Lady Gaga lancia il suo “Abracadabra”, ma l’incantesimo funziona?
In oltre 15 anni di carriera Lady Gaga ha dimostrato di essere un’artista decisamente poliedrica.
Ha fatto irruzione nel music biz con pezzi iper-radiofonici diventati classici del dancefloor; è entrata nel mondo del jazz mano nella mano con Tony Bennett; non ha mancato di fare l’occhiolino al rock duettando con Rolling Stones e Metallica; ha fatto valere il suo talento di compositrice più sofisticata tirando fuori ballatone di successo mondiale come Shallow e Die with a Smile; ha sporcato l’immaginario pop con un’estetica dirompente, eccessiva, talvolta volutamente di cattivo gusto (ce lo ricordiamo il meat dress del 2010?). Non da ultimo, si è fatta valere davanti alla macchina da presa con convincenti prove da attrice.
Insomma, quando si parla di Lady Gaga si sta parlando di una fuoriclasse. E dai fuoriclasse ci si aspetta che il livello dell’asticella venga portato ogni volta un po’ più su.

Nei giorni scorsi, Gaga ha finalmente annunciato titolo e data d’uscita del suo nuovo album, il settimo: il progetto si intitola MAYHEM (“caos”) e arriverà il 7 marzo. Stefani Germanotta lo ha presentato con queste parole: “L’album è nato dal mio timore di tornare alla musica pop che i miei primi fan amavano”.
E in effetti, ok l’amore per il jazz, ok i lenti al pianoforte, ok darsi al cinema, ma una buona fetta di little monsters della prima ora non aspettava altro che ritrovare la Gaga “brutta, sporca e cattiva” delle ere passate, The Fame Monster e Born this Way su tutte.
Tenendo da parte Die with a Smile, incluso nella tracklist del nuovo album solo in un secondo momento, probabilmente per il riscontro positivo oltre ogni aspettativa da parte del pubblico, ad anticipare MAYHEM sono stati i singoli Disease, pubblicato a ottobre, e Abracadabra, uscito in concomitanza con la cerimonia di consegna dei Grammy.
Due brani pop decisamente dark e dal mood malato, come lo furono all’epoca Bad Romance e Alejandro, e che sembrano trovare il giusto spazio nella cornice del nuovo album, il cui processo creativo è stato descritto come “riassemblare uno specchio in frantumi: anche se non riesci a rimettere insieme i pezzi alla perfezione, puoi creare qualcosa di bello e integro a modo suo”.
Un ritorno alle origini quindi, come i fan speravano, con un’inversione a U rispetto al country-pop di Joanne, alla dance di Chromatica e al soft rock di A Star is Born, per ritrovare i synth e l’elettronica ruvida dei primordi.
Già, ma siamo sicuri che sia la mossa giusta e che sia proprio questo che i fan chiedevano?
Perché confesso che più lo ascolto, più il nuovo singolo mi lascia perplesso e non mi fa ben sperare per quello che ci aspetta.
Per quanto radiofonico e potenzialmente virale, Abracadabra suona come un rimpasto di diverse cose già proposte in passato: ricorda un po’ Bad Romance (là c’era l’iconico Ra, ra, ah-ah-ah / Roma, roma-ma / Gaga, ooh, la, la qui c’è il meno efficace Abracadabra, amor-oo-na-na / Abracadabra, morta-ooh-ga-ga / Abracadabra, abra-oo-na-na, che ha sì un senso all’interno del brano, ma è davvero troppo complicato da decifrare), un po’ Government Hooker, magnifico tesoro nascosto della discografia gaghiana in omaggio agli anni ’80, un po’ tanto Venus, singolo presente in ARTPOP, forse l’album più incompreso e sottovalutato di Gaga.
Se in passato quei suoni e quell’abitudine nel costruire i ritornelli con le sillabe quasi balbettate (“po po po poker face”, “papa paparazzi”, “Ale Alejandro Ale Alejandro”, “Judas Juda-as, Judas Juda-as”) apparivano freschi ed erano come un marchio di fabbrica, oggi risultano stanchi e vuoti. Un lavoro di maniera, più che di autentica ispirazione.
L’impressione è che stavolta Mother Monster abbia messo da parte la sua solita versatilità e la sua vena creativa per adagiarsi troppo comodamente sulla confort zone.
Anziché essere un oscuro sortilegio pop, Abracadabra risulta la versione pigra dei successi degli anni addietro e Lady Gaga sta forse ripetendo lo stesso errore che fece nel 2011 con Judas, un pezzo che non a torto venne presto ribattezzato da alcuni maligni come “Bad Romance 2.0”.
La storia della musica è abbastanza lunga per dimostrare che in genere questi escamotage non si rivelano vincenti, a parte fortunate eccezioni.
Chiedetelo per esempio a Katy Perry, reduce dal fallimento – perché di questo si tratta – dell’album 143, ricordo sbiadito e insipido della sua golden age.
E anche per quanto riguarda il video, il pensiero corre a cose già viste più di 10 anni fa.
Arrivata al settimo album, Lady Gaga rischia di dare al pubblico un contentino per placare la fame dei fan, e non un disco che dimostri quanto è cresciuta.
Giusto per fare un paragone, il settimo album di Madonna, la matriarca del pop, a cui Gaga resterà per sempre legata da un invisibile filo spinato, fu Ray of Light, un capolavoro di ricerca e sperimentalismo. Tutto ciò che Disease e Abracadabra non sono.
Non mi è del tutto chiaro poi se Germanotta abbia parlato di “timore di tornare alla musica pop” perché la sua intenzione era di prendere un’altra strada, ma ha cambiato i piani per assecondare i fan, o perché temeva che tornando al pop avrebbe proprio rischiato di ripetersi. O forse sono tutte e due le cose insieme.
Da fan, voglio tanto bene a Lady Gaga, ma per la prima volta ho paura che il suo imminente ritorno segnerà un passo indietro.
Spero in una magia, abracadabra…