Milva: un triplo album in omaggio alla pantera “rossa”

Un triplo album per celebrare la pantera di Goro, Milva, una delle più internazionali della storia della musica italiana.
Nei tre CD sono inclusi, naturalmente, i più grandi successi conosciuti, ma anche diverse canzoni riscoperte grazie alla passione e alla tenacia di collezionisti, ed oggi pubblicate da Bmg per la prima volta in tre CD, per un totale di 46 brani.

Milva vanta una carriera cinquantennale, oltre 70 album pubblicati e concerti nei teatri di tutto il mondo, e data la vastità della sua produzione, non tutto il materiale audio è rintracciabile e molto bisognerebbe fare per recuperare e salvare canzoni che hanno fatto e fanno parte della nostra cultura.

Questo triplo album è la testimonianza di una straordinaria carriera costellata di successi.

Nei primi due CD si trovano le canzoni del periodo Ricordi e Metronome/Ricordi (1967-1993), fino ad arrivare a The show must go on di Giorgio Faletti (ultima presenza della cantante al Festival di Sanremo del 2007) e a Non conosco nessun Patrizio di Franco Battiato (2010), ultimo album registrato in studio.
Tra i brani interpretati da Milva molti portano firme prestigiose: da Ennio Morricone, ad Antonello Venditti, Negrini, Facchinetti, Enzo Jannacci, ma anche Vangelis, Ron e Biagio Antonacci, Battiato.
Nel terzo CD trovano spazio molti brani mai masterizzati prima su CD, da E per colpa tua…. e Va bene, ballerò tratti da un 45 giri del 1972.
Ma ci sono anche incursioni artistiche nell’estremo Oriente, con brani cantati in giapponese. E’ il caso di Ho capito che ti amo di Luigi Tenco, Canzone di Don Backy, Detto Mariano e Da troppo tempo di Colonnello/Albertelli.
Infine, un assaggio tratto dall’opera teatrale Cantata di un mostro lusitano, con le musiche di Peter Weiss e adattamenti di Strehler/Carpi.
Cover Milva

CD1
Milord
Canzone
La Filanda 
Da troppo tempo
Nulla rimpiangerò
M’ama non m’ama Canzonissima 1968
Un sorriso 
Metti una sera a cena
Mediterraneo 
La pianura
Monica delle bambole
Uno come noi 
Io di notte
Primo amore
Little man (Piccolo ragazzo)
Dipingi un mondo per me Rai TV Partitissima 1967

CD2
La Rossa
Alexanderplatz
Sono felice
Uomini addosso
The show must go on
Mon amour
Una storia inventata
Marinero
Eva dagli occhi di gatto
Il dritto (feat. E.Iannacci)
Rinascerò (preludio para el ano 3001) Live con A.Piazzolla
Canto a Lloret
Centro di gravità permanente
E ti amo veramente
Sono nata il 21 a primavera
Non conosco nessun Patrizio

CD3
E per colpa tua…
Se piangere dovrò Canzonissima 1969
Io lo farei
Qualcosa di mio Commedia musicale ‘Angeli in bandiera’
Va bene, ballerò
Ho capito che ti amo (in giapponese)
Domenica, domenica
Fumo e odore di caffè
Cantare e vai Sigla finale programma Rai-Tv Al Paradise 1983
Da troppo tempo (in giapponese)
Canzone (in giapponese)
Diego Cao Cantata di un mostro Lusitano
Nel buio Cantata di un mostro Lusitano
Juana Cantata di un mostro Lusitano

Uè uè, ritorna Luchè! Il nuovo album è Malammore

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Arriverà il 15 luglio Malammore, il nuovo disco del fondatore dei Co’ Sang, Luchè che vedrà la partecipazione di Guè Pequeno, Baby K e il rapper napoletano Coco.

Rime esplicite, atmosfere gangster e una produzione sonora di alto livello, Malammore è fortemente ancorato alle radici ma è altrettanto teso verso atmosfere di livello internazionale.

Il disco è stato anticipato dal singolo O’ primmo ammore, incluso in anteprima nella decima puntata della serie tv Gomorra.

Questa la tracklist:
Violento
Il mio nome
O’ primmo ammore
Bello (feat. Guè Pequeno)
Fin qui (feat. Coco)
Che Dio mi benedica
Per la mia città
E’ sord
Non mi va
Stesso viso (feat. Da Blonde)
Quando non ero nessuno
Cos’hai da dire (feat. Coco)
Ti amo
Quelli di ieri (feat. Baby K)
Il mio ricordo
Andro’ via da qui
Devi amarmi
E’ cumpagn mie (Bonus track)
Nisciun (Bonus track).

I Discoverland rivisitano 8 classici in Drugstore

“Drugstore è un ipermercato di elementi musicali, sconvolto da un tornado: ogni parte ha perso la sua funzione e la sua collocazione, ne ha acquisite di nuove. Nulla è al suo posto, ma tutto è terribilmente affascinante.”

Così i Discoverland (progetto dietro a cui si celano Roberto Angelini e Pier Cortese) definiscono il loro ultimo album, Drugstore appunto, una raccolta di 8 classici della musica internazionale (e un inedito) completamente stravolti e riarrangiati alla discoverland-maniera. In pratica, 8 nuovi pezzi.

Si parte con I Still Haven’t Found What I’m Looking For degli U2, fingerstyle sulla chitarra, banjo, ukulele e pedasteel, voci che si rincorrono e si armonizzano e sul finale, un tocco di Somebody to love dei Queen.

Lucy in the Sky with Diamonds dei Beatles invece ha il suono del banjo, mentre The Drugs Don’t Work, meravigliosa ballad dei Verve, diventa una canzone da club. Suoni sintetici, corde e legni di chitarra, voci lavorate all’estremo, ritmica elettro. Impossibile non ballare.

Stayin’ Alive dei Bee Gees è il pezzo scelto lo scorso anno per anticipare il progetto al pubblico.

Arriva poi La cura di Battiato: l’idea di base è stata tradurre l’enfasi orchestrale nel suono in levare.

L’isola che non c’è di Bennato è passata dalla celebre melodia in maggiore a una in minore, acquistando tutto un altro sapore, sempre in un abilissimo gioco musicale.

All Apologies dei Nirvana è riproposta in versione “mantra”: campionamento di tablas e sitar dei Beatles, un bordone di digiridoo, una lapsteel che evoca suoni indiani, un arpeggio newage e un fischio in lontananza. In aggiunta, una bella dose di elettronica psichedelica.

Segue quindi l’inedito Il pusher, mentre il disco si chiude con Killing In The Name dei Rage Against The Machine, classico rock anni ‘90… destrutturato. Un riff leggendario di chitarra elettrica diventa uno sciancato giro di Banjo. Il finale, concitato e citato, riprende al centro un classico del cinema, Rocky Horror Picture Show.

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Il progetto Discoverland nasce nel 2011 da Pier Cortese e Roberto Angelini.
L’idea è quella di rileggere in un’ottica particolarmente originale brani di artisti che hanno fatto la storia.
Il primo capitolo del progetto, Discoverland esce nel 2012: sviluppa mescolanze suggestive e surreali, come quella tra Bjork e I Kings of Convenience o Ben Harper e Fabrizio De Andrè. Unisce fantasia, ricerca e paradosso, giocando con le strutture, le ambientazioni e i mondi sonori.

Petula Clark: il nuovo album arriva il 30 settembre

La conosciamo probabilmente quasi tutti per Downtown, senza dubbio il suo brano più celebre, ma nella carriera di Petula Clark c’è stato molto altro. Per esempio tre Grammy Awards, o le collaborazioni con John Lennon, Michael Jackson e Paolo Nutini.

A 84 anni la verve di questa ragazzaccia del pop non si è comunque intiepidita, e il 30 settembre l’artista tornerà con From Now On. Elettronica “glossy” a volte, suoni analogici in altri frangenti, questo è un album che suona del tutto come “un disco dei nostri tempi”, e senza cercare di esserlo.

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Il primo singolo sarà Sacrifice My Heart, un brano elettronico, una canzone pop.
Si sente l’umore di Petula Clark quando canta Miracle To Me, uno dei brani composti da lei stessa, scritto tra le montagne francesi e impreziosito poi dalle linee di pianoforte, anch’esso suonato sempre da Petula.
C’è una sua cover di Blackbird dei Beatles, in cui lei dà alla canzone “un paio di ali molto diverse”. Si sente anche sulle canzoni il flirtare con altri generi, come nel country swing di Endgame, e nelle sensibilità dance di Sincerely.

Petula Clark era preoccupata di ricantare Fever di Peggy Lee – si sono incontrate anni fa, e hanno anche cantato insieme – ma la preoccupazione è spazzata dal sound rock che la circonda.
Altra cover è la hit del 1980 di Steve Winwood While You See A Chance che poggia la sua forza su di un coro, realizzato quasi per caso delle persone che lavorano in studio.

Da segnalare poi Pour Etre Aime De Toi, una nuova collaborazione tra lei e Charles Aznavour: in cui le parole del francese si sono modellate attorno alla musica dell’artista Britannica.

Un album che aspettiamo a braccia spalancate!

BITS-RECE: Mænifesto, Veni, Vidi, Vici. Quando Caligola sale in consolle

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Ci sono almeno tre grandi motivi per cui Veni, Vidi, Vici è un progetto a cui vale la pena riservare un po’ di attenzione.
Il primo è il suo carattere assolutamente fuori dagli schemi, frutto dell’ingenio del suo creatore, dietro a cui si cela Augustus Gregorio Rossi, che ha dato vita a un album d’esordio coraggioso, ambizioso, totalmente libero e che in nulla cerca di strizzarvi l’occhio.

Il secondo è la stridente commistione dei suoi elementi, vale a dire l’antica Roma da una parte e i suoni della techno dall’altra. Partendo infatti dalla grande storia della prima età imperiale, il nostro Augustus – e il nome già dice molto da solo – ci ha ricostruito sopra un mondo di suoni moderni, per non dire contemporanei. Non è certo la prima volta che un musicista si rifa all’antichità per trasportarla nel presente, in quella che di solito si definisce “contaminazione”. Di solito però ci si limitava a dare un tocco evocativo e misticheggiante agli antichi racconti, aggiungendoci semmai qualche tocco dark ed esoterico per insaporire la salsa. Pochissime volte però mi è capitato di assistere a un risultato simile a quello di Veni Vidi Vici, dove l’ispirazione iniziale viene bruscamente ribaltata, fatta filtrare attraverso una lente che la distorce, la smembra, la immerge in un acido compositivo allucinato, psichedelico, folle. Augustus Gregorio va a pescare nella Roma affaticata che usciva dalle guerre civili e si preparava a veder nascere l’impero – alla fine del I secolo a.C. – fino al governo dispotico di Caligola. Ne interpreta la crisi, le paure, gli squilibri sociali e politici: non è certo la Roma della gloria, dei trionfi e degli onori quella che si ascolta qui dentro. Semmai, è il regno del caos, scende una fitta caligine fatta di synth e di bit convulsi, tutto è soffocante, l’atmosfera è claustrofobica, in niente accomodante.
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Per ammissione dello stesso Augustus, l’idea per costruire l’album è arrivata osservando la situazione di grande incertezza che ormai da anni invade le nuove generazioni, un futuro nebbioso, che non lascia speranze, ma che anzi annulla ogni sforzo di specializzazione professionale: tutti problemi che lui stesso ha vissuto sulla propria pelle, anche quando si trattava di mettere insieme una band. Problemi, difficoltà, ostacoli, quasi sempre di natura economica. Eppure l’album si intitola Veni, Vidi, Vici, come una delle più celebri affermazioni che la storia attribuisce a Cesare: una frase lapidaria, a indicare un successo fulmineo, veloce, netto. È la speranza. La convinzione che tutto possa tornare a essere possibile.
Proprio come due millenni fa l’eterna Roma superò le follie divinizzanti di Caligola. E poco dopo i deliri onnipotenti di Nerone. La storia funziona per cicli, ce lo hanno insegnato.
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Il terzo motivo è la diretta conseguenza di tutto quello che ho cercato di dire fin qui: un progetto d’esordio, nato in totale libertà, e quindi indipendenza, e quindi figlio della perseveranza, ma che manifesta una forza così dirompente, merita almeno uno sguardo.
“Oderint dum metuant”, “Mi odino, purché mi temano”, pare abbia detto Caligola. E qui dentro quella paura suona vivissima.
L’unico rammarico è che tra i nove capitoli dell’album – rigorosamente numerati in romanico – manchi il tassello di Nerone: mi sarebbe piaciuto sentire il suono che Augustus avrebbe dato al grande incendio di Roma.

Immagino che la storia romana non ve l’abbiano mai fatta studiare in questo modo…

BITS-RECE: Blastema, Tutto finirà bene. Come mercurio tra le mani

Parto da una considerazione: i Blastema sono una delle band più incessanti che il panorama italiano possa annoverare nello scenario pop/rock/elettronico (fate voi, il genere è davvero poco importante).

Pur essendo presenti sulle scene dal 1997, li avevo conosciuti solo con il loro album precedente, Lo stato in cui sono stato, ed ero rimasto affascinato dalla potenza dei loro suoni, dalla loro musica così solida, granitica, tagliente, potente. In una parola, dalla loro identità, fattore non così scontato.

Per il nuovo album, Tutto finirà bene, hanno forse deciso di privilegiare un po’ la componente elettronica, ma sostanzialmente la cifra stilistica è rimasta la stessa: la prima immagine che mi è venuta in mente ascoltando questi brani è quella del mercurio. Avete mai visto muoversi una macchia di mercurio? Liquida, eppure densa, lucida, argentea, palpitante: ecco, la musica dei Blastema si muove così.

Impossibile da afferrare del tutto, ha in sé qualcosa di quasi seducente e viscerale, ti arriva addosso con tutta la sua carica quasi strisciando, ammaliante, come non ti aspetteresti. Elemento essenziale di tutto ciò, quasi in netto contrasto con la ruvidezza dei suoni, la voce limpida di Matteo Casadei (che tra l’altro è un frontman di carisma straordinario: vederlo sul palco è un’esperienza che difficilmente vi potrà lasciare indifferenti).

Nei loro i brani, i Blastema mettono rabbia, disillusione, ironia (spesso sardonica), ma anche speranza e, a modo loro, amore.

Eccellente l’apertura potentissima e superba di La parte pura, che va a contrastare, all’altro capo del disco, con Il destino del mondo, un pezzo intimo che Casadei rivolge alla figlia, ma che possiamo immaginare rivolto a tutti i piccoli occhi che riceveranno tra le mani il nostro futuro. Da segnalare Orso bianco, che racconta un po’ l’assurdità e il vuoto che ci ritroviamo intorno, e poi I morti, spiazzante, il pezzo con cui la band aveva inaugurato il nuovo capitolo della carriera, l’apocalittica Asteroide, Perle ai porci, crudele e sacrale e nello stesso tempo, Tornerai e Pastorale.

Per l’onesta musicale, per la voglia di non seguire la corrente, e semplicemente per esserci, lunghissima vita ai Blastema!