BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Parte tutto da Hölderlin e dal suo Iperione. C’è lo stesso bivio tra idealizzazione del passato e disillusione per il presente, l’incanto dell’antico e dell’arcano, a fronte di un’attualità desolante.

The Hyperion Machine, ultimo lavoro del lussemburghese Rome, al secolo Jerome Reuter, oscilla tra ombre e punti di luce, tra mistero e realtà, tra il sogno di ciò che si è perso e il desiderio di cambiare l’oggi.
Dark wave, elettronica, rock, persino folk, tutto è amalgamato qui dentro, in queste tracce che stillano inquietudine e malinconia, oscurità e sogno: un denso magma di sensazioni tese e viscerali che brilla con la luce del più rovente dei tramonti, e cola come il miele più dorato.
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Un viaggio che passa dalla Grecia classica e incontaminata dell’ispirazione letteraria per arrivare al caos delle macchine e della modernità portato dalla musica, guidato dalle dita e dalla voce imperiosa, liturgica e gotica di Rome, gran maestro della contaminazione sonora. Un viaggio oscuro e affascinante, a tratti claustrofobico e tempestoso, fatto di synth gravi, echi, cori sommessi.

Affascinante il sapore arcaico di Celine In Jerusalem, il brano che segue immediatamente la breve intro, così come il folk di The Alabanda Breviary, mentre con Adamas e poi con Die Mörder Mühsams si scende nelle profondità più fredde di un mondo lontano, che fa davvero paura.

Una marcia meravigliosa e solenne in mezzo ai fantasmi.

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