Splendere, cadere e poi rivedere di nuovo la luce.
Se volete sapere come si fa, chiedete a Miley Cyrus.
Nel 2017 il flop del tutto inaspettato di Younger Now aveva appannato un po’ la stella della ragazzaccia del pop, che per qualche anno si è barcamenata tra qualche singolo di tiepida accoglienza. Anche un pezzo più che valido come Slide Away si era portato a casa solo bricioline. Ma esattamente come la Baby di Dirty Dancing, sappiamo bene che anche Miley non poteva essere messa in un angolo. Si trattava solo di aspettare il singolo giusto al momento giusto.
Poi, quest’estate, fatto uscire forse senza troppa convinzione, ecco arrivare Midnight Sky, pezzone pop con marcate influenze disco e rock. C’è voluto un po’ perché il pubblico se ne accorgesse, ma settimana dopo settimana, esibizione dopo esibizione, il nome di Miley è tornato a farsi leggere nella parte alta delle classifiche di streaming e radiofoniche, mentre anche la stampa concordava nell’elogiare il comeback dell’ex stellina di Disney Channel.
E che le cose stiano andando per il verso giusto lo prova ora la pubblicazione di Edge of Midnight, remix ufficiale del brano realizzato con un mashup di Edge of Seventeen della leggendaria Stevie Nicks, accreditata addirittura nel featuring.
Intanto il 27 novembre è atteso il nuovo album, Plastic Heart: dopo la virata al country di qualche anno fa, si parla ora di una svolta verso nuove sonorità rock, come testimonierebbero le recenti cover live di Zombie e Heart of glass, che saranno incluse nell’edizione digitale dell’album, mentre tra le collaborazioni compaiono anche i nomi di Billy Idol e Joan Jett.
Mark Ronson è uno per cui la definizione di “re Mida” non suona esagerata. Un re Mida dell’industria discografica, ovviamente, uno che, diciamo negli ultimi 10-15 anni, ha visto la propria notorietà andare sempre e soltanto in ascesa, fino a diventare uno dei produttori più blasonati della scena. Anzi, delle scene, visto che se si parla di Mark Ronson non ci si può riferire a un solo ambito. E’ (soprattutto) grazie a Mark Ronson se Amy Winehouse ha fatto in tempo a diventare l’artista che ancora oggi rimpiangiamo – e mi sto riferendo in particolare all’album Back To Black -, ed è in gran parte merito di Mark Ronson il successone riscosso sul globo terracqueo da Bruno Mars con la bomba funkettona di Uptown Funk. Ma porta la firma di Mark Ronson anche la produzione tra pop, country e folk degli ultimi due lavori di Lady Gaga, Joanne e la colonna sonora di A Star Is Born, e se Shallow è diventata Shallow beh, in buona parte dobbiamo dire grazie a lui.
Mark Ronson, ovunque Mark Ronson, dal pop al soul, al funk al country. Pare non esserci genere musicale con cui l’inglese non sia in grado di entrare in sintonia.
Ebbene, a tutto questo va aggiunto anche che il buon Mark non sia solo un super-produttore, ma che qualche volta voglia metterci la faccia e pubblichi qualche album a proprio nome (Uptown Funk era per l’appunto il singolo di punta del suo penultimo lavoro, Uptown Special). E’ il caso di Late Night Feelings, quinto album uscito a nome Ronson.
Un disco che trova la sua sintesi perfetta già nella copertina: una strobosfera a forma di cuore, spezzata e inscatolata. Luccichio e dolore, questi sono i due comuni denominatori che non abbandonano mai l’album, ma che anzi ne caratterizzano l’identità, perché a dare forma e mood a Late Night Feelings ha contribuito in maniera decisiva la fine del matrimonio con l’attrice e modella Joséphine de La Baume.
Ed ecco che dalla devastazione che solo la fine di un amore può provocare è nata una raccolta di “sad bangers”, come li ha definiti il suo creatore: 13 tracce luccicanti di pop, ma dallo spirito tutt’altro che euforico. C’è l’elettronica, ci sono i rimpasti con il country (parla chiaro a questo proposito Nothing Breaks Like A Heart), ci sono le scintillanti influenze della disco, ma di fondo c’è anche un’affascinante malinconia che non permette ai battiti di accelerare più di tanto e tiene i pezzi proprio sul limitare del dancefloor.
Non per niente si chiamano “late night feelings”, emozioni della tarda notte, quelle che si fanno sentire quando le feste sono finite, le luci si sono spente e ci si ritrova nella solitaria intimità da cui non si può sfuggire. Dentro e fuori di metafora.
Per dare voce a questi sentimenti Mark Ronson si è rivolto a un folto gruppo di nomi esclusivamente femminili, coinvolgendo personalità di primo piano come Camila Cabello, Alicia Keys e Miley Cyrus, altre semi-note come Lykke Li, altre ancora quasi per nulla conosciute al grande pubblico come King Princess, YEBBA, interprete gospel qui presente addirittura in tre brani, la rapper The Last Artful, Dodgr, Angel Olsen, Diana Gordon e Ilsey. E per ognuna ha ritagliato uno spazio su misura, definito con precisione dall’occhio esperto del consumato produttore.
Late Night Feelings scivola così sull’arrangiamento disco della titletrack, si molleggia sulla linea di basso e sui falsetti di Knock Knock Konock, si scioglie sul soul di When U Went Away, entra in un ispirato meltin’ pot di funk e urban con Truth, si abbandona alle suggestioni country portate da Nothing Breaks Like A Heart (già che ci siete date una ripassata a Jolene di Dolly Parton) e all’indie pop di True Blue. E dopo questo saliscendi di curve emozionali e declinazioni sonore del dolore, il sipario cala lentamente e dolcemente sull’album tra le note struggenti di 2 AM e tra i sottili riverberi elettronici di Spinning. Mancano giusto gli applausi e il finale sarebbe perfetto.
Quando ci raccontano che anche il dolore un giorno ci sarà utile, forse non hanno poi tutti i torti: Mark Ronson per esempio è riuscito a trarne un album come questo.
Il problema è che non siamo tutti come Mark Ronson, ma questa è un’altra storia.
Eccole qua, le magnifiche 30 del 2017. Arrivati a fine anno, fare un bilancio musicale degli ultimi 365 giorni resta un gioco divertente e spietato, a cui anche stavolta non ho voluto sottrarmi nonostante qualche difficoltà. Ovviamente, si tratta di una selezione parziale e soggettiva: questa non è la classifica di vendita o degli streaming registrati o delle visualizzazioni dei video, ma semplicemente la classifica di BitsRebel, stilata con gusto e giudizio totalmente personali. 30 canzoni scelte e ordinate tra quelle pubblicate durante l’anno, tra mainstream e panorama indipendente, nella scena italiana e internazionale, tra singoli e brani rimasti nascosti all’interno degli album. Ecco allora il 2017 secondo BitsRebel. Stay Rebel, forever! 30. Lady Gaga, The Cure 29. Angelo Sava, Merlo 28. Fabri Fibra, Fenomeno 27. Pula +, Addio a modo mio 26. Sophie, It’s Okay To Cry 25. Fabio Cinti, Amore occasionale 24. Taylor Swift, Look What You Made Me Do 23. Samuel, La luna piena 22. Fiorella Mannoia, Siamo ancora qui 21. Francesco Gabbani, Occidentali’s Karma 20. Giso featuring Romina Falconi, Solo sesso
19. Mannarino, Un’estate
18. Francesco Gabbani, Spogliarmi
17. Noemi, Autunno
16. Nina Zilli, Il mio posto qual è
15. L’aura, Il pane e il vino
14. Ilaria Porceddu, Sette cose
13. Brooke Candy, Living Out Loud
12. Amara, Grazie
11. Arca, Piel
10. unòrsominòre., Varsavia Un’aria greve, nuvolosa e desolante fa da sfondo a questo brano in cui riferimenti storici e letterari si accumulano in un denso flusso di pensieri. Una canzone maestosa che avanza lenta e inesorabile, partorita nell’underground nostrano dalla mente di Emiliano Merlin, celato dallo pseudonimo di unòrsòminòre., e che meriterebbe un posto di riguardo nel moderno cantautorato italiano.
9. Fergie, Love Is Pain Se ascoltando Love Is Pain avrete (o avete avuto) l’impressione che qualcosa vi suonasse famigliare, non siete proprio fuori strada, perché anche se nei crediti ufficiali non se ne fa menzione la canzone è una sorta di omaggio a Prince. “Il dolore è amore e l’amore è dolore”, canta Fergie, e lo spettacolo è tutto lì, negli occhi e nelle orecchie.
8. Miley Cyrus, Malibu (Lost Frequencies Remix) Quando il remix fa meglio dell’originale. Il country-rock dell’album version di Malibu mi aveva lasciato un po’ l’amaro in bocca, ma poi tra i remix ufficiali è spuntata fuori questa versione house firmata Lost Frequencies: leggerissima e semplicemente magica.
7. Fabrizio Moro, Pace Un grido disperato di aiuto, una preghiera levata altissima, e nello stesso tempo un manifesto di intenti e di speranza. Fabrizio Moro ha messo in Pace tutta la carica viscerale di cui è capace, regalandoci un momento di autentico amore.
6. Christaux, Surreal Christaux, ovvero Clod, ovvero la metà maschile degli Iori’s Eyes, quest’anno ha pubblicato Ecstasy, un album di pop elettronico dal profilo magniloquente, barocco e liturgico. Tra i momenti più struggenti e paradossalmente più scarni, Surreal si fa strada con la sua melodia disarmante e accecante.
5. Noemi, I miei rimedi Per il suo nuovo album, in arrivo presumibilmente appena dopo Sanremo, Noemi sembra aver optato per l’elettropop. La sua versione di I miei rimedi dei La Rua (ma inizialmente proposto a lei per Sanremo 2016) ha il graffio giusto per parlare delle disillusioni e degli equivoci con cui troppo spesso ci difendiamo inutilmente dai colpi dell’amore. E il video è una delizia.
4. Baustelle, Amanda Lear Primo singolo estratto da L’amore e la violenza, Amanda Lear non è semplicemente un omaggio all’icona degli anni ’70 e ’80, ma soprattutto un esempio di pura poesia “bianconiana” con la sua patina di malinconia, il racconto di qualche amore vissuto di sfuggita e un pungente profumo di vita. I Baustelle sono e restano una certezza.
3. Brooke Candy, Volcano Se il pop ha un volto sporco e cattivo, non può che essere quello di Brooke Candy. Il 2017 sarebbe dovuto essere l’anno del grande salto verso il mainstream, ma i disaccordi con la Sony hanno bloccato l’uscita del suo primo disco. Lei però si è rimessa al lavoro e ha riesumato Volcano, un pezzo che aveva da un po’ nel cassetto: il risultato è una seduzione tra pop elettronico e rap, con un testo che esplode di metafore incandescenti.
2. Romina Falconi, Cadono saponette Nessuno in Italia sa fare pop come Romina Falconi, mescolando ironia e spietata verità. In Cadono saponette tutto questo è evidente: chi altro avrebbe il coraggio di dirvi che “il pessimismo in amore può far bene”? Eppure sappiamo tutti quanto sia maledettamente vero. Perché almeno una volta tutti ci siamo piegati… alle regole della vita.
1. Miley Cyrus, Younger Now Diciamolo pure, la svolta country di Miley Cyrus non ha particolarmente convinto il pubblico e Younger Now, il suo ultimo album, ha fattoregistrare numeri piuttosto miseri. Resta il fatto che la titletrack è una delle cose che sprizzano più gioia tra quelle sentite quest’anno: un inno al cambiamento e un manifesto di rinnovata giovinezza. Mi è entrata nelle orecchie ad agosto e non ci è mai uscita, marchiando definitivamente il mio 2017.
La playlist dei brani è disponibile a questo link.
BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit. Dai martelli e dalle palle da demolizione ai completini in stile Elvis tempestati di brillocchi. Estremizzando, è stata più o meno questa la svolta compiuta da Miley Cyrus nell’arco di questi ultimi quattro anni: a dir la verità, in mezzo c’è stato anche un passaggio vagamente psichedelico, ma è stato poco più di una parentesi di cui in pochi si ricordano, perché l’ultima immagine che avevamo in testa dell’ex Hannah Montana era una ragazza in biancheria seduta su una wrecking ball intenta a leccare un martello piangendo sulla fine di una storia d’amore. Era il 2013 e quel video ha fatto abbastanza parlare da consacrare finalmente Miley tra le schiere delle lolite del pop, strappandola definitivamente a ogni residuo Disney. Adesso però succede che Miley spiazza tutti: tolte le provocazioni e indossato qualche vestito in più, la ragazza del Tennesse se ne esce con un album, Younger Now, che sembra nato dai sassi della terra di Nashville, tanto odora di folk e di country. Che la direzione fosse questa lo si era vagamente capito già dalla primavera, con l’arrivo di Malibu e poi soprattutto con Younger Now, il pezzo che dà il titolo all’album, e la conferma è arrivata dall’ascolto di tutto il resto dell’album. Stop al pop facilone e iper-elettro, dunque, e spazio a una nuova era fatta di suoni più scarni, che partono dal country, per sfiorare il rock’n’roll. A dare la sua benedizione c’è pure Dolly Parton, madrina di Miley e leggendaria istituzione del country, in un duetto affiatato sulle note solari di Rainbowland. Ma in realtà è tutto il disco ad avere un profilo convincente, perché Miley il country lo sa fare, su questo non ci sono dubbi, e la scelta di compiere una sterzata del genere non è meno coraggiosa di farsi riprendere mezza nuda a leccare un martello.
In Younger Now sembra perfettamente a suo agio, anche senza il bisogno delle maschere degli ammiccamenti o del fondoschiena shackerato con fare birbantello. Basterebbe segnalare pezzi come Inspired, She’s Not Him, e soprattutto la titletrack, una piccola gemma di freschissima gioia sonora, un manifesto di giovinezza eterna, un inno al cambiamento come possibilità. Il pop del nuovo album è figlio dell’America delle leggende dei decenni passati, delle strade arroventate e polverose, della malinconia sognante e amorosa che da sempre marchia l’anima del country, dei suoni ruvidini. Allontanatasi dai riflettori glitterati e peccaminosi, la ragazza si è presa uno spazio tutto suo e se lo è arredato su misura, probabilmente conscia dello stridore che questi nuovi suoni avrebbero prodotto con l’idea che di lei ci eravamo fatti un po’ tutti. E purtroppo gli esiti delle classifiche sembrano confermare una mancata sintonia con il pubblico, a rimarcare il fatto che anche quando fai un bel disco può sempre andarti così così.
Resta comunque il fatto che Younger Now si piazza tra le cose migliori e più genuine che Miley Cyrus ci abbia regalato da quando è diventata una super star. E va bene così.
La svolta al lieve sapor di country e soft rock di Miley Cyrus con Malibu ha spiazzato un po’ tutti, diciamolo, perché tutto da lei ci si aspettava meno che si mettesse a seguire le impronte dell’amata (e madrina) Dolly Parton.
Però è anche vero che il pezzo – dopo un paio di rodaggi – si mostra in tutta la sua limpida semplicità, con quella melodia rasserenante e i suoi scenari di quiete. Adesso del pezzo sono arrivati anche i remix ufficiali, alcuni dei quali portano firme dorate delle consolle, tra cui Tiësto, Alan Walker e Dillon Francis. Quelle che ne vengono fuori sono riletture elettroniche interessanti e a loro modo sorprendenti…
…. e poi la mia versione preferita, realizzata da Lost Frequencies: un piccolo pezzo di paradiso ricreato dai sintetizzatori.
Il nuovo album dei TheFlaming Lips si intitolerà Oczy Mlody e arriverà fra pochissimo, il 13 gennaio. Intanto, dopo il primo assaggio lo scorso ottobre con The Castle, la band americana serve il secondo antipasto con il singolo We A Family, un pezzo deliziosamente psichedelico che vede anche la partecipazione dell’amicona Miley Cyrus.