Le “croci” di Sethu e Sally Cruz

Le “croci” di Sethu e Sally Cruz

croci è un pezzo che parla di quanto sia difficile andare avanti nonostante una relazione sia finita. Finire una storia spesso equivale quasi a “seppellire” tutti i ricordi che hai con una persona, da qui nasce proprio l’idea del titolo.

Ho scritto il pezzo con mio fratello gemello Jiz in studio e fin dalle primissime demo Sally sembrava essere la persona perfetta da coinvolgere su questo brano. Penso che la sua cifra stilistica, l’incisività emotiva e la sinergia che si è creata siano un gran valore aggiunto al pezzo, sono molto contento di questa collaborazione.”

Realizzato insieme a Sally Cruz, una tra le più promettenti artiste emergenti della scena urban, croci è un nuovo brano inedito di Sethu, pubblicato a quasi due mesi dall’uscita del primo album, tutti i colori del buio (ne abbiamo parlato qui).

Un’ulteriore sfumatura del buio interiore che l’artista savonese ha condiviso anche nel disco, pubblicato lo scorso 17 maggio.

Il nuovo singolo, prodotto da Jiz – già produttore del primo album del gemello – racconta la difficoltà nel seppellire i ricordi di una storia d’amore giunta al termine, tra attacchi di panico e momenti di smarrimento.

La tematica della salute mentale è uno degli argomenti centrali di tutta la recente produzione artistica di Sethu, che si è espresso apertamente sul proprio percorso di terapia e sull’importanza di prendersi cura tanto del proprio benessere fisico quanto mentale, come ribadito anche durante la sua partecipazione all’evento finale del Milano Pride: “Avevo dieci anni quando sono andato in terapia per la prima volta. Mi sentivo un alieno, diverso e incompreso dal mondo che mi circondava a causa del buio che avevo dentro. Ho capito così l’importanza della condivisione, del prendersi cura di sé e di quelle ferite che non sono visibili agli occhi. Ho imparato a conoscere le tante sfumature del mio buio e che non esiste alcuna causa persa, se non quella che abbandoni. […] Per chiunque si trovi in un momento di difficoltà, non c’è vergogna nel chiedere aiuto. I pregiudizi spesso ci fanno pensare che non c’è qualcuno qua fuori pronto a tenderci una mano. Dimostriamo il contrario”.

Marilyn Manson: un’immersione di dolore e oscurità nella cover di “The End”

Ultimamente Marilyn Manson sembra prenderci parecchio gusto con le cover.
Dopo aver trasformato un classico del repertorio folk americano come God’s Gonna Cut You Down, il Reverendo ha rimesso mano a un brano leggendario come The End dei Doors, facendone una personale immersione di dolore e oscurità.
Una rivisitazione che porta nei territori del doom, lontana dalle atmosfere create dalla voce di Jim Morrison e dallamusica dei Doors.

The End è disponibile in pre-order in vinile in edizione limitata con un dipinto ad acquerello realizzato da Manson.

BITS-RECE: Alberto Nemo, “Smania”. La dolcezza della paura

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

Ascoltare un disco di Alberto Nemo è un’esperienza.
Lui, creatura purissima, è un artista nel senso più complesso del termine, dotato di una personalità inafferrabile, sacrale, paurosa, persino provocatoria, sicuramente magnetica. L’aura da santone gotico con cui si presenta potrebbe anche trarre in inganno, e far pensare di trovarsi davanti a un dei tanti compositori di litanie dark.
Ma se ci si approccia ai suoi brani si aprono prospettive sorprendenti: niente, nell’opera di Alberto Nemo, è scontato, niente è lasciato al caso, niente può essere previsto. Forse alcuni se lo ricordano, quando nei mesi scorsi si è presentato alle audizioni di The Voice, con la sua funerea rivisitazione di Amore che vieni amore che vai di De Andrè.
Ecco, Nemo è questo, ma è anche molto di più.

Nelle ultime settimane, si è ripresentato sulle scene con ben tre nuovi progetti, il primo dei quali, Smania, è uno splendido esempio di quanto possa essere profonda l’arte “nemiana”.
L’album è composto da otto tracce, che in poco più di mezz’ora portano l’ascolto attraverso labirinti sonori e stanze emozionali ignote: dare una definizione di questa musica non si può, e probabilmente non si deve. Si passa dall’elettronica sperimentale all’ambient più oscuro, per finire al folk, alla techno da club e persino al rock, talvolta tutti mescolati in un ibrido brillante.
E poi c’è la voce, protagonista assoluta. Un vero e proprio strumento virtuosistico messo al servizio del canto.
Attraverso la voce Alberto Nemo atterrisce, commuove, consola, perché nel suo canto la bellezza incontra la paura, il dolore, la dolcezza, in un continuo passaggio di emozioni che rischia di destabilizzare l’ascoltatore, ma che nello stesso tempo lo stringe forte in un abbraccio ruvido e consolatorio.
Nemo eleva un canto potentissimo, decorato di modulazioni e vibrati che talvolta assumo i contorni di una formula rituale, talvolta rimandano a certe suggestioni mediorientali, e attorno ci avvolge il mistero della lingua. Già, in che lingua canta Alberto Nemo? Turco, ceco, indiano, forse latino, sembra esserci di tutto in queste liriche.

Smania è un album complesso e affascinante, distante da tutto, ma chi saprà avvicinarlo ci troverà dentro una bellezza nuda e abbagliante.

Il disco è disponibile in vinile e musicassetta e in una versione digitale non compressa in formato FLAC nella pagina ufficiale Bandcamp dell’artista.

BITS-RECE: IAMX, Alive In New Light. Una nuova luce nel buio

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
IAMX-Alive In New Light cover (hi res)
Alive In New Light, ovvero “Vivo nella nuova luce”.
Il titolo la dice già lunga. Dopo alcuni anni e un paio di dischi passati nel buio della depressione, IAMX – ovvero il progetto di Chris Corner – risale dall’oscurità e va incontro a una drastica metamorfosi personale e musicale. 
Le nove tracce del nuovo lavoro non si collocano certo in paradiso, ma sono sensibilmente lontane dagli abissi oscuri e mortiferi in cui l’artista si era confinato: la sua è una trasformazione ancora in corso, un passaggio ancora in divenire, ma dalle ceneri si osservano già i palpiti di una nuova vita.
Registrato nel deserto della California all’interno di una roulotte, Alive In New Light è il grido di una creatura che vuole manifestare la sua rivincita, e per farlo usa ancora gli abiti fascinosi del synthpop, spogliati però di aura funerea.

IAMX sta riemergendo dalla notte, puntando il suo sguardo su una timida alba fatta di luci sintetiche, peccaminose seduzioni esotiche e richiami quasi circensi.
Ad accompagnarlo nel suo percorso è, in ben 4 brani, Kat Von D, modella, tatuatrice e qui cantante, ma soprattutto perfetta alter ego di Corner.
Chris Corner (Credit-Gretchen Lanham) copia
Mile Deep Hollow, scelta anche come colonna sonora della seria della ABC Le regole del delitto perfetto si svela per essere un imponente inno di gratitudine, mentre la chiusura dell’album è affidata alla liturgica The Power And The Glory, una sorta di preghiera laica (o profana) che lascia intravedere la speranza di un nuovo giorno.

Privo forse della stessa potenza e del fascino di Metanoia del 2015, Alive In New Light regala all’anima dark e teatrale di IAMX i bagliori per imprevedibili evoluzioni future.

BITS-RECE: Bonnie Li, Plane Crash. Elettronica per nottambuli

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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L’ahabit naturale di Bonnie Li è quello oscuro e freddo di un’elettronica dai contorni ipnotici e distorti.
Le cinque tracce – quattro inediti e un remix – di Plane Crash, ultimo lavoro del duo, mostrano infatti un’anima piuttosto dark, tra pianoforti stregati, sintetizzatori spettrali e linee vocali lamentose, in un genere che fluttua tra un trip hop gotico e un synthpop dal passo lento e sofferente.
Il remix di Escape, firmato dal francese Al’Tarba, aggiunge un senso di claustrofobia e stordimento a un brano già di per sé poco rassicurante, mentre il momento topico del disco arriva con i due pezzi di chiusura, il singolo dal titolo eloquente We Should Go To Sleep As The Birds Are Singing e I Want To Run With The Wolves, litanie ossessive e disturbanti dai battiti sintetici. 

BITS-RECE: Enrico Ruggeri, As If. Umano inumano

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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Sei tracce, tutte senza titolo, indicate solo dal numero progressivo di una tacchetta. Così si presenta il contenuto di As If, ultimo lavoro di Enrico Ruggeri, musicista sperimentale bergamasco che – vale la pena sottolinearlo – nulla ha a che fare con il più celebre cantautore milanese.
Attivo già da diversi anni, Ruggeri è sempre andato alla ricerca di sperimentazioni sonore nel vasto e fluido territorio dell’ambient per trarne creazioni in grado di suggestionare l’ascoltatore. E dell’ambient ha in genere scelto le declinazioni più oscure, dark, disturbanti, talvolta noise.
As If si pone proprio su questa linea e rappresenta la sintesi di un progetto, mai portato a termine, intitolato “30 dischi in 30 giorni”, che prevedeva la pubblicazione di 30 diversi album in altrettante giornate: un’operazione provocatoria e quasi parodistica della smania di pubblicazione della discografia odierna, soprattutto mainstream.
A fare da apripista al disco è una traccia in cui una voce – elemento inedito per i lavori di Ruggeri, di solito estranei alla dimensione umana – recita una poesia anonima yugoslava tradotta in inglese che inizia proprio con le parole “As If”, da cui il titolo del lavoro.
Seguono quindi altre cinque tracce fatte di synth analogici e manipolazioni digitali, tempi dilatati, talvolta dilatatissimi, orizzonti inquieti e inquietanti, onde sonore distorte.
Suoni che confluiscono in rumori e rumori tramutati in suoni, echi lontani, evanescenze, increspature. 
Un disco che arriva anche a suggello di tutto quanto è stato fatto negli anni precedenti, e in cui l’artista ha voluto inserire a modo suo la speranza.
Parte integrante del lavoro è l’immagine di copertina, realizzata da Giordana Parizzi, con un corpo e un viso deformati dall’esposizione allo scanner. L’esatta convergenza di umano e inumano, natura e manipolazione.
http://mhfs.bandcamp.com/album/as-if-2

BITS-RECE: Alberto Nemo, 6X0 Live (Vol. 1). Terrificante liturgia funerea

BITS-RECE: radiografia emozionale in una manciata di bit.
COVER
Musica come liturgia. Musica come lamentazione.
È un ambiente mistico, terrificante, macabro e solenne quello in cui siede Alberto Nemo.
Il suo ultimo lavoro, 6X0 Live (Vol. 1), registrato in presa diretta, è un crogiolo di densa caligine sulfurea e polvere dorata d’incenso: la dimensione mistica sconfina dove iniziano i tremori funerei, a loro volta spazzati via da dolorose litanie.
L’incedere del tempo è annullato, tutto è immobile e sospeso in una nuvola notturna: i tappeti musicali sono logori e putrescenti drappi violacei di oscuri sintetizzatori e tremanti voli di archi, mentre la voce oscilla tra cavernose modulazioni gregoriane e momenti di acuto e femmineo lirismo, in un’aura di disperazione, morte e sacralità. Le parole si dilatano fino a mutarsi in nenie strazianti, elevate al cielo da un altare spoglio, dirette a un Dio che probabilmente non ascolterà mai.
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Se una fede c’era, ha lasciato il posto a una cupa desolazione, come uno sguardo che si alza al cielo e trova gli angeli ridotti in polvere.
Tra musica classica, liturgica ed elettronica, il lavoro di Alberto Nemo è uno straripante contenitore di nere suggestioni.

A completare il progetto, un secondo volume di prossima pubblicazione.

BITS-RECE: Udde, The Familiar Stranger. Una notte bellissima

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Non lasciatevi ingannare dalle atmosfere nerissime dei suoi suoni. The Familiar Stranger è un disco dall’anima pop. E a dirlo è il suo creatore, Udde.
Dopo la pubblicazione dell’EP Fog nel 2012, lui il disco ce l’aveva già pronto un paio di anni fa, ma ha deciso di buttare via tutto quello che aveva fatto fino a quel momento e ricominciare con qualcosa che lo soddisfacesse veramente. Questo qualcosa è proprio a The Familiar Stranger.
Un disco pop, si diceva, anche se nei suoni sembrerebbe più rimandare a quell’universo peccaminoso e affascinante che è il synth/dark, o come volete chiamarlo, degli anni ’80, dove i sintetizzatori trionfano come veri oscuri signori dai nerissimi mantelli. E in effetti, tutto questo in The Familiar Stranger c’è, bellissimo e imperiale. Poi se andiamo a guardare i testi ecco che si sentono storie di vita di provincia, vicini di casa, bar, emigrati in Germania.
Racconti tra il pop e il cantautorato, arricchiti da qualche nota di sarcasmo. D’altronde, come dice sempre Udde, il grande vantaggio del pop è proprio quello di lasciare piena libertà ai suoi autori.
Una panoramica notturna di 11 brani per certi aspetti inedita, in cui le tenebre concedono qualche sorriso.
Su tutto, la voce di Udde è cupa, cavernosa, seducente, insomma, meravigliosa.

#MUSICANUOVA: Udde, Same Old Song

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Muri di synth, una spessa coltre di matrice dark e atmosfere di una gelida notte d’inverno: con questi elementi Udde torna sulle scene con un nuovo album, The Familiar Stranger, in arrivo il 31 marzo.

Ad anticiparlo è la cupa e tagliente Same Old Song.
Nato a Sassari, Udde è un polistrumentista appassionato di baroque pop, scena di Canterbury, e black metal. Dopo un’esperienza di 10 anni con la band psychedelic-prog wave Soyland Green, nel 2012 ha pubblicato un primo EP autoprodotto, Fog
Tra il 2013 ed il 2015 ha registrato quello che sarebbe dovuto diventare il suo primo LP, ma insoddisfatto del risultato, ha buttato tutto nel cestino, producendo un altro lavoro, The Familiar Stranger, un album di 11 brani a cui ha lavorato in completa solitudine.