BITS-RECE: Fergie, Double Dutchess. Il gran bis della “duchessa”

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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11 anni. Tanto ci ha messo Fergie a tornare in pista. Cioè, a dir la verità non sono stati proprio 11 anni di silenzio questi, perché in mezzo ci sono stati due album con i Black Eyed Peas e qualche brano inedito snocciolato durante il percorso. Però insomma, il secondo capitolo della sua carriera solista si apre adesso, con Double Dutchess, un discone di 17 tracce a cui va ad aggiungersi anche il pacchetto di tutti i video (tranne You Already Know) nella Visual Experience, riuniti nel film Seeing Double. Un po’ insomma come aveva fatto Beyoncé con il Visual Album di qualche anno fa.
Ampiamente anticipato da L.A. Love, M.I.L.F. $ e Life Goes On, Double Dutchess restituisce una Fergie in pienissima forma, anche se forse un po’ appannata dal punto di vista mediatico, ma desiderosa di buttarsi ancora al centro della mischia con un album generosissimo di spunti e poderoso nei suoni.
Quello che colpisce da subito è l’atmosfera decisamente urban in cui è immerso Double Dutchess, capace di passare attraverso momenti molto diversi, con poco spazio riservato al puro pop: l’apertura, grandiosa e sorprendente, è affidata ad Hungry, con le sue note oscure e quasi goticheggianti di trap (dentro ci è finito addirittura il campionamento di Dawn Of The Iconoclaste, successo dei Dead Can Dance) e il featuring di Rick Ross, mentre le tracce successive sono una raffica di variazioni che dal più classico R&B toccano l’hip-hop, il reggae, l’elettronica, per arrivare a chiudere in bellezza con i fuochi d’artificio grazie il rock ardente e affilato di Love Is Pain, in cui si intravede – neanche troppo velata – l’anima di Purple Rain di Prince in un omaggio non ufficialmente dichiarato.
Assolutamente spassosissimi i toni tropicali di Enchanté (Carine), insieme ad Axl Jack, il figlio di Fergie, così come il potente giro di funk di Tension, che sembra – a dirla tutta – rubata dagli archivi di Kylie Minogue.

Insomma, un album sfaccettato e studiatissimo per il ritorno di una protagonista di prima linea degli anni Duemila, che si trova oggi circondata dall’affamata schiera della nuova generazione e che sapeva quindi di doversi giocare il tutto per tutto per dimostrare che oggi c’è ancora posto lei. Almeno sulla carta, il risultato non manca di ispirazione e parrebbe darle ragione: dopo tanti anni Fergie è tornata, c’è, e tiene perfettamente il passo con i tempi.
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Sul versante video invece c’è da segnalare qualche punto di domanda rimasto in sospeso, dal momento che in più di un episodio l'”esperienza visuale” si rivela essere non molto di più che un semplice contenuto bonus aggiunto alla versione audio. Portando il confronto sull’analoga operazione di Beyoncé, la signora Carter – tra l’altro citata tra le fonti d’ispirazione – si porta a casa la vittoria a mani basse.
Tra i momenti da salvare, sicuramente l’intensità immaginifica di Love Is Pain.