#MUSICANUOVA: Maurizio Chi, Bianco

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Bianco racconta il desiderio profondo di un nucleo familiare che spesso si fa fatica a progettare nelle relazioni sentimentali contemporanee. Bianco non è un colore, è pulizia e ordine interiore, è fatto di valori veri che servono per costruire una casa.”

Dopo la pubblicazione dell’album Due, a segnare il ritorno sulle scene di Maurizio Chi è Bianco, un brano delicato e amaro.

Dal 24 marzo Maurizio Chi prenderà parte al tour teatrale Musiche in miniatura, di cui è anche ideatore, in cui la sua musica incontrerà il pubblico nei teatri più piccoli e straordinari del nostro paese in dieci regioni italiane.
L’iniziativa, da lui fortemente voluta, vuole riportare l’attenzione sulla musica a teatro e la scoperta di bellezze architettoniche di cui molti non conoscono l’esistenza e che invece meriterebbero di essere visitate e vissute.

Queste le date:
24 marzo – Teatro Belloni – Barlassina (MI) – Lombardia
25 marzo –Teatro della concordia – Monte Castello di Vibio (PG) – Umbria
28 Marzo – Teatro Salvini – Pieve di Teco (IM) – Liguria
4 aprile – Teatro Arrigoni – San Vito al Tagliamento/ Pordenone – Friuli
6 aprile – Teatro civico di Chivasso (TO) – Piemonte
7 aprile – Teatro Petrella Longiano – Emilia Romagna
8 aprile – Teatrino di Vetriano – Vetriano – frazione di Pescaglia (Lu) – Toscana
19 aprile – Teatro Accademico – Castelfranco Veneto (TV) – Veneto
24 aprile – Teatro Comunale Flora – Penna San Giovanni (MC) – Marche
26 aprile – Teatro Donnafugata – Ragusa Ibla (RG) – Sicilia

#MUSICANUOVA: Endrigo, Il ritorno dello J**i

Giovani Leoni è una seduta dall’analista. I testi seguono un percorso che, senza rigore cronologico, vanno a cercare le ragioni profonde del proprio malessere fino a trovarne le radici addirittura nell’infanzia. Il viaggio culmina con il tentativo di affrontare il quotidiano, tanto banale e ordinario quanto spaventosamente lontano dall’illusione rassicurante del palco. Palco che ritorna nella colonna sonora di questa analisi, eredità di un anno passato a suonare ovunque cercando di sfuggire dai pensieri che alla fine sono esplosi e entrati nei solchi di questo disco”.
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Gli Endrigo sintetizzano così le tematiche di Giovani leoni, il secondo album in uscita il prossimo 6 aprile. Un disco rock, dritto e pestato, per raccontare una realtà che lontano dal palco fa paura, nella sua ordinarietà e nel suo malessere.

A far da anticipazione al nuovo progetto è Il ritorno dello J**i.

Musicalmente nati nel 2012, gli Endrigo sono quattro amici di Brescia: nel 2013 hanno pubblicato il primo EP, Spara, seguito nel 2015 da Buona Tempesta. Nel 2017 è stata la volta del primo album Ossa rotte, Occhi rossi. In mezzo, una buona dose di live.

#MUSICANUOVA: Vegas Jones, Malibu

Malibu l’ho scritta in inverno, in una serata di pioggia a Cinisello. Quando sono arrivato a Malibu era come se nella mia testa ci fossi già stato, il sogno diventa realtà, basta volerlo.” 
Parte così il viaggio a ritroso di Matteo Privitera, alias Vegas Jones: dalle coste della California alla periferia milanese.
Malibu è infatti il singolo che anticipa l’uscita di Bellaria, l’album d’esordio in arrivo il 23 marzo, e il cui titolo è un omaggio al quartiere di Cinisello Balsamo dove Vegas è cresciuto.
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Il disco arriva a circa un anno dal successo platinato di Yankee Candle e si preannuncia come un incontro tra le rime del rap tradizionale e la trap.

Classe ’94 e originario di Cinisello Balsamo, Vegas Jones prende il suo nome dal personaggio di Vincent Vega, protagonista di Pulp Fiction di Quentin Tarantino, mentre il Jones  è un vero e proprio tributo a Nasir Jones, ovvero il rapper NAS.
Nel 2016 ha firmato per l’etichetta di Don Joe, Dogozilla Empire e a novembre dello stesso anno ha pubblicato in free download  il mixtape di 16 tracce Chic Nisello, con all’interno collaborazioni con Emis Killa e Nitro, tagliando in pochi giorni il traguardo dei 200.000 download. Con il singolo Trankilo ha conquistato il primo disco d’oro e a giugno 2017 è entrato a far parte del roster di Universal Music.

La crisi, il deserto e il kitchen groove: la catarsi dei Negrita in Desert Yacht Club

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Il Desert Yacht Club è un luogo reale, collocato da qualche parte nel deserto a sud-est della California, non troppo lontano dal Joshua Tree. Una sorta di resort in mezzo al nulla creato da un italiano, il napoletano Alessandro Giuliano: un’oasi-villaggio con qualche tenda, qualche roulotte, una piscina, i servizi essenziali, addirittura una barca in secca sulla sabbia. Intorno, la libertà assoluta. Qui i Negrita sono arrivati durante un viaggio nell’autunno del 2016, qui hanno lavorato e questo luogo-non luogo ha dato poi l’idea per il titolo del decimo album della band toscana.

Da sempre il viaggio si presta a interpretazioni simboliche di cambiamento, rinascita, bisogno di ritrovarsi, purificarsi, e mai come in questo caso il viaggio si è rivelato per i Negrita una vera e propria salvezza. Quando Pau, Drigo e Mac sono partiti, il progetto della band stava rischiando di vedere l’epilogo, complice una crisi anagrafica di mezza età e qualche tormento personale da risolvere.
“L’idea che il gruppo potesse sciogliersi era terribile, perché noi arriviamo dalla provincia, dove fare musica in un gruppo è a volte una delle poche vie per salvarsi. In noi c’era però anche la volontà di salvare qualcosa che amavamo ancora molto, dovevamo trovare un modo per uscire da quella situazione” confessa Pau, voce e leader della band. Ecco allora l’idea di un viaggio, senza una vera meta, attraverso gli Stati Uniti,  in furgone, senza scadenze; ecco allora il deserto, con le sue quattro stagioni nell’arco di una giornata, il deserto che nella sua vastità ti fa sentire piccolo e ti costringe a guardarti dentro.
E’ così che sono nati i brani di Desert Yatch Club: nessuno studio di registrazione o sala prove, nessun super impianto audio, ma un tavolo da cucina attorno al quale ritrovarsi per condividere le idee, magari con il profumo del soffritto ancora nell’aria, un paio di chitarre, un computer e una scheda audio, qualche tablet e smartphone per far circolare gli spunti raccolti dai singoli componenti della band. Un flusso di lavoro continuo, senza orari e senza schemi. I Negrita lo hanno chiamato kitchen groove, ed è lo spirito che li ha guidati nella realizzazione di tutto il disco durante i trasferimenti in Arizona, Nevada, California, fino al confine con il Messico, fino al Desert Yacht Club.
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Quello che torna sulle scene oggi è un gruppo la cui età media si avvicina ai cinquant’anni: si fanno i conti con l’immagine riflessa nello specchio, con la paternità che ti stravolge le priorità, con le crisi di ciò che si pensava immutabile, per capire che forse è meglio che tutto abbia la possibilità di cambiare.
Nel disco ci sono due brani particolarmente significativi in questo senso. Il primo è Non torneranno più, dedicato alla generazione che ha vissuto gli anni ’80 e i ’90: una canzone sul rimpianto, con l’idea di nobilitare un sentimento spesso soffocato: l’altro è La rivoluzione è avere 20 anni, ed è dedicato proprio ai ventenni di oggi, quelli che sono nell’età perfetta per fare le rivoluzioni, sempre che non restino ingabbiati negli schemi prestabiliti. 
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Ma quali sono alla fine gli esiti di questa catarsi? Il viaggio ha rielaborato gli adii lasciati in sospeso? E soprattutto, come ne sono usciti i Negrita? La risposta sta proprio nell’ultimo brano Aspettando l’alba: l’orizzonte alla fine apparirà/può trovarmi qui./Ogni fine alla fine finirà/puoi trovarmi qui.

“Oggi va molto di moda la depressione, ma in noi c’è una componente solare che non vogliamo nascondere”. E il segreto è nascosto là, dietro le dune della California.

I Negrita saranno in concerto a Bologna il 10 aprile, a Roma il 12 e a Milano il 14.

BITS-RECE: Ministri, Fidatevi. Fidarsi è bene, nonostante tutto

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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Come si fa
a restare per sempre al sicuro?
Come si fa
a fidarsi e poi fidarsi di nuovo?

Perdonate la banalità, ma se non fosse già abbastanza evidente dal titolo, è la fiducia il tema centrale dell’ultimo album dei Ministri.
La fiducia, uno dei moti d’animo più altruisti e delicati di cui l’uomo sia capace, e il gruppo milanese – arrivato al sesto disco e dopo 12 anni di musica segnati da una costante ascesa – la canta e la suona a modo suo, con 12 tracce di rock piuttosto tirato e pestato (ma anche con qualche momento di pausa): la fiducia chiesta dai trentenni di oggi ai genitori (Fidatevi), così incapaci di inquadrare il nuovo mondo del lavoro e incapaci di comprendere certe scelte, la fiducia cieca da riporre nell’amore (Tienimi che ci perdiamo), la fiducia in un futuro che ci siamo abituati a pensare in grande, ma con prospettive troppo piccole (Due desideri su tre), la fiducia in se stessi, anche quando questo implica porsi in contrasto con ciò che “gli altri” vorrebbero per noi (Le vite degli altri), anche quando facciamo e rifacciamo gli stessi errori (Memoria breve).
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Un bisogno di fiducia espresso però mai con una vera e propria, e forse troppo prevedibile, rabbia, quanto piuttosto con uno slancio di libertà e una lucida consapevolezza che in fondo la vita fa il proprio corso: i tempi sono quelli che sono, il futuro tanto luminoso non è, ma siamo qua e in qualche modo ne dobbiamo uscire.
Siamo nell’epoca dell’ansia e della solitudine, l’età delle spiritualità fai-da-te, ridotte alle parole, spesso vuote, pur di sperare in qualcosa. 
La soluzione dei Ministri è in un sano, silenzioso, atto di ribellione: disertare quella battaglia quotidiana, forse non così necessaria, del tutti-contro-tutti. Almeno, aspettare: “guarda il tuo incubo, e digli ciao, ciao, ciao”.

Nonostante tutto, fidatevi.

Ron: “Il mio omaggio alla trasparenza di Lucio Dalla”

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Si intitola semplicemente Lucio!, con un punto esclamativo, quasi come quando si vuole attirare l’attenzione di un amico che si incontra per caso e che non si rivede da tempo.
Sono passati sei anni da quando Lucio Dalla non c’è più, morto improvvisamente in Svizzera una mattina di inizio marzo, solo pochi giorni dopo l’ultima partecipazione a Sanremo.
Solo oggi, nell’anno in Lucio avrebbe festeggiato i 75 anni, Ron, che di Dalla è stato collega, collaboratore e che è tra i pochissimi a potersi dire veramente suo amico, è riuscito a rendergli omaggio con un album: “Quando ti capita un dolore così, vuoi solo startene per i fatti tuoi, tranquillo. Quando lui è morto non ho sentito il bisogno di far sapere che c’ero stato, come invece hanno fatto molti altri”.
Ed è per questo che Lucio! arriva adesso: dentro, 12 brani, 11 rivisitazioni di successi di Dalla e l’inedito Almeno pensami, portata in gara da Ron all’ultimo Festival di Sanremo e vincitore del Premio della critica “Mia Martini”.
Un brano riscoperto grazie alla collaborazione degli eredi di Dalla e proposto a Ron da Claudio Baglioni, direttore artistico del festival: “La canzone doveva far parte di un album che Lucio stava realizzando, ma che non ha fatto in tempo a finire, e di Almeno pensami esisteva già un demo: io non ho modificato niente del testo e della musica, l’ho solo fatto mio, cercando di non perdere quella trasparenza da bambino che apparteneva a Lucio”.
Con lo stesso criterio Ron ha rimesso mano agli altri 11 brani del disco: solo tre di queste canzoni portano la sua firma (Piazza grande, Attenti al lupo e Chissà se lo sai), perché l’intento del progetto non era quello di fare un disco a metà, ma un tributo in cui Dalla fosse al centro: le registrazioni sono avvenute in presa diretta con il solo utilizzo, oltre alla voce e alla chitarra di Ron, della batteria, del basso e del pianoforte.
Un lavoro speciale è stato invece riservato a Come è profondo il mare, l’unico brano del disco cantato da Lucio, di cui Ron ne aveva già curato l’arrangiamento originale. Recentemente si è ritrovato a riascoltare la traccia vocale del nastro, che gli ha dato l’idea per una nuova veste strumentale più sporca e distorta.
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Con il solo grande rammarico di non aver incluso nel disco Le rondini, Ron resta speranzoso sulla possibilità di trovare altri inediti: “Lucio era abbastanza disordinato, lasciava pezzi in giro, per cui non è escluso che da qualche parte ci siano ancora canzoni non ancora incise”.
Il disco è dedicato a Michele Mondella, storico collaboratore di Dalla, scomparso alcune settimane fa.

Ron presenterà del vivo il suo omaggio a Lucio Dalla in due concerti speciali in programma per il 6 maggio al Teatro Dal Verme di Milano e il 7 maggio all’Auditorium Parco della Musica a Roma: due serate interamente dedicate alle canzoni dell’artista bolognese, in uno spettacolo teatrale arricchito anche da contributi inediti. Poi in estate le altre date. 
  

#MUSICANUOVA: Coma_Cose, Post Concerto

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Cinque mesi dopo l’uscita di Inverno Ticinese, il duo Coma_Cose si ripresenta con un nuovo singolo, Post Concerto.
Il post concerto dei Fausto Lama e California è tornare da una serata di notte cantando una canzone in macchina, è qualcosa che ti rimane dentro e che non ti togli dalla testa, è finire a casa di qualcuno alle cinque di mattina, ma, è anche molto altro.

Il testo è il pilastro di tutto, dove le immagini di vita quotidiana mischiate a un’ironia pungente sono alla base della penna dei Coma_Cose e i luoghi comuni vengono dissacrati.
Dietro l’energia ritmica di Post Concerto affiorano anche trame più scure, l’arte di giocare con le parole e con i paradossi dei significati rimane una peculiarità della band.

Un brano che svela i suoi infiniti riferimenti e i giochi di parola ascolto dopo ascolto.

Se la pioggia fosse transitiva, io ti temporalo.

#MUSICANUOVA: Giorgio Adamo, La bomba

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Protagonista di numerosi spettacoli teatrali e musical (era lui il protagonista del discusso Divo Nerone realizzato a Roma lo scorso anno) e già leader degli Stamina, Giorgio Adamo torna alla musica con La bomba.

Il brano è nato in una tormentata notte del 2014, quando balzò alla cronaca la notizia che fosse “riscoppiata“ la guerra infinita in Palestina: Adamo ha cominciato ad arrangiarlo dopo i fatti del Bataclan, episodio che lo toccò da vicino perché pochi giorni dopo egli si sarebbe ritrovato a Parigi per lavoro, proprio in un teatro stracolmo.
La bomba parla di come si è estranei a tutto ciò che appare così lontano finché non ci si sente sfiorati dalle cose. Quando l’erba del vicino è più verde ci affacciamo per invidiarla, quando l’erba del vicino è bruciata non ci sporgiamo mai per dargli un po’ d’acqua.

BITS-RECE: Siberia, Si vuole scappare. Tra amore e dolore

BITS-RECE: radiografia emozionale di un disco in una manciata di bit.
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Quando mi trovo davanti la schermata bianca del computer e inizio la recensione di un album, cerco sempre di mediare tra il più spudorato giudizio personale e una descrizione più distaccata e “professionale”. Poi però ci sono casi in cui tenere separati i due elementi è impossibile, ed è per questo che come sottotitolo delle mie recensioni ho scelto “radiografia emozionale”, dove quel'”emozionale” sta proprio a sottolineare che in ogni commento che scrivo c’è sempre – più o meno evidente – una componente soggettiva, emozionale appunto, che poi è quella che mi fa amare visceralmente la musica, portandomi anche a scriverne.

Tutta questa premessa per dire che quando ho ascoltato Si vuole scappare, secondo lavoro dei livornesi Siberia, mi sono sentito percorrere sulla schiena un brivido di emozione che non posso ignorare. Perché dentro a questo album ci ho sentito scalpitare il lato più crudo e realistico della vita.
Il pop dei Siberia è tanto oscuro quanto viscerale, solenne, a volte liturgico e spietato, in un burrascoso equilibrio tra cantautorato e vigore indie-rock. Non a caso la band nomina tra i suoi riferimenti Tenco, i Baustelle e gli Editors: tutti riferimenti (gli ultimi due in particolare) che non si fatica a riconoscere scorrendo la tracce del disco.
Se dalla band inglese arriva la potenza sonora, con le sue seduttive atmosfere tendenti agli onirismi dark e gli impeti di new wave, dai Baustelle arriva lo slancio poetico spietato, violento eppure così tremendamente affascinante.
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Protagonista del disco è la vita dell’essere umano, spogliato di ogni velo da favola, l’uomo con l’anima nuda e la pelle esposta alle sferzate del destino. Una vita cantata nella sua miseria, nella sua tragedia quotidiana, ma anche in quell’accecante bisogno d’amore a cui nessuno sa resistere. Amore e dolore, spleen ed ebbrezza.

Un disco vertiginoso e ardente in cui perdersi.

#MUSICANUOVA: Palchi, Aria

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Si intitola Aria, il singolo che segna l’esordio di Palchi.

Un brano che parla del mondo che ci creiamo per come vogliamo che esso sia, riempito delle nostre verità sulle cose e sulle persone.

Dietro allo pseudonimo di Palchi si cela Girolamo Pelaia, calabrese, classe 1990.
A 16 anni vince un concorso che gli apre le porte del CET di Mogol e nel 2009, insieme ad un amico, fonda il suo primo progetto musicale, la band punk/rock Lost in Noise.
Dopo la pubblicazione di un EP e lo scioglimento della band, Girolamo si allontana dalla musica fino a quando, dopo il suo trasferimento a Roma e l’incontro con un ambiente diverso da quello che si era lasciato alle spalle, matura una maggiore consapevolezza che lo porta, nel 2018, a pubblicare il suo primo singolo solista e alla lavorazione di un primo album.