Neneh Cherry, Circolo Magnolia (Segrate), 27-02-2019


A chi si aspettava un concerto nostalgicamente legato al passato, Neneh Cherry ha dimostrato al pubblico presente al Magnolia di Segrate che continua ad essere – ora ancor di più, con la maturità dei suoi 54 anni portati benissimo – la miglior cattiva ragazza in circolazione. Già ne aveva dato prova a ottobre quando usci Broken Politics, grande album andato a contribuire ad una discografia che si attesta comunque ad alti livelli. Oggi, Neneh canta di diritti civili, di abusi (dalle armi alla violenza di ogni tipo) e di libertà, con grinta e soprattutto in coerenza con quanto espresso fino ad oggi nelle sue canzoni e sul palco, con buona pace di chi vorrebbe che i cantanti fossero solo “cantanti”, possibilmente senza opinioni politiche e/o sociali ostinate e contrarie.

Al Circolo Magnolia di Segrate, alle porte di Milano, nell’unica data italiana di questo tour, Neneh Cherry ha dimostrato che è ancora possibile – e mai come ora doveroso – fare un concerto politico nell’accezione migliore del termine, senza per questo cadere nella facile trappola di allettare il pubblico ad ogni costo.

Pochi quindi i richiami agli anni ‘90, in un concerto dove l’urgenza espressiva è tutta incentrata sul “qui ed ora”: che si tratti di passato recente (Blank Project, dall’omonimo lavoro del 2014) o quello legato ai successi storici (Manchild e Buffalo Stance, piazzata nei bis), i classici hanno lasciato spazio alla denuncia dell’attualità. Forte di un album fra i migliori del 2018, quasi una sorta di biografia in musica, Neneh non ha paura di cantare di immigrazione (Every nation seeks its friends in France and Italy / And all across the seven seas canta in Kong, brano nato dopo una esperienza di volontariato in un centro di accoglienza migranti), e di richiamare le persone, come un esercito di pace, alla coscienza civile e alla collaborazione (Soldier). Oggi, come quando lo cantava Patti Smith quasi 30 anni fa, People have the power. Ora tutto sta ad indirizzare questo potere immenso nella giusta direzione.

Nonostante non sia protagonista, il passato fa comunque musicalmente capolino anche nei brani di nuova produzione, fra campionamenti vintage eccellenti (il padre adottivo Don Cherry “compare” con Ornette Coleman in Natural Skin Deep) e ritmi che sembrano arrivare direttamente da un rave, ma che non spiazzano un pubblico già entusiasticamente preparato a una pioggia di suoni oscuri e duri dall’azzeccato opening act di Charlotte Adigéry.

In un concerto breve (poco più di un’ora), ma davvero intenso, scorrono praticamente quasi tutti i brani di Broken Politics, dai ritmi tribali di Slow Release alla splendida e complessa versione di Deep Vein Thrombosis, così lontana e pure così vicina alla versione su album. Spiace un po’, a fronte di un live ben calibrato e rispetto alle date precedenti dove sono state quasi sempre presenti, che nella serata milanese siano saltate Cheap Breakfast Special e, ancor più inspiegabilmente, la hit 7 Seconds. Spiace sì per il valore delle canzoni stesse, ma soprattutto perché alla fine dell’unico bis, avremmo voluto rivedere Neneh Cherry risalire sul palco ancora, e ancora, e ancora.

Testo e immagini di Alessandro Bronzini

BITS-REPORT: St. Vincent, Segrate, Circolo Magnolia. L’arte della seduzione di massa dal vivo

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Già all’uscita del suo primo album (Marry Me, 2007), i detrattori ne parlarono come di un fenomeno costruito a tavolino, ma se davvero così fosse stato St.Vincent ora avrebbe tranquillamente tutti i numeri per essere la popstar del nuovo millennio, una delle tante Katy Perry adatta a ogni palato.
In realta, la “costruzione” di Annie Clark è più complessa e stratificata: ci sono le influenze pop, certo, ma di alta qualità (su tutti ovviamente David Byrne, i cui echi si trovano in moltissima produzione dell’artista americana), c’è uno stile personale a metà strada fra la sperimentazione e il prodotto di massa, ma soprattutto c’è uno sguardo contemporaneo forse non per tutti facile da afferrare, ma che trasforma canzoni come Slow Disco, ballata presente nell’ultimo album Masseducation, in Fast Slow Disco, un nuovo inno alla (in)differenza sessuale.

E tutto questo, ai concerti del Fear The Future Tour, si sente.
Ridimensionata l’impostazione teatrale dello show – più presente nei tour precedenti e qui limitata all’inquietante presenza mascherata di Daniel Mintseris (tastiera) e Matt Johnson (batteria) -, la St. Vincent andata in scena il 27 giugno al Magnolia di Segrate lascia dominare la serata alle chitarre (fluo) e ai suoni distorti, spesso virando l’impostazione techno-elettronica degli originali verso il rock. E’ forse questo che lascia parte del pubblico piuttosto freddo a inizio concerto: Sugar Boy, Los Ageless, Masseduction e Savior, tutte dal nuovo album, sono già altro rispetto agli originali e l’effetto può essere spiazzante per un parterre troppo spesso abituato a una riproduzione live fedele nota per nota di quanto già messo su disco.
Ma è uno spaesamento che dura poco, una volta capito il “gioco”, e con la comparsa dei “classici” Marrow, Cruel o Cheerleader si entra tranquillamente nel mondo di St. Vincent. Un mondo fatto di distorsioni e riscritture (la già citata Fast Slow Disco, e New York, parafrasata per l’occasione in una improvvisata Milano, con tanto di citazioni “locali” al Plastic e al quartiere Ticinese), contrasti musicali e aggressioni visive. Annie, spesso coadiuvata dalla quarta musicista presente sul palco, la bassista/tastierista/corista Toko Yasuda, gioca il ruolo di rockstar vestita da modella pop (o viceversa?), inquieta con Huey Newton, distorce la già acida Rattlesnake, e cerca, trovando, la complicità del controcanto col pubblico su Digital Witness, riuscendo mettere in pratica quella “Mass Seduction”, titolo-manifesto dell’ultimo album.
Dopo la tempesta elettrica di Fear The Future a chiudere il main act, i bis “riportano tutto a casa” spogliando il palco di elettronica e distorsioni e lasciando St. Vincent sola di fronte al parterre.
E’ in questo contesto intimo, dove Hang On Me, la splendida e atroce Happy Birthday, Johnny e Severed Crossed Fingers risuonano nel silenzio, che ancor di più balza all’occhio la “reale” St.Vincent, in perenne equilibrio fra reali capacità autoriali e tentazioni, finora più o meno volutamente arginate, di musica di massa.

Godiamocela ora, fintanto che riesce a giocare così bene su questo filo teso.
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Setlist
Sugarboy
Los Ageless
Masseduction
Savior
Huey Newton
Year of the Tiger
Marrow
Pills
Hysterical Strength
Cruel
Cheerleader
Digital Witness
Rattlesneake
Young Lover
Fear the Future
Fast Slow Disco
New York
Hang on Me
Happy Birthday, Johnny
Severed Crossed Fingers

testo e immagini di Alessandro Bronzini