Faccio Quello che voglio: il video dell’anno lo ha fatto Rovazzi. Con Al Bano, Cracco e Briatore

Fabio Rovazzi e Carlo Cracco IMG_0136
Diavolo di un Rovazzi!
Quando l’estate stava ormai entrando nel pieno del suo giro e pensavamo che la serie dei candidati tormentoni fosse terminata, ecco che lui dal nulla arriva e fa il colpaccio con un singolo, Faccio quello che voglio, che scuoterà le acque, ma ancora di più con un video candidato a essere una delle produzioni più mastodontiche e geniali degli ultimi anni in Italia.
COVER FACCIO QUELLO CHE VOGLIO
Definirlo videoclip è infatti riduttivo, dal momento che si tratta di un vero e proprio corto di oltre 9 minuti, realizzato con un’impronta cinematografica, a cominciare dalla font utilizzata per il titolo sulla copertina, un chiaro riferimento ad Arancia meccanica.
Pensato come il secondo capitolo di una trilogia iniziata con Volare e che avrà la sua conclusione in autunno, se con il brano precedente Rovazzi rifletteva sul successo effimero della società ironizzando sull’utilizzo ossessivo dei social, con Faccio quello che voglio aggiunge un tassello al racconto attraverso una provocazione e una riflessione che nasce dall’esigenza di porre l’accento su modelli di riferimento e comportamenti sbagliati, spesso osannati e portati alla ribalta anzichè essere condannati.
La trama del video è questa: si riparte da Gianni Morandi che svela a un Rovazzi in crisi creativa che la paura degli artisti è quella di perdere il proprio talento tanto da rivelargli l’esistenza di un caveau che custodisce la “pozione magica” in preziose pillole e boccette. Scatta perciò un piano diabolico: Rovazzi entra nella banca e ruba le boccette contenenti il talento di alcuni artisti e si ritrova coinvolto in una rocambolesca fuga dalla polizia che lo insegue a sirene spiegate. Dopo un inseguimento in mare “alla James Bond”, Rovazzi si ritrova in prigione, con un finale inaspettato. 
Tutto questo sulla colonna sonora del nuovo singolo scritto con Danti e Sissa e prodotto da Simon Says, che vede la partecipazione di Al Bano, Emma e Nek, mentre ad interpretare il video è un cast colossale di artisti che comprende, oltre a già citati Al Bano e Gianni Morandi, Carlo Cracco, Eros Ramazzotti, Fabio Volo, Rita Pavone, Massimo Boldi, Flavio Briatore e Diletta Leotta.
La voce narrante è invece quella di Roberto Pedicini, celebre per aver doppiato Kevin Spacey anche nel capolavoro di American Beauty
Azione, colpi di scena, effetti speciali degni di Hollywood, ma soprattutto una dose massiccia di ironia (la visione di Morandi con canna da pesca e camicia di Versace è qualcosa di altamente surreale, così come veder rappare Cracco…), come tutto quello che anima l’universo di Rovazzi da quando, ormai due anni fa, il suo nome ha iniziato a macinare traguardi grazie al megasuccesso di Andiamo a comandare.

Ma a sentirlo parlare, nonostante gli 11 dischi di platino conquistati in così poco tempo e nonostante un film – Il vegetale – che lo ha già visto protagonista lo scorso anno, Fabio Rovazzi non sembra essersi fatto abbagliare dalle illusioni e le idee sembra averle ancora molto chiare: a chi mette in dubbio le sue doti di cantante risponde tranquillamente che non si sente un cantante, e anche da questo nasce l’idea sviluppata nel video di Faccio quello che voglio di rubare agli altri artisti il talento e la bellezza.
Almeno un innegabile talento però Rovazzi ce l’ha, ed è una lucida creatività messa al servizio del videomaking, da sempre la sua vera passione: all’inizio si è fatto notare proprio grazie ai video realizzati su Youtube e non per niente ha da poco dato una vita a una società di produzione, la Raw srl, con la quale ha realizzato l’ultimo video.
Tra i suoi obiettivi per il futuro c’è la regia di un film tutto suo, mentre è già in onda lo spot della Fiat Panda in cui è protagonista e per il quale ha curato in prima persona l’ideazione e la realizzazione: una collaborazione, quella con Fiat, che avrà ulteriori sviluppi anche in futuro.

Inevitabile non fare almeno un accenno alla vicenda con Fedez e alla rottura di una collaborazione che pareva ormai consolidata. “In genere non mi piace parlare dei cazzi miei. Le amicizie nascono, crescono e a volte inciampano, come è successo a noi, perché nascono velleità diverse: resterò comunque grato per sempre a Federico per tutto quello che ha fatto per me nei primi anni”.

Volare: per il nuovo singolo Rovazzi chiama Morandi. Genio o paraculo?

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Paraculo, autoreferenziale e deliziosamente fastidioso.
Fabio Rovazzi continua a seguire alla grande le orme del suo mentore Fedez, e per il terzo singolo cala una vagonata di assi a metà strada tra il trash e il geniale.

La canzone si intitola Volare e (fortunatamente) non è un remake del classico di Modugno (anche perché quello si intitola Nel blu dipinto di blu). È un pezzo tra pop e rap – esattamente come i precedenti – tremendamente appiccicoso, come lo sciroppo usato per i ghiaccioli e le granite, e proprio come i ghiaccioli e le granite rischia di non levarsi di torno prima della fine dell’estate. Ma siccome Rovazzi non sarebbe Rovazzi senza il mondo del web, non bastava creare un tormentone ad arte sulla scia di Andiamo a comandare e Tutto molto interessante, ma bisognava alzare la posta: ecco allora che stavolta è stato chiamato in causa un altro genio del male dei social, anche se un po’ più stagionato, Gianni Morandi. Proprio lui, l’originale, che probabilmente fiutando la potenza dell’operazione ha dato l’ok e si è prestato al gioco diabolico.
Nel pezzo e nel video si gioca sulla differenza generazionale, ci sono badilate di ironia, c’è una buona dose di populismo e riferimenti autoreferenziali (“La gente ti odia, Fabio, perché hai fatto successo”, biascica all’inizio del video un Maccio Capatonda invecchiato e sul letto di morte) e qualche colpo di genio (si veda la trovata del rapimento di “Anna”, la moglie di Morandi, ormai anche lei figura mitologica della Rete). E ci sono le guest star (uno su tutti, Javier Zanetti).

Insomma, l’anno scorso Rovazzi sembrava destinato a essere spazzato via insieme alle foglie secche dell’autunno, invece non solo è sopravvissuto all’inverno, ma rischia di mettersi comodo in classifica anche per tutta l’estate. Pure senza trattore.