo album è una prova di un amore sincero verso la musica, soprattutto per quella di alcuni decenni fa, un disco fatto per essere realmente ascoltato, cosa che non sempre capita con chi arriva alla musica solo in un secondo tempo della carriera.
Se siete amanti della chanson apprezzerete probabilmente anche questo lavoro, così come potrete avere l’occasione di scoprire qualche sfumatura inedita della sua interprete e dei suoi gusti. Se invece amate gli AC/DC, potreste davvero non credere alle vostre orecchie.
In ogni caso, un album a cui va concesso il privilegio di almeno un intero ascolto.

BITS-CHAT: "Dove sono le grandi canzoni?" Quattro chiacchiere con… i Decibel

“Questa musica non contiene groove di batteria preconfezionati e strumenti virtuali.”
È scritto proprio così nella pagina dei crediti dell’album. Un monito come quello – oggi sempre di più frequente – delle confezioni di alimenti per avvertire della possibile presenza di glutine, olio di palma o frutta con guscio.

Per i Decibel l’equivalente dell’olio di palma è l’omologazione, l’appiattimento, il luogo comune, tutti termini attorno ai quali girerà gran parte di questa intervista, rilasciata in occasione dell’uscita di Noblesse Oblige, il loro terzo album.

Il nucleo del gruppo nacque esattamente quarant’anni fa tra i banchi del liceo Berchet di Milano e si fece portatore del punk e della new wave in Italia. Nei pochi anni di attività, anche una partecipazione a Sanremo, con Contessa, sufficiente a lasciare traccia nel grande pubblico.
Dopo un lungo periodo di attività separate, lo scorso anno Enrico Ruggeri, Silvio Capeccia e Fulvio Muzio si sono ritrovati a Londra e lì ha preso corpo l’idea di far risorgere il gruppo. Niente nostalgia però, solo musica, con lo stesso orgoglio di essere una band di nicchia.
Ecco allora il nuovo album: 11 inediti e due cover nell’edizione standard e un’edizione limitata e numerata con altri tre brani, vinili e memorabilia vari.
Perché il rock di oggi è come la musica classica, parola di Ruggeri.

Decibel_55B3584_foto di Riccardo Ambrosio
A distanza di quarant’anni, che ambiente musicale vi ritrovate intorno?

Enrico: Non vorrei dire lo stesso, ma quasi. Quarant’anni fa, quando i Decibel pubblicavano l’album Punk, gli Homo Sapiens vincevano Sanremo con Bella da morire. Due anni dopo i Decibel andavano a Sanremo con Contessa e si trovavano di fianco Toto Cutugno, Pupo e i Collage. Erano i tempi dei capelli cotonati, le camicie con lo sbuffo, le voci in  falsetto, e noi eravamo come marziani. Prendevamo ispirazione dai viaggi a Londra, ogni volta tornavamo con una giacca diversa, un paio di occhiali, i capelli ossigenati: era facile fare i diversi. A noi oggi tornare sembrava più difficile, con Internet tutto viaggia velocissimo, ma l’impressione è la stessa di allora. Se accendi la radio senti sempre lo stesso pezzo, i groove, i pad. Siamo ancora mosche bianche, e questo ci riempie di orgoglio.
Come è maturata l’idea di tornare alla musica?
Silvio: In questi anni non ci siamo mai persi di vista, anche perché l’esperienza della band non si è chiusa per nostra volontà, ma per cause tra discografici. Ultimamente abbiamo suonato spesso insieme in eventi privati e poi ci siamo trovati a Londra in occasione delle celebrazioni per i quarant’anni di Kimono My House degli Sparks  e abbiamo pensato a qualcosa di più di qualche singolo concerto.
E: Quest’anno poi io festeggio 60 anni, sono 40 anni dal primo album dei Decibel, 30 da Quello che le donne non dicono e Si può dare di più. Tante ricorrenze che valeva la pena festeggiare. Di sicuro, sapevo che volevo evitare come la peste il disco di duetti, poi ho pensato ai Decibel: Silvio e Fulvio mi hanno passato dei pezzi e abbiamo iniziato a lavorarci, ma nell’ottica di fare qualcosa per pochi intimi. Un giorno li ho fatti sentire in macchina ad Andrea Rosi, presidente della Sony, ma prima di tutto amico: al terzo pezzo ha stoppato e ha detto “Nicchia un cazzo! Se non andate avanti vi ammazzo!”. Da lì tutto ha preso contorni sempre più grandi.
S: Nessuna idea di fare un’operazione discografica comunque, altrimenti avremmo potuto ripiegare su un album di cover.
Fulvio: Alla base di tutto, c’è un’identità di gusti e di intenti che abbiamo ritrovato intatta.
Ritrovarvi in studio insieme com’è stato?
F: Molto divertente, perché non avevamo l’ansia dell’operazione commerciale, mentre oggi fare un giro negli studi di registrazione vuol dire spesso assistere a una veglia funebre.
E: In studio abbiamo suonato davvero, senza computer.
Le nuove tracce sono nate nell’ultimo periodo o avevate cose già pronte?
F: C’erano già nuclei di ispirazione originaria, parti di brani precedenti che abbiamo ripreso e amalgamato. Molti dei nuovi pezzi sono nati proprio da fusioni di strofe e ritornelli di canzoni diverse, come si faceva una volta del resto, e ci sono tracce arrivate di recente, come Triste storia di un cantante.
S: Il fatto però che canzoni mie si amalgamassero bene con quelle di Fulvio non era per nulla scontato ed è sintomo di  quell’unità di gusti di cui si parlava prima.
Cover Decibel (1)
My My Generation ha un riferimento piuttosto chiaro al brano degli Who. Loro cantavano la voglia di esprimersi, voi come vedete la vostra generazione?
E: Gli Who parlavano della loro generazione, quella di cinquant’anni fa, che non aveva riferimenti a cinquant’anni prima. Noi oggi facciamo rock come si faceva in quel periodo, con la differenza che oggi il rock è la nuova musica classica, un genere di nicchia, ma sono in pochi ad ascoltarlo. Ed è per questo che fin dall’inizio ho chiesto a Sony di trattare questo album come un progetto di musica classica a tutti gli effetti: ecco allora la limited edition, il tour nei teatri a prezzi alti. In questo rientra anche il titolo dell’album.
Premesso che avete voluto evitare l’album di duetti, non c’era nessun ospite che avreste voluto avere nel disco?
E: Volendo sognare, ti direi Elvis Costello, John Cale o Jean-Jacques Burnel.
S: In un tuo disco ha suonato Andy Mackay dei Roxy Music, vero?
E:
 Ecco, potrebbe essere un’idea per il futuro… Tra gli italiani, l’unico che avrebbe avuto motivi artistici per entrare nell’album sarebbe stato Faust’O (pseudonimo di Fausto Rossi, ndr). Soprattutto sotto Natale i cantanti passano il tempo a visitarsi in studio uno con l’altro, magari detestandosi, e nei loro pezzi si sente una disperata ricerca di attenzione da parte delle radio e del pubblico.

Non si salva nemmeno la scena indipendente?
E: Non siamo informatissimi, ma l’impressione generale è che in giro manchino le grandi canzoni. Lou Reed ha fatto anche album pieni di rumore, ma prima aveva scritto Perfect Day. Se chiedevi a Picasso di disegnarti una Madonna, la faceva bellissima, poi ha inventato il Cubismo. Si può anche scegliere di fare i matti, gli indie, ma prima bisogna dimostrare di saper scrivere belle canzoni.
Decibel_55B3656_Riccardo Ambrosio
C’è stato un momento o un fattore che ha portato all’appiattimento della musica di oggi?
E: La crisi discografica. Negli anni ’80 c’era più pazienza, le case discografiche ti mettevano sotto contratto per cinque album e tu avevi il tempo di crescere. Se guardiamo i grandi, quelli venuti fuori quarant’anni fa, è tutta gente che non ha sfondato al primo album. Oggi non sarebbe possibile, serve arrivare al successo subito. Il Fabrizio De Andrè del 2021 esiste, ma ha già smesso di suonare perché Linus non gli passava il pezzo in radio. Gli artisti capaci di scrivere le grandi canzoni ci sono, ma quelle canzoni non andrebbero in radio. In tutto questo, i talent non sono che una conseguenza, un patto scellerato tra le case discografiche e la televisione, ma tra Battiato, De Gregori, Vasco Rossi, Dalla, Paolo Conte quanti vincerebbero un talent? Forse Gianni Morandi.
Quindi è cambiato il gusto del pubblico?
S: E’ un loop: alla gente piace un genere perché può ascoltare solo quello. Noi vogliamo portare qualcosa di nuovo. Forse siamo più all’avanguardia oggi di quanto non lo fossimo quarant’anni fa.
Viviamo davvero nella società dell’apparire?
E: Ne parliamo in molte canzoni dell’album, da La bella e la bestia a Fashion. Oggi la gente crede di poter decidere, ma non ha capito che ormai viviamo sotto la dittatura delle televisione. Tutto è indotto dall’esterno, anche nella politica. Lo dicevamo già in Lavaggio del cervello, un brano che ha precorso i tempi, proprio come in Superstar parlavamo del rapporto malato tra l’artista e i fan pochi anni prima che Chapman uccidesse Lennon.
Oggi c’è qualcuno con le potenzialità di essere aggiunto all’elenco dei grandi nomi che fate in My My Generation?
S: Se avessimo potuto aggiungere una strofa avremmo inserito altri nomi, ma sempre di quel periodo e di quelle latitudini.
E: Oggi mancano i grandi progetti, le grandi linee musicali: una volta mettevi su una canzone e capivi subito di chi era, oggi è impossibile. Forse oggi solo i Red Hot Chili Peppers hanno ancora questa capacità di distinguersi, soprattutto per il basso.
Quel cervello sulla copertina che significato ha?
E: E’ un appello…
S: Eravamo incerti se mettere il cervello o l’orecchio, e abbiamo optato per entrambi, due cose che oggi mancano. E poi ci sono rimandi ad altri altre band, come i Kraftwek.
E: L’idea è un po’ anche quella di incuriosire chi in un futuro lontano, fatto di umanità bionica, guarderà il disco e davanti a un cranio sezionato scoprirà che dentro c’era spazio per un cervello.
Per il tour cosa avete preparato?
S: Semplicemente saliamo sul palco e suoniamo, con strumenti veri. Niente maxi-schermi, niente effetti speciali, niente esplosioni. Ovviamente senza computer, neanche nascosti, ed è raro, lo ribadiamo.
E: Anche nell’indie. E io non volerò sul pubblico!

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato date al concetto di ribellione?
F: Nel nostro lavoro è la scelta di aver fatto una musica diversa, senza l’uso delle tecnologia e senza aver chiamato i soliti produttori.
E: Il nemico di oggi è il luogo comune: non ci vedrete spaccare le vetrine, quello lo fanno i giovani, noi ci ribelliamo in un altro modo.
Ma davvero il luogo comune un tempo non era così imperante come oggi?
E: Almeno ce n’erano tanti! Quando eravamo ragazzi noi in giro c’erano i fricchettoni, quelli che ascoltavano gli Inti-Illimani, chi ascoltava il rock, e poi la musica era molto più connotata politicamente.
F: Le forme di conformismo appartenevano ai genitori, oggi è tutto molto omologato.
Queste le prossime date confermate del tour: 17 marzo a Castelleone – Cr (Teatro del Viale); 18 marzo a Pomezia – Rm (Club Duepuntozero); 25 marzo a Perugia (Teatro Morlacchi); 28 marzo a Torino (Club Le Roi); 29 marzo a Asti (Teatro Palco 19); 8 aprile a Genova (Teatro della Tosse); 10 aprile a Milano (Teatro della Luna); 26 aprile a Bologna (Teatro Il Celebrazioni); 18 maggio a Bergamo (Teatro Creberg); 19 maggio a Nova Gorica (Casinò Perla).

Esce il 7 ottobre Lou Reed – The RCA & Arista Album Collection

Un box set definitivo con gli album RCA e Arista di Lou Reed: 17 dischi per una raccolta di 16 album dal 1972 al 1986, rimasterizzati con la personale supervisione di Lou Reed stesso.
E’ questo Lou Reed – The RCA & Arista Album Collection, la super-uscita che Sony Music ha in programma per il prossimo 7 ottobre.

Ciascuno dei 16 album è stato interamente rimasterizzato con la supervisione diretta dell’artista, in un grande e lungo lavoro completato poco prima della sua scomparsa all’età di 71 anni il 27 ottobre 2013.
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La versione limitata 30×30 cm del box set include i 17 CD più un libro da 80 pagine con memorabilia dagli archivi personali di Lou, foto e artworks  raramente utilizzati, interviste rilasciate durante i suoi anni di registrazione per la RCA e per Arista oltre a fantastiche note sulla raccolta – scritte da Hal Willner grande amico di Lou e coproduttore della raccolta- che descrivono il coinvolgimento di Lou nella produzione di Lou Reed – The RCA & Arista Album Collection.

Il box set include inoltre 5 stampe 20×24 cm e una riproduzione di un raro poster promozionale prodotto al tempo dalla RCA.

Questo il piano dell’opera:

1. Lou Reed (April 1972)

2. Transformer (November 1972)

3. Berlin (July 1973)

4. Rock n Roll Animal (live – February 1974)

5. Sally Can’t Dance (August 1974)

6. Metal Machine Music (July 1975)

7. Coney Island Baby (December 1975)

8. Rock and Roll Heart (October 1976)

9. Street Hassle (February 1978)

10. Lou Reed Live  Take No Prisoners (2 CDs – November 1978)

11. The Bells (April 1979)

12. Growing Up in Public (April 1980)

13. The Blue Mask (February 1982)

14. Legendary Hearts (March 1983)

15. New Sensations (April 1984)

16. Mistrial (June 1986)

Lou Reed