BITS-SANREMO: la terza serata

Mumble mumble….Terza serata del Festival, giro di boa e primi sentori di eccitazioni da vittoria.
Partendo sempre dai giovani, Lele e Maldestro (quest’ultimo un po’ carente in intonazione) passano il turno, lasciando a casa Valeria Farinacci e Tommaso Pini (quest’ultimo un po’ a sorpresa).
Stasera quindi a giocarsi la finale saranno quattro gentleman: Francesco Guasti, Leonardo Lamacchia e i suddetti Lele e Maldestro.


Venendo alle cover, come gli altri anni la carrellata è stata a forte rischio sonnolenza, soprattutto perché non tutti se la sono sentita di rischiare con il brano e con il nuovo arrangiamento.
Tra i pochi, Ermal Meta, che si è preso la meritata vittoria: la sua versione di Amara terra mia, oltre a essere stata interpretata magnificamente, è la prova chiarissima che il ragazzo sa bene quel che fa. Un autore bravissimo, che scrive con anima, e un interprete di robusta personalità.
Buona prova anche per Masini con il suo tributo a Faletti, anche se a tratti pareva non riuscire a stare dietro al tempo, e di Paola Turci, che ha scelto di rimettere mano a un classico e della Oxa come Un’emozione da poco.
Sul resto c’è stata fondamentalmente calma piatta: Elodie avrebbe potuto far molto di meglio con il pezzo di Cocciante, soprattutto negli arrangiamenti e nell’intensità dell’interpretazione; Chiara ha fatto il temino scolastico con Diamante di Zucchero; la Mannoia ha fatto la Mannoia con Sempre e per sempre e Samuel ha fatto Samuel con Ho difeso il mio amore. Qualche problema tecnico ha invece rovinato la festa di Sergio e i Soul System, mandando fuori tempo l’esecuzione di un pezzo –Vorrei la pelle nera – dove il groove era centrale.
Non abbiamo purtroppo potuto ascoltare la versione di Ma il cielo è sempre più blu che avevano preparato Nesli e Alice Paba, e che avrebbe sicuramente riservato entusiasmi.

E a proposito di Nesli e Alice, è evidente che le coppie create a uso e consumo sanremese non funzionano, dato che sia loro sia Raige e Giulia Luzi sono i primi due esclusi definitivi. Il gioco per cui prendi due artisti e le metti insieme sul palco pensando di sommare i voti delle rispettive fanbase e quindi di avere vittoria facile non regge.
Nel caso di Nesli, lui già quest’estate parlava di Sanremo, ma il presentimento è che i suoi progetti fossero un po’ diversi, con l’idea di presentarsi da solo, ma che si sia poi trovato a doversi accollare la Paba per ordine giunto dall’alto. Il che non ha però giovato al brano e non mi stupirei se i pensieri di Nesli si siano fatti scurissimi al momento del verdetto.
Rientrano quindi in gara Ferreri, Ron, Atzei e Clementino.

BITS-SANREMO: la seconda serata

Seconda puntata del Festival e anche stavolta mi sono perso la diretta, dovendo riguardarmi le esibizioni sul web in scaletta personalizzata (per fortuna che c’è Rai Play!).
Se la prima serata era stata generalmente dentro le previsioni senza riservare colpi di testa, per la seconda puntata non si può dire altrettanto.
Partendo dai giovani, la prima grande batosta di quest’anno è arrivata con l’eliminazione di Marianne Mirage, che con Le canzoni fanno male vedevo già proiettata sul podio dei vincitori. Peccato davvero, evidentemente qualcosa non è arrivato nel modo giusto. Peccato anche per Braschi, che con Nel mare ci sono i coccodrilli aveva tra le mani un pezzo dalla storia molto particolare.
Felicissimo invece per Francesco Guasti, dritto in finale insieme a Leonardo Lamacchia.
Stasera sapremo i nomi degli altri due.



Tra i big, non c’è dubbio che il gran mattatore della serata sia stato il mascalzone Gabbani: la sua Occidentali’s Karma è esattamente l’uragano che il Festival aspettava, e che potrebbe insediare il podio dei superfavoritissimi Mannoia e Meta. Un pezzo freschissimo, apparentemente leggero e costruito su un testo da lucido osservatore della realtà.
Gran bella prova di Paola Turci, corazzata da soldatessa.
Non male Masini, molto toccante Bravi (ma la voce dov’è??), Sergione Sylvestre ha tirato fuori tutto il suo soul in un pezzo che forse richiama un tantino troppo Giorgia, che ne è poi davvero una degli autori. Però caspiterina, che voce!

Non ho invece capito cosa è successo al brano di Nesli e Alice Paba, Do retta a te: la canzone non è brutta, e nella versione studio sembra funzionare, ma l’impressione è che sia la coppia a non funzionare dal vivo. E purtroppo, mi tocca ammettere che tra i due quello un po’ più deboluccio è stato proprio Nesli, vocalmente schiacciato dalla collega. Possiamo poi stare qui a chiederci sul perché abbiano deciso di presentarsi in coppia, ma credo sia meglio non indagare…. Peccato comunque, perché la loro eliminazione impedirà di ascoltare la potentissima versione di Ma il cielo è sempre più blu che avevano preparato per stasera.
Delusione per Chiara, dopo che nel 2015 mi aveva fatto volare con Straordinario: l’intervento di Mauro Pagani nello spogliare all’essenziale i suoni ha reso solo noioso un pezzo che forse -forse – poteva avere qualche palpito vitale in più con un diverso arrangiamento.

Tra le sorprese, confesso che la Atzei ha portato nel suo pezzo, Ora esisti solo tu, qualcosa di curioso, con quei dettagli così folkloristici in un brano che non è davvero male, nonostante la firma di Kekko. Resta il fatto che la sua presenza resta un mistero, e la sua eliminazione non mi ha preso alla sprovvista.
Insomma, dopo il primo ascolto di tutti i brani, il giudizio complessivo è di un festival di livello medio, senza troppe brutture, ma anche senza punte di eccellenza. Tolto Gabbani e forse un altro paio di canzoni (Meta, Mannoia), non si sono ascoltate grandi meraviglie.
Da oggi liberi tutti in radio e nei download, dove parte la nuova sfida.

BITS-SANREMO '17: la prima serata

La prima puntata di Sanremo me la sono persa, ebbene sì. Mentre Carlo Conti e Maria De Filippi aprivano la 67esima edizione del Festival della Canzone Italiana – perché è così che si chiama – io ero a sentire i Bastille al Forum d’Assago e ho rimesso piede in casa proprio subito dopo l’esibizione di Ermal Meta, l’ultimo degli 11 artisti che si sono esibiti.
Le esibizioni le ho quindi ascoltate “di riflesso” sul web, perdendomi la tradizionale e unica emozione della diretta, ma con il lusso di sentirmi le canzoni in ordine sparso e anche più volte di seguito, skippando e stoppando quando necessario.
Detto questo, il primo elemento che mi viene da sottolineare è, almeno per ora, la mancanza del pezzone di successo sicuro: belle canzoni sì, qualche sorpresa, ma tutto sommato nessun soprassalto. Non ci sono state grandi deviazioni di percorso e più o meno tutti gli artisti in gara si sono tenuti sulle rotaie della propria traiettoria.

Prendiamo per esempio il brano della Mannoia, Che sia benedetta, osannato da ogni dove e dato per vincitore da molti: pezzo sicuramente piacevole, interpretazione da professionista consumata. Lei si è mangiata il palco con una forza da leonessa e il fuoco negli occhi, ma la canzone non aggiunge molto a quanto Fiorella non avesse detto o fatto in passato. C’è la voce, c’è il messaggio, ma tutto resta tanto, troppo in stile “mannoiese”.
Molto intenso Ermal Meta, che in Vietato Morire porta sul palco un testo coraggioso e drammatico, naturalmente ben scritto.




Su Al Bano non mi accanisco nemmeno.
Fabrizio Moro è invece arrivato con Portami via, una canzone graffiatissima, sicuramente più del necessario, ma in linea con i suo stilemi.
Assolutamente da sentire tre-quattro volte, per farsene una giusta idea, Fa talmente male della Ferreri, dato che al primo ascolto non resta granché. L’exploit di Ti porto a cena con me non si ripeterà.
Sul palco mi è risultata invece inspiegabilmente invecchiata l’atmosfera creata da Elodie, rimasta impigliata in un brano, Tutta colpa mia, dai contorni classici e in cui “amore” viene ripetuto quasi all’esasperazione. La sua non è una brutta canzone, ma l’effetto di Emma in questo caso rischia di fare più danno che beneficio.
Sorprese invece per Samuel e Bernabei: il primo arriva con Vedrai, un pezzo agilissimo e ben strutturato tra pop ed elettronica, mentre il secondo mi ha stupito un po’ – sono sincero – negli incisi di Nel mezzo di un applauso, evitando il rischio di impantanarsi ripetendo la formula elettropop dello scorso anno. Discorso a parte per il testo, tra le cui righe si legge un filo di imbarazzo.


Il secondo elemento che vorrei segnalare è che mai come quest’anno – ma aspetto le prossime serate per approfondire eventualmente il discorso – ho avuto la sensazione che il palco dell’Ariston applichi una sorta di deformazione sui brani, rendendoli ancora più “sanremesi” di quanto non siano, dove per sanremese si intende una canzone caricata di enfasi armonica. Prendete ad esempio Vedrai di Samuel, un brano e un artista che almeno sulla carta dovrebbero stare al festival come la riviera di Levante sta a quella di Ponente. Eppure nell’ascolto non si può fare a meno di pensare che quelle note sono state pensate per essere suonate lì sopra, davanti a quel pubblico, immerse in quel mare di tensione mediatica.
Verità o incantesimo del Festival?

ASPETTANDOSANREMO: Eccitato dalla vita. Quattro chiacchiere con… Marco Masini

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“Questo album è un po’ la punta di un iceberg e di un progetto partito alcuni anni fa e che considero come la ricerca di un’utopia: quando si arriva alla soglia dei cinquant’anni si inizia pensare come si sarebbe vissuto, a come sarebbero stati gli eventi della vita se ci fosse stata la possibilità di cambiarli, di tornare indietro anche solo di un secondo per modificarli. In questa ricerca utopistica ho voluto inserire anche una ricerca musicale usando molta elettronica per parlare d’amore, di pace, di guerra o di vita. D’altronde, a partire dagli Human League in poi, tutti abbiamo voluto provare a cimentarci con i sintetizzatori: musicalmente io appartengo a quel periodo, con i Genesis, i Pink Floyd, un periodo di grande sperimentazione”.

In effetti, ad ascoltare il nuovo lavoro di Marco Masini, che uscirà il 10 febbraio e si intitola proprio come il brano in gara a Sanremo, Spostato di un secondo, la prima cosa che colpisce sono i potenti utilizzi di elettronica che riempiono molte delle nuove canzoni e che per l’artista toscano rappresentano una grande novità, a partire per esempio da Ma quale felicità, il bellissimo pezzo d’apertura.
Per Masini quella a Sanremo 2017 sarà l’ottava partecipazione: nel 1990 si aggiudicò il primo posto tra i giovani con Disperato, per arrivare alla vittoria nel 2004 con L’uomo volante.
Oggi, dopo più di 25 anni di carriera, quello che sale sul palco dell’Ariston è un cantautore con tante consapevolezze in più, che si riflettono nitide in tutti i brani del nuovo album: “Il disco è il risultato di un lavoro di anni, frutto della collaborazione di tante persone, da Zibba a Luca Carboni, Diego Calvetti, Vicio dei Subsonica. Rappresenta quello che sono oggi, quello che sono diventato: c’è tanto elettropop, ma ci sono anche momenti acustici, più legati a quello che sono stato in passato, come in Una lettera a chi sarò, dove volevo un’atmosfera più intima”. 
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Quali sono state le tappe più importanti che ti hanno portato a essere quello che sei oggi?
Sono state tutti i giorni che ho vissuto: la vita per me comincia sempre oggi, non sono mai stato un nostalgico, non sono mai andato dietro ai rimpianti e ai rimorsi. Non ho mai voluto fare del vittimismo, tranne quando ho denunciato un problema discografico che mi impediva di fare il mio lavoro. Sono convinto che il male non ce lo fanno gli altri, ma noi stessi, non facendo buon uso delle nostre scelte: poter arrivare un secondo prima ci permette di scegliere meglio. Sono stato formato da tutto quello che mi è capitato, dal caffè preso alla mattina con Bigazzi agli amori. La vita è tutto, nel bene e nel male, ed è bella così. 
Il modo di vivere Sanremo cambia nel tempo?
Non cambia il lavoro che fai, perché Sanremo non è solo il momento in cui sei sul palco a cantare, ma è tutto il lavoro che ci sta prima e durante. Ma Sanremo per me è anche come uno sparo allo start, un modo per dare una scadenza, altrimenti non smetteresti ma di mettere in discussione quello che scrivi. Poi è un modo per avere nuovi stimoli perché ti trovi in competizione con i ragazzi dei talent e capisci se il tuo pensiero e il tuo vissuto possono essere condivisi anche con un’altra generazione. E’ una sfida prima di tutto con te stesso.

Per la serata dedicata alle cover hai scelto Signor tenente di Faletti: ha un significato speciale?
E’ una canzone che ha avuto un grande successo non subito, ma che poi non è stata più ricantata, non la si ascolta in radio, al karaoke o al pianobar, ed è un’ingiustizia. La serata delle cover è un’occasione per riscoprire brani che non si sentono spesso: avrei potuto giocare facile scegliendo per esempio Margherita di Cocciante, adatta anche alla mia voce, ma volevo ricordare anche un amico. Giorgio mi ha insegnato tanto, abbiamo musicato insieme un suo testo. Era geniale, imprevedibile, lo si vede anche nei suoi libri. Sapeva far ridere in Drive In e ha pubblicato un thriller come Io uccido. Questo lo sanno fare solo i grandi.
Nel disco sembra emergere un po’ di disagio per i nostri tempi.
E’ evidente che attorno si respira un disagio generale, stiamo vivendo momenti sconcertanti. Senza arrivare a Trump, abbiamo paura ad andare in discoteca perché qualcuno potrebbe entrare con il mitra. Sembra prevalere l’istinto animale, il predominio, il potere, un mondo dove ci si lamenta del terrorismo e poi si finanziano i terroristi. Nell’album c’è questa ammissione, ma c’è anche la consapevolezza che non serve più la rabbia, la vendetta, il “vaffanculo”: il mondo è bugiardo, nasconde lo sporco sotto i tappeti, e quello di cui avremmo bisogno è un uomo che raccontasse la verità con voce calma.
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In Una lettera a chi sarò ho trovato interessante la definizione della vita “che sembra seria”. Ma se non è davvero seria, come la definiresti?
La vita è in continua evoluzione, non c’è un aggettivo che la definisca al meglio, altrimenti l’avrei usato. E’ la speranza che la fa apparire seria: tu la immagini in un certo modo, vera, pensi di averla in mano, ma spesso è così perché sbagliamo scelta, poi abbiamo il giorno seguente per riprovare. La vita ti dà continue occasioni, ti provoca. Per usare una metafora sessuale, la vita ti eccita, ma non te la da. Ed è proprio questa la sua apparente serietà: da una parte è vera, dall’altra ipocrita, non riesci mai a coglierla nella vera essenza.

Hai sempre intenzione di portare avanti anche l’attività di produttore per i giovani musicisti?
Sto lavorando per allestire uno studio di registrazione a casa: spero che sia pronto prima dell’estate. Ho già un paio di progetti a cui vorrei dedicarmi. Grazie a Diego Calvetti e Lapo Consortini ho imparato un nuovo modo di lavorare sulla musica e penso di avere l’esperienza per dare consigli ad altri.
Ad aprile partirà un nuovo tour. Ci stai già pensando?
Canterò alcune canzoni del nuovo disco e poi ci saranno i pezzi più importanti della mia carriera. Sto pensando anche a dei medley per proporre alcune cose che magari una parte del pubblico non conosce e che invece ama chi mi ha sempre seguito in questi anni. E’ un modo per ringraziare i fan che mi sono stati vicini anche nei momenti difficili in cui non riuscivo a scrivere. Non sarà facile mettere insieme tutto, ma ho già qualche idea sugli arrangiamenti: porterò un po’ di elettronica, pensando a come sarebbero stati quei brani se all’epoca li avessi fatti con gli strumenti elettronici, senza però cambiare troppo l’atmosfera.

 
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ASPETTANDOSANREMO: "Mi tremano le gambe, ma sono una donna forte". Quattro chiacchiere con… Elodie

elodie1new_ph-marco-laconte_bElodie ha due occhi bellissimi. Grandi, profondi e bellissimi, di un colore indefinibile, accompagnati da un sorriso larghissimo.
Sì, lo so che per chi si interessa di musica questi non dovrebbero essere dettagli importanti, ma io sono tra quelli che di un artista non solo ascoltano le canzoni, ma ne osservano anche i gesti, i colori, ne ascoltano il tono della voce quando parlano.
Ed Elodie ha due occhi bellissimi che sembrano parlare più della sua voce nel dire quanto lei sia sicura di quello che fa. Una donna forte, proprio così, lo dice anche lei, “Voglio che il pubblico mi veda come una donna forte”.
Pur con solo 26 anni alle spalle e neanche due di notorietà, la ragazza appare seriamente sicura di ciò che sta cercando e di ciò che vuole. In primavera si è conquistata il secondo posto ad Amici ed ora entra a Sanremo dalla porta principale, quella dei big, portando in gara Tutta colpa mia, un brano su una storia d’amore andata in frantumi firmato tra gli altri da Emma (e ascoltandolo non si potrebbe in effetti pensare altrimenti).
Il 17 febbraio sarà poi la volta dell’album dal titolo omonimo, mentre il 26 aprile Elodie è attesa a Milano per il suo primo vero appuntamento live.
Chissà se per quel giorno la gamba avrà smesso di tremare…

Nella canzone sembra di avvertire un senso di imperfezione da parte della protagonista, che quasi si rimprovera la fine di una storia: ti ritrovi in questa situazione,pur non essendo tu l’autrice del brano?
La canzone non è mia ma parte da una storia d’amore importante che ho vissuto qualche anno fa, una storia in cui avevo messo tanto coraggio, ma dall’altra parte non ho trovato lo stesso spirito. Non sono perfetta, nel brano va letta anche una certa ironia: posso dire comunque di essere felice di quello che sono oggi e che cerco di migliorarmi ogni giorno. I momenti d’ombra ci sono e vanno accettati, senza paura di toccare il fondo.
Senti qualche responsabilità nei confronti di Emma, tua coach ad Amici e ora autrice del pezzo?
Interpretare una canzone altrui è sempre un impegno, però il regalo più importante che mi ha fatto Emma è stata la possibilità di condividere il suo team: a Sanremo devo dimostrare che valgo e che tutta questa fiducia me la merito. Non sono più un’allieva della scuola di Amici, adesso devo diventare una professionista.
Emma ti ha dato qualche consiglio per Sanremo?
Per Sanremo in particolare no. Mi ha sempre detto di respirare, sorridere e di mettere tutte le mie energie, indipendentemente dal palco su cui mi trovo.
Perché la scelta di Quando finisce un amore per la serata delle cover?
Cocciante, insieme a Mia Martini e Loredana Bertè, è uno degli artisti che ho più nel cuore, perché ha messo tutto se stesso nella musica. Non so se avrò un’altra possibilità come questa, quindi ho scelto di reinterpretare un brano che mi mettesse alla prova, e questo lo sento sotto pelle.

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Come ti senti in questo momento?
Felice, molto felice e nello stesso tempo tutto mi sembra irreale. Non avrei ma pensato di poter arrivare a questo punto, Sanremo è il sogno di chiunque voglia fare questo lavoro, ma non ho aspettative tanto verso il Festival in sé, perché Sanremo è un colosso, sta fermo lì, quanto piuttosto su di me. Spero di fare bella figura e di rispettare quel palco, la sua tradizione. Voglio esibirmi con dignità nei confronti della musica italiana, restando ben a fuoco e dominando l’emotività. Le prime volte che mi esibivo in pubblico tremavo tutta, non potevo togliere il microfono dall’asta, e pochi giorni fa alle prime prove con l’orchestra ho cantato per tutto il tempo senza smettere di muovere la gamba.
C’è qualcosa che il pubblico magari non sa ancora di te e che vorresti venisse fuori n questa occasione?
Vorrei si capisca che sono una donna forte, non presuntuosa, ma forte. Qualunque cosa si faccia nella vita va portato avanti con determinazione e puntando a farlo al meglio. E sbaglia chi pensa che il talent sia una scorciatoia: ho passato periodi in cui non avevo un obiettivo, mi sentivo persa, e Amici è stato un aiuto. Non ci sono tante possibilità per noi giovani artisti, e chi le offre non va discriminato. 

Tra i tuoi punti di riferimento citi Nina Simone, un’artista che ha avuto un vissuto piuttosto pesante: in cosa la senti vicina?
Nina Simone, così come Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald e tutte le cantanti di colore di quegli anni, è stata una donna forte: sentirla vicina è come una pacca sulla spalla. Io stessa vengo da una famiglia di origini africane, mia nonna è delle Antille Francesi, per cui ho respirato un certo clima culturale. E’ bello quando le minoranze diventano di polso, è segno che se ci sono passione e spinta a reagire chiunque può farcela.

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Il 26 aprile è in programma un appuntamento live all’Alcatraz a Milano: come ti stai preparando?
Per ora mi concentro sul Festival, altrimenti impazzisco… Inizierò a lavorarci seriamente dal giorno dopo. Sarà un’altra novità, perché per la prima volta il pubblico sarà lì apposta per me, e questo non aiuterà a gestire la tremarella.

Hai un’immagine che racchiude il significato del Festival per te?
Penso a Loredana Bertè e Mia Martini: in questo momento ho in mente Amici non ne ho di Loredana. Penso ci voglia tantissimo coraggio a spiattellare quelle cose in faccia al pubblico. Loredana è una donna che stimo tantissimo.
  
Prima di salire sul palco cosa farai?
Non ho riti scaramantici né portafortuna. Semplicemente penso che farò un bel respiro, gesticolerò un po’, farò un inchino, sorriderò e poi via, quando il maestro sarà pronto, canterò.

ASPETTANDOSANREMO: Al Festival con il nu soul. Quattro chiacchiere con… Lele

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In meno di un anno è passato dalla finale di Amici al palcoscenico di Sanremo, dove concorre tra le Nuove Proposte (con i suoi 20 anni è il più giovane in gara quest’anno) con Ora mai.
In mezzo, Lele ha aperto alcun date di Emma ed Elisa e ha pubblicato il suo primo disco, Costruire, in cui ha messo la sua firma in molti brani e che il 10 febbraio sarà ripubblicato in una versione 2.0 con alcuni pezzi inediti.
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C’è un motivo particolare per cui hai scelto di proporre alla commissione del Festival proprio Ora mai?

Un motivo in particolare no: è un brano che fin da subito è sembrato adatto ad essere proposto a un’orchestra, per cui la scelta è stata quasi naturale. Inoltre, è una canzone sulla fine di una storia d’amore, ma se ne parla con consapevolezza, nonostante io abbia solo 20 anni.
Cosa significa sentire per la prima volta un’orchestra che suona un tuo brano?
È come immaginarsi di vedere un figlio crescere nella pancia della mamma e poi ritrovarselo tra le braccia. La sensazione che ho avuto durante la prima prova con l’orchestra è stata quella di sentire la realizzazione fisica di quello che avevo scritto insieme a Fabrizio Ferraguzzo, è stato come poter osservare a occhio nudo qualcosa che non si può vedere, qualcosa di immateriale.
Rispetto a quando sei arrivato ad Amici come ti senti cambiato?
Mi sento molto più consapevole. Grazie ad Amici sono cresciuto umanamente e professionalmente, anche con l’aiuto di Elisa ed Emma, e fortunatamente ho potuto vivere quel percorso fino alla fine. Quindi ho voluto trasportare tutto quello che ho imparato negli cinque nuovi brani che fanno parte della riedizione dell’album: ho proprio notato un passo in avanti sia nell’approccio tecnico sia in quello interpersonale. Per la mia età mi considero ancora in costruzione.
Questa partecipazione a Sanremo per te cosa rappresenta, un nuovo inizio, un arrivo, una continuazione?
È un’altra tappa del mio percorso. Un punto di partenza no, perché non lo è stato nemmeno Amici, e ancora prima nemmeno The Voice, ma è stato quando ho iniziato a studiare musica da piccolino. Tutto quello che è successo da lì in avanti lo considero parte di un cammino che ha come filo conduttore la mia passione per la musica.
Come ti trovi nell’ambiente discografico?
Dal primo giorno in cui sono entrato in Sony ho trovato intorno a me un ambiente coeso, determinato e affettuoso, cosa che non mi aspettavo nel mondo della discografia. Ho sempre avuto la percezione di un team di persone che lavoravano per me e con me: mi piace molto il lavoro di squadra, credo che faccia la differenza per la creazione di un progetto univoco. Spero che si possa andare avanti lavorando in questo modo.
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Per i nuovi brani che su quali sonorità ti sei mosso?
Poco tempo fa mi è capitato di leggere una recensione in cui si parlava di Ora mai come di un classico brano sanremese, ma non penso sia così, mi risulta sia che di solito a Sanremo si usino le tastiere in quel modo. Negli altri brani mi sono spinto ancora di più attraverso le influenze dell’hip-hop straniero e del nu soul, e mi sono divertito molto.
Anche alla luce dei talent, oggi partecipare al Festival tra le Nuove Proposte è diverso rispetto a dieci anni fa?
Sì, è sicuramente diverso, ma arrivare a Sanremo dopo la notorietà del talent è un’arma a doppio taglio: ti porti dietro il pregiudizio di uno che vuole solo apparire e arrivare alle ragazzine, senza essere mosso da un reale interesse per la musica. Questa purtroppo è una deriva che la televisione ha preso da un po’ di anni, ma è un metro di giudizio qualunquista. Io spero di essere giudicato solo per la canzone, anche perché poi alle persone è quello che resta in testa, non se arrivi da un talent o da un’accademia. È tutta gavetta.
Cosa ti aspetti e come ti aspetti Sanremo?
Voglio restare concentrato sulla canzone, spero di eseguirla al meglio e che possa arrivare al pubblico. Il festival invece me lo aspetto come il grande evento che ogni anno ferma l’Italia per una settimana, un evento totale.

Fabrizio Moro: il 10 marzo il nuovo album, poi i live

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In gara sul palco del Teatro Ariston con Portami via, Fabrizio Moro riceverà la “Menzione Premio Lunezia per Sanremo” come miglior testo in gara nella sezione Campioni del 67° Festival di Sanremo.
Infatti, come da tradizione, il vertice del Premio Lunezia ha espresso lo scorso 2 febbraio le sue preferenze sui testi pubblicati da TV Sorrisi e Canzoni e sui brani dei giovani, e la scelta è caduta su Fabrizio Moro.
Portami via sarà contenuto nel suo nuovo album d’inediti, Pace, in uscita il 10 marzo.
Nella serata di giovedì l’artista interpreterà La leva calcistica della classe ‘68 di Francesco De Gregori.
Già fissate inoltre due anteprime live il 20 aprile al Fabrique di Milano e il 26 maggio al Palalottomatica di Roma.
I biglietti sono disponibili in prevendita su www.ticketone.it.