2640: il ritorno di Francesca Michielin tra esplosioni di lava e un'immersione in mare

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“2600 metros más cerca de las estrellas”, ovvero “2600 metri più vicina alle stelle”.

E’ il motto della città di Bogotà e da queste parole prende avvio il viaggio dell’ultimo album di Francesca Michielin. Sono infatti per l’esattezza 2640 i metri di altitudine a cui sorge la metropoli colombiana, e proprio 2640 è il titolo scelto per il disco in uscita il 12 gennaio.
Colombia, ma anche Bolivia, sono tanti i riferimenti all’universo tropicale presenti nelle tredici nuove canzoni della giovanissima cantante di Bassano del Grappa.
Le anime che si incontrano – anzi, si incastrano – nell’album sono rappresentate visivamente dai tre triangoli visibili sulla copertina: il primo rosso, simbolo del vulcano, ovvero l’urgenza della comunicazione; il secondo azzurro, capovolto, è il mare, ovvero l’ascolto, la percezione; il terzo verde è la montagna, da dove Francesca proviene, ed è simbolo dell’immaginazione, “perché quando arrivi in cima alla montagna vedi il mare, e se non lo vedi lo puoi immaginare”.
Comunicare, ascoltare, immaginare, i tre imperativi di Francesca Michielin per questa nuova era discografica.
2640
Al centro di tutto c’è il ovviamente il vulcano, con le sue esplosioni, la sua forza, il suo fascino misterioso: non è un caso che proprio Vulcano sia stato il pezzo scelto per inaugurare la nuova era. L’ispirazione è arrivata lo scorso anno, quando Francesca ha terminato il tour del disco precedente e si è ritrovata ai piedi dei colli Euganei per curare un raffreddore. Quei vulcani estinti l’hanno incantata, si è ritrovata a osservarli quasi in ipnotisi, provando a immaginare come dovevano essere quando al loro interno ribolliva la lava.
Lava, come il titolo di un altro brano, il più violento, in inglese, dichiarazione di indipendenza femminile nel segno di un ribaltamento dell’immaginario comune che vorrebbe la donna soggiogata e relegata tra le pareti di casa. L’ispirazione questa volta è arrivata dall’ascolto di Tahiti della cantautrice Bat For Lashes, di certo non uno dei nomi che ci si aspetterebbe di sentire citati come modelli. Ma nonostante la giovane età (22 anni), Francesca Michielin non sembra una che abbia bisogno di essere imboccata.

A scuola, nelle ore di geologia ci hanno poi insegnato che dove oggi c’è una montagna una volta c’era il mare. Ecco allora gli spunti tropicali seminati qua e là e mischiati all’elettronica o all’urban. In Tropicale la spiaggia diventa il luogo del ritrovo, della festa, mentre il mare è la possibilità di evadere, di scappare.
Esala gusti esotici anche in Tapioca, che su un tappeto sonoro che raramente si ascolta nelle produzioni italiane, inserisce nel testo anche versi in ghanese tratti da un canto liturgico di ringraziamento “dal basso verso l’alto”.

Non può infine sfuggire la componente sportiva, lampante in Serie B, pezzo ispirato alla retrocessione del Vicenza, prima vera delusione nella memoria della cantante, e nel conclusivo Alonso: in entrambi i casi, lo spunto serve per sviluppare efficaci metafore su chi si ritrova confinato nelle retrovie pur meritandosi il primo posto e su chi nonostante le sconfitte tira dritto con la stessa passione sanguigna.
A firmare quasi tutti i pezzi è la stessa Michielin, con il decisivo apporto di Calcutta, Cosmo, Dario Faini e Tommaso Paradiso.
2640 si assaggia
2640 si piange
2640 si incazza
2640 si dice all’orecchio
2640 si viaggia
2640 si noleggia
2640 si tifa allo stadio
2640 non sta zitto. Mai
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Ma 2640 è prima di tutto un viaggio, “ma non uno qualsiasi, un viaggio per comunicare quello che si vuole dire anche senza le parole. Oggi è facile fraintendersi: la mia generazione può andare ovunque in un attimo, comunicare con tutti subito, eppure c’è qualcosa che abbiamo perso, e mi sono chiesta cosa”.
Un disco cosmopolita, profumato di tapioca, felafel e bar indiani, dove la famiglia prende il senso di comunità.

“Io sono di qui, ma non sono di qui, ho il cuore sopra una montagna, il mare nella testa e un vulcano pronto a esplodere”.

Al via a marzo il tour nei palazzetti:
16 marzo – Parma (anteprima)
17 marzo – Milano
23 marzo – Torino

24 marzo – Brescia
25 marzo – Bologna
27 marzo – Trento
28 marzo – Roncade (TV)
31 marzo – Catania
5 aprile – Perugia
7 aprile – Maglie (LE)
8 aprile – Modugno (BA)
12 aprile – Roma
14 aprile – Napoli
15 aprile – Firenze

BITS-RECE: Opus 3000, Benevolence. Una fusione di suoni

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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Che un libro non vada mai giudicato dalla sua copertina ce lo hanno sempre insegnato, ma a volte una copertina sa dare un’idea piuttosto precisa del suo contenuto.
Come in questo caso. Non stiamo parlando di un libro, ma di un disco, ma il concetto è quello. In particolare, stiamo parlando di Benevolence, primo lavoro del progetto Opus 3000.
Sulla copertina compare un’illustrazione astratta, qualcosa di simile a una distesa marina, deformata come uno stendardo steso al vento.
Ecco, la musica degli Opus 3000 è esattamente questo: astratta e fluida, profondamente fluida. Così fluida che permette a due generi di solito remoti come la classica e l’elettronica, di incontrarsi e fondersi in un’unica anima.
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Dietro al progetto Opus 3000 si nascondono le menti – e soprattutto l’arte – della pianista Gloria Campaner, del produttore e percussionista Francesco Leali e del violoncellista e bassista Alessandro Branca.
Quello che hanno fatto confluire nel loro primo lavoro è qualcosa di contaminato e puro nello stesso tempo: contaminato perché non si riconosce in nessun genere preciso che non sia il crossover, puro perché sembra essere stato generato con il solo scopo di far scaturire emozioni, che sono quanto di più puro si possa conoscere.
Benevolence è un album diafano e nebbioso, a tratti ruvido, che fa della fluidità la sua forza: i suoni degli strumenti classici sembrano sciogliersi in un mare indistinto di sintetizzatori e distorsioni, lasciando venire a galla di tanto in tanto rilievi di violoncello o di pianoforte, come lievi punte di scogli in una distesa infinita e senza tempo.
Dedicato a chi ama perdersi.

#MUSICANUOVA: Udde, Same Old Song

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Muri di synth, una spessa coltre di matrice dark e atmosfere di una gelida notte d’inverno: con questi elementi Udde torna sulle scene con un nuovo album, The Familiar Stranger, in arrivo il 31 marzo.

Ad anticiparlo è la cupa e tagliente Same Old Song.
Nato a Sassari, Udde è un polistrumentista appassionato di baroque pop, scena di Canterbury, e black metal. Dopo un’esperienza di 10 anni con la band psychedelic-prog wave Soyland Green, nel 2012 ha pubblicato un primo EP autoprodotto, Fog
Tra il 2013 ed il 2015 ha registrato quello che sarebbe dovuto diventare il suo primo LP, ma insoddisfatto del risultato, ha buttato tutto nel cestino, producendo un altro lavoro, The Familiar Stranger, un album di 11 brani a cui ha lavorato in completa solitudine.

Tempi dispari, mosche e Radio Maria: l'elettronica secondo Demonology HiFi


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Dietro al progetto Demonology HiFi si nascondono Max Casacci e Ninja, vale a dire due quinti dei Subsonica, vale a dire due fanatici dell’elettronica intesa nella sua più libera accezione. E libertà sembra proprio essere la parola d’ordine che si ascolta in sottofondo alle tracce di Inner Vox, il loro primo album.

Un lavoro partorito dopo due anni di dj set, un test diretto e validissimo per raccogliere dalla pista dei club le sensazioni di ciò che poteva funzionare e ciò che invece andava rivisto. Elettronica si diceva, concetto già di per sé piuttosto ampio, ma che rompe ulteriormente i cardini in questo album, dove non solo i synth si scontrano con influenze jamaicane, gregoriane o più semplicemente pop, ma all’interno del quale trovano spazio anche tempi dispari, campionamenti del ronzio di insetti e registrazioni radiofoniche.
“Abbiamo preso come base la musica bass, ma non volevamo ricreare suoni prestabiliti o riconducibili a qualcosa di noto”, spiegano i due musicisti. “Siamo partiti dal beat, che è il vero cuore del progetto, tutto il resto è arrivato in un secondo momento. Ci siamo concentrati sulla pulsazione, sul ritmo, auspicando anche un coinvolgimento fisico oltre che emotivo”.
La “inner vox” del titolo è quella voce interiore che la musica elettronica può portare in superficie, un interiore dialogo di coscienza, che – in stile avatar – come due predicatori in giacca e cravatta e muniti di crocifissi con led Made in China Casacci e Ninja si prefiggono di suscitare nell’ascoltare, per “purificarlo e redimerlo”. Ironia, of course, ma fino a un certo punto, perché in Inner Vox la componente liturgica c’è, ed esprime tutta la sua forza: in I miei nemici è stata infatti campionata la voce di un reale predicatore intercettato sulle frequenze di Radio Maria mentre recitava versetti del Libro dei Salmi, “uno dei più violenti dell’Antico Testamento. La frase e ho distrutto quelli che mi odiavano sembra uscire da un brano metal o hard core, e ci è sembrata perfetta per quello che volevamo fare, anche perché i predicatori seguono un ritmo regolare nello scandire le parole, ideale per adattarsi sulle sequenze di beat“, racconta Casacci.
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Oltre al “featuring” con Radio Maria, in Inner Vox si incontra la presenza di Bunna, storica voce degli Africa Unite, i Niagara, Birthh, Populous – tre artisti italiani che hanno trovato terreno fertile all’estero – e poi Cosmo, rappresentante della nuova scena italiana, qui per la prima volta alle prese con un rap: “Oggi non ha più senso parlare di territorialità nella musica, il digitale ha portato a una completa laicità e anche il pubblico non è più diviso in compartimenti: l’elettronica ha fatto a pugni con il rock e ha vinto, riuscendo ad arrivare nel pop. Il pubblico rock sarà probabilmente il prossimo a essere catturato dall’elettronica. In questo disco abbiamo messo tutta la libertà possibile, perché non è un progetto destinato alle radio o alle classifiche: non abbiamo voluto nomi di grande richiamato, ma ospiti che abbiano saputo confrontarsi con l’estero senza chinare il capo. L’ultimo a essere coinvolto è stato Cosmo, uno che è arrivato in radio dopo aver riempito i locali, proprio come fecero i Subsonica negli anni ’90. È stato lui a voler sperimentare il rap, e siamo stati ben contenti di lasciarglielo fare”, prosegue Casacci.
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Tra gli elementi più interessanti, la presenza di alcuni pezzi in tempi dispari, d’inciampo: “Se il flusso sonoro è costante, l’ostacolo non viene nemmeno percepito” dice Ninja, “e già con i Subsonica avevamo azzardato qualcosa del genere con Disco labirinto, un pezzo da ballare che però non è nei soliti quattro quarti”.
Un progetto che raduna suggestioni diverse, maturate in momenti diversi, come nel caso di Realismo magico, una cumbia che sfocia nel drum’n’bass.
Ma ci sono anche ronzii di insetti campionati qua e là e poi trasformati in beat ipnotici, ed ecco spiegato il perché della copertina, con il mega ingrandimento della mosca.
Inutile dire che sarà il dj set l’ambente idoneo a ospitare dal vivo il connubio di danza e purificazione di Demonology HiFi.
Siete invitati, atei, scettici e credenti: il flusso di beat risucchierà tutti quanti.

Justice: il nuovo album è Woman

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Nel 2007 la deflagrante destrutturazione di elementi techno, pop, R&B, electro, funk, metal ha trasformato i Justice in una delle esperienze musicali francesi più vitali ed esportate anche al di fuori dei propri confini nazionali.

Il loro secondo album Audio, Video, Disco li ha spinti oltre ulteriori confini, consentendo al duo di imbarcarsi un tour mondiale che li ha portati ad esibirsi come headliner di festival come il Coachella e Lollapalooza.
Dopo 5 anni di silenzio in studio il duo è tornato con il singolo Safe And Sound, che tra bassi slappati, fantastici synth e archi ha anticipato l’uscita del nuovo disco Woman, in arrivo il 18 novembre.
Tutto il disco è caratterizzato da un approccio più live alla registrazione, dal pop-R&B, ai piani elettronici battenti, clavinet e pavoneggiamenti da dancefloor.
 Anche Diplo non ha mancato, solo alcun giorni fa, di manifestare il suo apprezzamento su Facebook per il progetto.
Questa la tracklist:
1. Safe And Sound
2. Pleasure
3. Alakazam!
4. Fire
5. Stop
6. Chorus
7. Randy
8. Heavy Metal
9. Love S.O.S
10. Close Call

BITS-RECE: Jean-Michel Jarre, Electronica 2: The Heart Of Noise

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Come aveva fatto lo scorso anno il Gran Maestro della dance Giorgio Moroder, per il suo ultimo progetto anche Jean-Michel Jarre, il sovrano dell’elettronica, si è avvalso di un vero e proprio esercito di ospiti che ha inserito in Electronica, un album spalmato in due volume pubblicati ad alcuni mesi di distanza uno dall’altro.

E se grande accoglienza era stata riservata a The Time Machine, con altrettante aspettative si attendeva la seconda parte del lavoro, The Heart Of Noise.
A far da guida all’album, la relazione tra l’uomo e la tecnologia.
The Heart of Noise è un tributo a Luigi Russolo, il compositore che già nel 1913 predisse l’avvento del sintetizzatore e intuì che l’elettronica e le altre tecnologie avrebbero consentito ai musicisti di “sostituire alla limitata varietà dei timbri degl’istrumenti che l’orchestra possiede oggi, l’infinita varietà di timbri dei rumori, riprodotti con appositi meccanismi”. 

Quello che Jarre ci offre, dopo la già ottima prova d Electronica 1, è un lungo viaggio sonoro zeppo di stimoli e sensazioni, magistralmente create dalle “macchine” elettriche, su cui appoggiano le loro voci ospiti più che illustri, tra cui i Pet Shop Boys, i Primal Scream, Gary Numan, Jeff Mills, Peaches, Hans Zimmer e Cyndi Lauper. Una parata di stelle che appaiono come comete nel cosmo lisergico e abbagliante modellato da Monsieur Jarre.

Tra gli episodi di più forte impatto, la melanconica Brick England, insieme ai Pet Shop Boys e Swipe To The Right con Cyndi Lauper.
Ma c’è poi un ospite che rende ancora più prezioso questo album e ancora più forte il suo messaggio: Edward Snowden, l’ex tecnico della CIA che con le sue rivelazioni ha dato il via al Datagate, lo scandalo sulla sorveglianza di massa messa in atto da alcuni governi all’insaputa dei cittadini, denunciando così l’abuso della tecnologia.
Jarre ha preso la sua voce l’ha piazzata sui veli elettronici di Exit.

Ecco il punto di snodo, la differenza tra un DJ qualunque e uno che dai synth sa tirare fuori musica che pulsa e che parla.

Electronica non è un album di musica elettronica.
Electronica
è un progetto di Jean Michel Jarre.
E c’è una bella differenza.