BITS-RECE: Anohni, Paradise EP. Un paradiso infernale

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
image002
A meno di un anno dalla pubblicazione di Hopelessness, il suo angoscioso album di debutto sotto il nome di Anohni, l’artista britannica non placa i suoi tormenti e completa il cerchio con Paradise, EP di sei tracce figlie legittime delle precedenti per testi e sonorità.
Un progetto dedicato al mondo femminile, come si può subito notare dalle immagini di copertina (che vanno poi a riempire le pagine interne del booklet dell’edizione fisica), in cui compaiono i volti – anzi, i “ritratti”” – delle eroine scelte da Anohni, oltre ad Anohni stessa, a cui si aggiungono i nomi di altre “combattenti” nella pagina dei ringraziamenti. Due su tutte, Shirin Neshat e Naomi Campbell.

Il mondo dovrebbe essere nelle mani di una donna, di questo Anohni è più che convinta, perché millenni di potere maschile hanno portato la Terra sull’orlo della rovina.
Se con Hopelessness la cantante si era scagliata con rabbia sulla società e la politica, andando a colpire anche un bersaglio di solito immune come Obama, qui il suo sentimento si fa ancora più disperato e la sua rabbia verso il genere umano ancora più collerica.
I brani raccontano di un mondo impregnato di dolore, tragedia, un paradiso ribaltato dalle angosce e privato di ogni senso di umanità; viene chiamata in causa la religione e le violenze perpetrate suo nome (Jesus Will Kill You), si dice che i nemici si annidano ovunque (You Are My Enemy) e nel brano di chiusura sembra profilarsi uno scenario apocalittico per tutta la Terra (She Doesn’t Mourn Her Loss).

Archiviati ormai i tempi di malinconia e idillio di Antony & The Johnsons, la voce di Anohni resta balsamica, confermandosi come una delle più indipendenti e disturbanti della scena internazionale, mentre i suoni oscillano tra l’inquietudine nera e sinfonica del pezzo di apertura, contorni quasi liturgici, fino a episodi volutamente ruvidi e cacofonici.
Là dove di solito il pop e l’elettronica si soffermano sulla bellezza e restano spesso in superficie, la musica di Anohni scava nella coscienza e si fa portatrice di denuncia e disillusione, nel nome di un femminismo che non resta confinato alla richiesta di parità tra i sessi, ma grida battaglia per la salvezza di tutti.

A completare il progetto, un settimo brano, I Never Stopped Loving You, non inserito nel disco e disponibile solo inviando alla stessa Anohni una mail (anohni@rebismusic.com) contenente “un cenno anonimo di fragilità, una frase o due che racconti ciò che vi sta più a cuore, o delle vostre speranze per il futuro”.

#MUSICANUOVA: Anohni, Paradise

Anche per questo nuovo video Anohni ha scelto in veste di avatar un’altra donna, la modella e artista Eliza Douglas, che “si muove attraverso riflessi di diverse immagini del paradiso, incluse immagini d’archivio del Paradise Garage” come dice il regista Colin Whitaker. 
Il brano, elettronico e violento, anticipa e dà il titolo all’EP Paradise, in uscita il 17 marzo, naturale compagno dell’album Hopelessness.
L’EP mira a scardinare l’idea che la musica popolare non possa essere politicizzata, concentrandosi in particolare sulla predominanza assunta da secoli dall’uomo sulla donna. Un’altra collisione tra musica elettronica e testi altamente politicizzati. 

Anohni: a marzo arriva Paradise EP

Dopo il dirompente esordio solista del 2016 con Hoplessness, Anohni torna con un nuovo, coraggioso progetto, Paradise, un EP di materiale inedito o già proposto dal vivo in cui ancora una volta i beat elettronici si mettono al servizio di testi dai forti messaggi sociali o politici.
image002
Protagonista sarà ora più che mai la figura della donna – come mostra già eloquentemente la cover -, da secoli sottomessa al potere maschile, ma adesso ancora più in pericolo dopo l’ascesa politica di Donald Trump.
Anohni si trova così al fianco delle tantissime militanti che in questi giorni stanno facendo sentire la propria voce, e riallacciandosi a Hopelessness, con Paradise tratteggia uno scenario fortemente distopico e intriso di orrore,  ma allo stesso tempo invita le “sorelle” alla lotta e auspica una nuova alba segnata dal potere femminile.
D’altronde, la figura femminile era già stata posta al centro in molti video che accompagnavano i brani di Hopelessness (qui il link).
Paradise arriverà il 17 marzo e sarà disponibile nei formati 10”, CD e DIG.
Tracklist:
1. In My Dreams
2. Paradise
3. Jesus Will Kill You
4. Enemy
5. Ricochet
6. She Doesn’t Mourn Her Loss
Nel frattempo, Anohni è stata nominata ai Brit Awards nella categoria Best British Female.

BITS-RECE: Anohni, Hopelessness. Il cambiamento, lo sconforto e la confusione

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
anhnoni_hopelessness
In copertina c’è un volto confuso, androgino, frutto di un mashup fotografico tra la faccia dell’artista e quella di Naomi Campbell. E le canzoni all’interno del disco sono esattamente così, confuse, ambigue, stridenti. Roba che se la musica tende a destra, i testi virano a sinistra e la voce parte dritta per il centro.
Elementi che presi singolarmente sarebbero anche molto apprezzabili, ma così combinati si strappano le vesti a vicenda.

C’era una volta Antony & The Johnsons, e mezzo mondo restò incantato dalla voce senza sesso di Antony Hegarty, di fatto unica anima del progetto. Con lui abbiamo imparato che anche gli angeli si commuovono, e che quando lo fanno esce una canzone come You Are My Sister. Poi lui è diventato lei – o meglio, lo era anche prima, solo che non aveva ancora fatto il passo di farsi riconoscere come donna anche in pubblico – ed ecco spuntare il nuovo progetto Anohni. Il disco di debutto si intitola Hopelessness, più o meno Mancanza di speranza.
Al cambio di identità si accompagna un cambio radicale di musica: le poesie tristi e crepuscolari lasciano spazio a testi durissimi, arrabbiati, disillusi, politicamente interessati: Anohni se la prende con il sistema malato, che porterà tutti alla rovina, e ne ha per tutti, dai droni a Obama, a cui è dedicato un pezzo che non è esattamente un elogio. Un mondo davvero senza speranza, a livelli ansiogeni e sconfortanti. Messaggi che se sono profondamente diversi da quelli cantati un tempo, sono sempre pronunciati dalla stessa voce impastata di miele e melassa, in un contrasto fin fastidioso: se anni fa la voce di Antony era un balsamo, quella di Anohni avresti quasi voglia di zittirla. L’apice è la nenia di Obama, dove il nome del presidente è ripetuto in modo così ossessivo e biascicato che l’istinto è passare alla tracciare successiva, o peggio schiacciare direttamente stop.
c
L’effetto abrasivo dell’album però non si ferma qui, ma arriva a coprire l’intero elemento musicale: non mi ricordo dove (o forse sì, ma non importa) ho letto che Hopelessness sarebbe una sorta di album dance con testi impegnati. Cioè, in pratica, secondo questa teoria, tra David Guetta e Robyn nelle vostre serate al club potrebbe capitarvi di sentir passare una canzone di Anohni. Oddio, le vie della provvidenza sono infinite, ma non so quali discoteche sarebbero disposte a far passare un brano che di ballabile ha ben poco: che siano suoni elettronici posso riconoscerlo (la base di Drone Bomb Me è da pelle d’oca!), ma che si possano definire addirittura dance, beh, un po’ meno. Quindi no, Hopelessness non è un disco di tormentoni tunz tunz con i testi intelligenti.

I messaggi li ha, e sono anche piuttosto chiari e coraggiosi (per tornare a Obama, conoscete qualcun altro che abbia criticato il presidente in modo così netto?), per il resto è il regno della confusione.

Si salva Crisis, nel suo crescendo empatico.

Se poi volete fare tutti i discorsi sul cambio di identità, sesso e genere musicale e considerare Hopelessness come la farfalla uscita dal bruco, fate pure: io di Anohni facevo anche a meno, Antony & The Johnsons mi andava benissimo, maschio o femmina che fosse. Così come non me ne faccio niente della raffinatissima produzione firmata da Hudson Mohawke e Onehtrix Point Never, sistematicamente osannata, se poi il risultato è un disco che per farsi ascoltare (e apprezzare) ha bisogno di un ascolto quasi scientifico.

Non sempre il cambiamento genera benefici.