La “Tenerezza” della rabbia secondo Amalfitano e Bianconi

Cosa ci fa litigare, odiare, dare di matto, dire cattiverie anche se ci si vuole bene?
Spesso è qualcosa che va oltre i singoli episodi della vita, qualcosa che non può essere spiegato tramite la psicanalisi, il carattere o l’oroscopo.
Qualcosa che non capisci anche se provi a risalire alle cause.

Quanta tenerezza fa l’essere umano quando si trova in una situazione del genere? Mentre litiga e odia, con la consapevolezza che – in realtà – ci si vuole bene.

Mentre si avvicina sempre di più il 22 marzo, data di uscita del suo nuovo album, dopo il primo, folgorante incontro in Fosforo, Amalfitano fa nuovamente coppia con Francesco Bianconi per il singolo Tenerezza.

 

“Orchestra di silenzi”, l’urgenza di scrittura di Pugni

Ho capito chi sono veramente quando ho smesso di raccontarmi per quello che credevo di essere.
Orchestra di silenzi è un invito ad abbandonare l’immagine che abbiamo di noi stessi per aprirci al cambiamento, alla trasformazione e all’evoluzione. Nasciamo partendo da un nucleo meraviglioso e fragile, cresciamo aggiungendo strati protettivi che, nel tempo, si induriscono come roccia.
È anche un invito al maschio, figlio sano del patriarcato (di cui mi sento pienamente parte), ad abbandonare l’immaginario dell’uomo forte, stabile, a cui non è concesso aprirsi troppo perché fuori luogo, fuori ruolo.

Orchestra di silenzi è il singolo d’esordio di Pugni.
gni nota è intenzionale, ogni parola ponderata. Gli echi grunge si intrecciano con il pop in un modo che va oltre la mera fusione di suoni, ma piuttosto si trasforma in un’esperienza narrativa. Le liriche sono dense di significato, mentre la struttura e la voce si svelano come un viaggio emozionale nella rabbia e nella bellezza, sfidando le convenzioni e portando avanti il concetto di autenticità nella musica pop contemporanea.

Il singolo, che anticipa l’album d’esordio dell’artista previsto per ottobre 2024, esce non a caso l’8 marzo.
Racconta il cantautore: “La piaga della violenza sulle donne è spesso uno specchio della violenza, fisica e psicologica, a cui sono stati sottoposti gli uomini durante la crescita. Il patriarcato esercita sul maschio una pressione insostenibile che rischia troppo spesso di esplodere in rabbia e violenza. C’è sicuramente necessità di denunciare, ma anche di rieducare, comprendere e curare.
In questo giorno così importante, faccio la mia piccolissima parte dicendo che non è possibile curarsi guardandosi allo specchio. Il “ce la faccio da solo” è l’ennesimo tentativo di mantenere un’immagine di sé costruita su principi vecchi e malati.
Puoi smettere di orchestrare i tuoi mostri nascondendoti e rimanendo in silenzio. Non c’è da
vergognarsi. Parlane, confrontati, fatti aiutare. Non sarai meno uomo per questo.
Questa incapacità di trattare le emozioni porta alla necessità di nasconderle nei cessi delle feste e dei concerti, dove le droghe abbondano come sedativi e diversivi alla libera espressione di sé.
Dentro questo pezzo c’è anche il significato del mio nome d’arte: Pugni, oltre ad essere un gioco di parole col mio cognome, è il ricordo di un periodo in cui la rabbia e l’aggressività mi impedivano di cogliere la complessità e la bellezza di tutti i vari colori emotivi che non mi permettevo di usare per dipingere i miei giorni.
Questo pezzo è nato in studio, di pari passo con la produzione. Assieme a Kendo abbiamo cercato di esprimere una sensazione di liberazione, come una corsa in riva al mare dopo essere stati incarcerati per anni.
È probabilmente il mio pezzo preferito, quello che mi fa urlare fuori i blocchi emotivi.

 

Lorenzo Pagni, in arte Pugni, nasce a Pisa il 19/06/1993.
Si avvicina allo studio della musica a 11 anni, suonando la batteria come primo strumento, che nel corso degli anni sostituisce con la chitarra per poter avere più possibilità espressive, ma per anni la sue principale attività è lo sport. Passa le giornate in canoa, sorretto dall’acqua e circondato dagli alberi del suo caro fiume Arno, ripetendo e affinando lo stesso gesto milioni di volte.
La musica rimane sempre con lui, ma è una cosa troppo bella che non riesce a concedersi totalmente. Col tempo, però, si accorge di quanto sia ampio il divario tra i suoi desideri e le sue azioni quotidiane.
Le sue canzoni rimangono segretamente nascoste in camera sua per anni, nel frattempo Pugni inizia a lavorare nei locali notturni come barman, musicista e dj e recupera la mondanità e il divertimento perso durante l’adolescenza, forse pure troppo.
Nel 2020 saluta il fiume, il mare e i pescatori per spostarsi a Torino.
È qua che Pugni inizia a esprimersi per quello che è.
L’incontro con Danny Bronzini (Jovanotti, Willie Peyote, Venerus), suo concittadino trasferitosi a Torino, è determinante nel proprio percorso di crescita artistica e nell’adozione di una visione matura del processo creativo.
Parallelamente all’attività di musicista, Lorenzo si laurea in psicologia e inizia a lavorare come psicologo in una clinica psichiatrica, dove ascolta storie di vita al limite del credibile.
La complessità delle persone che incontra gli fornisce il materiale emotivo per scrivere, che diventa non solo una necessità espressiva, ma un vero e proprio strumento terapeutico con cui poter esorcizzare il dolore.

“Vorrei”, l’antidoto ai rimorsi di Samuspina

Manifesto di un ventenne immerso in un mare di dubbi, alla ricerca di una serenità capace di placare il caos dei pensieri che lo assillano, Vorrei è il viaggio verso un porto sicuro, un percorso interiore che sembra finalmente trovare una risoluzione attraverso le note di questa canzone.

Con un ritmo serrato, sonorità dreamy e avvolgenti, Samuspina affida ancora una volta alla musica, desideri, pensieri, sogni e speranze di un’intera generazione, quella che non vuole più aspettare di sentirsi pronta, ma vivere pienamente e agire senza perdersi nei meandri dei propri complessi.

Un invito a saper riconoscere e fissare il proprio sguardo negli occhi della persona da cui tornare, qualsiasi cosa accada.

Se mi fossi
guardato meglio
se avessi aperto gli occhi
solo per vedere cosa c’è fuori
guardarti meglio e dirti non siamo soli ma
se fossi stato più forte della guerra e dei soldi
solo per dirti c’è dell’altro la fuori
un milione di ragioni
ma tu non le noti
ma

Se avessi il doppio del coraggio e la metà dei complessi
verrei da te
solo per dirti una cosa
solo per dirti che

Vorrei fare casino senza fare rumore
una canzone senza sapere le note
fare l’amore senza fare le prove

Ma vorrei
fare la pace senza usare pistole
gridare ti amo senza usare la voce
andare piano si ma fare veloce
con te

Gli avanzi dell’amore in “Due morsi” di Michelangelo Vood

Due morsiDove sei mi hai lasciato a metàMi scordiTra gli avanzi di 2 giorni faE non è cambiato nienteTi spogliDue morsiE te ne vai
Giocavamo a non ridere e tu non vincevi maiTi ho cercato per tutta la notte fino alle sei
Sotto la luna na na naCantare prova sa sa saCi provo a non amarti, anziA non vederti mai

«L’atmosfera sospesa di Due morsi riflette gli strascichi di un amore finito, ma che fatica a tramontare nell’animo di chi l’ha vissuto. Il sentimento di abbandono si fa strada nel protagonista, sale la delusione di esser stato lasciato “come gli avanzi di 2 giorni fa”.

Lo sconforto si trasforma in una preghiera, in una disperata fuga notturna alla ricerca dell’altra persona. Ma lì fuori non c’è nessuno, solo la Luna a farci compagnia», racconta Michelangelo Vood.

«É il secondo singolo tratto dal disco, è un’altra tessera del puzzle che ci condurrà al mio primo lavoro discografico. Con una sfumatura di romanticismo diversa rispetto al precedente singolo 2000 anni, questo è un brano che si muove in un contesto urbano costellato di immagini vivide e quotidiane, vicine alle esperienze vissute da ognuno di noi».

Michelangelo Vood, nome d’arte di Michelangelo Paolino, è un cantautore originario della Basilicata. Vood non è solo il cognome della madre, alla quale egli dedica il suo percorso artistico, ma anche un richiamo alla parola “wood” (bosco), omaggio alla natura selvaggia e incontaminata della sua terra.

Dopo aver preso parte ad alcuni dei principali festival italiani nell’estate 2023, Michelangelo Vood è al lavoro sul suo primo disco di inediti in uscita nel 2024.

“In Italia 2024”: Fabri Fibra rivisita il suo brano-manifesto

Ci sono brani che hanno un destino segnato fin dall’inizio, e a cui il tempo regala il privilegio di crescere e diventare manifesti generazionali.

Era il 2008 quando Fabri Fibra – in occasione della reissue del suo quarto album, “Bugiardo” – pubblicava In Italia: un brano diretto e affilato, una critica senza sconti al “paese delle mezze verità”.

Non erano ancora gli anni in cui i rapper affollavano le radio e le classifiche: gli esponenti del genere che riuscivano a farsi spazio sulla scena mainstream erano casi isolati.
Oggi, 17 anni dopo, le cose sono radicalmente cambiate nel panorama musicale, a dettare le regole del gioco sono altri protagonisti, e ciò che un tempo era confinato alla nicchia e all’underground oggi occupa il centro della scena.

Lo stesso non si può dire purtroppo della situazione del Paese, al punto che il testo del brano suona tanto attuale quanto nel 2008.

IN ITALIA 2024 è la dimostrazione di come una canzone, a distanza di 17 anni dalla sua pubblicazione, può avere ancora qualcosa da dire tanto da riuscire a farsi strada da sola e far sentire a tutti la necessità di rinascere in una nuova versione, con nuove voci e nuove rime”, ha affermato Fabri Fibra.

“Anche in un panorama dove il rap è cambiato, per suoni, flow e contenuti, In Italia ha un suono che funziona ancora oggi e le nuove strofe mie e di Baby Gang raccontano il nostro paese oggi, fotografano un’Italia ancora più complessa. Per chiudere il brano ci voleva qualcuno che potesse ricantare quel ritornello epico ed Emma è stata all’altezza del ruolo”.

Dove fuggi? In Italia
Pistole e macchine, in Italia
Machiavelli e Foscolo, in Italia
I campioni del mondo sono in Italia

Benvenuto in Italia
Fatti una vacanza al mare in Italia
Meglio non farsi operare in Italia
E non andare all’ospedale in Italia
La bella vita in Italia
Le grandi serate e i gala in Italia
Fai affari con la mala in Italia
Il vicino che ti spara in Italia

Ci sono cose che nessuno ti dirà
Ci sono cose che nessuno ti darà
Sei nato e morto qua
Sei nato e morto qua
Nato nel paese delle mezze verità

Ci sono cose che nessuno ti dirà
Ci sono cose che nessuno ti darà
Sei nato e morto qua
Sei nato e morto qua
Nato nel paese delle mezze verità

Dove fuggi? Dall’Italia
Elegante borsa Gucci, dall’Italia
Ferrari e Lamborghini, dall’Italia
è pieno di maghrebini, in Italia
Come? Fascisti e razzisti al comando, in Italia
Ti accendi una canna puoi finire in una gabbia,
prendi una condanna che non vedi più tua mamma,
dal 2024 al 2040
Non è Chicago né Atlanta ma siamo in Italia,
paese dei corrotti e della mafia,
dove i tuoi soldi non sono sicuri in banca
perché da un giorno all’altro possono finire in tasca
Non è Renato Vallanzasca che intasca,
ma qua chi si rapina sta in giacca e cravatta
Lo Stato ci discrimina soltanto per la faccia,
lo sanno che una penna può far più male di un’arma

Ci sono cose che nessuno ti dirà
Ci sono cose che nessuno ti darà
Sei nato e morto qua
Sei nato e morto qua
Nato nel paese delle mezze verità
Ci sono cose che nessuno ti dirà
Ci sono cose che nessuno ti darà
Sei nato e morto qua
Sei nato e morto qua
Nato nel paese delle mezze verità

Dove fuggi? C’è una guerra ogni giorno al telegiornale
Se fai soldi in Italia c’hai contro tutti
Scendi in strada con gli amici a festeggiare,
mani in alto puoi finire come Cucchi
Per l’industria c’è una mente militare,
Metal jacket sembra un film di Stanley Kubrik
dimmi ancora quante rime devo fare,
per sentirmi dire sei speciale
Quante rime devo fare per non finire ad un talent,
per non rubare, non spacciare, non sparare
Perdo la fede, è un reato federale
Peggio la rete o finire nelle retate
nelle mani sbagliate, altolà Tortora
una pioggia di lacrime color porpora
Qui brucia la speranza quindi bro, soffoca
Sei nato e morto qua,
nato qua e morto qua

Ci sono cose che nessuno ti dirà
Ci sono cose che nessuno ti darà
Sei nato e morto qua
Sei nato e morto qua
Nato nel paese delle mezze verità
(ti dirà)
(ti darà)
(ti dirà)
(ti darà)

L’amore secondo Amalfitano


Prende sempre più forma il nuovo progetto discografico di Amalfitano, la cui uscita è prevista per il prossimo 22 marzo.

Dopo la prima, potentissima, anticipazione con il singolo Fosforo, scritto e interpretato insieme a Francesco Bianconi, il cantautore romano torna ora non con uno, bensì con due nuovissimi brani.

Una doppia uscita che lascia ben sperare in quella che sarà la natura dell’album: un cantautorato pop-rock teso e viscerale, che canta la forza immensa dell’amore con un romanticismo personale, dalla parvenza forse più ruvida che dolce, ma profondamente sincero.

E…Ancora Tu racconta di come tutto potrebbe essere messo in discussione, tutto potrebbe essere opinabile, tranne la bellezza.

In Quanto dolore ci servirà per smettere d’Amare, il titolo è invece una domanda su cui si interroga l’artista.
Una domanda scomoda e paradossale, perché lo sappiamo, l’amore sa fare male, ma mentre il dolore offre sempre una via di uscita, dall’amore difficilmente si esce.

E quindi? Davvero il dolore è l’unico antidoto all’amore?

 

Brillare di buio. Romina Falconi torna con “Lupo mannaro”

Vi è mai capitato di sentirvi “storti” rispetto alla vita?
Vi siete mai sentiti fuori tempo con il mondo?
O avete mai avuto la sensazione di trovarvi fuori posto quando tutti gli altri esplodevano di entusiasmo, mentre voi sentivate dentro solo il grande boato del vuoto?

E se almeno una volta vi è successo, lo avete detto a qualcuno? O qualcuno è mai venuto a confessarlo a voi?

Senza essere troppo pessimisti, credo che la risposta all’ultima domanda siano “no”. Ed è quasi sicuramente “no” perché l’Uomo è un animale che rifiuta il dolore. Lo nasconde, lo tace, lo rinnega, e anche quando si trova nel buio più profondo della sua esistenza fa di tutto per mostrarsi agli altri con quel poco di luce che gli è rimasta.
Perché il dolore ci costringe ad ammettere che siamo vulnerabili e frangibili, e quindi fa paura. E chiedere aiuto agli altri lo fa ancora di più.

Ogni giorno il mondo ci chiede di presentarci al meglio, di spingere al massimo, di dire sempre “sì”, e di farlo possibilmente con il sorriso più smagliante che abbiamo.

Non assecondare la richiesta significa spesso passare dalla parte del torto, sentirsi in errore, disallineati. La verità è che siamo semplicemente umani, ognuno con i propri coni d’ombra con cui convivere e il proprio scopo di felicità da non perdere di vista, come una luna piena che illumina l’oscurità.

Romina Falconi ha trasformato tutto questo in musica nel suo ultimo singolo, Lupo mannaro, secondo spietato ritratto della galleria degli “sbagliatori” che popolerà il suo terzo album, in arrivo nel 2023.

 

“Con questa canzone ho messo in scena il grande spettacolo del buio. Ho cercato di riassumere la condizione di chi ha un’ombra che esce fuori con grande consapevolezza.
Una confessione a cuore aperto e rotto di chi vuole solo riemergere senza avere un libretto di istruzioni. Non ho censurato la cattiveria perché si tende ad immaginare una persona triste come debole, fragile.
Chi sopravvive al proprio buio, si sente un lupo mannaro per la vita.
Un essere umano può colpevolizzarsi e perdonarsi, pregare e imprecare. Un essere umano è miserabile e supremo, tutto in una vita.
La speranza è la grande assente di questa canzone perché quando un’ombra si rivela e tutto si compie, la speranza la si cerca come si fa con Dio.
E Dio esiste ma temo che ogni tanto ci abbia sopravvalutati.”

Come accaduto lo scorso maggio per l’uscita del singolo La suora, anche Lupo mannaro è accompagnato da una “costola editoriale”, ovvero il secondo volume del Rottocalco. Un vero e proprio metalibro di oltre 230 pagine edito da Poliniani (qui il link per l’acquisto online), che tratterà nel profondo i macrotemi affrontati in Lupo mannaro: gli ululati nel vuoto, la positività tossica e la dannazione dell’impostore.

Il volume sarà disponibile in anteprima dal 28 ottobre all’1 novembre al Lucca Comics & Games 2022, presso gli stand Freak&Chic (Padiglione Games) e Poliniani (Padiglione Autori).

Ad arricchire le pagine dell’opera saranno, fra gli altri, i contributi dell’antropologa Elena Nesti, della psicologa Monia D’Addio, degli autori Roberto RecchioniFrektTito Faraci, dei giornalisti Caterina DamianoPietro CernigliaEmanuele Corbo e Roberto Pancani, e del pubblicitario Riccardo Pirrone; le tavole in versione manga di Marco Albiero, oltre alle opere di Evviart, Edoardo Del Pero e Ninphetamina.

“Magari vivi”, l’inno alla sfiga di Romina Falconi

31 maggio 2019, è questo il momento da cui è partito tutto.

Con l’estate alle porte e il solito carico di inni balneari in uscita, quel giorno ha visto lo scoppio di un inaspettato fulmine nel cielo sereno della musica di fine primavera. Un fulmine che aveva il titolo di Magari muori ed era il frutto di un’inedita collaborazione tra un’artista decisa a rompere gli schemi e le convenzioni del pop, Romina Falconi, e un’agenzia di pompe funebri allergica a retorica e moralismi ma amante dell’ironia, Taffio.

Sul ritmo cadenzato del reggaeton, al posto delle solite palme, del solito mare e delle solite notti di fuoco c’era un sano invito al carpe diem, a vivere tutto fino in fondo, perché oggi ci sei e domani il prete potrebbe ricordati nell’omelia.

Chiamatelo humor nero se vi va, nei fatti è stato un colpo di genio.

Ma una roba così non è certo da tutti, te la puoi permettere solo sei un’artista disposta a rischiare di prendere le buche e se il pop preferisci da sempre servirlo al tuo pubblico accompagnato da un calice amaro, piuttosto che avvolto in una nuvola di zucchero filato. Oserei dire che in Italia una roba così te la puoi permettere solo se sei Romina Falconi.

Che non a caso a due anni di distanza torna in pista con Magari Vivi, secondo, fulminante capitolo di questa saga.

Se prima c’era il reggaeton adesso ci sono i fervori della salsa, e al posto di un’esplosione di caliente passione si distende un luminoso manifesto della sfiga, nel più tipico falconiano pensiero.

Scritto insieme a “Sua Casalinità” Roberto Casalino e prodotto dalle sapienti mani di Marco Zangirolami, Magari vivi è l’inno di chi non si arrende alle proprie sfortune, di chi era alla toilette quando distribuivano le botte di culo, ma che nonostante tutto ci crede e ci spera ancora, perché prima o poi anche alla buona sorte capiterà di sbagliare strada e di arrivare da loro.

“Questo è un inno a prendere la vita così (tutto sta a capire come e dove, da decidere a piacere). Noi figli del mai una gioia, pronti a sorridere pure se tutto va a rotoli.
Noi che chiediamo scusa pure se cadiamo. Noi che pensiamo che quello delle leggi, il Signor Murphy, era un ottimista. Questo vuole essere un inno al coraggio, un invito a duello a tutti i life coach che credono che basti volerle le cose. C’è chi ha la buona stella strepitosa, e senza sforzi ottiene tutto, e chi ha la buona stella che è un tipo. Un tipo simpatico.
Siamo baciati dalla fortuna ma più frequentemente trombati selvaggiamente dalla sfiga, non ci arrenderemo mai e cercheremo sempre un segnale che ci faccia ricredere. Rideremo lo stesso.

Con una certa arroganza, seppur appassionatamente speranzosi, vi mostriamo il nostro inno. Benvenuti nel Brutalismo!”

BITS-CHAT: La musica, il cuore e la testa. Quattro chiacchiere con… Deborah Iurato

Amare e ridere sono due elementi fondamentali nella vita di Deborah Iurato, che continua a credere molto nell’istinto e nelle sensazioni a pelle. Lo racconta anche nell’ultimo singolo, Voglia di gridare: urlare per esternare le emozioni e trovare una cura alle paure.


Al termine dell’anno scorso è uscito il tuo ultimo singolo, Voglia di gridare, che feedback hai ottenuto?
Ho cercato di fotografare e raccontare ogni istante della mia quotidianità, sorrisi, sguardi, abbracci, catturare e vivere i ricordi più semplici di ogni momento. Sono entusiasta di come le persone hanno reagito, riuscire a sentire la loro felicità è stato per me il regalo più bello!

Che emozioni vorresti gridare in questo momento?
La cosa che desidero di più è di tornare presto alla normalità e risalire sul palco! Poter cantare, ridere, scherzare, di nuovo tutti insieme!

Com’è iniziato il tuo 2021 e ti sei già posta qualche obiettivo?
Direi benissimo! Sento di essere in sintonia con tutto ciò che mi circonda.
Sto scrivendo tanto e ho imparato a conoscermi attraverso le mie canzoni. Sicuramente ho percorso nuove strade, nuove sonorità che mi hanno permesso di scoprire nuove parti di me.

A sei anni di distanza dalla tua vittoria ad Amici che bilancio poi fare della tua carriera?
Sono una persona solare e testarda, non mi fermo mai davanti agli ostacoli. In questi sei anni ci sono stati momenti di sconforto e di solitudine, ma la voglia di musica è sempre stata più forte di tutto! Oggi sono felice, amo quello che faccio e ogni giorno cerco di metterci il cuore e la passione di sempre perché credo in tutto quello che il mio cuore sceglie prima della mia testa.

Concludo con una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Penso che nella vita non bisogna mai rassegnarsi e arrendersi, bisogna coltivare il coraggio e seguire sempre le giuste emozioni. L’onestà e la verità ti rendono migliore!

Torna Gwen Stefani, torna il reggae-pop

Gwen Stefani deve avere ben nascosto da qualche parte un ritratto che invecchia al posto suo…
Non si spiegherebbe altrimenti l’immutata freschezza e l’intaccato entusiasmo della ex-frontwoman dei No Doubt.
Passano gli anni, ma lei eccola ancora qui, pimpante come sempre nel presentare il suo nuovo singolo, Let Me Reintroduce Myself, preparato ad arte con quella ricetta di reggae e pop che l’ha resa famosa nel mondo insieme alla sua ex band negli ormai lontani anni ’90.