BITS-RECE: GIMA “JOMO”. Una stanza (per ballare) tutta per sé

BITS-RECE: GIMA “JOMO”. Una stanza (per ballare) tutta per sé

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.

“I keep dancing on my own” cantava – ormai un po’ di anni fa – Robyn, in quello che è diventato una vero e proprio manifesto alla solitudine da dancefloor. Ma certo Robyn non è stata la prima né l’ultima a contribuire alla narrazione della pista da ballo come luogo intimi, introspettivo, talvolta addirittura spazio per riversare le proprie lacrime.

Perché lo sappiamo bene, anche quando siamo immersi nella folla, anche quando ci troviamo in un luogo gremito, anche quando l’aria l’aria investita dei bpm lanciato dal DJ in console, capita di sentirsi soli, estraniati da tutta la vita che ci si muove attorno. A volte è una situazione che provoca disagio, a volte è davvero un’esigenza.
Desiderare sparire, godere di quel momento solo per noi, respirarlo fino all’ultimo palpito di sudore provocato da un ballo che è molto di più di una semplice occasione di evasione, ma diventa un’esigenza di sopravvivenza.

Ed è un po’ questo il messaggio che emerge dalle cinque tracce di JOMO, il primo EP di GIMA, uno dei nomi emergenti più promettenti della scena club italiana. Che il producer fosse promotore di questa filosofia lo si era già capito dai brani che hanno anticipato la release (Come si fa?, Bugatti), e ancora prima nel singolo Tempesta.
Usare l’elettronica per ritagliarsi uno spazio tutto per sé, non assecondare la corrente, ma risalirla per creare una narrazione personale.

Il titolo è l’acronimo di “joy of missing out” (la gioia dell’essere tagliati fuori), chiaro contraltare della FOMO, di cui oggi siamo troppo spesso schiavi, ovvero la paura di restare tagliati fuori, di non essere abbastanza connessi con l’esterno, di perderci l’essenziale.

Sotto ai suoi potenti muri di bpm, il producer avellinese costruisce un racconto diverso, all’insegna della volontà di stare al passo seguendo però sentieri meno frequentati: “Avevo bisogno di scappare dalla frenesia di Milano, la città in cui vivo da un po’ di tempo, per scrivere un EP che raccogliesse quel senso di smania urbana ma la rendesse intima”, racconta GIMA. “L’artwork e la creatività raccontano questo. Mi sono concentrato sulla mia assenza, sulla mia JOMO, lasciando che l’artista che c’è in me si rifugiasse nell’unico luogo – seppur metaforico – in cui sono davvero presente: la musica”.

E allora balliamo, selvaggiamente, forsennatamente, seguendo però solo il ritmo della nostra essenza.

Lost Frequencies firma il remix di “Nessuno mi può giudicare” di Caterina Caselli


Nessuno mi può giudicare si dimostra ancora attuale e di forte impatto. Una delle canzoni “trans- generazionali” per eccellenza. È sorprendente questo nuovo remix con il giovanissimo Lost Frequencies! Come allora, Nessuno mi può giudicare rimane per me una canzone indelebile. Buon ascolto!”

Con queste parole Caterina Caselli ha commentato l’uscita del remix di uno dei suoi più grandi successi, realizzato dal DJ e produttore belga Lost Frequencies, pseudonimo di Felix Safran De Laet. Originariamente pubblicato nel 1966 su vinile a 45 giri, Nessuno mi può giudicare è stato il terzo singolo della cantante, produttrice, attrice e conduttrice emiliana, ed è diventato un classico della canzone italiana. Dopo aver raggiunto e mantenuto la prima posizione nella classifica italiana generale delle vendite per oltre due mesi nell’anno di uscita, il brano venne tradotto anche in lingua francese (Baisse un peu la radio) e in spagnolo (Ninguno me puede juzgar).

Oggi, a 53 anni dall’uscita, grazie alla nuova versione il brano varca anche le porte dei club.