BITS-CHAT: La felicità grazie alle intemperie. Quattro chiacchiere con… Luca Gemma

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La ricerca della felicità è uno dei temi eterni nella storia degli uomini: da sempre la cerchiamo, ce la inventiamo, e quando ci sembra di averla trovata lei sparisce, rivelandosi un’illusione. E la ricerca riparte, instancabile.
Proprio sulla felicità Luca Gemma ha fatto ruotare il suo ultimo album, La felicita di tutti, perché non solo gli uomini, ma l’universo intero è continuamente mosso dal desiderio di afferrare quella chimera.
A cinquant’anni esatti dai grandi ideali di pace e amore professati dalla cultura hippie, il cantautore di Ivrea racconta in un album la sua concezione di felicità, tra rock, Beatles e inevitabili intemperie.
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Vorrei iniziare chiedendoti di parlare un po’ della scelta delle immagini sulla cover dell’album: si vedono persone, animali, personaggi di fantasia, frutti…

Un disco con un titolo al plurale aveva bisogno di molte immagini per celebrare la molteplicità e la diversità e le foto della fotografa GluLa erano perfette. Rappresentano simbolicamente quelli che vogliono essere felici e che trovi dentro le canzoni.
All’interno del disco si respira un’atmosfera un po’ “fricchettona”: a 50 anni esatti dalla nascita del movimento hippie, cosa è rimasto di quel periodo? Quegli ideali sono ancora proponibili nel mondo di oggi?
Il pacifismo, il rispetto dell’ambiente e la lotta alla disuguaglianza sociale sono nati con quella generazione di giovani che nel 1967 avevano 18, 20 anni. E’ un loro merito e lo slogan Peace And Love in un mondo fortemente dominato dal dio denaro avrebbe ancora il suo bel significato. Non si vede però una generazione disposta a rinunciare al proprio individualismo per una visione così altruistica del mondo. Sia chiaro, non lo è stata neanche la mia, che aveva 20 anni a cavallo tra gli anni ’80 e i ’90.
L’unica cover del disco è un brano di Caetano Veloso, Cajuina: a cosa è dovuta la scelta? E perché il testo è stato tradotto in italiano?
Io scelgo le canzoni in modo istintivo. Di Cajuina mi piace la sua struttura circolare e ripetuta e mi ha sempre colpito il suono del testo originale in portoghese brasiliano. Oltre al fatto che è molto poetico. Da lì è partita la mia sfida a scrivere un testo che rispettasse più il suono che il significato, pur stando dentro quel mood. Senza le parole in italiano non l’avrei cantata.
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Qua e là non è difficile scorgere tra i brani riferimenti ai Beatles: cosa hanno rappresentato in particolare per te?
Io i Beatles li ho scoperti relativamente tardi. Da adolescente e da ragazzo il loro suono non mi piaceva. Preferivo nettamente l’hard rock, la musica black e i cantautori degli anni ’70. Poi mi sono appassionato al beat con dischi come Aftermath dei Rolling Stones e anche in quel caso preferivo loro ai Beatles. Finalmente un giorno ho preso coscienza dell’immensità che rappresentano per chiunque si avvicini al rock e alla forma canzone. La gioia che mi danno alcuni loro dischi è un misto di emozione e piacere estetico e intellettuale che non finisce mai.
Nel brano che chiude il disco, Futuro semplice, auguri ai tuoi figli di mantenere sempre uno sguardo incantato sul mondo, agendo in totale libertà: tu oggi, da padre e soprattutto da adulto, pensi di essere riuscito a seguire questi ideali? Quanto la vita ti ha portato a ridimensionare le tue aspettative?
Accorgersi della bellezza e non dare nulla per scontato è ciò che ti tiene vivo e io credo tutto sommato di riuscirci ancora, nonostante le intemperie. A volte è proprio grazie alle intemperie che te ne accorgi.
In definitiva, secondo te la felicità è un’utopia o è una meta che possiamo davvero raggiungere?
La felicità di tutti è certamente un’utopia in un mondo sempre più pieno di disuguaglianza, ma è giusto pensare e fare in modo che le cose cambino. Quella individuale è fatta di momenti e bisogna farsi trovare pronti. E ognuno ha il compito di trovare il modo che gli si addice di più.
Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di ribellione?
Pensare con la propria testa in un mondo in cui le sollecitazioni sono così tante e continue da distrarti da ciò che pensi con la tua testa. Tenere a bada queste distrazioni e non esserne in balìa è una forma di ribellione perché vuol dire abdicare al ruolo di consumatore vorace di oggetti e sentimenti, ovvero quel ruolo che è stato assegnato a ciascuno di noi. Bisogna saper andare al nocciolo dei propri desideri.

#MUSICANUOVA: Jovanotti, Oh, vita!

Jovanotti - Oh, vita!
Un ritorno così difficilmente lo si poteva immaginare, e invece Jovanotti coglie tutti di sorpresa e torna alle origini, a quell’hip hop che lo aveva reso famoso negli anni ’90, e che negli ultimi lavori aveva ceduto il posto a un pop decisamente variegato.

Oh, vita! vede Lorenzo lavorare insieme a un gigante della produzione come Rick Rubin, che ha messo il marchio all’intero album in uscita il 1 dicembre.
Un inno alla vita senza troppi segreti, semplice e chiaro, accompagnato da un video che ripercorre i luoghi in cui Lorenzo è vissuto e cresciuto.

La badante: chi è il gruppo che ha portato Aldo Busi in un videoclip?

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Chi si celi dietro a La badante è al momento un mistero.

Quel che è certo è che per il loro singolo d’esordio, Parole d’amore, sono riusciti a convincere uno come Aldo Busi a prestare volto e movenze per il video, in cui il fumantino scrittore si cimenta addirittura in un convincente lip sync.
Ma Busi non è il solo volto noto che gira attorno al progetto di La badante: all’inizio del video è infatti l’iconica Mara Maionchi a chiarire direttamente al cantante in una telefonata tra il serio e il faceto il motivo che spingerebbe un artista a nascondere la propria immagine.
Parole d’amore farà parte di un album, L’amore è una cosa borghese, in arrivo prossimamente: conterrà otto tracce, con riadattamenti di canzoni dei Fangoria, un duo di synth-pop conosciutissimo in Spagna e attivo dalla fine degli anni Ottanta, ma quasi del tutto sconosciuto qui in Italia.
A questo punto, non resta che aspettare nuovi sviluppi….

#MUSICANUOVA: Galeffi, Occhiaie

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Galeffi
è un cantautore attivo sulle scene da un anno, forse neanche.
Arriva da Roma, ma la sua musica ha profumi diversi, sembra arrivare da qualche sotterraneo d’Europa, con una buona dose di familiarità con l’attitudine del britpop.

Tra le sue passioni, il calcio, il cinema e, non a caso, i Beatles.
Il suo esordio discografico è in programma per il 24 novembre, quando uscirà Scudetto, il suo primo album.
Ad anticiparlo è il singolo Occhiaie, ottimo esempio di una scrittura fatta di dettagli quotidiani – come una tazza di caffè, delle occhiaie e del polistirolo – disincantata e surreale.
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Questa la tracklist del disco:
Occhiaie
Polistirolo
Tazza di te
Potter / Pedaló
Quasi
Camilla
Puzzle
Pensione
Burattino
Tottigol

BITS-CHAT: Un treno in viaggio tra l'Irlanda e la "solitaritudine". Quattro chiacchiere con… Emanuele Dabbono

Emanuele Dabbono - Totem3La storia dell’ultimo album di Emanuele Dabbono è iniziata nel 1997, esattamente vent’anni fa, e ha trovato la perfetta conclusione in soli tre giorni di registrazione in una chiesa sconsacrata di Arenzano, in Liguria.
È così che ha finalmente visto la luce Totem, un album nudo e acustico, dal forte sapore irish. Un fotografia nitida del suo autore, stampata idealmente su carta ruvida e artigianale.
In mezzo, tra il concepimento e la nascita del disco, tanti altri scatti: la morte del padre, un viaggio in Irlanda, la partecipazione alla prima edizione di X Factor, la paternità e da ultima la collaborazione con Tiziano Ferro, per il quale Dabbono ha firmato alcuni degli ultimi successi (tra gli altri, Incanto e Il conforto), come unico autore sotto contratto in esclusiva.
Dabbono, figlio del cantautorato americano e fedele al suo spirito indipendente e libero, non ha ceduto alle lusinghe di chi avrebbe voluto sporcare il progetto di Totem con l’elettronica per avvicinarlo al pubblico, ma lo lasciato così lo aveva immaginato sin dall’inizio, incontaminato, senza neanche un vero e proprio singolo da consegnare alle radio.
Perché tanto lui il suo successo lo ha già raggiunto, e ha trovato la sua dimensione ideale nella solitudine. Anzi, nella “solitaritudine“.
Perché Totem?
Nella cultura degli indiani d’America il totem è un simbolo sacro. Veniva messo all’ingresso dei villaggi e ogni disegno rappresentava qualcosa di importante per gli abitanti: la famiglia, gli affetti, i legami. Questo disco è il mio totem, perché dentro ci ho messo tutto quello che conta per me: ascoltarlo è un po’ come entrare nel mio villaggio, andateci piano, state maneggiando il mio cuore. È il disco che ho cercato a lungo, ma che ho anche tenuto nascosto.
È anche un disco che ha avuto una gestazione piuttosto lunga.
Il primo pezzo, Piano, è di vent’anni fa, anche se quasi non me ne rendo conto. Negli altri brani si sentono molto le influenze irlandesi perché per un periodo ho effettivamente vissuto in Irlanda dopo la morte di mio padre. Avevo bisogno di staccare da tutto, liberare la testa, e l’Irlanda mi è sembrato il posto adatto per questa sorta di “espiazione”: una volta arrivato, è successo che sono entrato in contatto con la musica di quei luoghi e anziché fermarmi una settimana sono rimasto qualche mese. La musica irlandese mi ha influenzato molto, sono entrato in sintonia con quell’ambiente, mi è piaciuto il contatto che si instaura con la gente girando per i locali. Tornato in Italia mi sentivo molto meglio, ma ho voluto tenere nascosta a lungo la consapevolezza che avevo acquisito, quasi come se fosse qualcosa di privato. È stato Tiziano (Ferro, ndr) a farmi capire che invece la mia forza stava proprio in quelle atmosfere, nelle tenerezza e nella dolcezza che riuscivo a tirar fuori con quella musica, non dovevo per forza fare rock. Da qui ho preso il coraggio per dar forma a questo album.
Questi suoni non sono esattamente quello che ci si aspetterebbe di sentire oggi da un cantautore…
Totem è un disco folle, e ne sono perfettamente consapevole: non c’è reggaeton, non c’è il featuring con qualche rapper, non c’è elettronica. Qualche major sarebbe anche stata disponibile a pubblicare il disco, ma avrei dovuto modificare un po’ il progetto, e non ho voluto. Quello che è venuto fuori è una fotografia nitidissima di me, in HD. Sono già contento che questo disco possa finalmente uscire: poterlo pubblicare è come ricevere il sesto disco di platino.
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A proposito di Piano, ho letto che è in qualche modo legata a John Denver.
L’ho scritta nel ’97, dopo la sua morte. L’idea però non era quella di fare un pezzo dedicato a lui, ma piuttosto riflettevo sul fatto che quelli che noi immaginiamo invincibili e destinati all’eternità se ne vanno. È stata una delle prime canzoni che ho scritto.
Gli altri pezzi quando sono nati?
Sono più recenti, dall’Irlanda in poi, diciamo dal 2006 ad oggi. L’ultima arrivata è Siberia, che ho scritto alcuni mesi fa. Anche in questo senso Totem è un disco fuori dalle regole: c’è un pezzo del ’97 e poi uno stacco di quasi dieci anni.

Che cos’è il “treno per il sud” che dà il titolo a un altro dei brani?
È un ritorno a casa, un ritorno indietro. Non so bene perché, ma il sud mi ha sempre dato l’idea di casa più del nord, forse perché il nord viene di solito associato a temperature fredde. Il viaggio per il sud mi dà anche l’idea di una discesa in profondità, un viaggio interiore.
Che valore ha il viaggio nella tua vita?
Il vero viaggio è nelle persone. Forse è un pensiero che altri hanno già espresso, ma sono pronto a confermarlo. Negli anni ho incontrato persone bellissime, spesso in maniera fortuita. Ti racconto un aneddoto: tempo fa ho trovato un sito web in cui si poteva ordinare un libro per bambini personalizzandolo in base al nome. Mia figlia si chiama Claudia, e per ogni lettera del suo nome gli autori hanno costruito la storia di una bambina che va alla ricerca di creature misteriose. Come dedica, hanno scritto: “Cara Claudia questo è un viaggio tra le meravigliose creature che incontrerai nella vita. Queste sono soltanto le prime”. Ecco, questa è una bellissima definizione di viaggio, un’esperienza tra le persone prima che tra i luoghi. Ovviamente, non trascuro nemmeno il viaggio vero, quello geografico, perché mio padre non ha avuto la possibilità di girare molto e io lo sto facendo anche per lui. Mi capita di sognare alcuni luoghi in cui non sono ancora stato, come l’Islanda o il Sud Africa.
La sensazione che si prova ascoltando questo disco è quella di un uomo in pace con se stesso. Cosa ti dà pace?
È difficile dire cosa mi dà davvero pace, dovrei pensarci un po’, però posso dirti cosa mi fa stare bene: riconoscermi negli altri, nella musica, nei film, nei libri. Hai presente quando hai la sensazione che qualcosa sia stato detto o cantato apposta per te? Quando ascolti una canzone e ti sembra che sia stata fatta solo pensando a te? Ecco, ho imparato che se a me quel momento procura un’emozione mentre non trasmette nulla a un’altra persona è perché in quel momento ci sono anch’io, sono parte anch’io di quell’emozione. E poi mi fa stare bene vedere il mondo: vorrei far imparare alle mie bambine a non aver paura, soprattutto in un momento delicato come quello che stiamo vivendo, con gli attentati all’ordine del giorno. Tutto è incontrollabile, crudele, ma il mondo è così bello che vale la pena rischiare. Pensiamo di avere sempre tempo per recuperare qualcosa che non abbiamo ancora fatto, ma non è così.
Secondo te il mondo di oggi lascia spazio alla gentilezza?
Se fosse una canzone, la gentilezza sarebbe sicuramente fuori dai primi duecento posti di iTunes. Però proprio perché è rara, quando la incontri brilla e la riconosci, ti migliora la giornata. Non è un fatto di educazione, ma è una scelta, un modo per entrare in empatia con gli altri senza giudicarli subito.
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Sulla copertina dell’album ti si vede da solo in un deserto e in Irene canti “sarà la solitudine a riportarci tutti a casa”. Che rapporto hai con la solitudine?
Nella lingua italiana la parola solitudine rimanda a qualcosa di negativo, di cupo, fa pensare a una persona ripiegata su se stessa. Io vorrei coniare un termine nuovo e preferisco parlare di “solitaritudine”, che invece è una figata! Sono un Capricorno, e ogni tanto ho bisogno dei miei momenti solitari, in cui sembra che non stia facendo niente. Un po’ come chi si isola per fumare è impegnato e si sta prendendo un piccolo spazio per sé. Io le mie sigarette invisibili me le fumo scrivendo o leggendo, o quando vado nel mio studio a lavorare, quasi come un artigiano. Sono da solo con le cose che amo: non sto lavorando, sto “privilegiando”, per usare il verbo in un significato nuovo. Questa è la “solitaritudine”. Ci riporta tutti a casa perché ci fa incontrare con noi stessi ed è l’unica occasione in cui possiamo fermarci a pensare a cosa abbiamo sbagliato e come avremmo potuto fare meglio.
Definisci Totem “una fotografia in HD di te stesso”: quindi i dischi precedenti non erano a fuoco?
Ho sempre messo tantissimo di me in tutto quello che ho fatto, ma non sempre il risultato era a fuoco, perché non sempre sono riuscito a tirar fuori il meglio. Non penso dipendesse da me o dalle scelte musicali che ho fatto, ma semplicemente dovevo capire qual era il mio modo migliore di esprimermi. Come dicevo prima, è stato Tiziano a farmi capire che per emozionare non dovevo per forza strafare o sfoderare tutte le ottave della mia ugola: il culto dell’acuto è tipicamente italiano, ma l’emozione arriva anche se canti a mezza voce. È una consapevolezza a cui sono arrivato dopo molto tempo.

Con Tiziano Ferro la collaborazione continuerà?
Non posso dire molto. Ho da poco rinnovato il mio contratto con lui per altri tre anni e stiamo lavorando a tanti bei progetti.
Di solito concludo le interviste chiedendo di darmi una definizione di ribellione, ma a questa domanda avevi già risposto in un’intervista precedente. Ti chiedo allora di scegliere una di queste parole e di spiegarmi che significato ha per te: ambizione, resistenza, silenzio, indipendenza, successo.
Vorrei darti la mia definizione di successo, che non ha niente a che vedere i numeri, i riconoscimenti o il consenso. Questa è una forma moderna di successo, ma per me il successo è la realizzazione di un’idea, piccola o grande. Il successo è la felicità che ti arriva da quel risultato. È il sogno di diventare padre, ritrovarti tra le mani tua figlia appena nata e pensare “questo è un incanto”. Poi prendere il telefono e trasformare quel momento in una canzone, Incanto, appunto. Il successo è la chiusura di un cerchio, e in questo senso nella mia vita non ho avuto sempre il successo che speravo: ho commesso errori, ho iniziato cose che non ho portato a termine, come l’Università, però credo che quando riesci a concludere la parabola del cerchio puoi anche trovare il consenso degli altri, ed è lì che la mia idea di successo si incontra con l’altra, quando non hai nessun tipo di smania. Ma prima di tutto, è qualcosa che devi fare per te, perché troverai sempre chi non sarà d’accordo o non saprà apprezzare. E se non sai parare il colpo è dura, la sensibilità è un’arma a triplo taglio.

Brunori SAS: al via a febbraio "Brunori a teatro – Canzoni e monologhi sull'incertezza"

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Un incredibile 2017 per Brunori Sas che ha conquistato il pubblico e la critica con l’ultimo album di inediti A casa tutto bene, recentemente certificato disco d’oro e seguito dal grande successo live dell’omonimo tour, con oltre 65.000 biglietti venduti.

Dopo il collaudato successo dell’esperienza teatrale del 2015, da febbraio Dario porterà in scena “Brunori a teatro – canzoni e monologhi sull’incertezza” uno spettacolo unico nel suo genere fatto di musica e argute riflessioni, che si rifà allo stile del teatro – canzone e della standup comedy.
Insieme alla sua storica band, alternerà ai brani cantati intermezzi parlati, descrivendo il mondo contemporaneo col suo stile inimitabile che coniuga profondità con leggerezza, sacro con profano, malinconia con simpatia, e lo sguardo lucido e sentimentale che caratterizza la sua poetica.
Un percorso tra il riso e il pianto, dove l’unica certezza è… l’incertezza.
manifesto-quadrato-fb grafica Daniele Pampinelli
I biglietti per i nuovi appuntamenti sono già disponibili in prevendita su Ticketone (www.ticketone.it) e su tutti i circuiti autorizzati.
Per informazioni: www.brunorisas.it

Questo il calendario:
16.02 Trento – Auditorium Santa Chiara

17.02 Mantova – Teatro Sociale
19.02 Milano – Teatro Arcimboldi
24.02 Pescara – Teatro Massimo
26.02 Napoli – Teatro Augusteo
28.02 Genova – Teatro Politeama Genovese
01.03 Varese – Teatro Openjobmetis
05.03 Bologna – Teatro Europauditorium
06.03 Udine – Teatro Giovanni da Udine
07.03 Ravenna – Teatro Dante Alighieri
13.03 Roma – Auditorium Parco Della Musica
14.03 Assisi – Teatro Lyric
15.03 Ancona – Teatro Le Muse
17.03 Cosenza – Teatro Rendano
18.03 Bari – Teatro Petruzzelli
21.03 Catania – Teatro Land
22.03 Palermo – Teatro Golden
23.03 Reggio Calabria – Teatro Cilea
27.03 Torino – Teatro Colosseo
28.03 Padova – Gran Teatro Geox
29.03 Firenze – Teatro Verdi

“Nesli presenta Francesco Tarducci”: il 24 novembre un live speciale a Roma

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 sarà all’Orion Live Club di Ciampino (Roma) il prossimo 24 novembre 2017 per una data intima e speciale in cui “Nesli presenta Francesco Tarducci”.

I biglietti per lo show sono già in vendita su Ticketone.it e in tutti i punti vendita autorizzati.
L’ultimo album di Nesli, Kill Karma, è stato pubblicato a luglio 2016 e ha debuttato al secondo posto della classifica degli album più venduti (Fimi).
La versione integrale, Kill Karma (La mente è un’arma) è stata invece pubblicata il 10 febbraio 2017, in concomitanza con la partecipazione a Sanremo con Do retta a te.
Sempre quest’anno Nesli ha partecipato a MasterChef Celebrity, arrivando alla finalissima.
PREZZO BIGLIETTI: € 25 + € 3,75 d.p.
Apertura porte: ore 20:00
Inizio concerto: ore 21:00

#MUSICANUOVA: Federica Abbate, Fiori sui balconi

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Fiori sui balconi è in realtà un gioco di parole che sta per “fuori come un balcone”. Il brano parla di me in prima persona, ma penso che tanti miei coetanei (e non) possano rispecchiarsi nel testo che parla della difficoltà di vivere oggi in un mondo estremamente selettivo, che fissa una rigida linea di demarcazione tra Vincenti/Perdenti, Forti/Deboli, Accettati/Esclusi. Il brano parla di tutto questo, ponendo l’accento sul concetto di “fuori”.
Fuori come “tagliato fuori”: sentirsi inadatti, inadeguati, non all’altezza. Fuori luogo per l’appunto.
Ma fuori anche come “stare fuori”, ossia il bisogno che spesso i giovani hanno di esagerare e andare oltre per evadere dalla quotidianità e dai problemi di tutti i giorni. Uno strafare che spesso si chiude in un infinito loop che non porta da nessuna parte. Da un lato, quindi, l’inconcludenza, dall’altro la voglia di “tirarsi fuori” per riprovarci, crederci ancora e sognare”.

Dopo aver messo la firma su un numero indefinito di hit italiane degli ultimi anni (un titolo su tutti, Roma-Bangkok), Federica Abbate si prepara ora al debutto discografico da protagonista, e lo fa con il singolo Fiori sui balconi, prodotto da Takagi e Ketra.
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Nata a Milano nel 1991, nel 2013 Federica Abbate ha partecipato al concorso per giovani autori “Genova per voi”, vincendolo e aggiudicandosi così un contratto come autrice per Universal Music Publishing.
A marzo 2016 ha firmato il suo primo contratto discografico in veste di cantautrice con Carosello Records.

#MUSICANUOVA: Noemi, Autunno

Al primo ascolto mi ha fatto storcere il naso, poi è andata un po’ meglio. Resta il fatto che il nuovo singolo di Noemi si intitola Autunno, ma sembra una qualunque canzone da spiaggia, una delle tante hit vestite di elettropop che puntualmente riempiono le radio tra giugno e agosto.
A metterci mano sono stati Dario Faini e Tommaso Paradiso, quest’ultimo ormai firma prezzemolina dei singoli italiani, che hanno messo insieme un inno alla malinconia.
Tutto sommato, un ritorno innocuo. “Sarà un autunno difficilissimo”…

Amore occasionale: il pop di Fabio Cinti tra cambiamento e coerenza

“Così si cambia linguaggio, come quando cambi nazione, bisogna che ti adatti a parlare la lingua del posto, altrimenti nessuno ti capisce. E forse in questo momento, nella mia nazione mi sento un po’ straniero. Ho intuito che mi si capiva poco, o che erano in pochi a capirmi e quelli che lo hanno fatto però, o lo fanno, sono sempre molto emozionati. Perciò mi sono detto che probabilmente sarebbe stato giusto allargare lo sguardo e tendere l’orecchio, essere più diretto, preoccuparmi di essere capito senza rinunciare al contenuto, essere, in fondo, più libero dalla musica stessa, usarla, e non essere usato, estremizzando il rispetto per essa”.
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Con queste parole Fabio Cinti presenta il suo ultimo singolo, Amore occasionale, in anteprima su Rockit.
E in effetti, il primo elemento che colpisce all’ascolto è la grande distanza tra queste sonorità dai profumi quasi tropicali e i brani densissimi di Forze elastiche, l’album pubblicato un anno fa. Lì il cantautorato di Cinti si muoveva in un disco sofisticato e colto, musicalmente piuttosto articolato, che lascia ora posto al genere più democratico per definizione, il pop.
Una mossa coraggiosa, perché cambiare – in qualsiasi direzione – implica sempre una ripartenza (se non a volte un ritorno sui propri passi), che altro non fa che mostrare la grande versatilità di questo artista raffinatissimo e dall’animo gentile.
Approdare al pop e concedersi a una dimensione più leggera non significa però rinunciare alla propria essenza, ed ecco che il testo di Amore occasionale si riempie di letture, riferimenti più o meno immediati e forse anche più o meno volontari, dettagli preziosi e inaspettati (gli sguardi incattiviti nei caffè). Leggerezza, ma con coerenza insomma.
Assieme a Cinti, alla nascita del brano hanno preso parte Lele Battista, Leziero Rescigno e Paolo Benvegnù: “Li ho chiamati gli “Avengers”, come gli eroi della Marvel, perché l’impresa mi sembrava davvero eroica! Hanno capito perfettamente l’esigenza e ci siamo divertiti moltissimo nel produrre un brano come questo che era nato esattamente come gli altri ma che è stato “cresciuto” in modo totalmente diverso. Non è importante per me (per noi) sapere qual è il genere: siamo nel pop? Probabilmente sì, ma il punto è un altro, è lo spostamento, il cambiamento…”.

Ad accompagnare la canzone un video – delizioso – diretto da Giulia Grotto.