BITS-CHAT: Con il vento in faccia. Quattro chiacchiere con… Fabrizio Moro

A vederlo non si direbbe, e a sentirlo cantare con quel suo timbro viscerale neppure, ma Fabrizio Moro è piuttosto timido e, per sua stessa ammissione, piuttosto chiuso. Andare in tintoria, al ristorante o fare un’intervista con un gruppo di giornalisti era per lui più difficile di quanto possa sembrare.
Poi, negli ultimi anni, qualcosa è cambiato: complice anche la nascita della seconda figlia, Fabrizio ha iniziato a guardare all’esterno in maniera diversa, più libera, più pacifica.

Non è un caso che proprio Pace sia il titolo del suo nuovo album, che arriva a circa un mese dalla partecipazione a Sanremo con Portami via. Un disco in cui per la prima volta ha affidato la produzione ad altri e che prima di tutto è il frutto di un lavoro e di una ricerca interiori, un vero e proprio percorso verso l’equilibrio e la serenità, fatto di tappe tormentate, ma anche di ritorni all’infanzia.
Fino a rendersi conto che essere in pace con il mondo può voler dire semplicemente avere la possibilità di prendersi il vento in faccia nel traffico di Roma.
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Da quello che si sente nei nuovi brani, questo sembra essere l’album dei grandi cambiamenti: è così?

Questo è sicuramente il disco più egocentrico che ho fatto. Ho lavorato molto su me stesso durante la fase della pre-produzione. In questi due anni mi sono successe tante cose, tra cui la nuova paternità. Mi sono guardato indietro e per la prima volta dai tempi del primo album mi sono reso conto di aver costruito un’eredità forte. Tutto questo mi ha dato serenità. Ho iniziato a vivere in modo diverso la quotidianità, semplicemente andando in tintoria, accompagnando i figli a scuola, andando al ristorante, ho fatto cose che prima delegavo agli altri, perché sono sempre stato chiuso, avevo un rapporto difficile con l’esterno, e so che la pace che ho trovato adesso è una condizione passeggera, perché il mio carattere competitivo e battagliero mi porta ad avere sempre una meta da aggiungere.
È corretto vedere nell’album un percorso che dal tormento arriva alla quiete?
Quando ho ascoltato l’album dall’inizio alla fine mi sono reso conto che questo è un disco terapeutico, ma l’ho capito solo alla fine, dopo aver messo in ordine la scaletta dei brani già finiti, perché quando sei in fase di registrazione intorno c’è troppa frenesia e non senti nulla, ecco perché è stata importantissima la prima fase. Il disco si apre in minore e chiude in maggiore, e di certo non è stato un caso. Poi c’è una parola che torna spesso, e che all’inizio mi dava quasi fastidio, senza accorgermene, ed è paura. Scavando dentro di me, inizialmente avevo timore, non sapevo cosa avrei trovato, non sapevo quali prove mi attendevano, ma poi sono arrivate le conferme. Potrei quasi definire Pace un concept album.
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La paternità ti ha fatto rivivere un po’ di infanzia?
Sì, soprattutto con mio figlio, il più grande. Mi somiglia molto caratterialmente e in lui ho ritrovato me bambino, anche solo accompagnandolo in un negozio di giocattoli. Jeeg Robot e Mazinga sono le prime persone con cui mi sono confrontato, ancora prima dei coetanei. Poi crescendo non ho mai trovato una stabilità sentimentale, e fin da quando avevo 15 anni sentivo di voler essere padre di una donna: per questo sento un legame particolare con mia figlia, ancora prima che nascesse, la idealizzo come la donna della mia vita. Portami via è infatti dedicata a lei.

A Sanremo com’è andata?
Direi al contrario di come pensavo: mi aspettavo una posizione più alta in classifica, ma un minore riscontro sul lungo termine, invece Portami via è arrivato al disco d’oro in due settimane. Tra l’altro, ho cantato piuttosto male: fin dalla prima serata avevo un groppo in gola che non sono riuscito a mandare via. Quest’anno ho sofferto il palco in maniera particolare, avevo una grande ansia da prestazione, che poi è sempre stato un mio limite che mi ha anche tenuto lontano dai riflettori. Aspettavo conferme da me stesso e sentivo che anche altri le aspettavano, e non mi sentivo completamente lucido, temevo di perdere quello che avevo costruito. Alla fine, è andata meglio così.
Amici ti ha aiutato nel rapporto con l’esterno?
Anche quella è stata un’esperienza terapeutica, mi ha aiutato ad aprirmi: solo qualche anno fa non sarei riuscito ad affrontare un’intervista con dieci giornalisti. Maria De Filippi mi chiamava da un paio d’anni, ma avevo sempre paura di confrontarmi con le critiche e con quel riflettore così grande, che fa risaltare ogni cosa che fai. Oggi ce la faccio. Sono fatto così, faccio quello che posso in un quel momento e il resto lo lascio al destino.
Pace fa rima con libertà?
Alcuni anni fa ho lavorato a una trasmissione della Rai, Sbarre, che era girata nel teatro del carcere di Rebibbia, proprio vicino a San Basilio, il quartiere in cui sono cresciuto. Sono andato lì ogni giorno, dalla mattina alla sera, per circa un mese, e ho parlato tanto con i detenuti della mia età, ma anche più piccoli, molti con condanne pesanti. Quando tornavo a casa, salivo in macchina o sul motorino, abbassavo il finestrino e prendevo tutta l’aria in faccia, perché mi rendevo conto della fortuna che avevo a poter vivere quella libertà, anche in mezzo al traffico di Roma. Un po’ come chi è in ospedale e apprezza la salute appena esce. La pace non è solo avere tranquillità economica, ma anche riuscire a percepire l’importanza dei gesti più piccoli, una sigaretta all’aria aperta, una bottiglia di vino con un amico, un giro alle giostre con tua figlia.
Il duetto con Bianca Guaccero come è nato?
Inizialmente il disco doveva avere dieci canzoni, questa è l’undicesima. Bianca mi ha chiamato tempo fa per chiedermi un pezzo per un suo film in uscita. Quando poi l’ho sentito cantato da lei, sono rimasto stupito, non sapevo che cantasse, e che cantasse così bene! Allora le ho proposto il duetto.
Come ti trovi in veste di autore per altri artisti?
Ho scritto sempre per me stesso, raccontando di me, anche in un pezzo come Sono solo parole, che ho regalato a Noemi. C’è stato un momento in cui non riuscivo a trovare un compromesso con le case discografiche e con con chi mi gravitava attorno, ma visto che mi arrivavano diverse richieste dai colleghi ho pensato di sfruttare l’occasione e usare i proventi SIAE dei miei brani per aprire un’etichetta, La Fattoria del Moro. L’unica volta che ho scritto pensando a un altro interprete è stato per Fiorella Mannoia, nei due pezzi che ho scritto per il suo ultimo album.
FABRIZIO MORO_credito fotografico di Fabrizio Cestari 3 b (1)Negli anni i tuoi ascolti sono cambiati?
No, alla fine ascolto sempre le stesse cose: rock internazionale, U2, Oasis, Coldplay, e poi tanto metal, gli Slayer, gli Anthrax, impensabile se poi senti quello faccio nei miei album.
Sui social come ti trovi?
Ultimamente mi lascio andare un po’ di più e ho imparato a divertirmi. Twitter però non riesco a usarlo: ho bisogno di spazio per esprimere un pensiero.
Per i live hai già pensato a qualcosa?
Durante gli ultimi due tour ho avuto dei momenti di noia, perché sono stati molto simili, non abbiamo mai toccato gli arrangiamenti. Per il nuovo tour invece riparto completamente da zero e da qualche mese stiamo lavorando alla scaletta. L’anteprima sarà al Fabrique di Milano il 20 aprile, poi farò un po’ di promozione, e riprenderò da Roma con due date il 26 e il 27 maggio al Palalottomatica, per poi girare in una ventina di città.

BITS-SANREMO '17: la prima serata

La prima puntata di Sanremo me la sono persa, ebbene sì. Mentre Carlo Conti e Maria De Filippi aprivano la 67esima edizione del Festival della Canzone Italiana – perché è così che si chiama – io ero a sentire i Bastille al Forum d’Assago e ho rimesso piede in casa proprio subito dopo l’esibizione di Ermal Meta, l’ultimo degli 11 artisti che si sono esibiti.
Le esibizioni le ho quindi ascoltate “di riflesso” sul web, perdendomi la tradizionale e unica emozione della diretta, ma con il lusso di sentirmi le canzoni in ordine sparso e anche più volte di seguito, skippando e stoppando quando necessario.
Detto questo, il primo elemento che mi viene da sottolineare è, almeno per ora, la mancanza del pezzone di successo sicuro: belle canzoni sì, qualche sorpresa, ma tutto sommato nessun soprassalto. Non ci sono state grandi deviazioni di percorso e più o meno tutti gli artisti in gara si sono tenuti sulle rotaie della propria traiettoria.

Prendiamo per esempio il brano della Mannoia, Che sia benedetta, osannato da ogni dove e dato per vincitore da molti: pezzo sicuramente piacevole, interpretazione da professionista consumata. Lei si è mangiata il palco con una forza da leonessa e il fuoco negli occhi, ma la canzone non aggiunge molto a quanto Fiorella non avesse detto o fatto in passato. C’è la voce, c’è il messaggio, ma tutto resta tanto, troppo in stile “mannoiese”.
Molto intenso Ermal Meta, che in Vietato Morire porta sul palco un testo coraggioso e drammatico, naturalmente ben scritto.




Su Al Bano non mi accanisco nemmeno.
Fabrizio Moro è invece arrivato con Portami via, una canzone graffiatissima, sicuramente più del necessario, ma in linea con i suo stilemi.
Assolutamente da sentire tre-quattro volte, per farsene una giusta idea, Fa talmente male della Ferreri, dato che al primo ascolto non resta granché. L’exploit di Ti porto a cena con me non si ripeterà.
Sul palco mi è risultata invece inspiegabilmente invecchiata l’atmosfera creata da Elodie, rimasta impigliata in un brano, Tutta colpa mia, dai contorni classici e in cui “amore” viene ripetuto quasi all’esasperazione. La sua non è una brutta canzone, ma l’effetto di Emma in questo caso rischia di fare più danno che beneficio.
Sorprese invece per Samuel e Bernabei: il primo arriva con Vedrai, un pezzo agilissimo e ben strutturato tra pop ed elettronica, mentre il secondo mi ha stupito un po’ – sono sincero – negli incisi di Nel mezzo di un applauso, evitando il rischio di impantanarsi ripetendo la formula elettropop dello scorso anno. Discorso a parte per il testo, tra le cui righe si legge un filo di imbarazzo.


Il secondo elemento che vorrei segnalare è che mai come quest’anno – ma aspetto le prossime serate per approfondire eventualmente il discorso – ho avuto la sensazione che il palco dell’Ariston applichi una sorta di deformazione sui brani, rendendoli ancora più “sanremesi” di quanto non siano, dove per sanremese si intende una canzone caricata di enfasi armonica. Prendete ad esempio Vedrai di Samuel, un brano e un artista che almeno sulla carta dovrebbero stare al festival come la riviera di Levante sta a quella di Ponente. Eppure nell’ascolto non si può fare a meno di pensare che quelle note sono state pensate per essere suonate lì sopra, davanti a quel pubblico, immerse in quel mare di tensione mediatica.
Verità o incantesimo del Festival?

ASPETTANDOSANREMO: Eccitato dalla vita. Quattro chiacchiere con… Marco Masini

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“Questo album è un po’ la punta di un iceberg e di un progetto partito alcuni anni fa e che considero come la ricerca di un’utopia: quando si arriva alla soglia dei cinquant’anni si inizia pensare come si sarebbe vissuto, a come sarebbero stati gli eventi della vita se ci fosse stata la possibilità di cambiarli, di tornare indietro anche solo di un secondo per modificarli. In questa ricerca utopistica ho voluto inserire anche una ricerca musicale usando molta elettronica per parlare d’amore, di pace, di guerra o di vita. D’altronde, a partire dagli Human League in poi, tutti abbiamo voluto provare a cimentarci con i sintetizzatori: musicalmente io appartengo a quel periodo, con i Genesis, i Pink Floyd, un periodo di grande sperimentazione”.

In effetti, ad ascoltare il nuovo lavoro di Marco Masini, che uscirà il 10 febbraio e si intitola proprio come il brano in gara a Sanremo, Spostato di un secondo, la prima cosa che colpisce sono i potenti utilizzi di elettronica che riempiono molte delle nuove canzoni e che per l’artista toscano rappresentano una grande novità, a partire per esempio da Ma quale felicità, il bellissimo pezzo d’apertura.
Per Masini quella a Sanremo 2017 sarà l’ottava partecipazione: nel 1990 si aggiudicò il primo posto tra i giovani con Disperato, per arrivare alla vittoria nel 2004 con L’uomo volante.
Oggi, dopo più di 25 anni di carriera, quello che sale sul palco dell’Ariston è un cantautore con tante consapevolezze in più, che si riflettono nitide in tutti i brani del nuovo album: “Il disco è il risultato di un lavoro di anni, frutto della collaborazione di tante persone, da Zibba a Luca Carboni, Diego Calvetti, Vicio dei Subsonica. Rappresenta quello che sono oggi, quello che sono diventato: c’è tanto elettropop, ma ci sono anche momenti acustici, più legati a quello che sono stato in passato, come in Una lettera a chi sarò, dove volevo un’atmosfera più intima”. 
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Quali sono state le tappe più importanti che ti hanno portato a essere quello che sei oggi?
Sono state tutti i giorni che ho vissuto: la vita per me comincia sempre oggi, non sono mai stato un nostalgico, non sono mai andato dietro ai rimpianti e ai rimorsi. Non ho mai voluto fare del vittimismo, tranne quando ho denunciato un problema discografico che mi impediva di fare il mio lavoro. Sono convinto che il male non ce lo fanno gli altri, ma noi stessi, non facendo buon uso delle nostre scelte: poter arrivare un secondo prima ci permette di scegliere meglio. Sono stato formato da tutto quello che mi è capitato, dal caffè preso alla mattina con Bigazzi agli amori. La vita è tutto, nel bene e nel male, ed è bella così. 
Il modo di vivere Sanremo cambia nel tempo?
Non cambia il lavoro che fai, perché Sanremo non è solo il momento in cui sei sul palco a cantare, ma è tutto il lavoro che ci sta prima e durante. Ma Sanremo per me è anche come uno sparo allo start, un modo per dare una scadenza, altrimenti non smetteresti ma di mettere in discussione quello che scrivi. Poi è un modo per avere nuovi stimoli perché ti trovi in competizione con i ragazzi dei talent e capisci se il tuo pensiero e il tuo vissuto possono essere condivisi anche con un’altra generazione. E’ una sfida prima di tutto con te stesso.

Per la serata dedicata alle cover hai scelto Signor tenente di Faletti: ha un significato speciale?
E’ una canzone che ha avuto un grande successo non subito, ma che poi non è stata più ricantata, non la si ascolta in radio, al karaoke o al pianobar, ed è un’ingiustizia. La serata delle cover è un’occasione per riscoprire brani che non si sentono spesso: avrei potuto giocare facile scegliendo per esempio Margherita di Cocciante, adatta anche alla mia voce, ma volevo ricordare anche un amico. Giorgio mi ha insegnato tanto, abbiamo musicato insieme un suo testo. Era geniale, imprevedibile, lo si vede anche nei suoi libri. Sapeva far ridere in Drive In e ha pubblicato un thriller come Io uccido. Questo lo sanno fare solo i grandi.
Nel disco sembra emergere un po’ di disagio per i nostri tempi.
E’ evidente che attorno si respira un disagio generale, stiamo vivendo momenti sconcertanti. Senza arrivare a Trump, abbiamo paura ad andare in discoteca perché qualcuno potrebbe entrare con il mitra. Sembra prevalere l’istinto animale, il predominio, il potere, un mondo dove ci si lamenta del terrorismo e poi si finanziano i terroristi. Nell’album c’è questa ammissione, ma c’è anche la consapevolezza che non serve più la rabbia, la vendetta, il “vaffanculo”: il mondo è bugiardo, nasconde lo sporco sotto i tappeti, e quello di cui avremmo bisogno è un uomo che raccontasse la verità con voce calma.
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In Una lettera a chi sarò ho trovato interessante la definizione della vita “che sembra seria”. Ma se non è davvero seria, come la definiresti?
La vita è in continua evoluzione, non c’è un aggettivo che la definisca al meglio, altrimenti l’avrei usato. E’ la speranza che la fa apparire seria: tu la immagini in un certo modo, vera, pensi di averla in mano, ma spesso è così perché sbagliamo scelta, poi abbiamo il giorno seguente per riprovare. La vita ti dà continue occasioni, ti provoca. Per usare una metafora sessuale, la vita ti eccita, ma non te la da. Ed è proprio questa la sua apparente serietà: da una parte è vera, dall’altra ipocrita, non riesci mai a coglierla nella vera essenza.

Hai sempre intenzione di portare avanti anche l’attività di produttore per i giovani musicisti?
Sto lavorando per allestire uno studio di registrazione a casa: spero che sia pronto prima dell’estate. Ho già un paio di progetti a cui vorrei dedicarmi. Grazie a Diego Calvetti e Lapo Consortini ho imparato un nuovo modo di lavorare sulla musica e penso di avere l’esperienza per dare consigli ad altri.
Ad aprile partirà un nuovo tour. Ci stai già pensando?
Canterò alcune canzoni del nuovo disco e poi ci saranno i pezzi più importanti della mia carriera. Sto pensando anche a dei medley per proporre alcune cose che magari una parte del pubblico non conosce e che invece ama chi mi ha sempre seguito in questi anni. E’ un modo per ringraziare i fan che mi sono stati vicini anche nei momenti difficili in cui non riuscivo a scrivere. Non sarà facile mettere insieme tutto, ma ho già qualche idea sugli arrangiamenti: porterò un po’ di elettronica, pensando a come sarebbero stati quei brani se all’epoca li avessi fatti con gli strumenti elettronici, senza però cambiare troppo l’atmosfera.

 
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ASPETTANDOSANREMO: "Mi tremano le gambe, ma sono una donna forte". Quattro chiacchiere con… Elodie

elodie1new_ph-marco-laconte_bElodie ha due occhi bellissimi. Grandi, profondi e bellissimi, di un colore indefinibile, accompagnati da un sorriso larghissimo.
Sì, lo so che per chi si interessa di musica questi non dovrebbero essere dettagli importanti, ma io sono tra quelli che di un artista non solo ascoltano le canzoni, ma ne osservano anche i gesti, i colori, ne ascoltano il tono della voce quando parlano.
Ed Elodie ha due occhi bellissimi che sembrano parlare più della sua voce nel dire quanto lei sia sicura di quello che fa. Una donna forte, proprio così, lo dice anche lei, “Voglio che il pubblico mi veda come una donna forte”.
Pur con solo 26 anni alle spalle e neanche due di notorietà, la ragazza appare seriamente sicura di ciò che sta cercando e di ciò che vuole. In primavera si è conquistata il secondo posto ad Amici ed ora entra a Sanremo dalla porta principale, quella dei big, portando in gara Tutta colpa mia, un brano su una storia d’amore andata in frantumi firmato tra gli altri da Emma (e ascoltandolo non si potrebbe in effetti pensare altrimenti).
Il 17 febbraio sarà poi la volta dell’album dal titolo omonimo, mentre il 26 aprile Elodie è attesa a Milano per il suo primo vero appuntamento live.
Chissà se per quel giorno la gamba avrà smesso di tremare…

Nella canzone sembra di avvertire un senso di imperfezione da parte della protagonista, che quasi si rimprovera la fine di una storia: ti ritrovi in questa situazione,pur non essendo tu l’autrice del brano?
La canzone non è mia ma parte da una storia d’amore importante che ho vissuto qualche anno fa, una storia in cui avevo messo tanto coraggio, ma dall’altra parte non ho trovato lo stesso spirito. Non sono perfetta, nel brano va letta anche una certa ironia: posso dire comunque di essere felice di quello che sono oggi e che cerco di migliorarmi ogni giorno. I momenti d’ombra ci sono e vanno accettati, senza paura di toccare il fondo.
Senti qualche responsabilità nei confronti di Emma, tua coach ad Amici e ora autrice del pezzo?
Interpretare una canzone altrui è sempre un impegno, però il regalo più importante che mi ha fatto Emma è stata la possibilità di condividere il suo team: a Sanremo devo dimostrare che valgo e che tutta questa fiducia me la merito. Non sono più un’allieva della scuola di Amici, adesso devo diventare una professionista.
Emma ti ha dato qualche consiglio per Sanremo?
Per Sanremo in particolare no. Mi ha sempre detto di respirare, sorridere e di mettere tutte le mie energie, indipendentemente dal palco su cui mi trovo.
Perché la scelta di Quando finisce un amore per la serata delle cover?
Cocciante, insieme a Mia Martini e Loredana Bertè, è uno degli artisti che ho più nel cuore, perché ha messo tutto se stesso nella musica. Non so se avrò un’altra possibilità come questa, quindi ho scelto di reinterpretare un brano che mi mettesse alla prova, e questo lo sento sotto pelle.

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Come ti senti in questo momento?
Felice, molto felice e nello stesso tempo tutto mi sembra irreale. Non avrei ma pensato di poter arrivare a questo punto, Sanremo è il sogno di chiunque voglia fare questo lavoro, ma non ho aspettative tanto verso il Festival in sé, perché Sanremo è un colosso, sta fermo lì, quanto piuttosto su di me. Spero di fare bella figura e di rispettare quel palco, la sua tradizione. Voglio esibirmi con dignità nei confronti della musica italiana, restando ben a fuoco e dominando l’emotività. Le prime volte che mi esibivo in pubblico tremavo tutta, non potevo togliere il microfono dall’asta, e pochi giorni fa alle prime prove con l’orchestra ho cantato per tutto il tempo senza smettere di muovere la gamba.
C’è qualcosa che il pubblico magari non sa ancora di te e che vorresti venisse fuori n questa occasione?
Vorrei si capisca che sono una donna forte, non presuntuosa, ma forte. Qualunque cosa si faccia nella vita va portato avanti con determinazione e puntando a farlo al meglio. E sbaglia chi pensa che il talent sia una scorciatoia: ho passato periodi in cui non avevo un obiettivo, mi sentivo persa, e Amici è stato un aiuto. Non ci sono tante possibilità per noi giovani artisti, e chi le offre non va discriminato. 

Tra i tuoi punti di riferimento citi Nina Simone, un’artista che ha avuto un vissuto piuttosto pesante: in cosa la senti vicina?
Nina Simone, così come Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald e tutte le cantanti di colore di quegli anni, è stata una donna forte: sentirla vicina è come una pacca sulla spalla. Io stessa vengo da una famiglia di origini africane, mia nonna è delle Antille Francesi, per cui ho respirato un certo clima culturale. E’ bello quando le minoranze diventano di polso, è segno che se ci sono passione e spinta a reagire chiunque può farcela.

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Il 26 aprile è in programma un appuntamento live all’Alcatraz a Milano: come ti stai preparando?
Per ora mi concentro sul Festival, altrimenti impazzisco… Inizierò a lavorarci seriamente dal giorno dopo. Sarà un’altra novità, perché per la prima volta il pubblico sarà lì apposta per me, e questo non aiuterà a gestire la tremarella.

Hai un’immagine che racchiude il significato del Festival per te?
Penso a Loredana Bertè e Mia Martini: in questo momento ho in mente Amici non ne ho di Loredana. Penso ci voglia tantissimo coraggio a spiattellare quelle cose in faccia al pubblico. Loredana è una donna che stimo tantissimo.
  
Prima di salire sul palco cosa farai?
Non ho riti scaramantici né portafortuna. Semplicemente penso che farò un bel respiro, gesticolerò un po’, farò un inchino, sorriderò e poi via, quando il maestro sarà pronto, canterò.

Sanremo 2017: tra rose, gigli e qualche fiore "avvizzito", ecco il mazzo dei 22 artisti in gara

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Ed eccoli qua, li abbiamo attesi a lungo e sono arrivati, i 22 nomi dei Big che prenderanno parte al Festival di Sanremo 2017.Dopo il “mosaico” e la “macedonia”, per descrivere il cast della prossima edizione, Carlo Conti ha usato la metafora del mazzo di fiori, tanto per restare in terra sanremese.
E mantenendo la metafora, il primo commento che mi viene da fare è che tra rose, gigli e garofani, dentro a questo bouquet sia finito qualche ramo artisticamente un po’ avvizzito e qualche erbaccia che si poteva tranquillamente mettere da parte.
Ma visto che senza aver ascoltato i brani ogni parola è superflua, e considerando che mancano due mesi per scaldare bene i motori, mi limito a esprimere soddisfazione per ritrovare Elodie, Samuel, Nesli, Giusy Ferreri, Ermal Meta e Francesco Gabbani.
La grande sorpresa sarà però vedere sul palco dell’Ariston Fiorella Mannoia, forse il nome più gettonato nei pronostici e poi confermato, che dopo un lungo periodo di lontananza dal Festival si ributta nella mischia da concorrente.
Nessuna band pervenuta, qualche duetto inedito ancora da mettere a fuoco.

Questa la lista dei magnifici 22, con i titoli dei brani in gara:

Di rose e di spine Al Bano
Tutta colpa mia Elodie
Fatti bella per te Paola Turci
Vedrai Samuel
Che sia benedetta Fiorella Mannoia
Do retta a te Nesli e Alice Paba
Il diario degli errori Michele Bravi
Portami via Fabrizio Moro
Fatalmente male Giusy Ferreri
La prima stella Gigi D’Alessio
Togliamoci la voglia Raige e Giulia Luzi
L’ottava meraviglia Ron
Vietato morire Ermal Meta
Mani nelle mani Michele Zarrillo
Il cielo non mi basta Lodovica Comello
Con te Sergio Sylvestre
Ragazzi fuori Clementino
Nel mezzo di un applauso Alessio Bernabei
Nessun posto è casa mia Chiara
Occidentali’s Karma Francesco Gabbani
Ora esisti solo tu Bianca Atzei
Spostato di un secondo Marco Masini

Piccola domanda profana da ascoltatore: per quale logica del regolamento Sylvestre ed Elodie sono tra i Big, mentre La Rua, Lele e Chiara Grispo erano in corsa tra i Giovani, pur avendo tutti partecipato alla stessa edizione di Amici?