La “canzone sbagliata” di Danti, Luca Carboni e Shade


Arriva il 3 aprile Canzone sbagliata, il nuovo singolo firmato dall’inedito trio Danti, Luca Carboni & Shade.

Un gustoso pezzo pop all’insegna della leggerezza e dell’ironia, costruito su riferimenti alla musica italiana e internazionale e abbinamenti improbabili, dalle “mani piccole come Morandi”, al “mitra in mano come Gandhi”, “le braccia forti come i delfini”, fino ai “baffetti come Mussolini”, correndo “a quattro zampe come un pollo”.

“Cantare insieme a Luca è stato davvero un grande regalo, ed è un piacere tornare a collaborare con Shade. Per quanto riguarda Luca, se vi dico che il brano che ho ascoltato di più nel 2019 è stato Fragole buone buone? Appena abbiamo registrato il brano ho capito che era la persona giusta per la canzone sbagliata!”, ha commentato Danti,

Questa le parole di Luca Carboni: “In questo strano e difficile momento è stato davvero liberatorio cantare con Danti e gli altri amici questa canzone…sbagliata. Consapevole che in fondo non c’è niente di sbagliato se questa montagna di errori vi porterà a cantare e sorridere come abbiamo fatto noi”.
Shade aggiunge: “Ci siamo divertiti a sbagliare, perché fare sempre tutto giusto sarebbe monotono, no? Non c’è una formula magica per fare le hit ma sicuramente un ingrediente che aiuta è il divertimento, e quello in studio con Danti non manca mai!”

 

Foto di pura gioia: trent'anni di Afterhours tra vecchie fotografie e una rivoluzione

Le ultime notizie che si avevano degli Afterhours risalivano alla primavera dell’anno scorso, con la pubblicazione di Folfiri o folfox, uno dei capitoli più oscuri e funerei della loro lunga carriera. Manuel Agnelli doveva ancora metabolizzare la scomparsa del padre e il disco trovava nella morte uno dei suoi cardini principali.
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A distanza di un anno, l’atmosfera è decisamente cambiata. Nel frattempo Agnelli è entrato nella cultura pop sedendo alla scrivania dei giudici di X Factor, ma soprattutto quest’anno la band festeggia il trentesimo anniversario di attività.
Era infatti l’87 quando il gruppo ha fatto il suo esordio sulle scene, in un’epoca che, musicalmente e storicamente parlando, aveva tutto il sapore della rivoluzione.
“Sembrava davvero che il mondo stesse cambiando: era l’epoca di mani pulite, il muro di Berlino stava per cadere, l’URSS si stava disgregando, e i Nirvana erano in cima alle classifiche, quasi impensabile oggi, era il periodo del grunge”, ricorda il leader del gruppo.
In questo clima di rivoluzione gli Afterhours ci si sono buttati a capofitto, ponendosi come gli esponenti di una nuova era del rock italiano: si parlava di scena indie, quella da cui sarebbero venuti fuori anche i Marlene Kuntz, c’era la scena alternativa, c’era un fermento potente, ed era italiano. Tra le pietre miliari della loro carriera, l’album Hai paura del buio?, targato 1997 e riconosciuto come uno dei capolavori della musica italiana: è lì dentro Sui giovani d’oggi ci scatarro su, divenuto un brano simbolo dello spirito di quegli anni.
In questi trent’anni gli Afterhours sono cambiati, nella musica e nella formazione, per esempio assoldando negli ultimi anni uno come Rodrigo D’Erasmo o passando a un certo punto – dall’album Germi, nel 1995 – dall’inglese all’italiano: “Non ho mai avuto la spinta a cantare in italiano per una ragione artistica, anche se tutti intorno a me insistevano. Però ci siamo accorti che c’era un pubblico che stava crescendo con noi e con il quale dovevamo iniziare a comunicare direttamente, e non potevamo continuare a farlo attraverso l’inglese. Per un periodo siamo andati a suonare anche negli Stati Uniti e potevamo avere la possibilità di sfondare, ma per avere successo negli USA devi stare là, non puoi viverli da lontano, e questo avrebbe comportato un trasferimento quasi definitivo. Il fatto di non aver aver avuto successo in America però ci ha permesso di crescere qui in Italia, diventando parte di un momento. Se fossimo cresciuti in America, lo avremmo fatto forse poi in fretta e con più mezzi a disposizione, ma non avremmo rappresentato nulla né qui né là”, afferma Agnelli.
 

L’occasione di celebrare degnamente questi primi trent’anni è arrivata dopo un incendio che ha distrutto l’edificio in cui la band aveva lo studio di registrazione, dal quale sono stati miracolosamente recuperati tutti i materiali accumulati negli anni: “Le fiamme sono arrivare fino alle pareti esterne, ma non sono entrate e neppure il calore ha rovinato i nastri dei vecchi materiali. Nel recuperarli abbiamo trovato tantissime registrazioni di cui non ci ricordavamo, molte demo, e anche qualche inedito. I trent’anni del gruppo sono stati il momento giusto per pubblicare una parte di queste rarità, insieme ai successi che il pubblico ha conosciuto: una raccolta per chi non conosce gli Afterhours, ma destinata anche a chi li conosce già ma non ha mai ascoltato le prime versioni di alcuni brani, molto più pazze di quelle finite sugli album.”
La raccolta, mastodontica, si intitola Foto di pura gioia, e prende nome dalle prime parole di Quello che non c’è: si compone di quattro dischi, di cui tre di Best of e uno di rarità, e a parte le demo, tra i 76 brani non ha al suo interno inediti. Nella versione deluxe anche un libro con foto e interviste.
“Questi trent’anni sono stati un po’ un mattone, come questo cofanetto – scherza Agnelli -, ma realizzarlo serviva prima di tutto a noi per razionalizzare, per capire che quelle cose le abbiamo davvero fatte. Avevamo pronto del materiale inedito, ma non aveva senso buttarlo qui dentro, sarebbe andato perso. Per promuovere il progetto serviva un brano rappresentativo, e Bianca è sembrata la scelta giusta. Dopo averla suonata in studio nella nuova versione abbiamo pensato che per completarla servisse una donna, una come Carmen Consoli. È una personalità forte, un’artista dotata di una voce antica, di quelle cioè che riconosci subito; anche lei ha esordito negli anni ’90 e ha una matrice rock in comune con noi. Abbiamo fatto percorsi paralleli, ma non ci eravamo mai incontrati”.
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Ispirata a quegli stessi versi di Quello che non c’è è anche la foto in copertina, che ritrae Manuel bambino: “È stata scattata ad Abbiategrasso, davanti alla casa dove abitavo. La pistola che ho in mano è un regalo che mio padre mi ha portato da uno dei suoi viaggi in Africa, penso l’abbia presa in aeroporto ricordandosi del mio amore per i western. È una foto che mi fa pensare alle mie radici, e per questo è molto importante. Ho letto che Springsteen quando aveva un momento di crisi prendeva la macchina e guidava fino a casa di suo padre, faceva qualche giro intorno e poi tornava indietro. È una cosa che facevo anch’io, perché mi aiutava a ricordare che la mia storia era anche altro rispetto a quei momenti, era iniziata altrove”.

Il 10 aprile 2018 gli Afterhours approderanno al Forum di Assago per una data live celebrativa del trentennale: “Sarà un concerto più che uno spettacolo, e di sicuro durerà almeno tre ore, perché vogliamo riproporre il più possibile. Recentemente ho assistito al concerto di Nick Cave, proprio al Forum, ed è stato forse uno dei più belli che abbia visto: scenografia ridotta al minimo, luci sul pubblico e gli spettatori in un silenzio quasi liturgico. Si è creato un contatto vero tra l’artista e gli spettatori, cosa che oggi capita raramente”. Continua Agnelli: “Oggi se non riempi gli stadi, se non suoni a Wembley non sei nessuno, tutto ruota sui numeri e sulla visibilità: ecco, anche noi ad aprile potremo vantarci di aver suonato in un palazzetto e non soffriremo più di inferiorità verso gli altri gruppi”, dice con un tono ironico.
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Ma oggi, dopo trent’anni, dopo essere usciti vivi (“ma un po’ malconci”) dagli anni ’90, quel profumo di rivoluzione si sente ancora nell’aria? “No, non c’è più, ma semplicemente perché oggi alla musica non viene più chiesto di essere rivoluzionaria, ma solo intrattenimento”, dichiara Rodrigo D’Erasmo. “La colpa però è anche un po’ nostra, perché non abbiamo saputo trasmettere niente alla nuova generazione: noi abbiamo imparato l’arte dell’autoproduzione, dell’autodeterminazione, della controcultura, del concepire la musica come una professione, ma cosa abbiamo insegnato a chi è venuto dopo? Non nascondo di essere rimasto un po’ male quando mi sono accorto che per il pubblico di X Factor io non ero nessuno, se non un cinquantenne con i capelli lunghi, ma mi ha fatto bene, perché mi ha costretto a rimettermi in gioco. Per una nuova rivoluzione ci vorrebbe qualcosa come il punk, qualcosa che dia una scossa e che abbia una forza propulsiva, ma oggi c’è in giro qualcosa di simile? L’unico genere che potrebbe rappresentare una rivoluzione è la trap, ma non ha la stessa spinta del punk, è molto più passiva. Oggi si preferisce aspettare che la rivoluzione venga fatta da altri, non c’è la rabbia di volerla scatenare. E sì, è un po’ anche colpa nostra”.

#NUOVAMUSICA: Gabry Ponte feat. Danti, Che ne sanno i 2000

Da Fiorello a Battisti, dal Festivalbar a Bim Bum Bam, pcassando per i Nirvana, il Game Boy fino a Blue Da ba dee.
Con ironia – ma forse in fondo neanche tanta – Gabry Ponte (proprio uno dei tre di Blue Da ba dee) ha rispolverato le icone degli anni ’90 e ci ha messo sotto una base dance arruolando Danti alla voce.
E’ nata così Che ne sanno i 2000, un “pezzone” dance dedicato a quella mitica decade che tanto ha lasciato nel cuore e nella memoria di chi l’ha vissuta.
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… con buona pace dei pischelli figli del 2000 che si sono persi anni meravigliosi….

A fare da testimoni del passaggio generazionale, nel video fanno la loro comparsa alcune delle ultime icone web, Rovazzi e i Mates.

Ma fra 10 anni qualcuno si ricorderà di loro? Noi di Uan ci ricordiamo ancora adesso.

I Discoverland rivisitano 8 classici in Drugstore

“Drugstore è un ipermercato di elementi musicali, sconvolto da un tornado: ogni parte ha perso la sua funzione e la sua collocazione, ne ha acquisite di nuove. Nulla è al suo posto, ma tutto è terribilmente affascinante.”

Così i Discoverland (progetto dietro a cui si celano Roberto Angelini e Pier Cortese) definiscono il loro ultimo album, Drugstore appunto, una raccolta di 8 classici della musica internazionale (e un inedito) completamente stravolti e riarrangiati alla discoverland-maniera. In pratica, 8 nuovi pezzi.

Si parte con I Still Haven’t Found What I’m Looking For degli U2, fingerstyle sulla chitarra, banjo, ukulele e pedasteel, voci che si rincorrono e si armonizzano e sul finale, un tocco di Somebody to love dei Queen.

Lucy in the Sky with Diamonds dei Beatles invece ha il suono del banjo, mentre The Drugs Don’t Work, meravigliosa ballad dei Verve, diventa una canzone da club. Suoni sintetici, corde e legni di chitarra, voci lavorate all’estremo, ritmica elettro. Impossibile non ballare.

Stayin’ Alive dei Bee Gees è il pezzo scelto lo scorso anno per anticipare il progetto al pubblico.

Arriva poi La cura di Battiato: l’idea di base è stata tradurre l’enfasi orchestrale nel suono in levare.

L’isola che non c’è di Bennato è passata dalla celebre melodia in maggiore a una in minore, acquistando tutto un altro sapore, sempre in un abilissimo gioco musicale.

All Apologies dei Nirvana è riproposta in versione “mantra”: campionamento di tablas e sitar dei Beatles, un bordone di digiridoo, una lapsteel che evoca suoni indiani, un arpeggio newage e un fischio in lontananza. In aggiunta, una bella dose di elettronica psichedelica.

Segue quindi l’inedito Il pusher, mentre il disco si chiude con Killing In The Name dei Rage Against The Machine, classico rock anni ‘90… destrutturato. Un riff leggendario di chitarra elettrica diventa uno sciancato giro di Banjo. Il finale, concitato e citato, riprende al centro un classico del cinema, Rocky Horror Picture Show.

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Il progetto Discoverland nasce nel 2011 da Pier Cortese e Roberto Angelini.
L’idea è quella di rileggere in un’ottica particolarmente originale brani di artisti che hanno fatto la storia.
Il primo capitolo del progetto, Discoverland esce nel 2012: sviluppa mescolanze suggestive e surreali, come quella tra Bjork e I Kings of Convenience o Ben Harper e Fabrizio De Andrè. Unisce fantasia, ricerca e paradosso, giocando con le strutture, le ambientazioni e i mondi sonori.