Johnny Cash: esce l’album “Songwriter” con 11 nuove tracce

Johnny Cash: esce l’album “Songwriter” con 11 nuove tracce

All’inizio del 1993, Johnny Cash registrò un album di demo nei LSI Studios di Nashville: erano canzoni che aveva scritto nel corso di vari anni.

Appena dopo quelle session, Johnny incontrò il produttore Rick Rubin e quelle registrazioni furono accantonate, mentre i due si imbarcavano nella prolifica partnership musicale che rivitalizzò la carriera dell’Uomo in Nero, una collaborazione che sarebbe durata per i restanti anni della sua vita.

Circa trent’anni dopo, John Carter Cash, figlio di Johnny e June Carter Cash, ha riscoperto quelle canzoni e ha deciso di rimettercisi al lavoro, isolando la voce e la chitarra acustica di Johnny.

JOHNNY CASH – Cash Cabin, Hendersonville, Tennessee – May 1987
© Photograph by Alan MESSER | www.alanmesser.com

Insieme al co-produttore David “Fergie” Ferguson, ha invitato un gruppo di musicisti che avevano già suonato con il padre: il chitarrista Marty Stuart e il bassista Dave Roe, oltre al batterista Pete Abbott e li ha portati al Cash Cabin, il sacro luogo di Hendersonville, nel Tennessee, dove Johnny scriveva, registrava e si rilassava, per dare nuova vita alle tracce, riportando il suono alle radici e al cuore delle canzoni.

Da questo lavoro è nato Songwriter, un disco con 11 tracce inedite composte esclusivamente da Johnny Cash, in uscita il prossimo 28 giugno.

Focalizzandosi sul songwriting di Johnny, la raccolta mette in mostra la vastità della sua scrittura, che ha sempre rappresentato la grande estensione della condizione umana: ci sono canzoni d’amore, famiglia, dolore, bellezza, salvezza spirituale, sopravvivenza, redenzione e, naturalmente, un po’ dell’umorismo spensierato per cui Johnny era famoso.

Anticipato dal primo singolo Well AlrightSongwriter sarà disponibile in CD2CD LTD Edition, vinile (in varie opzioni di colore) e digitale.

Pre-order disponibile a questo link.

“Il consiglio di papà per qualsiasi cosa, sia che si trattasse di vita o di fare musica, era sempre: segui il tuo cuore”, ha dichiarato John Carter.
E questa ovvia verità lo ha guidato in ogni fase del processo di creazione di Songwriter.

Nel momento di pensare alla back-up band due musicisti erano indispensabili: il chitarrista Marty Stuart, che suonò con Johnny nei Tennessee Three dal 1980 al 1986, e il bassista Dave Roe, che andò in tour con la band di Cash nei primi anni ’90 e poi per quasi un decennio. Il batterista Pete Abbott, già con l’Average White Band, completa il trio, insieme ad altri musicisti ospiti.

Arricchendo i demo originali con una band completamente nuova, John Carter e Fergie, insieme al tecnico Trey Call, hanno portato Johnny nell’era moderna e hanno realizzato un disco che suona come se Johnny l’avesse registrato oggi.

“Nell’approccio siamo andati dritti alle radici, per quanto riguarda il suono, e abbiamo cercato di non esaltarlo eccessivamente. – prosegue John Carter –  L’abbiamo costruito come se papà fosse nella stanza. Questo è quello che abbiamo cercato di fare. Detto tra noi, Fergie e io abbiamo trascorso migliaia di ore con papà nello studio di registrazione, quindi abbiamo cercato di comportarci come se fosse lì”.

“Penso che questo disco sia il modo in cui mi sarebbe piaciuto realizzarne uno se ne fossi mai stato responsabile, prima di Rick Rubin o dopo Jack Clement”, ha detto Fergie. “Conosco John Carter da quando era un ragazzo, quindi è stato fantastico poter finalmente lavorare con lui. Mi ha dato molta libertà d’azione, soprattutto in termini di groove e cose del genere. Siamo andati proprio nella stessa direzione. Non c’è mai stata una conversazione o un piano su un prodotto finale, si è semplicemente trattato di fare del nostro meglio”.

Songwriter sarà disponibile anche in un DOPPIO CD LTD EDITION con 12 bonus tracks nel secondo CD, registrazioni di alcuni dei suoi maggiori successi o brani più conosciuti re-incisi negli anni ottanta.

Tracklist:

  • CD/Digital
  1. Hello Out There
  2. Spotlight
  3. Drive On
  4. I Love You Tonite
  5. Have You Ever Been to Little Rock?
  6. Well Alright
  7. She Sang Sweet Baby James
  8. Poor Valley Girl
  9. Soldier Boy
  10. Sing It Pretty Sue
  11. Like A Soldier

2CD LTD Edition

  • CD 1: Songwriter
  • CD 2: Icon
  1. I Walk The Line (1988 Version)
  2. The Night Hank Williams Came To Town (with Waylon Jennings)
  3. Sixteen Tons
  4. Long Black Veil (1988 Version)
  5. Cry, Cry, Cry (1988 Version)
  6. Guess Things Happen That Way (1988 Version)
  7. Get Rhythm (1988 Version)
  8. Ring Of Fire (1988 Version)
  9. Folsom Prison Blues (1988 Version)
  10. Cat’s In The Cradle
  11. Hey Porter
  12. Wanted Man
  • Vinile

Side A

  1. Hello Out There
  2. Spotlight
  3. Drive On
  4. I Love You Tonite
  5. Have You Ever Been To Little Rock?

Side B

  1. Well Alright
  2. She Sang Sweet Baby James
  3. Poor Valley Girl
  4. Soldier Boy
  5. Sing It Pretty Sue
  6. Like A Soldier

BITS-RECE: Beyoncé, “COWBOY CARTER”. Il country non è una terra straniera

BITS-RECE: Beyoncé, “COWBOY CARTER”. Il country non è una terra straniera

 

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Il nome di Beyoncé non ha mai fatto – e probabilmente mai farà – rima con minimalismo.

Da quando il mondo della musica la conosce, la signora Carter non ha mai fatto nulla per passare inosservata e per nascondere una personalità, diciamo così, prorompente.

A fronte di un talento straordinario, forse l’unico vero appunto che si potrebbe fare a Queen Bey sta proprio nel non saper usare le mezze misure, nell’essere in tutto ciò che fa prepotente per indole, egocentrica, esagerata.
Ma se sei Beyoncé, se hai quella voce, se sei una belva da palco, se hai nel cuore tutto quel coraggio e se hai già dimostrato di saper cambiare le regole del gioco puoi bellamente fregartene di fare la modesta e puoi permetterti di fare quello che hai in testa.
E lei, ancora una volta, così ha fatto.

Dopo REINASSENCE del 2022, un omaggio alla club culture, da subito annunciato come il primo atto di un progetto più ampio, tutti erano in attesa di conoscere quale sarebbe stata la sua mossa successiva. Con quale poderosa zampata Beyoncé avrebbe scosso la scena musicale?

La risposta è arrivata netta e chiarissima nelle 27 (ventisette!) tracce di COWBOY CARTER, il suo nuovo, monumentale album, secondo atto del progetto.
Un disco solo dal punto di vista formale, si potrebbe dire, perché nei fatti si tratta di un manifesto di identità, di rivendicazione, di libertà. In poche parole, COWBOY CARTER è un atto politico messo in musica.

«Questo album ha richiesto più di cinque anni – ha dichiarato Beyoncé – È stato davvero fantastico avere il tempo e la grazia di poter dedicare il mio tempo. Inizialmente avrei dovuto far uscire Cowboy Carter per primo, ma con la pandemia il mondo era troppo pesante. Volevamo ballare. Meritavamo di ballare».

Come dire, prima vi ho fatto ballare, adesso mi ascoltate seriamente.

Lei, che aveva già brandito la musica come un’arma di orgoglio e indipendenza con Lemonade, adesso sferra un altro colpo fatale abbracciando un genere troppo a lungo e erroneamente considerato estraneo alla black culture: il country. Sì, proprio il genere americano per eccellenza, le cui origini sembrano essere state dimenticate dagli americani stessi.
Beyoncé lo va a riprendere, ci scava dentro e ne riscopre la comune ascendenza con il blues, che non è esattamente un genere “bianco”.

«[Questo album] È nato da un’esperienza che ho avuto anni fa, in cui non mi sono sentita ben accolta… ed era molto chiaro che non lo ero. Ma, a causa di quell’esperienza, ho fatto una ricerca più approfondita sulla storia della musica country e ho studiato il nostro ricco archivio musicale. È bello vedere come la musica possa unire così tante persone in tutto il mondo, mentre amplifica le voci di alcune persone che hanno dedicato così tanto della loro vita all’educazione sulla nostra storia musicale. Le critiche che ho affrontato quando mi sono approcciata per la prima volta a questo genere mi hanno costretta a superare i limiti che mi erano stati imposti. Act II è il risultato della sfida che mi sono lanciata, e del tempo che ho dedicato a mescolare i generi per creare questo lavoro».
Il riferimento sembra correre dritto al 2014, a Daddy Lessons, e alle controversie che si generarono attorno al genere musicale dentro cui far rientrare il brano (sì, in America sono ancora molto affezionati a questo tipo di etichette).

Libertà, dicevamo, rivendicazione, orgoglio.

Con COWBOY CARTER Beyoncé non sta parlando solo al suo pubblico, e non sta parlando neppure solo agli amanti della musica: sta parlando a tutti. Il suo è un messaggio universale di rivoluzione. Che sarebbe poi una delle principali missioni che la musica è da sempre chiamata a svolgere, ma quanti artisti della scena mainstream oggi hanno quel potere e quella forza?
E qui il discorso potrebbe andare avanti a oltranza.

Tornando al disco, sarebbe riduttivo liquidare Cowboy Carter semplicemente come un album country: è sicuramente un album che attinge a piene mani dal country, ma che non nasconde influenze r’n’b, soul, gospel, pop. C’è persino un inserto lirico, in cui Beyoncé canta in italiano (il brano è DAUGHTER, e l’inserto è tratto da Caro mio ben, un’aria del XVIII secolo di Tommaso Giordani).

In fondo, perché porsi barriere quando se ne può fare a meno?

A chiarire gli intenti dell’album sarebbero sufficienti le due tracce poste a introduzione e conclusione, rispettivamente AMERIICAN REQUIEM e AMEN, potenti e sacrali, due preghiere purificatrici, una sorta di De profundis intonato alle idee del passato, a ciò che a lungo è stato e che mai più sarà.

“Se prima vi eravate posti dei limiti, vi faccio vedere che quei limiti non sono mai esistiti”, sembra essere il sottotesto.

Per nulla casuale la scelta di riprendere anche BLACKBIIRD dei Beatles, da molti interpretata come una canzone sui diritti civili.

Ma in COWBOY CARTER non mancano nemmeno gli ospiti, che per la maggior parte sono stati arruolati dalla scena country: c’è Willie Nelson in SMOKE HOUR ★ WILLIE NELSON, c’è Dolly Parton, che presenta la cover della sua Jolene, di cui Beyoncé rivista anche anche il testo, c’è Miley Cyrus, che il country ce l’ha letteralmente nel sangue, in II MOST WANTED. E c’è Linda Martell, autentica pioniera nel country, essendo stata la prima donna di colore a debuttare al Grand Ole Opry, programma radiofonico dedicato a country, folk e bluegrass, e prima donna di colore a debuttare nella classifica country di Billboard.

Proprio Martell compare in SPAGHETTII, un brano di chiara impronta urban, perché come dicevamo questo non è semplicemente un album country.

Infine, due parole sul titolo: perché Cowboy – e non Cowgirl – Carter? Anche qui il riferimento è da ricercare nel passato, quando la parola cowboy era usata in modo dispregiativo per appellare gli ex schiavi, “i ragazzi, boys“, abili a svolgere i lavori più duri nel maneggiare cavalli e bestiame.
Ancora una volta, orgoglio.

Beyoncé non ha usato il country per togliersi un capriccio, o per inaugurare una nuova era con un cambio di look e di genere. E neppure aveva bisogno di dimostrare di saper fare il country.
Il suo bisogno era piuttosto quello di far capire che lei poteva farlo. E che ci sono barriere che possono e devono essere abbattute, nella musica, nella società, nella vita.

Insomma, l’album è uscito solo da pochi giorni, ma di una cosa sono abbastanza sicuro: COWBOY CARTER è un disco fatto per restare.

Marilyn Manson rivisita il classico folk “God’s Gonna Cut You Down”


God’s Gonna Cut You Down
è un classico del repertorio folk americano talvolta conosciuto anche con i titoli di Run On Run On for a Long Time, e con cui negli anni si sono cimentati giganti come Johnny Cash e Elvis.

Adesso è la volta di Marilyn Manson, che ne ha realizzato una personale versione dai toni dark, con un video dalle atmosfere apocalittiche girato nel deserto di Joshua Tree.

Anche da un cuore spezzato può luccicare bellezza. Parola di Mark Ronson


Mark Ronson
è uno per cui la definizione di “re Mida” non suona esagerata. Un re Mida dell’industria discografica, ovviamente, uno che, diciamo negli ultimi 10-15 anni, ha visto la propria notorietà andare sempre e soltanto in ascesa, fino a diventare uno dei produttori più blasonati della scena. Anzi, delle scene, visto che se si parla di Mark Ronson non ci si può riferire a un solo ambito. E’ (soprattutto) grazie a Mark Ronson se Amy Winehouse ha fatto in tempo a diventare l’artista che ancora oggi rimpiangiamo – e mi sto riferendo in particolare all’album Back To Black -, ed è in gran parte merito di Mark Ronson il successone riscosso sul globo terracqueo da Bruno Mars con la bomba funkettona di Uptown Funk. Ma porta la firma di Mark Ronson anche la produzione tra pop, country e folk degli ultimi due lavori di Lady Gaga, Joanne e la colonna sonora di A Star Is Born, e se Shallow è diventata Shallow beh, in buona parte dobbiamo dire grazie a lui.
Mark Ronson, ovunque Mark Ronson, dal pop al soul, al funk al country. Pare non esserci genere musicale con cui l’inglese non sia in grado di entrare in sintonia.

Ebbene, a tutto questo va aggiunto anche che il buon Mark non sia solo un super-produttore, ma che qualche volta voglia metterci la faccia e pubblichi qualche album a proprio nome (Uptown Funk era per l’appunto il singolo di punta del suo penultimo lavoro, Uptown Special). E’ il caso di Late Night Feelings, quinto album uscito a nome Ronson.
Un disco che trova la sua sintesi perfetta già nella copertina: una strobosfera a forma di cuore, spezzata e inscatolata. Luccichio e dolore, questi sono i due comuni denominatori che non abbandonano mai l’album, ma che anzi ne caratterizzano l’identità, perché a dare forma e mood a Late Night Feelings ha contribuito in maniera decisiva la fine del matrimonio con l’attrice e modella Joséphine de La Baume.
Ed ecco che dalla devastazione che solo la fine di un amore può provocare è nata una raccolta di “sad bangers”, come li ha definiti il suo creatore: 13 tracce luccicanti di pop, ma dallo spirito tutt’altro che euforico. C’è l’elettronica, ci sono i rimpasti con il country (parla chiaro a questo proposito Nothing Breaks Like A Heart), ci sono le scintillanti influenze della disco, ma di fondo c’è anche un’affascinante malinconia che non permette ai battiti di accelerare più di tanto e tiene i pezzi proprio sul limitare del dancefloor.
Non per niente si chiamano “late night feelings”, emozioni della tarda notte, quelle che si fanno sentire quando le feste sono finite, le luci si sono spente e ci si ritrova nella solitaria intimità da cui non si può sfuggire. Dentro e fuori di metafora.
Per dare voce a questi sentimenti Mark Ronson si è rivolto a un folto gruppo di nomi esclusivamente femminili, coinvolgendo personalità di primo piano come Camila Cabello, Alicia Keys e Miley Cyrus, altre semi-note come Lykke Li, altre ancora quasi per nulla conosciute al grande pubblico come King Princess, YEBBA, interprete gospel qui presente addirittura in tre brani, la rapper The Last Artful, Dodgr, Angel Olsen, Diana Gordon e Ilsey. E per ognuna ha ritagliato uno spazio su misura, definito con precisione dall’occhio esperto del consumato produttore.

Late Night Feelings scivola così sull’arrangiamento disco della titletrack, si molleggia sulla linea di basso e sui falsetti di Knock Knock Konock, si scioglie sul soul di When U Went Away, entra in un ispirato meltin’ pot di funk e urban con Truth, si abbandona alle suggestioni country portate da Nothing Breaks Like A Heart (già che ci siete date una ripassata a Jolene di Dolly Parton) e all’indie pop di True Blue. E dopo questo saliscendi di curve emozionali e declinazioni sonore del dolore, il sipario cala lentamente e dolcemente sull’album tra le note struggenti di 2 AM e tra i sottili riverberi elettronici di Spinning. Mancano giusto gli applausi e il finale sarebbe perfetto.

Quando ci raccontano che anche il dolore un giorno ci sarà utile, forse non hanno poi tutti i torti: Mark Ronson per esempio è riuscito a trarne un album come questo.
Il problema è che non siamo tutti come Mark Ronson, ma questa è un’altra storia.

Oltre la gloria. La stella di Lady Gaga al punto di non ritorno

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Se abbia qualche reale possibilità di vincere l’Oscar, come si mormora da giorni,  non lo so, e sinceramente non mi interessa neanche molto. Dopotutto, ci sono attrici entrate nella Storia che la statuetta dorata non se la sono mai portata a casa, anche dopo decenni di comprovato talento. Però di una cosa sono sicuro: che cioè con la prova offerta in A Star Is Born Lady Gaga ha dato tutto. Ci ha dato tutto. Tutto quello che si potrebbe chiedere a una popstar dei giorni nostri.

Sia chiaro, il film non è la cosa più bella che si sia vista in circolazione: è un ambiziosissimo prodotto di Hollywood. Melodrammatico ed enfatico quel tanto che piace agli americani, e forse un tantino troppo veloce nella prima parte, dove il profilo dei personaggi andava scavato un po’ di più. Ma se c’è una protagonista, è solo e soltanto Lady Gaga: la scena è tutta sua, dall’inizio all’ultimissimo primo piano.
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Io, lo dico senza problema, Lady Gaga la preferisco come cantante, e piuttosto che vederla in un filmone da botteghino avrei preferito che si fosse messa al lavoro per un nuovo album di pop sporco e sanguigno come lo fu nel 2009 The Fame Monster, forse il suo momento musicale più iconico e sconvolgete. Però non si può negare che sul grande schermo Gaga ci sa stare benissimo, a suo completo agio.
E anche questo è parte di uno personaggi saliti sull’Olimpo dello showbiz con un biglietto di sola andata.
Ryan Murphy l’aveva messa davanti alla macchina da presa nella quinta stagione di American Horror Story facendole vestire i panni lussuosi e spietati della Contessa, ed era stata una pioggia di apprezzamenti, con tanto di Golden Globe. Adesso è la volta di Bradley Cooper, che per il suo esordio da regista l’ha voluta accanto a sé nel quarto remake di un classicone del cinema in cui si sono cimentate anche Judy Garland e Barbra Streisand.
Guardi Gaga nel ruolo acqua-e-sapone di Ally e quasi ti dimentichi che è proprio lei quella che ha reso famose nel mondo le vertiginose scarpe Armadillo di Alexander McQueen. Lei è l’idolo dance di Poker Face e lei è quella del pop perverso di Bad Romance. Lei è quella che ha scandalizzato il mondo con un vestito di carne cruda. Ancora lei è quella che ai Grammy del 2011 ha fatto il red carper all’interno di un enorme uovo-incubatrice, per poi “rinascere” sul palco nella tanto discussa Born This Way. E infine è lei quella che ha saputo reinventarsi addirittura nel jazz conquistando la stima di un decano come Tony Bennett, che con Gaga ha volto fare un intero album, Cheek To Cheek.
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Look estremi talvolta al limite (e anche oltre) il kitsch, un immaginario spesso discutibile, scelte musicali non sempre a fuoco e qualche volta oggettivamente azzardate, ma sopratutto (e sopra a tutto) un talento che offre a Lady Gaga una gamma sterminata di possibilità, ponendola ben al di sopra di tutte le colleghe più o meno coetanee.
Se doveva ancora dimostrare qualcosa, lo ha fatto adesso, con una solida prova da attrice e con una colonna sonora che sa già di classico. Nel film, la performance di Shallow è una di quelle cose che rimbombano nel cuore.

Qualche anno fa, nel periodo più “barocco” della sua carriera, sotto chili di trucco e parrucco, cantava di essere on the edge of glory, “sul limite della gloria”. Oggi, con il viso quasi al naturale, ci dice che quel limite lo ha probabilmente superato, ci è finita dentro. Ed è salita così in alto che non toccherà più terra, come canta in Shallow. Sì d’accordo, il testo della canzone racconta di una storia d’amore, ma non è storia tanto diversa dalla realtà.
Non è superbia, è solo il destino dei grandi, quelli che hanno saputo accendere quella luce misteriosa alimentata dal talento e dalla fama per brillare come le stelle.

I’m off the deep end, watch as I dive in / I’ll never meet the ground / Crash through the surface, where they can’t hurt us / We’re far from the shallow now 

#MUSICANUOVA: Kylie Minogue, Stop Me From Falling

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A meno di una settimana dall’uscita del nuovo album Golden, in arrivo il 6 aprile, Kylie Minogue rilascia il video del secondo singolo estratto, Stop Me From Falling.
Girato al Cafè de la Danse di Parigi e diretto da Colin Solal Cardo, il video vede Kylie scaldarsi insieme alla band nel backstage prima del concerto tenuto nella capitale francese il 18 marzo scorso, tappa di un mini tour di presentazione del nuovo album.

Il singolo prosegue sulle atmosfere country-pop che avevano già caratterizzato Dancing e che faranno da filo conduttore per buona parte del nuovo disco.

Questa la tracklist di Golden:
Dancing
Stop Me From Falling
Golden
A Lifetime To Repair
Sincerely Yours
One Last Kiss
Live A Little
Shelby ’68
Radio On
Love
Raining Glitter
Music’s Too Sad Without You (with Jack Savoretti)

Forever Words: in un album, le poesie e i testi sconosciuti di Johnny Cash

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Uscirà il prossimo 6 aprile in CD e vinile Forever Words, un album composto da canzoni nate dalla poesia, dai testi e dalle lettere sconosciute di Johnny Cash e trasferite in musica da un gruppo di grandi artisti contemporanei. 

Dopo la scomparsa di Johnny e June Carter Cash, il figlio John ha trovato un “mostruoso ammasso” di cose, un tesoro composto da materiale inedito fatto di lettere scritte a mano, poesie e documenti.
Negli ultimi due anni, proprio in veste di produttore, John Carter Cash assieme a Steve Berkowitz ha deciso di invitare un cast stellare di musicisti a creare nuove musiche che potessero rappresentare questi scritti sconosciuti.
Molte delle canzoni traggono ispirazione dal libro Forever Words: The Unknown Poems, mentre altre sono basate su scritti inediti. Il mood dell’album è chiaro già dal brano di apertura Forever / I Still Miss Someone, in cui Kris Kristofferson recita un poema con l’accompagnamento della chitarra di Willie Nelson. Si passa poi alla più intima A June This Morning, una lettera che Johnny aveva scritto a sua moglie June, qui interpretata dalla coppia Ruston Kelly e Kacey Musgraves.

Tra i tesori del disco, You Never Knew My Mind, una delle ultime registrazioni realizzate da Chris Cornell, il leader dei Soundgarden morto suicida lo scorso anno: un modo con cui l’artista ha ricambiato il favore a Cash, che nel 1996 aveva inciso la cover di Rusty Cage dei Soundgarden per l’album Unchained.

“La scelta dell’artista da abbinare ad ogni canzone è stata solo una questione di cuore” ha dichiarato John Carter Cash. “Ho scelto gli artisti che sono più legati a mio padre, che avevano un vissuto personale con lui; è stato un sforzo eccitante mettere insieme questi lavori e presentarli a persone diverse che li avrebbero portati a termine nel modo in cui papà avrebbe voluto”.
L’obiettivo dell’album non è stato quello di creare le memorie “perdute” di Johnny Cash, piuttosto un modo per far sì che i musicisti lavorassero su queste poesie permettendogli di restare vive per sempre in un nuovo mondo fatto di sola musica.

Questa la tracklist:
Forever/I Still Miss Someone – Kris Kristofferson and Willie Nelson
To June This Morning – Ruston Kelly and Kacey Musgraves
Gold All Over the Ground – Brad Paisley
You Never Knew My Mind – Chris Cornell
The Captain’s Daughter – Alison Krauss and Union Station
Jellico Coal Man – T. Bone Burnett
The Walking Wounded – Rosanne Cash
Them Double Blues – John Mellencamp
Body on Body – Jewel
I’ll Still Love You – Elvis Costello
June’s Sundown – Carlene Carter
He Bore It All – Daily and Vincent
Chinky Pin Hill – I’m With Her
Goin’, Goin’, Gone – Robert Glasper featuring Ro James, and Anu Sun
What Would I Dreamer Do? – The Jayhawks
Spirit Rider – Jamey Johnson

Dancing: il nuovo video di Kylie tra l'omaggio a Dolly Parton e un ballo con la Morte

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“La vita è fatta tutta di momenti – alcuni sono fantastici, altri sono meno brillanti – ma alla fine ho voluto che questo video riflettesse la natura celebrativa della canzone”.

Con queste parole Kylie Minogue parla del video del suo ultimo singolo, Dancing, brano che anticipa l’uscita di Golden, prevista per l’6 aprile.
La clip, diretta da Sophie Muller, vede la diva australiana rendere omaggio all’intramontabile icona del country Dolly Parton, tra line-dancing e una chitarra completamente rivestita di cristalli.
E se, come recita il testo, Kylie “se ne vuole andare ballando”, quale modo migliore che finire con una speciale danza… con la Morte stessa? Ecco allora fare la sua comparsa in pista il triste Mietitore, per un ultimo, glitteratissimo ballo.

Dancing, il ritorno elettro-country di Kylie Minogue

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Nei giorni scorsi le voci ufficiose avevano ormai svelato quasi tutto sull’atteso comeback di Kylie Minogue. Si aspettava solo la conferma ufficiale, ed è arrivata.

Il quattordicesimo album della diva australiana si intitolerà Golden e sarà disponibile dal prossimo 6 aprile.
Per Kylie si tratta del primo lavoro pubblicato dopo la firma del contratto con la BMG nel febbraio dello scorso anno.
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L’album, che arriva a quattro anni dal precedente disco di inediti Kiss Me Once (e con in mezzo la parentesi dell’album natalizio), è già disponibile in pre-order.
Registrato a Nashville, vede al lavoro anche Steve McEwan e Amy Wadge, nomi piuttosto influenti nel panorama country, e questo spiega in parte le sonorità del singolo Dancing, scelto per fare da apripista al progetto.
Una veste sonora che fa incontrare atmosfere country su trame elettroniche, senza tradire la vocazione pop che da sempre ha segnato la carriera dell’artista: “Amo che si chiami Dancing, è facilmente accessibile e sembra così ovvio, ma c’è profondità in quella canzone”.
Un tentativo, forse, di tornare a far colpo sul pubblico americano, notoriamente goloso di country e che ormai da diversi anni sembra essersi dimenticato di Kylie.

Questa la tracklist:
Dancing
Stop Me From Falling
Golden
A Lifetime To Repair
Sincerely Yours
One Last Kiss
Live A Little
Shelby ’68
Radio On
Love
Raining Glitter
Music’s Too Sad Without You (with Jack Savoretti)

BITS-RECE: Miley Cyrus, Younger Now. Polvere di stelle… e di country

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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Dai martelli e dalle palle da demolizione ai completini in stile Elvis tempestati di brillocchi. Estremizzando, è stata più o meno questa la svolta compiuta da Miley Cyrus nell’arco di questi ultimi quattro anni: a dir la verità, in mezzo c’è stato anche un passaggio vagamente psichedelico, ma è stato poco più di una parentesi di cui in pochi si ricordano, perché l’ultima immagine che avevamo in testa dell’ex Hannah Montana era una ragazza in biancheria seduta su una wrecking ball intenta a leccare un martello piangendo sulla fine di una storia d’amore.
Era il 2013 e quel video ha fatto abbastanza parlare da consacrare finalmente Miley tra le schiere delle lolite del pop, strappandola definitivamente a ogni residuo Disney.
Adesso però succede che Miley spiazza tutti: tolte le provocazioni e indossato qualche vestito in più, la ragazza del Tennesse se ne esce con un album, Younger Now, che sembra nato dai sassi della terra di Nashville, tanto odora di folk e di country. Che la direzione fosse questa lo si era vagamente capito già dalla primavera, con l’arrivo di Malibu e poi soprattutto con Younger Now, il pezzo che dà il titolo all’album, e la conferma è arrivata dall’ascolto di tutto il resto dell’album. Stop al pop facilone e iper-elettro, dunque, e spazio a una nuova era fatta di suoni più scarni, che partono dal country, per sfiorare il rock’n’roll.
A dare la sua benedizione c’è pure Dolly Parton, madrina di Miley e leggendaria istituzione del country, in un duetto affiatato sulle note solari di Rainbowland. Ma in realtà è tutto il disco ad avere un profilo convincente, perché Miley il country lo sa fare, su questo non ci sono dubbi, e la scelta di compiere una sterzata del genere non è meno coraggiosa di farsi riprendere mezza nuda a leccare un martello.
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In Younger Now sembra perfettamente a suo agio, anche senza il bisogno delle maschere degli ammiccamenti o del fondoschiena shackerato con fare birbantello. Basterebbe segnalare pezzi come Inspired, She’s Not Him, e soprattutto la titletrack, una piccola gemma di freschissima gioia sonora, un manifesto di giovinezza eterna, un inno al cambiamento come possibilità.

Il pop del nuovo album è figlio dell’America delle leggende dei decenni passati, delle strade arroventate e polverose, della malinconia sognante e amorosa che da sempre marchia l’anima del country, dei suoni ruvidini. Allontanatasi dai riflettori glitterati e peccaminosi, la ragazza si è presa uno spazio tutto suo e se lo è arredato su misura, probabilmente conscia dello stridore che questi nuovi suoni avrebbero prodotto con l’idea che di lei ci eravamo fatti un po’ tutti. E purtroppo gli esiti delle classifiche sembrano confermare una mancata sintonia con il pubblico, a rimarcare il fatto che anche quando fai un bel disco può sempre andarti così così.

Resta comunque il fatto che Younger Now si piazza tra le cose migliori e più genuine che Miley Cyrus ci abbia regalato da quando è diventata una super star. E va bene così.