#MUSICANUOVA: Lily Kershaw, Party Meds

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Lily Kershaw
è una giovane cantautrice nata e cresciuta a Los Angeles.
Il prossimo 6 ottobre pubblicherà l’EP Los Angeles, in cui racconterà la sua città con uno sguardo diverso da quello a cui siamo abituati, presentandola sotto una veste riflessiva, calma, ipnotica, cupa, proprio come sono anche Lily e la sua musica, che le ha fatto guadagnare paragoni con Lana del Rey.
L’EP segue l’album di debutto Midnight In The Garden. Ad anticiparlo è il singolo Party Meds, un brano dall’animo pop malinconico e ipnotico.
Il video esplora l’amicizia, intima e ambigua di due ragazze in 
un sogno ad occhi aperti e vede la partecipazione dell’attrice britannica Juno Temple.

Lana Del Rey: Lust For Life esce il 21 luglio. Collaborazioni da The Weekend a A$AP Rocky

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Uscirà il 21 luglio 
Lust For Life, il nuovo album di Lana Del Rey.

Del disco Lana Del Rey ha dichiarato: “Ho fatto I miei primi 4 dischi per me, ma questo è per i miei fan”.

Oltre al singolo omonimo, che vede la collaborazione di The Weekend, e a Love, per questo album Lana ha chiamato a collaborare il meglio della nuova scena musicale internazionale spaziando alla grande tra i generi: oltre a The Weekend, faranno la loro comparsa Playboi Carti, il rapper, cantante, modello e produttore discografico A$AP Rocky e la cantante americana Stevie Nicks, fino a Sean Ono Lennon.

Questa la tracklist:
1. Love
2. Lust For Life (ft. The Weeknd)
3. 13 Beaches
4. Cherry
5. White Mustang
6. Summer Bummer (ft. A$AP Rocky & Playboi Carti)
7. Groupie Love (ft. A$AP Rocky)
8. In My Feelings
9. Coachella – Woodstock In My Mind
10. God Bless America – And All the Beautiful Women In It
11. When The World Was at War We Kept Dancing
12. Beautiful People Beautiful Problems (ft. Stevie Nicks)
13. Tomorrow Never Came (ft. Sean Ono Lennon)
14. Heroin
15. Change
16. Get Free

Rykarda Parasol e l'album più triste del mondo

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Secondo Rykarda Parasol, la distruzione ha lo stesso colore del corallo, che secondo la mitologia greca si sarebbe formato dal sangue di Medusa riversatosi in mare dopo che Perseo l’ebbe uccisa. Il potere della Gorgone torno così ad alimentare il mondo della natura e suo sangue pietrificato in corallo divenne un simbolo di vita, di forza e di passione.

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Per questo l’artista statunitense l’ha messo in copertina, facendogli girare attorno l’intero suo ultimo album, intitolato per l’appunto The Color Of Destruction.
Tanto per fare un paragone noto, avete presente Lana Del Rey? Ecco, Rykarda Parasol ha la stessa attitudine al down umorale, e persino nel canto le assomiglia molto, solo che lo sa esprimere all’ennesima potenza, e con una notevole dose di classe in più. Senza contare che tra le due quella che è arrivata dopo è la Del Rey.
Dopo l’album Against The Sun, in cui si celebravano l’autonomia e l’indipendenza personali, The Color Of Destruction ruota su temi quali la rovina, la distruzione, il contrasto tra fuoco e acqua, inverno e primavera, nuovi dubbi di amletica memoria (“To Burn Or To Drown?”, ovvero “Bruciare o affogare?”), la perdita di controllo, e si distende lungo un tappeto di velluto sontuosamente pop che mescola sintetizzatori con violini, viole e flauti, mentre le voce della Parasol si scioglie come una glassa lasciata al sole.
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Inutile dire che The Color Of Destruction è, almeno nei testi, un disco triste, tristissimo, persino decadente in alcuni tratti: basterebbe anche solo leggere i titoli dei brani per capirlo, ma la conferma arriva all’ascolto di pezzi come The Ruin And The Change, An Invitation To Drown e soprattutto la bellissima The Loneliest Girl In The World, un vero e proprio inno al blue mood, dove la mestizia tocca il suo più lacrimevole apice.
E allora, To Burn Or To Drown?


BITS-RECE: Melanie Martinez, Cry Baby. Zucchero filato amaro

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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È bello vedere che almeno gli tanto anche il mondo del tanto vituperato mainstream riesce a offrire qualcosa che, nell’ambito del pop al femminile, non abbia proprio lo stesso livello glicemico della media.
Prendere per esempio il caso di Melanie Martinez. Classe 1995, originaria di Porto Rico, nel 2012 ha partecipato all’edizione americana di The Voice, ritrovandosi sotto la protezione di Adam Levine. Una volta fuori, andando contro ciò che la più lineare logica di mercato avrebbe previsto, si è presa un bel po’ di tempo per lavorare al suo primo progetto discografico, l’EP Dollhouse, che infatti è stato pubblicato solo nel 2014. Già in quelle prime quattro tracce, la ragazza mostrava gli elementi che avrebbero poi caratterizzato il suo primo vero album, vale a dire un concept incentrato sullo stridente contrasto tra la smagliante apparenza e le crepe della realtà nella vita di una qualsiasi famiglia benpensante, il tutto immerso in un’atmosfera quasi favolistica pullulata di bambole e ninnoli.
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Un tema nuovamente è più ampiamente affrontato in Cry Baby, l’album di debutto. La storia che Melanie vuole raccontare è quella di una bambina – chiamata proprio come l’album – che non riesce a trovare il suo posto nella realtà che le sta intorno, gli amichetti di scuola non la comprendono e non la accettano, lei è la diversa, l’esclusa. Lei è un freak. Un racconto portato avanti con un pop in cui non si fanno mancare influenze hip hop e di un certo cantautorato, ma che soprattutto procede sotto luci dai colori non sempre rassicuranti. Il rosa confetto si muta in viola, l’azzurro diventa petrolio. E i sorrisi si incupiscono.
La storia della protagonista passa anche attraverso problemi famigliari e delusioni di cuore. Una favole a tinte noir, priva della candida innocenza che caratterizza di solite le piccole eroine. Cry Baby viene esclusa e soffre, ma si costruisce il lieto fine nel suo colorato mondo di bambole, ritrovando la sicurezza solo in se stessa.
Incarnando perfettamente anche nell’aspetto il personaggio da lei creato, Melanie Martinez ci si presenta come la ragazzina triste del pop, quella che dallo stile musicale più zuccheroso che ci sia sa trarre ombre.
È non è certo un caso che scorrendo le tracce dell’album vi siano momenti in cui torna spaventosamente alla mente Lana Del Rey, la più triste delle popstar, quella che usava il pop per ricordarci che siamo tutti destinati a morire.
Melanie Martinez non arriva a tanto, ma ci vedere che anche il pop sa piangere, e quando lo fa potrebbe persino essere bellissimo da ascoltare.