Movement Croatia: dal 28 luglio al 1 agosto il meglio dell’elettronica suona a Tisno

Cinque giorni di grande musica elettronica in una location da sogno: impossibile?? NO!
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E’ Movement Croatia Summer Festival 2016: dal 28 luglio al 1 agosto Tisno, in Crozia, ospiterà uno dei più grandi festival di musica in Europa.
A promuovere l’evento è Movement Europe, già alla guida di Movement Torino Music Festival e Kappa FuturFestival presentano, in collaborazione con The Garden Resort. 
Per la prima volta il festival si svolgerà in un nuovo formato diurno e notturno, dopo la club edition della scorsa stagione.

Nelle cinque giornate dell’evento si alternerà il meglio della scena internazionale, con nomi come Sven Väth, Nina Kraviz, Ben Klock, Dave Clarke, Derrick May, Marcel Dettmann, Solomun, David Morales.
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Movement Croatia si dividerà in due location principali:

The Garden Resort sarà la sede degli eventi diurni. Locato in una fantastica cornice naturale, immersa nel verde, con baia privata e un incredibile bar sulla spiaggia, così vicino al mare che sembrerà di ballarci dentro : 3 palchi e 2 boat party giornalieri. Il palco principale si trova poco più indietro in una location immersa nella natura, intima ed emozionante. Accanto all’ombra degli alberi l’Olive Grove stage.

Barbarella’s Discotheque ospiterà invece gli after party notturni: una delle più belle discoteche della Croazia, totalmente all’aperto e recentemente menzionata da DJ MAG al 39esimo posto nella classifica dei migliori club al mondo.
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I biglietti e i pacchetti ticket+hotel sono disponibili sul sito www.movement.hr.

BITS-RECE: Jean-Michel Jarre, Electronica 2: The Heart Of Noise

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Come aveva fatto lo scorso anno il Gran Maestro della dance Giorgio Moroder, per il suo ultimo progetto anche Jean-Michel Jarre, il sovrano dell’elettronica, si è avvalso di un vero e proprio esercito di ospiti che ha inserito in Electronica, un album spalmato in due volume pubblicati ad alcuni mesi di distanza uno dall’altro.

E se grande accoglienza era stata riservata a The Time Machine, con altrettante aspettative si attendeva la seconda parte del lavoro, The Heart Of Noise.
A far da guida all’album, la relazione tra l’uomo e la tecnologia.
The Heart of Noise è un tributo a Luigi Russolo, il compositore che già nel 1913 predisse l’avvento del sintetizzatore e intuì che l’elettronica e le altre tecnologie avrebbero consentito ai musicisti di “sostituire alla limitata varietà dei timbri degl’istrumenti che l’orchestra possiede oggi, l’infinita varietà di timbri dei rumori, riprodotti con appositi meccanismi”. 

Quello che Jarre ci offre, dopo la già ottima prova d Electronica 1, è un lungo viaggio sonoro zeppo di stimoli e sensazioni, magistralmente create dalle “macchine” elettriche, su cui appoggiano le loro voci ospiti più che illustri, tra cui i Pet Shop Boys, i Primal Scream, Gary Numan, Jeff Mills, Peaches, Hans Zimmer e Cyndi Lauper. Una parata di stelle che appaiono come comete nel cosmo lisergico e abbagliante modellato da Monsieur Jarre.

Tra gli episodi di più forte impatto, la melanconica Brick England, insieme ai Pet Shop Boys e Swipe To The Right con Cyndi Lauper.
Ma c’è poi un ospite che rende ancora più prezioso questo album e ancora più forte il suo messaggio: Edward Snowden, l’ex tecnico della CIA che con le sue rivelazioni ha dato il via al Datagate, lo scandalo sulla sorveglianza di massa messa in atto da alcuni governi all’insaputa dei cittadini, denunciando così l’abuso della tecnologia.
Jarre ha preso la sua voce l’ha piazzata sui veli elettronici di Exit.

Ecco il punto di snodo, la differenza tra un DJ qualunque e uno che dai synth sa tirare fuori musica che pulsa e che parla.

Electronica non è un album di musica elettronica.
Electronica
è un progetto di Jean Michel Jarre.
E c’è una bella differenza.

#NUOVAMUSICA: Christaux, A Minute To Now

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Il nuovo progetto di Clod degli Iori’s Eyes si chiama Christaux e A Minute To Now è il primo singolo con cui si presenta al pubblico nella sua nuova incarnazione.

Un brano epico e oscuro, ma allo stesso tempo pop,”imponente, a livello sonoro e d’immagine, e anche molto sincero, diretto, è esattamente come mi sento io. La mia musica è l’immagine più reale che riesco ad avere e a dare di me stesso. Per questo disco ho lavorato sul concetto di icona—intesa come icona sacra. Per esempio, l’artwork del singolo è il mio mezzo busto ricostruito in 3D da Francesco D’Abbraccio (Studio Frames). Ci sono io come succede per gran parte dei dischi pop, ma sono decontestualizzato.”

Il brano, prodotto da Mario Conte – già al lavoro con Colapesce, Meg e Antico – fa parte di un EP che uscirà dopo l’estate.

BITS-RECE: Makai, Hands. Il suono del naufragio

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Il progetto Makai prende vita nel 2000 ed è un “processo in divenire, in bilico tra l’elettronica nordica e il songwriting più intimista e mediterraneo”. Così lo definisce Dario Tatoli, l’anima creativa che vi si cela dietro.

Ora, a 16 anni dalla nascita, arriva Hands, il primo EP, cinque tracce che sicuramente molto hanno di nordico, umido, nebbioso ed elettronico, mentre un po’ di fatica si fa nel trovare la componente “mediterranea” della scrittura.
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Senza dubbio, Hands è un disco notturno, che sembra essere stato concepito nelle ore più scure del giorno, perché si muove in una notte nera, e in piena tempesta. Sì, in piena tempesta in mare aperto: Hands ha in sé il suono del naufragio, il gorgoglio dei flutti, l umore della superficie d’acqua rotta dal vento e dalla pioggia.
L’elettronica di Hands, a partire dalla title track, per proseguire con Last Days, Missed e Sofia è inquieta, graffiata, talvolta soffocata, quasi provenisse dal fondo dell’abisso a turbare le linee melodiche della voce, limpide ed eteree. L’unico momento di quiete lo si trova in Summer, tutt’altro che un brano solare, ma almeno (vagamente) onirico, uno squarcio di stelle in questo cielo plumbeo.

Una valida prova d’esordio per un progetto a cui forse manca ancora un tratto veramente caratterizzante.

BITS-RECE: Mænifesto, Veni, Vidi, Vici. Quando Caligola sale in consolle

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Ci sono almeno tre grandi motivi per cui Veni, Vidi, Vici è un progetto a cui vale la pena riservare un po’ di attenzione.
Il primo è il suo carattere assolutamente fuori dagli schemi, frutto dell’ingenio del suo creatore, dietro a cui si cela Augustus Gregorio Rossi, che ha dato vita a un album d’esordio coraggioso, ambizioso, totalmente libero e che in nulla cerca di strizzarvi l’occhio.

Il secondo è la stridente commistione dei suoi elementi, vale a dire l’antica Roma da una parte e i suoni della techno dall’altra. Partendo infatti dalla grande storia della prima età imperiale, il nostro Augustus – e il nome già dice molto da solo – ci ha ricostruito sopra un mondo di suoni moderni, per non dire contemporanei. Non è certo la prima volta che un musicista si rifa all’antichità per trasportarla nel presente, in quella che di solito si definisce “contaminazione”. Di solito però ci si limitava a dare un tocco evocativo e misticheggiante agli antichi racconti, aggiungendoci semmai qualche tocco dark ed esoterico per insaporire la salsa. Pochissime volte però mi è capitato di assistere a un risultato simile a quello di Veni Vidi Vici, dove l’ispirazione iniziale viene bruscamente ribaltata, fatta filtrare attraverso una lente che la distorce, la smembra, la immerge in un acido compositivo allucinato, psichedelico, folle. Augustus Gregorio va a pescare nella Roma affaticata che usciva dalle guerre civili e si preparava a veder nascere l’impero – alla fine del I secolo a.C. – fino al governo dispotico di Caligola. Ne interpreta la crisi, le paure, gli squilibri sociali e politici: non è certo la Roma della gloria, dei trionfi e degli onori quella che si ascolta qui dentro. Semmai, è il regno del caos, scende una fitta caligine fatta di synth e di bit convulsi, tutto è soffocante, l’atmosfera è claustrofobica, in niente accomodante.
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Per ammissione dello stesso Augustus, l’idea per costruire l’album è arrivata osservando la situazione di grande incertezza che ormai da anni invade le nuove generazioni, un futuro nebbioso, che non lascia speranze, ma che anzi annulla ogni sforzo di specializzazione professionale: tutti problemi che lui stesso ha vissuto sulla propria pelle, anche quando si trattava di mettere insieme una band. Problemi, difficoltà, ostacoli, quasi sempre di natura economica. Eppure l’album si intitola Veni, Vidi, Vici, come una delle più celebri affermazioni che la storia attribuisce a Cesare: una frase lapidaria, a indicare un successo fulmineo, veloce, netto. È la speranza. La convinzione che tutto possa tornare a essere possibile.
Proprio come due millenni fa l’eterna Roma superò le follie divinizzanti di Caligola. E poco dopo i deliri onnipotenti di Nerone. La storia funziona per cicli, ce lo hanno insegnato.
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Il terzo motivo è la diretta conseguenza di tutto quello che ho cercato di dire fin qui: un progetto d’esordio, nato in totale libertà, e quindi indipendenza, e quindi figlio della perseveranza, ma che manifesta una forza così dirompente, merita almeno uno sguardo.
“Oderint dum metuant”, “Mi odino, purché mi temano”, pare abbia detto Caligola. E qui dentro quella paura suona vivissima.
L’unico rammarico è che tra i nove capitoli dell’album – rigorosamente numerati in romanico – manchi il tassello di Nerone: mi sarebbe piaciuto sentire il suono che Augustus avrebbe dato al grande incendio di Roma.

Immagino che la storia romana non ve l’abbiano mai fatta studiare in questo modo…