BITS-RECE: Lucio Corsi, Bestiario musicale. Sogni di una notte in mezzo al bosco

BITS-RECE: radiografia di un disco in una manciata di bit.
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Siete mai stati in mezzo a una foresta di notte, al buio, illuminata solo dalla luna? I rumori si infittiscono e diventano più grandi, il tatto non riconosce più nulla e nuovi occhi iniziano a sbirciarvi furtivi. Sono gli occhi degli animali notturni, quelli che di giorno se ne stanno nascosti alla vista e che solo sotto i raggi lunari escono dalle tane.
Proprio a loro, alle piccole e grandi creature selvatiche della notte Lucio Corsi ha dedicato il suo ultimo lavoro, Bestiario musicale. Un progetto che non si limita a essere una raccolta di semplici canzoni.
Nel Medioevo, i bestiari erano dei grandi cataloghi in cui venivamo raccolte informazioni e disegni su tutti gli animali conosciuti, spesso con una certa attenzione per quelli esotici e più rari.
Il bestiario di Corsi è composto da otto capitoli, uno per ciascuno degli animali che il cantautore toscano ha scelto di raccontare: c’è la civetta, la lepre, la volpe, l’upupa, il lupo, l’istrice, il cinghiale e la lucertola. Creature scelte non a caso, essendo quelle che si incontrano più facilmente nella sua zona, la Maremma.
E siccome nei boschi di solito di corrente elettrica non se ne trova molta, anche l’accompagnamento musicale è fatto quasi totalmente da strumenti che non necessitano di cavi e spine. Una vera e propria foresta sonora fatta di dettagli nascosti tra le fronde, rumori di sottofondo, trilli, bisbigli, il tutto per ricreare otto ambienti in grado di descrivere al meglio il proprio protagonista.
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Nei suoi testi, Corsi tratteggia i suoi animali come veri e propri personaggi di una storia bellissima, ognuno impegnato nella sua vita, con i suoi ritmi e le sue abitudini, senza rinunciare a un po’ di umana ironia.
Un disco scritto, cantato e interpretato con l’innocenza incontaminata di un bambino, proprio come la magica realtà di cui parla. Quasi una raccolta di favole, come lo erano quelle di Esopo.
Sintesi perfetta del bestiario è infine la copertina del disco, opera di Nicoletta Rabiti, madre di Lucio Corsi.
C’è un movimento punk ai limiti del bosco…

HIM: la band finlandese si scioglie e annuncia l'ultimo tour

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“Dopo un quarto di secolo di amore e di metallo intrecciati, sentiamo che gli HIM abbiano fatto il loro corso innaturale e sia arrivato il momento degli adii, per visitare luoghi, profumi e suoni ancora inesplorati. Abbiamo completato il percorso, risolto il puzzle e girato la chiave. Grazie.”

Ebbene sì, dopo anni passati tra le tenebre a raccontare storie di morte, adii, lacrime e fantasmi, la storia degli HIM è giunta al capolinea.
L’annuncio è stato dato sulla pagina Facebook della band da Ville Valo, il tenebroso leader che ha dato volto e voce a tutti i brani.
Per l’occasione, a giugno partirà un tour d’addio che toccherà 14 paesi in 35 concerti: prevista anche una data italiana il 7 dicembre all’Alcatraz di Milano.
I biglietti saranno in vendita da mercoledì 8 marzo.
Prossimamente saranno annunciati concerti in America e in Finlandia.
‘till Death Tears Us Apart, ora più che mai.
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#MUSICANUOVA: The Zen Circus, Non voglio ballare (+ remix)

Per Non voglio ballare, terzo estratto dal La terza guerra mondiale, pubblicato lo scorso settembre, The Zen Circus hanno deciso di proporre alle radio, oltre alla versione standard del brano, anche un remix ad opera di Apaks, al secolo Andrea Pachetti, socio con Appino dello studio di Registrazione 360 Factory Music di Livorno.
L’operazione anticipa la pubblicazione di La terza guerra mondiale 2.0, ovvero il remix del disco nella sua interezza.
Ad Apaks è stata infatti affidata la produzione di versioni dance/trap/electro dei brani del disco.

Caro Ed Sheeran, scusa, ma io non ti capisco

Faccio una grande premessa: non ce l’ho con Ed Sheeran. Non ne avrei davvero motivo. Anzi, il ragazzo mi sta anche simpatico, perché non ha mai fatto casino, non si è concesso alle lusinghe del gossip, non ha mai detto una parola fuori posto e si è sempre concentrato sulla musica. Anzi, se non fossero gli altri a parlare di lui, lui probabilmente si limiterebbe a far uscire i dischi senza neanche farsi vedere.
Non ce l’ho con Ed Sheeran dicevo, però tutto l’entusiasmo che sento intorno al suo nome io non lo capisco. Ora mi spiego.

Ogni tanto capita che la rete – cioè i siti, i blog, i giornali online, i social – per ragioni non ben chiare, inizi ad andare in visibilio per un artista, un album, anche solo una canzone. Senza andare troppo indietro, era successo due anni fa con 25 di Adele, è successo l’anno scorso con Lemonade di Beyoncé e sta succedendo ora con Divide (anzi, ÷) di Ed Sheeran. Record di streaming giornalieri, download alle stelle, visualizzazioni su YouTube da capogiro. Tutto succede, ripeto, per ragioni che non mi sono chiare. Perché potrei capirlo per una teen band o per un qualsiasi Justin Bieber, o semmai per il ritorno di una leggenda (chessò, i Rolling Stones, gli AC/DC, Madonna), ma quando capita per i suddetti lavori, a me viene da aggrottare la fronte, perché proprio non ne trovo la ragione.
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Prendiamo 25 di Adele: a distanza di quasi un anno e mezzo dall’uscita possiamo dirci serenamente che quel disco tutto quel successo non lo meritava? E possiamo dirci con altrettanta serenità che Adele è forse la più sopravvalutata artista del nostro secolo? Eppure ho paura ad andare a controllare il numero di copie che ha venduto quell’album o le visualizzazioni di Hello su Vevo. “Ha bellissima voce, è la ragazza della porta accanto in cui tutti ci possiamo ritrovare, bla bla bla bla” potrebbe dire qualcuno. Embè, avete mai fatto assistito a una qualsiasi esibizione gospel in America? Sapete quante ragazze con la voce bellissima – molto più di quella di Adele -, e della porta accanto ci sono là fuori? Non dico che Adele canti male o che le sue canzoni siano inascoltabili, ma certo provo del fastidio nel vedere tutta la fregola che vi si scatena attorno, come se mai nella storia del pop vi fosse stata una cantante che piagnucolava sulle sue storie d’amore condendole di acuti.
Per quanto riguarda Beyoncé, la sua operazione è stata talmente pompata ad arte da lei stessa e dalla sua casa discografica che non voglio neanche dilungarmi. Tutto quello che pensavo del suo album l’ho scritto qui, e non ho cambiato idea. Anche in quel caso infatti il mio entusiasmo verso l’opera maxima della signora Knowles Carter faticava a farsi vedere, tanto che mi pareva di essere un sordo in un mondo di orecchi sopraffini. Serenamente, sono ancora convinto che buona parte di quelli che hanno gridato al miracolo lo hanno fatto per seguire l’onda, e non per reale convinzione, ma tant’è.
Veniamo quindi a Ed Sheeran. Il rosso dalla faccia d’angelo. Da quando, alcune settimane fa, sono usciti i primi due inediti del nuovo album, è stato tutto un rincorrersi di record infranti su Spotify e iTunes, lodi sperticate dei due brani, attesa spasmodica dell’album e biglietti del tour polverizzati in pochi minuti – secondary ticketing permettendo.
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Devo dire la verità, non mi sono buttato all’ascolto delle due canzoni, ma la curiosità mi è venuta, e quindi l’album l’ho ascoltato. Che dire? Non malaccio: ci sono le ballate tristanzuole, una buona dose di folk di ispirazione irlandese, ricami acustici e spunti tra rap e r’n’b, che sono poi l’elemento che più mi stupisce di questo artista. Un album dignitoso, per usare un aggettivo caro a una mia professoressa di liceo, ma che almeno per il mio punto di vista non giustifica per niente l’esaltazione smodata di cui si è parlato. Sì, le canzoni si lasciano ascoltare, alcune sono anche molto piacevoli – Castle On The Hill e a Perfect, per esempio – ma nessuna tocca le vette dell’estasi, e neanche ci si avvicina. Ed è qui che ancora una volta ho iniziato a farmi qualche domanda.
Cavolo, se polverizzi i record di streaming dei campioni del pop, come minimo mi aspetto che tu lo faccia per aver composto il pezzo del millennio! Invece no, hai composto una canzone. Ok, una bella canzone, te lo concedo, ma nulla di più.

Per cercare di capirci dentro, ho provato a chiedere a tre amici, di sicuro ammiratori di Sheeran più di quanto non lo sia io, che cosa esattamente ammirano nella sua musica: una ha risposto che fin lo ascolta da quando non era ancora famoso e che fin dall’inizio l’ha colpita il suo fraseggio e la sua capacità di restare sempre delicato; un altro, anche lui fan della prima ora, mi ha detto di apprezzarlo di più sul palco che non nei dischi, di ammirare molto la sua capacità di stare in scena da solo durante i concerti e il suo modo di suonare la chitarra, consigliandomi di ascoltare la versione acustica di Castle On The Hill; la terza ha detto invece che di amare quella canzone più nella versione “tamarra” in studio.
Tre ascoltatori, tre rispose differenti, ecco, “sono a posto”, ho pensato.
Va beh, allora ho provato a risentire il disco: tutto carino, limpido, liscio come l’olio,un po’ acustico, un po’ folk, un po’ rap, un po’ triste, un po’ romantico. Ma niente, dell’entusiasmo neanche un accenno.

Insomma, una risposta definitiva alla mia domanda forse non c’è, e forse è stupido anche solo porsi la domanda, perché alla fine stiamo parlando di canzoni, una dimensione in cui il gusto e lo sguardo personali sono gli unici padroni.
Con buona pace di tutti, il mondo continuerà a impazzire per Ed Sheeran e io, con pochi altri, continuerò serenamente a skippare i suoi brani quando YouTube o Spotify me li vorranno proporre. Fino a quando arriverà il prossimo fenomeno globale.
Scusa Ed, non ce l’ho con te, davvero, è solo che non ti capisco.
Mistero della rete? Mistero della musica? Mistero.

#MUSICANUOVA: Maxé, I Wonder Why

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I Wonder Why
è il singolo di Maxé, giovane dj/producer tedesco di origini italiane.

Nelle sue produzioni unisce un mix di sonorità che spaziano dall’elettronica alla musica acustica, alla house, alla nudisco, alla deep house, tutto contaminato da hip-hop, soul e funk, la sua vera passione.
Molte le sue collaborazioni con artisti del calibro di Redman, Method Man, Masta Ace, The Beatnuts, Afrob e Cece Rogers. Inoltre, è anche produttore del progetto GOH e ha preso parte al singolo I Used To Be feat. Redman & Method Man.

#MUSICANUOVA: Birø, Ansia (Le luci)

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Birø è un cantautore classe 1990 originario di Varese. Un progetto che mira a raccontare storie coniugando testi della tradizione cantautorale italiana con i giochi dell’elettronica.
Incipit è il suo primo EP ufficiale, un esperimento in bilico tra musica e racconto, l’inizio di una storia raccontata attraverso 5 brani che trattano della gioventù di un ragazzo vissuta nel racconto di un’unica serata.
Ogni canzone dell’EP è quindi legata alle altre e, come le pagine di una storia, tutte seguono uno sviluppo cronologico.
La storia inizia con Ansia (Le luci), e vede protagonista un ragazzo che decide di assumere una droga sconosciuta, con tutte le paure che ne derivano.
Un brano dalle atmosfere suadenti di un pop color indaco ed echi trip hop, .
“Nella canzone sono numerosi i riferimenti allo stato d’ansia vissuto e alla paura avvertita di perdere sé stessi. Il giovane uomo avverte il rischio di confondere la realtà con l’immaginazione, è conscio del pericolo che corre ma desidera andare oltre, nonostante la persona che uscirà da quell’esperienza sarà ben diversa da quella che era prima”.
L’EP sarà disponibile su YouTube e in free download su Soundcloud dal 31 marzo.
Tutte le strumentali sono state composte ed arrangiate dallo stesso Birø in collaborazione con Mattia Tavani dei Belize e Giacomo Zavattoni di RC Waves che ha anche prodotto l’intero EP.
Per ogni ogni traccia è stata realizzata un’illustrazione da Vanni Vaps, grafico/illustratore che ha collaborato, tra i molti, con Vans e un video di Marcello Rotondella, visual artist di Novara ma di base a Roma.

Una canzone per… Selvaggia Lucarelli!

Non ce l’ho con Selvaggia Lucarelli
Semplicemente credo che siamo più belli
Non ce l’ho con Selvaggia Lucarelli
ma preferisco ancora i fiori ai coltelli.
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Elettropop, surreale, trash quel tanto che basta. Ma soprattutto,geniale.

Bussoletti ha dedicato il suo ultimo singolo a una delle lingue più affilate del web, Selvaggia Lucarelli, cogliendo l’occasione per ironizzare sulle nostre abitudini da inguaribili internauti e social-dipendenti.
In poco più di un mese, il video ha raccolto più di un milione di visualizzazioni, mentre la diretta interessata ancora non si è espressa.