Woodworm Festival Berlin: anche I Ministri e Motta nel cast che suonerà a Berlino l’8 e il 9 dicembre

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I prossimi 8 e 9 dicembre, Woodworm, una delle etichette e management indipendenti più importanti in Italia, organizza un festival a Berlino con alcuni tra gli artisti più interessanti del suo roster.

Sul palco del Bi Nuu di Berlino si alterneranno infatti cinque band per una due giorni di musica italiana di qualità. Un’ occasione unica di promuovere all’estero alcune tra le band più apprezzate del panorama musicale italiano, grazie al contributo di Mibac, SIAE e nell’ambito di “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura.”

Sabato 8 dicembre saranno protagoniste le chitarre, con due tra i progetti più acclamati della scena rock indipendente italiana.
Per primi suoneranno i Fast Animals and slow kids, rock band perugina famosa per i live incredibilmente potenti, che dopo l’uscita del loro ultimo album Questa non è la felicità a febbraio 2017 sta per tornare in studio per registrare il quarto album. Dopo di loro i Ministri, power trio milanese ed ormai nome storico della scena rock italiana, che a marzo hanno pubblicato il loro quinto album, Fidatevi, per poi intraprendere un tour in giro per l’Italia. Per loro è la terza volta a Berlino, dopo i concerti del 2010 e del 2014. A chiudere la serata il djset di Musica Mata per un after party assolutamente imperdibile.
MINISTRI - Foto di Chiara Mirelli 10 alta
Domenica 9 dicembre ad aprire le danze ci saranno i Campos, band nata tra Pisa e Berlino, il cui primo album per Woodworm uscirà a novembre. A seguire La rappresentante di lista, duo di musicisti ed attori, una mosca bianca nel panorama musicale italiano, che con il loro album Bu Bu Sad – uscito nel 2015 – si sono conquistati i favori di pubblico ed addetti ai lavori. Ora Veronica e Dario stanno per uscire con il loro nuovo album, il primo per Woodworm. A chiudere questa maratona di due giorni non poteva che esserci Motta, uno dei protagonisti musicali di quest’anno dopo l’uscita del suo secondo album Vivere o Morire, uscito ad aprile per Sugar. Vincitore di due Premi Tenco, Francesco Motta è uno dei cantautori più apprezzati della nuova generazione anche grazie ad uno stile unico e molto personale.
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Le prevendite per la singola serata o abbonamento sono disponibili a questo link.
Il Woodworm Festival Berlin è organizzato con la collaborazione di Megaherz Agency e con il contributo di Mibac, SIAE e nell’ambito di “Sillumina – Copia privata per i giovani, per la cultura.”

BITS-CHAT: Moltiplicare l’amore. Quattro chiacchiere con… Niccolò Agliardi

Niccolò Agliardi_foto di Giovanni de Sandre 3 b

“Vita: istruzioni per l’uso”.
Sugli album di Niccolò Agliardi potrebbe tranquillamente essere stampata questa dicitura, come buon viatico di ogni singolo giorno. La sua è l’opera di uno che la vita sembra conoscerla molto bene nei suoi rettilinei, nelle sue deviazioni, nei labirinti, nei suoi percorsi aperti solo a pochi, e altrettanto bene sa raccontarla in parole e musica. Lo si intuisce anche dal tono quasi intimo con cui durante questa intervista parla del suo lavoro e di quello gli sta intorno e dall’attenzione con cui sceglie le parole. Non a caso la sua penna è quella a cui si affidano spesso molti tra i più importanti interpreti della scena italiana (un nome su tutti, Laura Pausini).

Ma a quella di autore, Agliardi ha affiancato negli anni anche una carriera di cantautore, che viene riassunta ora in Resto, doppio album antologico diviso nei due dischi Ora e Ancora e in uscita il 14 settembre. Accanto a piccoli gioielli come Da casa a casa, Perfetti e L’ultimo giorno d’inverno, nella raccolta – che non ha nessun intento celebrativo, precisa lui – c’è spazio anche per tre inediti, Johnny, Di cosa siamo capaci e Colpi grossi.
Niccolò Agliardi_a_foto di Francesca Marino_b
Quando si arriva a pubblicare un’antologia, soprattutto se è doppia, è il segno che di strada se ne è fatta tanta…

Sei troppo benevolo, ma ci tengo subito a dire che dietro a questo disco non c’è nessun intento celebrativo: semplicemente sono in un momento molto fortunato della mia vita in cui faccio cose che mi piacciono molto, ma mi mancava un po’ sentirmi rappresentato dalle mie canzoni. Oggi, a 44 anni, sento di aver scritto delle buone canzoni che forse ho un po’ abbandonato a loro stesse e che meritavano un vestito diverso: con i miei adorati musicisti ci siamo guardati in faccia e abbiamo iniziato a pensare a quali sono le canzoni che amiamo suonare dal vivo perché sanno di realtà e di vita, ma che sui dischi non ci convincevano fino in fondo. È stato un lavoro di restauro corale, vissuto come un divertimento: per me questi brani sono come degli inediti.

Come ti sei sentito nel riprendere in mano canzoni che avevi scritto magari 10 o 15 anni fa? Ti sei riconosciuto in quei testi?
Sì, pienamente, ed è il motivo per cui ho scelto di mettere nell’album proprio quelle canzoni. Quelle parole mi rappresentano ancora, sono autentiche, come se le avessi scritte un mese fa. Quello che volevo cambiare era il modo in cui suonavano o come le avevo cantate.

E come hai scelto di dividerle tra Ora e Ancora?
In Ora ho messo le canzoni che avevano bisogno di un restauro o di una rivisitazione totale, perché ci siamo resi conto che non funzionavano e meritavano una seconda possibilità: siamo ripartiti da zero, cambiando anche la tonalità e la velocità. Ho voluto inserire anche due omaggi: uno a Fossati con Naviganti, un pezzo che nella sua semplicità mi dilania l’anima, e uno alle sorelle Bertè con Stiamo come stiamo, una canzone del 1993 che trovo formidabile per il suo messaggio di riscatto e dolore. E poi ci sono due inediti, Johnny e Di cosa siamo capaci. In Ancora invece c’è il terzo inedito, Colpi forti, e ci sono canzoni che andavano già bene così com’erano, ma sulle quali mi ero fissato per alcuni particolari. Ho voluto ricantare alcune parti o anche solo alcune parole, ritoccare la voce perché magari era troppo bassa: per usare una metafora, è stato un po’ come fargli un’iniezione di botulino.

Ti confesso che trovare una cover di Stiamo come stiamo è stata una bellissima sorpresa.
Credo che sia un brano potentissimo per il suo essere spaccato tra dolore e speranza, ma non ha avuto la fortuna che meritava, e per questo ho deciso di metterlo nella mia antologia. Ha avuto un destino simile a molte mie canzoni, l’ho sentito affine: non ho voluto rifarlo per ergermi a paladino della giustizia, ma ho pensato che forse riproponendolo potevo farlo conoscere a chi nel ’93 era troppo piccolo o magari se l’era distrattamente perso.
Niccolò Agliardi_foto di Giovanni de Sandre b

Gli inediti invece come li hai scelti? Sono lì dentro per un motivo particolare?
Sono tre brani accomunati dal concetto di famiglia, visto da tre punti di vista diversi. Per descriverli mi piace utilizzare il paragone, forse un po’ azzardato, con la trilogia di Titanic di De Gregori. In Johnny parlo della mia famiglia di oggi e racconto la mia esperienza di papà affidatario di un ragazzo, quindi c’è una visione paterna; Di cosa siamo capaci parla invece delle nuove famiglie, quelle formate da persone che si vogliono bene e si sentono protette pur non essendo imparentate da legami di sangue e che non necessariamente sono rappresentate della bandiera arcobaleno; il terzo inedito, Colpi forti, è un po’ più duro, ma altrettanto pieno d’amore: mi rivolgo per la prima volta a mio padre non più solo da figlio ma a mia volta da padre.

L’esperienza da papà affidatario ti sta insegnando qualcosa?
Mi sta insegnando tantissimo e mi sta facendo scoprire molte cose di me che non conoscevo: è un’esperienza che ti mette in gioco da quando apri gli occhi al mattino a quando li richudi alla sera, e non è detto che la sfida non continui poi anche durante i sogni. Devi imparare a dividere tutto per due, per scoprire che non si tratta di una divisione, ma di una moltiplicazione di amore, di affetto, di possibilità e di opportunità, non solo per Johnny, ma anche per me. Richiede impegno e coraggio, altrimenti rischia di diventare un boomerang pericoloso. Sto imparando la pazienza, e sto imparando a non desiderare che Johnny diventi una mia copia, ma a essere per lui una guida.
Niccolò Agliardi_cover RESTO
L’artwork dell’album è popolato da tante figure di origami, una per ogni brano: le associazioni sono casuali?
Non le ho fatte io, ma è tutta opera di due miei carissimi amici grafici, Simone Valentini e Manuele Capone. Non ho mai chiesto ai ragazzi se le associazioni siano state casuali o mirate. L’idea degli origami è nata una sera, guardando un cavalluccio marino che nuotava solitario e aristocratico.

Riguardo invece al titolo della raccolta, nella vita quanto coraggio pensi che serva per restare?
Tanto, tanto, tanto. Scappare è da vigliacchi, ma a volte ci salva la vita: restare significa non essere codardi e rispettare la propria coerenza, mantenere un impegno preso. Andare fino in fondo, giocando fino all’ultima carta, che spesso è quella vincente.

Cosa diresti oggi al Niccolò Agliardi che ha scritto Fratello pop?
Gli direi di andare avanti, anche se farà fatica, perché a 40 anni si ritroverà nelle tasche qualcosa di prezioso. Da un punto di vista più umano invece gli direi di non arrabbiarsi se il suo fratello pop non è come lui: anche se l’altro non gli assomiglia, non è detto che non lo capisca.

Pensi che il cantautore abbia ancora un ruolo preciso nella società di oggi?
Magari non si chiama cantautore, ma rapper, trapper o interprete. Non so se oggi il cantautore, categoria alla quale sento di far parte, sia ancora una figura necessaria: quello che invece è sicuramente necessario è la letteratura che si condivide, sono importanti i messaggi, i contenuti. La forma può cambiare come cambiano le epoche.

E tra i nuovi cantautori italiani c’è qualcuno che ti piace in particolare?
Mi piace molto Motta.
Niccolò Agliardi 6b_Credito fotografico di Francesca Marino
Come ti sei trovato nell’esperienza televisiva di Dimmidite?
Benissimo! Mi sono divertito molto anche perché ho lavorato insieme ai miei musicisti: Giacomo e Tommaso Ruggeri, Francesco Lazzari e Giordano Colombo, che è anche il produttore dell’antologia. Ho potuto fare quello che mi piace, raccontare le storie degli altri e trasformarle in canzoni, e ho potuto farlo con persone divertenti. Mi piace farmi spiegare dagli altri quello che non so fare: scrivere canzoni è una cosa che si fa spesso in solitudine, invece in televisione lo abbiamo fatto in tanti. E mi piace affidarmi agli altri, perché se sono complici e alleati ti aiutano a diventare più bravo in ciò che fai.

Di solito concludo le interviste chiedendo di darmi una definizione di ribellione, ma a questa domanda avevi già risposto in un’intervista precedente. Ti propongo allora cinque parole che ho scelto pensando a te e per quella che preferisci ti chiedo di darmi una tua definizione: parola, famiglia, silenzio, fragilità e paura.
Ti voglio dare un aggettivo per ognuna. (prima di pronunciare ogni definizione Niccolò medita alcuni secondi, ndr) Per parola ti dico “facoltativa”, per famiglia “libera”, per silenzio “necessario”, per fragilità “preziosa” e per paura scelgo… “insidiosa”.

 

Agliardi presenterà la raccolta in Feltrinelli il 22 settembre a Roma (Red Tomacelli) e il 26 settembre a Milano (Red Porta Romana).

Goa Boa 2018: al via domani con i Negrita

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Il Goa Boa sta per cominciare.

Domani, 13 luglio, l’Arena del Mare del Porto Antico di Genova ospiterà infatti il primo appuntamento dell’edizione 2018 del festival che negli anni ha portato sul palco i nomi più rappresentativi della scena italiana.
Protagonisti della prima data saranno i Negrita, preceduti da Kiol e dalla giovane cantautrice e polistrumentista Nyvinne.

I Negrita presenteranno dal vivo i brani di Desert Yacht Club, il loro ultim disco uscito lo scorso 9 marzo.
Dopo questa ghiotta preview, il festival riprenderà venerdì 20 luglio quando, tra gli altri, si esibirà anche Motta, fresco vincitore della Targa Tenco 2018 con Vivere o morire, che si è aggiudicato il premio come miglior “Disco in assoluto”.

Questo il calendario della 21esima edizione del Goa Boa Festival:

MAIN STAGE
venerdì 13 luglio Preview
NEGRITA + KIOL + NYVINNE 


venerdì 20 luglio

MOTTA + MINISTRI + PINGUINI TATTICI NUCLEARI + MAKAI + VIITO

sabato 21 luglio

CAPAREZZA + MUDIMBI + VOINA

domenica 22 luglio

TEDUA + ACHILLE LAURO + FRAH QUINTALE
BILOGANG + ARASHI
Aftershow MYSS KETA

mercoledì 25 luglio

COEZ + COMA_COSE+ FRANCESCO DE LEO

RED BULL TOUR BUS // OFFICIAL 2nd STAGE

THE ANDRÈ ~ L’ULTIMODEIMIEICANI ~ SAAM ~
MARTIN BASILE ~ KALT+AMEDANCE~ BANANA JOE
MUSIC RAISER ARTISTS E MOLTI ALTRI

Vivere o morire: il ritorno di Motta tra un bivio e due capelli bianchi

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“Vi è piaciuto il disco? E’ bello, vero?”, chiede tenendo la chitarra con una mano e con l’altra spostandosi una ciocca di capelli dalla faccia, che puntualmente gli ricade davanti agli occhi pochi minuti dopo. La prima domanda la fa lui, Motta, ai giornalisti intervenuti alla presentazione del suo nuovo album, Vivere o morire.
Una domanda che non sembra un semplice pourparler, ma la ricerca di una conferma, quella di essere riuscito a mantenere le aspettative.
Del resto, il suo album precedente, La fine dei vent’anni, aveva sconvolto non poco la scena indie italiana, portandolo sotto i riflettori del grande pubblico e diventando uno dei più grandi casi discografici degli ultimi anni.
Si sa, per un cantautore scrivere – e poi condividere – musica è molto di più che svolgere un lavoro: significa presentarsi, scoprirsi, denudarsi, e Motta con questo album lo ha fatto con non poco coraggio. Sapeva di avere una grande attenzione puntata addosso, anche perché per il pubblico non era più l’esordiente che doveva farsi conoscere, ma sapeva anche di non avere paura della maggiore popolarità.
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Il lavoro è partito il 1 aprile 2017, data dell’ultimo concerto all’Alcatraz di Milano, con cui Motta ha chiuso il ciclo promozionale del disco precedente: di quella serata però non ha un bel ricordo, “ero troppo nervoso, ho esagerato, non ero pronto a gestire un evento di quel tipo. Magari per chi era presente è stato bello, ma sul palco c’ero io, e se mi accorgo che qualcosa non va devo cambiarlo. Solo recentemente ho voluto rivedere i filmati. Dopo quel live mi sono chiuso in un silenzio di tre settimane a casa dei miei, in Toscana, e mi è servito molto per acquisire una certa sobrietà”.
Se per La fine dei vent’anni c’era stata la produzione di Riccardo Sinigallia, qui Motta si è ritrovato a fare da solo, suonando e producendo quasi tutto: “Quando ho detto a Riccardo che era arrivato il momento di mettersi a lavorare a un nuovo disco, lui mi ha risposto che ci avrei lavorato io. Ho voluto coinvolgere Taketo Gohara e con lui sono andato fino a New York, dove ho lavorato anche Mauro Refosco, forse il miglior percussionista al mondo, e sono entrato negli studi dove ha lavorato Jimi Hendrix, ho suonato strumenti che non conoscevo, restando quasi spaventato dalla musica. Ecco perché sapevo di dover in Italia con in mano qualcosa di davvero importante”. 

Rispetto a La fine dei vent’anni, è lui per primo a riconoscere in Vivere o morire una crescita: “Prima vivevo in una sorta di ordinata confusione, giustificata anche dall’età, ora sono riuscito ad arrivare a una sintesi, non vedo più davanti a me certi bivi, ho preso una direzione, anche musicale: può anche essere quella sbagliata, ma una scelta è stata fatta. Anche per questo nell’album ci sono solo 9 brani: era il numero giusto, non potevano starcene di più o di meno, aggiungere altro materiale che avevo scritto avrebbe spezzato il racconto. Crescere non vuol dire per forza cambiare, si può anche restare se stessi: sono sempre più convinto che con il tempo siano i versi delle canzoni a cambiare, perché li leggiamo in modo diverso. Io sono fiero di essere invecchiato, e vado fiero dei miei due capelli bianchi”.
Sarà forse anche questo orgoglio di maturità che lo ha spinto a non risparmiarsi nella scrittura dei nuovi brani: “Di solito quando scrivo parto da un gancio emotivo, stavolta il processo è stato molto più personale, non ho voluto usare compromessi, anche a costo di darmi delle coltellate. Quando si finisce di scrivere una canzone ci si deve sentire meglio: se ti senti come prima non serve a nulla. Va bene anche se ti senti peggio, ma non puoi restare indifferente”.
Parlando del lavoro di scrittura, dalle sue parole emerge anche un senso di fatica, che diventa subito evidente davanti a canzoni come Quello che siamo diventati, la title track Vivere o morire e soprattutto E mi parli di te, il brano che chiude l’album: “È stato in assoluto il più difficile da scrivere: avevo già parlato dei miei genitori, ma con il tempo ho imparato a vederli di più come un uomo e una donna. Ero a abituato a vedere mio padre più come un comunista che come il mio babbo“.
La sua paura più grande oggi è quella di dimenticare, e lo canta anche nel brano che dà il titolo al disco: “Ho paura di dimenticare tutto, anche gli errori o le scelte sbagliate, che invece sono indispensabili per crescere. Mi piace la concezione binaria della vita, fatta di scelte continue tra partire e restare, vivere o morire“.

E qual è il suo concetto di ribellione? “In tutte le mie canzoni sento una presa di posizione, anche quando parlo della fine di un rapporto, e per me questo è un po’ come fare politica. Non so bene cosa sia la ribellione, ma prendere una posizione e capire a che punto sei è un buon punto di partenza”.

Motta, febbraio 2018
A maggio partirà un nuovo tour, che si concluderà proprio sul palco dell’Alcatraz, ma da sotto i riccioli scuri sul viso di Motta spunta un sorriso di sfida: “Stavolta sono prontissimo”.
Queste le date:
26 maggio Roma, Atlantico
28 maggio Bologna, Estragon
29 maggio Firenze, Obihall
31 maggio Milano, Alcatraz

#MUSICANUOVA: Motta, Ed è quasi come essere felice

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A due anni dal fortunato La fine dei vent’anni, Motta annuncia l’arrivo di un nuovo album, in arrivo in primavera per Sugar.
Ad anticiparlo è l’intenso Ed è quasi come essere felice, brano dai tratti psichedelici e oscuri.
Il video è stato concepito come un racconto diviso in due parti: la prima testimonia, con immagini veloci girate tra New York, Roma, Parigi e Milano, le registrazioni del nuovo album; la seconda rappresenta la nascita del nuovo disco e il ritorno.
Insieme a Motta, uguale ma opposta, Silvia Calderoni, performer tra le più innovative della scena teatrale italiana che rappresenta un’altra parte inedita di Motta che sta per rivelarsi.
In programma per l’estate anche un nuovo tour, annunciato a  breve.