#MUSICANUOVA: Fuoricentro, Pia Contessa

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«Pia Contessa nasce circa cinque anni fa, con l’intento di scrivere qualcosa di ‘diverso’, una realtà sconosciuta ai più, ovvero l’omofobo etero fasullo e represso, quasi invidioso e spaventato della libertà altrui. Uno frustrato che nutre pulsioni irrefrenabili verso coloro che al bar con amici, al ristorante, tra i discorsi con i familiari, rifiuta e disprezza. Un ‘carnefice’ che è a sua volta vittima di se stesso e della sua educazione, costretto a manifestare le proprie pulsioni in gran segreto, con il travestitismo o banalmente attraverso incontri occasionali, nei momenti liberi rubati, nei parcheggi, insomma in posti e con persone che non potranno essere testimoni dell’inconfessabile. Ho voluto raccontare il tutto in maniera molto ironica ed inaspettata, fornire l’altro lato della medaglia del fenomeno legato all’omofobia, proprio per far venire a galla i ‘peccati’ di una certa frangia di popolazione che molti non si aspetterebbero e non immaginerebbero neanche».

Così Maurizio Camuti, cantante dei milanesi Fuoricentro, presenta Pia Contessa, nuovo singolo della band.
Un racconto dell’omofobia da un punto di vista molto particolare, contro ogni moralismo e ogni paletto del politically correct.

I Baustelle regalano Lili Marleen

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“Non è un estratto del nuovo disco dei Baustelle, non la troverete là dentro.

Non è una canzone d’amore e nemmeno di guerra, piuttosto le due cose insieme.
Non costa niente, un clic ed è vostra per sempre (nei limiti del possibile).
Non contiene sintetizzatori digitali.
Non è un punto fermo.
Non è un’isola: semmai la barca per arrivarci.
Eccola qui. Prendetela per mano, cercate di proteggerla dal freddo.
Oppure semplicemente lasciatela andare.
Si chiama Lili Marleen.”

Era da qualche giorno che lanciavano indizi su Facebook tra foto e mezze frasi, per cui si capiva che qualcosa stava per succedere. Oggi la rivelazione: i Baustelle hanno pubblicato un nuovo brano e lo hanno messo in freedownload sul loro sito.

Si intitola Lili Marleen e, almeno per ora, non anticipa nessun nuovo album.

#MUSICANUOVA: Zero Assoluto, Il ricordo che lascio

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Scritto con Fortunato Zampaglione e Saverio Grandi, Il ricordo che lascio si snoda tra ricordi e decisioni: sonorità elettroniche segnano il tempo di conservare le memorie in un cassetto. Il ritmo giusto per voltare davvero pagina e guardare avanti.

Il nuovo singolo degli Zero Assoluto arriva dopo un’estate all’insegna di Di me e di te Live, e dopo i successi di Di me e di te, Una canzone e basta, ed Eterni.

#MUSICANUOVA: lemandorle, Le ragazze

Le ragazze racconta l’estate e le sue contraddizioni. Una giornata afosa e una spiaggia affollata. Amori estivi, la musica che sbuca ovunque, i brividi sui corpi appena usciti dall’acqua. Un rito nazional popolare da accarezzare senza pregiudizi ma con tenerezza, perseguitati dal fantasma dell’auto consapevolezza. Una fotografia a colori, scandita da un beat che fa battere a tempo il piede. Una canzone per l’estate 2016. Ma anche per quella del 2022.”

Così recitava il comunicato stampa della versione originale del brano, qualche mese fa, ed era già “sballante”.
Adesso sono arrivati pure i remix ufficiali!

Due note importanti sugli artisti: lemandorle hanno la barba.

lemandorle sono punk: con i computer, Google e la tecnologia al posto di chitarra, basso e batteria.

#MUSICANUOVA: L’Introverso, Manie di grandezza

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“Il brano parla di chi da piccolo veniva marchiato come qualcuno dal futuro certamente negativo solo per il luogo di provenienza. Nel nostro caso la Barona, un quartiere della periferia sud di Milano. E’ una canzone contro i pregiudizi, è un brano di riscatto. Crescere, sognare in grande, impegnarsi, vincere, perdere, ritrovarsi persone normali”.

‎Così Nico Zagaria, voce de L’Introverso e autore del brano, parla di Manie di grandezza, terzo estratto dal secondo album della band, Una primavera.

“Non avevamo il budget per un altro video così ci siamo detti: Facciamolo da soli, a costo zero. Abbiamo buttato sul tavolo qualche idea e poi Futre, il nostro bassista, e Mauro Ferrarese, un caro amico d’infanzia, l’hanno realizzato”.

BITS-CHAT: “Colpisco la vita, ogni volta più forte”. Quattro chiacchiere con… Loredana Errore

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Quale piega può prendere la vita dopo un evento traumatico come un incidente stradale a cui si è sopravvissuti per quello che si è soliti chiamare miracolo? E soprattutto, come sarebbe stata la vita se quell’evento non si fosse mai verificato?
Domande con risposte impossibili, ovviamente. 

Quello che si può fare è scrollarsi la polvere di dosso, asciugarsi le ferite e ricominciare a camminare seguendo il percorso che sembra più giusto.

Così deve aver fatto Loredana Errore, che nel settembre del 2013 si è trovata coinvolta in un tragico incidente automobilistico. Un evento che ha lasciato i suoi segni, oggi forse più sull’anima che nel corpo, e che ha richiesto di attraversare il periodo buio della ripresa, con i suoi dubbi e le sue domande.

Ma, come spesso fortunatamente succede, al buio più fosco segue la luce, che in questo caso è una Luca infinita. E proprio questo è il titolo del nuovo disco di Loredana, uscito a quattro anni dal precedente Pioggia di comete, ma soprattutto arrivato dopo il timore di aver visto la fine.

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Il primo elemento che colpisce di questo album è la copertina: cosa hai voluto rappresentare con il diverso trucco degli occhi?
In quell’immagine ho rappresentato il bene e il male, due elementi in contrapposizione ma che convivono in noi e che insieme portano ordine. La scelta di una copertina come questa è arrivata dopo l’esperienza dell’incidente: da quel periodo di buio io sono tornata alla luce, una luce infinita appunto. Questo album è la mia dichiarazione di speranza.

All’epoca dell’incidente stavi già lavorando al nuovo album o è nato tutto dopo?
Quando è successo l’incidente ero ancora impegnata con il tour di Pioggia di comete, non stavo ancora pensando a quello che sarebbe successo dopo. Il progetto di questo album è nato tutto in seguito ed è partito proprio da quel tragico evento.

Pensi che in qualche modo l’incidente ti abbia cambiata?
Sicuramente da allora vivo tutto più intensamente, ogni istante, ogni dettaglio. Devo dire però che in questo mi ha aiutato molto anche la fede: già prima dell’incidente avevo sviluppato un forte rapporto con Dio, ho sempre avuto una fede abbastanza solida. Certo, ci sono momenti nella vita in cui dubitare diventa facile, ma in fondo non ho mai smesso di credere. C’è una frase in Nuovi giorni da vivere che riassume bene il significato di questo disco, “Ci vuole coraggio per riprendersi il cielo”: ecco lo spirito con cui sono tornata è proprio questo. Penso anche però che un incidente non può cambiare quello che sei: certe cose devi già averle nel cuore.
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A differenza dell’album precedente, qui non ci sono brani scritti da te: è stata una certa precisa?
Esattamente: quando ho incontrato Carlo Avarello e sono entrata a far parte dell’Isola degli artisti, mi sono messa completamente nelle mani della squadra che ha lavorato con me. Devo dire che non è stato difficile assimilare questi brani: sono stati per me un dono, ho visto in loro la luce infinita che cercavo e che ha poi dato il titolo a tutto il lavoro. In questa logica è stato inserito, per esempio, un brano come Convincimi, firmato da Avarello, Pago e Franco Califano.

E la scelta di reinterpretare Per amarti di Mia Martini?
Quella canzone è stata il primo punto di contatto tra me e Carlo Avarello, che poi ha prodotto l’album: mi è stata affidata in occasione di un evento dedicato a Mia Martini, Buon compleanno Mimí. Non la conoscevo e mi sono resa conto che è un brano difficilissimo, riuscire a portarlo a termine è stato un po’ come scavalcare l’Everest. Per questo poi, quando con Carlo abbiamo iniziato a lavorare al disco, mi è sembrato giusto riproporlo.

Durante il periodo buio dell’incidente, hai mai avuto paura che tutto potesse finire?
Sì, ho più volte avuto questo timore. Non sapevo come ne sarei uscita, cosa sarei ancora stata in grado di fare, sentivo che la mia voce non poteva fare più di tanto e mi chiedevo se sarei stata ancora capace di tornare a cantare come volevo io.

E se fosse successo? Se la musica fosse dovuta uscire dalla tua vita, come l’avresti sostituita?
Già prima che iniziassi a cantare, nella mia vita c’era Dio. Se non avessi più potuto fare musica, se non fossi più riuscita a esprimere le mie emozioni con il canto, avrei probabilmente trovato la soluzione nella fede. Nella vita c’è davvero rimedio a tutto, tranne che alla morte.

Il tuo modo di interpretare i brani è particolare, molto viscerale: non hai mai paura di scoprirti troppo davanti al pubblico?
In effetti me lo sono sentita dire molte volte e sopratutto in quest’ultimo periodo anch’io mi sono chiesta se fosse giusto continuare ad avere questo approccio nelle canzoni: ma la mia attitudine verso la musica è così, non sarei mai in grado di proporre qualcosa di sola tecnica. Ci devo mettere l’anima, il cuore, altrimenti per me cantare non avrebbe senso.

Loredana (DA E PER DI VINCENZO)

Sei riuscita a seguire l’insegnamento di “non aver paura della vita, colpirla più forte, colpirla più volte”, come canti in Lo sguardo stupendo?
Io credo proprio di sì: è una bellissima frase di un brano dedicato a mia madre. Per me la figura materna ha un contorno particolare: da piccolissima ho vissuto esperienze pesanti come possono essere l’abbandono e l’adozione, esperienze che indubbiamente ti segnano per sempre e che mi hanno fatta diventare quella che sono oggi. Sì, io della vita non ho paura, anzi, voglio continuare a sorriderle con entusiasmo.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato dai al concetto di “ribellione”?
Per me la ribellione va intesa prima di tutto nel suo significato sano, non sono certo per la violenza. La ribellione è una forza di giustizia, un elemento che ripristina la giusta realtà: nella mia vita, ho fatto della ribellione un punto di forza, sia in famiglia che all’esterno.

“La nostra elettronica in minore”: arriva Detachment, il primo album degli Urban Strangers

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Li avevamo lasciati a dicembre con la vittoria sfumata nella nona edizione di X Factor, anche se poi si erano rifatti con il successo dell’EP Runaway. Adesso per gli Urban Strangers è tempo di ritorno. Il primo album si intitola Detachment, ed è una delle cose più lontanamente italiane che siano state finora partorite da ex concorrenti di talent. Forse solo Madh li aveva in questo anticipati.

Un disco molto poco italiano non solo per la lingua in cui sono cantati i 10 nuovi brani, l’inglese, ma anche per le ispirazioni elettropop che trasudano in ogni singola traccia e che a un ascolto ad occhi chiusi farebbero pensare all’ultimo lavoro di due teen idol d’Oltreoceano: “Forse nella musica italiana non c’è qualcosa di simile a ciò che proponiamo noi. Ascoltiamo tanta musica italiana, ma non ne siamo influenzati. Vorremmo riuscire a puntare all’Europa: è una sfida, perché il pubblico europeo è come una bestia che dobbiamo attaccare”.

I punti d’interesse di Detachment però non finiscono qui: il titolo infatti, che nella madrelingua suona come “Distacco”, fa riferimento alla voglia dei due ragazzi di esplorare le varie forme di allontanamento fisico, psichico e metaforico che si possono sperimentare nella vita. Un’esigenza che, come raccontano, è nata proprio in seguito alla partecipazione al talent di Sky, al termine del quale si sono ritrovati catapultati in una dimensione frenetica, con nuove pressioni da parte di discografici e fan, i tempi di lavoro ristretti, conseguenze fisiologiche della popolarità acquisita: “Dovevano prendere coscienza di quello che stava succedendo e di quello che stavamo facendo: la scrittura dei nuovi brani ha segnato in questo una ripresa e ci ha aiutati. Quando siamo andati a X Factor lo abbiamo fatto con la consapevolezza di ciò che eravamo e sapevamo fare, senza logiche di mercato: il programma comunque non ci ha plasmato, perché in questi casi sei tu a dover plasmare il programma, non viceversa”.
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Stupisce anche quell’aura di pessimismo e di dubbio che pervade i testi, tutte quelle domande esistenziali che di solito non si sentono nei lavori di altri ragazzi della loro (giovanissima) età: sentimenti freddi, nuvole emotive, incertezze sulla realtà e sul senso stessa dell’esistenza. Nel primo singolo, Bones, il protagonista chiede se l’altra persona lo riconoscerà anche quando di lui resteranno solo delle ossa fredde. Un po’ come si domandava tanti anni fa Eric Clapton, ma qui suona molto più sinistro e un po’ meno poetico.

Amiamo distruggerci con il pensiero, abbiamo l’attitudine a farci domande e spesso tendiamo ai suoni in minore, ma non siamo depressi, sappiamo anche divertirci”. E in effetti il mondo degli Urban Strangers è fatto di contrasti e abbinamenti talvolta singolari. Se già il loro nome racchiude un ossimoro, non può sfuggire la collocazione di un pezzo come Intro piazzato proprio sul finale: “Fa parte del nostro modo di vedere la realtà, capovolgendo le cose, è un’espressione del non sense in cui viviamo, la voglia di non avere regole e divertirci”.
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Tra le forme di distacco di cui si parla, anche quella sensoriale della marijuana, raccontata in Bare Black Tree: “Come molti adolescenti, anche noi ne facciamo uso, e quel brano è stato scritto in uno di quei momenti, è un’immagine nata da quella suggestione: anche questa è una forma di distacco dalla realtà”.

Nessun brano in italiano per ora: “Ci stiamo provando, ma non ci siamo ancora arrivati. Forse in futuro, e chissà, magari lo scriveremo in maggiore”.

Amedeo Minghi, 50 anni tra ricordi e scoperte

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È partito tutto nel 1976, esattamente 50 anni fa.
Amedeo Minghi festeggia mezzo secolo di melodie e poesia. Un anniversario che in pochissimi hanno il privilegio di vedere in un mondo, come quello della musica, dove nulla è scontato e il sostegno del pubblico è forse l’unico elemento a segnare il destino di un artista.

Un evento che, dopo così tanti anni di canzoni, non poteva non essere celebrato, pur senza autoincensarsi: proprio per questo, dopo un periodo passato in un silenzio artistico solo apparente (“Non ho mai smesso di fare musica: sono più di 10 anni che non faccio un album di inediti, ma in questo periodo ho scritto musiche per colonne sonore e ho girato i teatri”), Minghi torna sulle scene con un grande progetto che ha affidato alle robuste mani di Sony Music. Arriva infatti sul mercato La bussola e il cuore, cofanetto in triplo CD che racchiude ben 41 brani tra inediti, successi rivisitati e rarità. Un progetto ambizioso e molto strutturato, suddiviso in tre parti ben distinte, come tre satelliti che ruotano attorno a un metaforico cuore musicale.

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Il primo disco, La bussola, è a tutti gli effetti un nuovo album, il primo dopo 11 anni, fatto di 10 inediti – due dei quali firmati Mogol – che mostrano il Minghi di oggi, un cantautore che non ha perso il suo tocco magnetico ed epico e la capacità di dar vita a melodie evocative.

Nel secondo capitolo, Il cuore, trovano 5 canzoni manifesto di una carriera prestigiosa, da 1950 all’irrinunciabile Vattene amore, ricoperte di una nuova veste. A queste seguono alcuni brani legati al percorso di fede del cantautore romano, come Non abbiate paura, ispirato alle parole di Giovanni Paolo II, Cantico delle creature e Domani, ispirata alla storia di Anna Frank, primo possibile spunto per un musical sulla storia della ragazzina tedesca (“Se Anna Frank fosse stata cristiana, oggi sarebbe santa, ecco perché ho messo questo brano tra quelli legati percorso di fede”). A chiudere, la versione orchestrale di Io non ti lascerò mai, l’inedito presentato nel 2014.
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Ma è soprattutto il terzo CD, Mappe, a riservare le sorprese più grandi: qui infatti trovano posto tantissimi brani che , per un motivo o per l’altro, non erano mai stati pubblicati o erano stati scritti per altri artisti. Curiosa, per esempio, la storia di Il gabbiano e la sirenetta, il cui testo è stato fortuitamente recuperato in un cassetto, ma di cui non si conosce l’autore: solo le esigenze burocratiche della SIAE hanno costretto Minghi ad attribuirsene la paternità. Ci sono poi Il coraggio di tornare, di fatto un inedito, scritta con Califano e solo recentemente riportata alla memoria del cantautore, o Ti perdo e non vorrei, riproposta in un provino per Rita Pavone e proprio per questo incisa in una tonalità adatta al timbro femminile che costringe l’artista a usare il falsetto. Mappe è poi l’occasione per riscoprire anche alcune pagine sperimentali, come Trimotore idrovolante, composta insieme al “genio visionario” di Gaio Chiocchio, con cui Minghi ha lavorato a lungo, e Sicura, composta per le tre voci dei Pandemonium, qui eseguite dal solo Amedeo e poi sovrapposte.

Molte tracce di questo CD provengono dalle cosiddette lacche usate un tempo per registrare le versioni appena abbozzate dei brani, per questo in molti casi è rimasto il suono della puntina che gratta sul disco.

La bussola e il cuore rappresenta quindi un riassunto del passato, ma apre anche la via al futuro: si tratta infatti solo del primo capitolo di un progetto che il 5 dicembre porterà Amedeo Minghi a uno speciale concerto a Roma, accompagnato dall’orchestra e preceduto dalle esibizioni di giovani artisti che reinterpreteranno in chiave personale alcuni brani del suo repertorio. A gennaio invece arriveranno i concerti nei teatri. Poi, con buona probabilità, un nuovo album.

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Niente Sanremo però: “Penso di aver dato a Sanremo tutto quello che potevo: ci sono andato come interprete, come autore e come ospite”, a cominciare da quel Vattene amore che è diventato il suo pezzo più celebre, ma che lui non doveva neanche cantare: fu solo per una questione di regolamento e per permettere a Mietta di essere in gara che vi prese parte. Paradossalmente, Vattene amore resta anche il brano più incompreso della sua carriera, con il riferimento a Mozart del “farfallone amoroso” che in pochi colsero, così come il “gattino annaffiato”, riferimento a uno sdolcinato spot della Barilla in onda in quel periodo.

E se fu 1950 a dargli la vera notorietà, la canzone che ha fatto di Minghi un cantautore è stata L’immenso.

Quanti ricordi, quante esperienze, quanta vita intrecciata all’arte ci stanno dentro a 50 anni? Tanti, tantissimi, eppure dopo mezzo secolo di musica si può ancora avere la voglia di pensare al prossimo passo da fare e al prossimo orizzonte da toccare. Con lo stesso entusiasmo.

Lo stesso entusiasmo che fa sì che l’ultima traccia di Mappe si chiuda con un fuorionda “insolito”…. 

BITS-CHAT: “Voglio darvi la bella copia”. Quattro chiacchiere con… Ketty Passa

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Ketty Passa
è la cantante con i capelli blu.
Oddio, in realtà è molto di più, ma questa è la prima cosa che salta all’occhio appena si incrocia il suo sguardo, e soprattutto questo è l’elemento che la rende immediatamente riconoscibile.

Ma Ketty Passa è molto di più perché con la musica non ci ha a che fare solo come interprete, ma anche come conduttrice in radio e TV e dj in alcune serate di milanesi. Ultimo incarico che le è stato assegnato in ordine di tempo è la selezione musicale per il nuovo programma di Rai2 Nemo-Nessuno escluso. Insomma, è una che nella musica ci sguazza dentro in pieno.
Nel 2013, insieme ai Toxic Tuna ha pubblicato il suo primo album, #CANTAKETTYPASSA, e ora, a distanza di tre anni, si prepara al ritorno: questa volta però lo fa da sola, e con uno stile tutto nuovo.
Per pubblicare il nuovo album e dare al pubblico la “bella copia” del CD, ha accettato la proposta dei fondatori di Musicraiser Giovanni Gulino dei Marta sui tubi e della sua compagna Tania Varuni, dj e produttrice, che, rimasti entusiasti dei primi ascolti, l’hanno esortata a dare il via alla missione #kettypassainloop, iniziata a fine settembre e attiva fino al 25 novembre.
Per chi si offrirà di finanziare il progetto, sono previsti numerosi pacchetti di offerte, dall’edizione speciale dell’album fino a una cena e al dj set privato. Tutte le info a questo link.

Ti avevamo lasciata nel 2013 con il tuo precedente album, #CANTAKETTYPASSA e ti ritroviamo ora pronta a fare un nuovo passo con un disco che si preannuncia molto diverso: cosa è successo in questo periodo?
L’esperienza con la band è stata bella, ma difficile, e alla fine non abbiamo trovato l’incastro giusto. Già subito dopo il tour era emersa l’esigenza da parte di alcuni di prendere altre strade: così, senza nessun tipo di rancore, abbiamo abbandonato il progetto e io mi sono messa a pensare a cosa avrei voluto fare davvero come cantante. Quello che da tempo volevo proporre era qualcosa che mischiasse pop, elettronica e hip hop: io lo definisco urban, ma solo perché ha uno stile piuttosto street e si rifà all’America, con il cantato a volte punk, a volte melodico.

Un genere non proprio frequente in Italia: come hai trovato la chiave giusta per lavorarci?
Ho iniziato in studio, accompagnata dal mio produttore, Max Zanotti, la persona che più di tutti ha creduto in questo progetto dall’inizio. Anche per lui era una scommessa, perché ha sempre avuto a che fare con tutt’altra musica, mentre qui si trattava di mettere insieme melodia su basi elettroniche piuttosto ritmate, spinte, che di solito in Italia sono usate dai rapper. E’ anche per questo che ci ho messo due anni a fare il disco.

Difficoltà particolari che hai incontrato?
La lingua: l’italiano non è spigoloso come l’inglese, è rotondo, e adattarlo a quella musica non è stato facile, ho dovuto lavorare molto in quel senso, cercando di adattare le parole alle basi che mi arrivavano da musicisti che lavoravano nell’ambito dell’hip hop. Per creare l’atmosfera mi sono ispirata molto a Gwen Stefani, M.I.A., Kimbra, ma anche Rihanna e Beyoncé. Tra i pezzi meglio riusciti c’è Sogna, il primo singolo, dove sono riuscita a trovare il linguaggio perfetto, mentre in altri casi ho dovuto rispettare un po’ di più le esigenze dell’italiano e mi sono adeguata a un andamento più melodico. Anche i temi che affronto sono molto diversi: nei 10 pezzi nuovi ci sono canzoni più allegre, altre più intime, in un’altra parlo di come sia difficile portarsi dietro la propria diversità nella società di oggi abituata a ragionare in franchising.

E sei poi arrivata a Musicraiser…
Per questo album ho lavorato in maniera diversa rispetto a prima, andando in studio e non più in sala prove, e tutto questo ha un costo: sono stata contattata da Giovanni Gulino e Tania Varuni di Musicraiser e mi è sembrato un buon modo per sostenere le spese e avere una nuova visibilità. La parte economica in un progetto discografico ha un grande peso e le operazioni messe in atto da piattaforme come questa sono un grandissimo aiuto, soprattutto per gli artisti come me che non hanno alle spalle case discografiche che possano finanziare il lavoro. Ho posto un obiettivo piuttosto ambizioso, 10.000 euro, che mi serviranno per coprire una parte delle spese che ho già sostenuto e darmi la possibilità di realizzare anche un paio video. Fare musica è anche un investimento su di sé, per cui molto ho già investito di mio: aderire a Musicraiser mi permetterà di avere più visibilità e poter dare al pubblico la “bella copia” del disco. La campagna si chiuderà il 25 novembre e ho previsto numerosi pacchetti per chi deciderà di aiutarmi a portare a termine il progetto. Voglio che le persone siano invogliate a finanziare la mia missione, non voglio sono elemosinare.
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A Musicraiser sei arrivata dopo aver ricevuto la proposta di Giovanni e Tania: prima non ci avevi pensato?
No, non ero molto convinta: di solito alle cose devo arrivarci da sola, con i miei tempi, e in questo caso non pensavo che potesse fare al caso mio. Poi invece i ragazzi di Musicraiser mi hanno contattata ed erano molto entusiasti dei provini che hanno ascoltato e così ho deciso di mettermi in gioco: mal che vada, se non raggiungo l’obiettivo, resto a zero come sono ora. Sarà forse un po’ avvilente, ma è un tentativo. D’altra parte, l’alternativa sarebbe stata quella di aprire un mutuo. Mi ha aiutato molto anche il fatto di aver incontrato l’etichetta 22R con la quale si è instaurato un rapporto di fiducia. In questa campagna mi sto impegnando tantissimo, sto mettendo tutta me stessa, tutta la creatività che ho, anche per creare pacchetti esclusivi e ricchi da proporre: tra i progetti c’è anche quello di creare delle strisce di fumetto in cui racconto una storia. Per ora non posso dire molto, ma sarà una cosa molto divertente che sto preparando insieme a un tatuatore: riguarderà uno dei brani e avrà come protagonisti una bambina e un animale.

E’ stato difficile trovare musicisti adatti al tipo di musica che volevi proporre in questo album?
Più che dal punto di vista pratico, la difficoltà è stata soprattutto trovare chi volesse fidarsi e mettersi in questo progetto: mi rendo conto che proporre brani urban non sia facile in Italia, e devo dire che in effetti molti non capiscono, sono convinti che la musica italiana non sia pronta. Io però sapevo di non voler fare quello che fanno le altre cantanti: è vero, dopotutto faccio pop, per cui i punti di contatto ci saranno, ma io voglio proprio fare musica con un linguaggio diverso, e sono curiosa di vedere come verrà recepita questa operazione.
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Pensi che Musicraiser possa rappresentare il futuro della discografia?
Sì, ma più che Musicraiser penso che sia il web in generale a rappresentare il domani della discografia. Prendiamo il caso di Salmo: quando lui è arrivato, il suo tipo di musica non lo proponeva nessuno, lo ha portato lui, e oggi è entrato in una major. Le grandi realtà discografiche ormai servono soprattutto a supportare fenomeni già esistenti, lavorano con i talent, ma non presentano cose nuove, e questo per meccanismi di mercato che posso anche comprendere, ma che non aiutano a portare qualcosa di diverso. In passato ho ricevuto proposte per partecipare a dei talent, ma ho capito che se avessi accettato sarei entrata in logiche più grandi di me e come artista sarei morta. Non mi serviva avere quella visibilità e non avevo voglia di farmi scrivere le canzoni da altri.

Prima accennavi a un brano dell’album che tratterà il tema della diversità: secondo te che cosa fa paura alle persone nell’essere diversi?
Essere diversi vuol dire sentirsi continuamente sbagliati: noi umani siamo brutti, sviluppiamo una serie di convenzioni sociali che ci portano al confronto, al giudizio verso gli altri. Lo facciamo tutti, nessuno escluso. Essere diverso ti porta a vivere con più difficoltà anche nel concreto, perché magari sei tentato di fare scelte meno convenienti economicamente ma più stimolanti. Essere diversi è difficile proprio dal punto di vista pratico, mentre una vita facile è quella che porta gli altri a non giudicarti e romperti le palle.
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A proposito del caso di Tiziana Cantone, sulla tua pagina Facebook hai scritto: “il problema non sono i social, sono le persone”. Non pensi però che i social abbiano amplificato l’imbarbarimento della società?
Certo, perché, come dicevo, siamo tutti prontissimi a scagliarci sugli altri per nasconderci, anche se commettiamo gli stessi errori. L’indole umana porta a puntare il dito per sentirsi puliti, mentre si sta perdendo la capacità di autocritica: dietro allo schermo di un computer siamo tutti coraggiosissimi, ma non riusciamo a reggere il confronto diretto. In questo caso specifico, la ragazza è stata convinta a essere lei dalla parte del torto, mentre la vera colpa in questa storia è stata mettere on line un video senza il suo consenso, quello è un reato! Il senso di colpa per quello che si vedeva in quel video è stato però così grande che Tiziana si è tolta la vita, ed è gravissimo. Per questo ho scritto che il problema non sono i social, ma le persone che li usano e il modo in cui li usano. Siamo fatti male, siamo fatti per spiare e giudicare, e Facebook non è altro che lo specchio di questo comportamento.

Per concludere, una domanda di rito per BitsRebel: che significato ha per te il termine “ribellione”?
E’ difficile spiegarlo: sono molto diversa da come appaio, posso sembrare estroversa e ribelle, ma sono molto più tranquilla. Forse ribellarsi è portare avanti dei valori che riconosci in te, ma di cui non trovi riscontro nella società. Ribellarsi può essere anche avere il sogno della musica, ma andare a lavorare in ufficio se il tuo paese non ti offre le condizioni per farlo in totale libertà o se l’unica alternativa è andare in un talent. Ecco, io ho ancora la lucidità di dire no.